TEMPESTA SULLA BREXIT: LE RIVELAZIONI DI CHRIS WYLIE NON NE ACCELERANO IL CORSO

DI VIRGINIA MURRU

 

Il percorso verso la Brexit è già di per sé travagliato e irto di ostacoli, i colpi di scena non sono certo mancati. Nello stesso Regno Unito, sul finire del 2016, si è messa in discussione la legittimità costituzionale nella procedura da seguire per l’uscita dall’Ue, se n’è occupata poi la Corte Suprema, la quale ha dato ragione ai sostenitori del ‘Remain’: necessaria l’autorizzazione del parlamento, per l’approvazione dei vari step durante i negoziati con l’Unione.

Le sorprese, tuttavia, non sono finite. Quest’anno, nell’”easter egg”, c’era qualcosa di più rilevante: lo scandalo emerso in seguito alle rivelazioni di Christopher Wylie, 28 anni, cofondatore di Cambridge Analytica, società legata da contratto di collaborazione a Facebook.

L’informatore, ora ex dipendente della società londinese, ha fornito gli estremi per un’inchiesta giornalistica, che ha contribuito a portare a conoscenza degli utenti europei e americani, la violazione della privacy su circa 50 milioni di profili Facebook.

Intanto, Wylie, ha reso testimonianza davanti al parlamento inglese, tramite la Commissione Affari interni della Camera dei Comuni. L’informatore ha riferito delle strategie illecite e truffaldine adottate dal gruppo ”pro Brexit’’, volte a portare avanti il progetto di abbandono dell’Unione Europea, durante la campagna referendaria di due anni fa.

Le sue affermazioni sono state poi confermate anche da un altro testimone.
Wylie ha denunciato pubblicamente quello che è accaduto, perciò il whistleblower è stato definito “gola profonda e genio dislessico”, di un caso diventato clamoroso a livello internazionale, che non si è esaurito né è destinato a dissolversi come un semplice polverone mediatico.

Vi sono ripercussioni, in ciò che il giovane scienziato ha rivelato, che riguardano l’orizzonte politico, nell’ampio spettro d’azione che ha interessato eventi fondamentali nell’assetto interno e internazionale, quali l’esito del referendum sulla Brexit e l’elezione del presidente degli Usa, Donald Trump.
Cambridge Analytica ha seguito entrambe le campagne elettorali, con precisa attività di propaganda, sia in favore della Brexit che di Trump.

Le consultazioni elettorali sarebbero state in qualche modo ‘dopate’ da condizionamenti favoriti dall’uso illecito dei dati ‘trafugati’ agli ignari utenti facebook. Dati manipolati allo scopo d’indirizzare le intenzioni di voto in una direzione ben precisa: nel caso del referendum avvenuto nel giugno del 2016 in Gran Bretagna, verso la Brexit, mentre negli Usa, l’influenza sulla libera scelta di voto, doveva favorire proprio l’attuale presidente in carica. Extrema ratio di chi intendeva imburattinare la volontà popolare, e la libera espressione del voto, orientandone gli intenti nella direzione voluta.

“Missione compiuta” per Cambridge Analytica, ma a volte, per dirla con un luogo comune, il diavolo dimentica poi di fare i coperchi per le oscure manovre architettate dietro le quinte. In fin dei conti, questi sopraffini interventi di manipolazione degli elettori, vanno a scapito della libertà individuale, diritto che dovrebbe essere sacro e inviolabile, ma a quanto pare neppure i diritti fondamentali di una costituzione sono a “prova di scasso”.

L’acquisizione dei dati riguardanti circa 50 milioni di utenti Facebook da parte di Cambridge Analytica UK (società di consulenza con sede a Londra, si occupa di elaborazione e analisi di dati nel corso di una campagna elettorale), avveniva, secondo Wylie, tramite una società collegata (Aggregatelq), che permetteva l’accesso ai profili facebook .
Ma in che modo gli elettori, tramite il social, venivano influenzati nelle scelte elettorali?

Si analizzavano i dati che li riguardavano, le preferenze, e si influenzavano attraverso messaggi mirati, questa la strategia psicologica adottata per ‘dirottare’ il voto. Una sorta di ‘broglio-imbroglio’.

Ma non è tutto. Pare siano state violate le leggi di finanziamento stesso della campagna elettorale sulla Brexit, tramite trasferimento di donazioni tra associazioni ‘pro Leave’, e dunque favorevoli alla fuga dall’Ue. Secondo le indagini in corso, è stato superato il budget massimo consentito dalla legge britannica ai finanziamenti della propaganda elettorale. Una truffa ordita dai ‘ Vote Leave’.

Wylie è esplicito su questo punto: l’esito del referendum, senza questi espedienti poco ortodossi, sarebbe stato diverso.
Tutto un sottobosco di intenti ed azioni volte a influenzare l’esito del voto. Esistono le prove, ora l’onere di illuminare a giorno queste trame ordite all’insaputa dell’elettorato, sarà della Giustizia britannica. Il Ceo Mark Zuckemberg, intanto, invitato ad una audizione dal parlamento britannico, si è disimpegnato e ha autorizzato alcuni suoi collaboratori a rendersi disponibili.

Il giovanissimo amministratore delegato di Facebook, pungolato anche dal Senato americano, e invitato a rispondere delle responsabilità del social network davanti alla Commissione Commercio, ha deciso di presentarsi. In questa sede dovrà rispondere della violazione delle norme sulla privacy, sui dati riguardanti i profili di milioni di utenti. Anche in questo caso, si aveva accesso alle preferenze politiche, e con strategie di propaganda e messaggi mirati, nel corso della campagna elettorale, si cercava d’indirizzare il voto nella direzione voluta.

Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica, intervistato, al riguardo, sostiene:

“Come si fa a dire che comunque, anche senza questi risultati condizionati, l’esito sarebbe stato quello che è poi emerso, sia in Gran Bretagna che negli Usa? Se dopo una prestazione sportiva, in seguito ai controlli anti-doping, si riscontra che un atleta ha fatto uso di droghe, gli si prende la medaglia, e non si sta a pensare se il risultato, nonostante tutto sarebbe stato il medesimo. Così dovrebbe essere quando accadono eventi di carattere elettorale pilotati o illecitamente influenzati: si annullano.”

E aggiunge: “non è uno scherzo, la Brexit ha prodotto fondamentali cambiamenti di carattere costituzionale nel Regno Unito.”

Gina Muller, imprenditrice inglese, che aveva già messo in discussione, sul finire del 2016, la legittimità della procedura relativa alla Brexit, (convinta ‘Pro Ue’, aveva perorato la causa di chi voleva che fosse il parlamento inglese a pronunciarsi tramite il voto, sull’iter da seguire per l’uscita dall’Ue), esulta, e invoca un nuovo referendum, con maggiore vigilanza sui finanziamenti.

Facile a dirsi, non saranno dello stesso avviso né i conservatori britannici né quelli americani. A proposito di conservatori, uno dei due fondatori di Cambridge Analytica, è Robert Mercer, finanziere, magnate e ombra discreta di Trump (più che mai durante la sua campagna elettorale), sostenitore di tante iniziative politiche conservatrici.
Cambridge Analytica, su cui Mercer ha investito milioni di dollari, ha ovviamente diverse ‘succursali’ negli Stati Uniti, e ha seguito la campagna elettorale di Donald Trump, non è difficile concludere che le rivelazioni di Wylie siano più che verosimili a questo punto.

Anche l’Ue, tramite il Commissario alla Giustizia, ha chiesto, entro due settimane, chiarimenti a Facebook sull’uso improprio dei dati personali di milioni di cittadini europei. Ma non finisce qui.

Wylie, esperto di analisi dei dati, non per nulla è stato apostrofato con l’epiteto ‘gola profonda’. Egli ha fatto cenno ad un altro Stato nel mirino di Cambridge Analytica: l’Italia..
Ma è solo un cenno, non svela altro, anche se è difficile credere che le sue conoscenze al riguardo non vadano oltre.

“La società ha lavorato per alcuni partiti politici – sostiene – ma non so quali siano. So solo che c’era un italiano che lavorava con Cambridge Analytica, era il collegamento con l’Italia, ma non conosco il nome.”

Intanto la procura di Roma ha dato il via alle indagini, in seguito ad un esposto presentato da Codacons, Associazione dei consumatori che intende portare avanti un’azione di tutela nei confronti dei circa 30 milioni di italiani iscritti al social Facebook. L’esposto è stato trasmesso a ben 104 Procure in Italia, oltre che al Garante della Privacy, al fine di verificare se siano stati commessi illeciti proprio sul piano della privacy in territorio italiano.

Negli Usa non sono meno zelanti in proposito, già avviata una class action, con relativa azione legale, contro Facebook, i cui estremi sono stati presentati presso la Corte Distrettuale di S. José, in California.