CGIA. NEL VOLGERE DI 10 ANNI SCOMPARSE 165MILA IMPRESE ARTIGIANE

DI VIRGINIA MURRU
 
‘A conti fatti’ somiglia ad una strage di piccole imprese artigiane, il Centro Studi di Mestre, fa il punto su una situazione che è speculare di un andamento strettamente legato alla crisi economica esplosa nel 2007/8, e della quale, forse, ci si è illusi di avere chiuso i cancelli. Intanto, secondo i dati di Cgia, 165mila piccole imprese si sono spente, senza fare troppo rumore, anche se poi, in questo quadro piuttosto desolante, la realtà viene in superficie.
 
L’ultimo quinquennio sembrava avere imboccato il percorso della ripresa, un ciclo economico che non si pensava potesse esaurire la sua potenza propulsiva nel volgere di un periodo così breve, eppure i ‘motori’ del sistema nel 2018 hanno cominciato a rallentare ancora, e siamo di nuovo in affanno. Tuttavia non è un trend che riguarda solo l’Italia, in ‘regime’ di globalizzazione è difficile che gli urti della crisi siano circoscritti all’interno di uno Stato, troppe sono le variabili che attraversano i confini e portano i riflessi ovunque, sono gli “effetti collaterali” delle strette interconnessioni sul piano globale.
 
Ma per l’Italia, come ha questi giorni sottolineato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, è anche peggio: “se non si incentiveranno i risultati consistenti di carattere strutturale, intervenendo sulle riforme, il rallentamento di natura congiunturale a livello globale, da noi può davvero trasformarsi in un ristagno o in un calo dell’attività produttiva”.
 
Riassunto in una parola: “recessione”. Che è poi il motivo di fondo delle ultime analisi Istat ed Eurostat. E non solo: a suonare l’allarme nel 2018 sono stati in tanti, e i mercati non potevano mancare in questo concerto di note stonate. L’economia italiana è quella che procede con maggiore lentezza, ogni colpo viene assorbito con effetti peggiori.
 
E certo non si possono ignorare le cause di questo rallentamento dell’economia globale, non si possono escludere le tensioni causate dalle sfide commerciali tra Cina e Usa, quelle geopolitiche, le incertezze che da quasi tre anni sta iniettando la Brexit, conseguenze che non si riflettono solo in Europa, ma, com’è facile intuire, sul sistema globale. E non ultimi gli effetti prodotti dalla politica monetaria della Bce, che il 31 dicembre scorso ha posto fine al programma di acquisto di asset, dopo un anno e mezzo circa di tapering, ossia di graduale riduzione degli interventi (Qe).
 
Tante sono le interdipendenze di carattere economico e finanziario che incidono sui diversi sistemi sul piano globale, e l’Italia che politicamente si è avviata su un percorso di transizione, ne ha subito i colpi e i contraccolpi. Per questo l’economia, a partire dal secondo trimestre del 2018, ha cominciato ad annaspare, i più importanti indicatori economici hanno esaurito l’energia della ripresa lasciando intravedere quel tunnel tanto temuto, ossia la strada che si rastrema e porta verso la recessione.
 
Potrebbe trattarsi del passaggio nel ‘ponte’ di una transizione che ha prodotto effetti a catena, e la ripresa, secondo le dichiarazioni dell’esecutivo in carica, dovrebbe essere dietro la porta. Ma intanto c’è un senso serpeggiante d’incertezza e timore di un nuovo baratro.
 
Secondo il Centro Studi Cgie, la “moria” di piccole imprese artigiane, è un flusso che corre con impeto da ormai una decina d’anni. Se la differenza tra il 2018 e il 2017 è stata pari a -1,2% – in termini di numeri di 16.300 unità d’imprese chiuse – considerando un arco di 10 anni il bilancio è per ovvie ragioni peggiore: -11,3%. Sempre secondo il resoconto del Centro Studi, al 31 dicembre scorso il numero di imprese artigiane “vive”, attive, era poco al di sopra di 1.300.000mila unità. Delle quali, il 37,7% nel settore edilizio, il 33,2% nei servizi, il 22,9% nel settore produttivo e il 6,2% .
 
Tra le cause della chiusura di queste piccole imprese, ce lo ricorda anche l’Istat, è il calo dei consumi delle famiglie, l’aumento della pressione fiscale e il nuovo picco registrato nel costo degli affitti, ragioni che hanno portato alla deriva le imprese artigiane. Da non trascurare – secondo il coordinatore dell’ufficio Studi, Paolo Zabeo, l’influsso delle nuove tecnologie e produzione in serie, che hanno indubbiamente danneggiato le professioni legate all’artigianato,
contraddistinte proprio dalla manualità della loro produzione.
 
E non è difficile concordare con l’analisi di questo risultato, dove la componente sociale e nondimeno culturale, sono dettagli importanti, perché gli artigiani tramandano arte e cultura nel tempo, e quando decidono di chiudere i battenti perché non si riesce a stare a galla nel marasma della concorrenza, soprattutto quella derivante dalle sfide tecnologiche, si perde lentamente tutto un patrimonio di saperi e conoscenze che vengono da lontano. E’, questo, forse, uno degli aspetti più dolorosi: sono le ferite che si lasciano sulle caratteristiche culturali di un territorio, a lasciare il segno più forte nel tessuto sociale.
 
Il mezzogiorno, sempre secondo i riferimenti degli studi portati avanti da Cgie, è la macro area del Paese nella quale ricade il danno maggiore. Ci sono i numeri a raccontarlo. Nell’arco del decennio, in Sardegna (una delle regioni che più ha sofferto la crisi nell’ambito delle imprese artigiane), la contrazione è stata pari al 18%, ossia oltre 7.600 attività in meno. Segue l’Abruzzo con -17,2; l’Umbria con -15,3%; Basilicata con-15,1%; Sicilia con il medesimo risultato. In riferimento, invece all’ultimo anno, il 2018, la regione che ha ceduto di più in questo settore è stata la Basilicata, nella quale risulta una perdita di piccole imprese pari a -1,9%.
 
Puntando l’osservatorio sui settori speciali dell’Artigianato, il 57% delle imprese registrate nel periodo di riferimento di 10 anni, riguarda le attività connesse con il comparto ‘casa’. Dunque edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici, e altri, i quali, secondo il segretario Cgia Renato Mason, stanno attraversando anni di grande difficoltà, che alla fine poi porta queste piccole imprese alla resa.
 
La crisi del settore edilizio, e il calo dei consumi delle famiglie, sono i fattori che hanno inciso maggiormente, spesso hanno determinato la chiusura. A fronte di questo disastro, c’è invece il mondo delle start up, piccole imprese legate al design, web, comunicazione, che accende una nuova luce su questo pianeta poco felice. E non è scontato, comunque mettere in evidenza che le trasformazioni derivanti dal progresso, dall’avanzamento dell’alta tecnologia, sono la causa diretta o indiretta della scomparsa di professioni e mestieri che fanno parte della storia dell’Artigianato italiano.
 
I settori più colpiti riguardano l’autotrasporto (con -22,2%), le attività manufatturiere (con -16,3%), e l’edilizia (con -16,2%). Nel versante della crescita, troviamo invece attività legate a piccole imprese che svolgono lavori di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese, attività cinematografiche e produzione software, magazzinaggio e corrieri.
Una bilancio che mette in rilievo l’opera di trasformazione che caratterizza il terzo millennio, con il progresso tecnologico protagonista di questi nuovi scenari, talvolta impietosi, dato che, impietosamente, come cingoli, schiacciano un settore importante qual è quello delle piccole imprese artigiane.
 
Come già si è accennato, c’è sicuramente in primo piano la perdita economica, ma anche quella di carattere culturale, la scomparsa di conoscenze portate avanti, generazione dopo generazione, da mondi lontani, a volte remotissimi. Un patrimonio che si rischia di perdere per sempre, considerato che, le nuove generazioni, sono orientate verso il nuovo che viene, e difficilmente amano voltarsi indietro