BIBBIANO E LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO, CARLETTI QUERELA IL MINISTRO DI MAIO

DI VIRGINIA MURRU

 

Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano, da mesi ai domiciliari (e sospeso dal PD) ha querelato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per le  affermazioni lapidarie sui social nel mese di luglio. Insieme al ministro sono stati querelati anche altri iscritti alla piattaforma Facebook, circa 150 soggetti, i quali, con post giudicati diffamatori e offensivi, hanno strumentalizzato l’inchiesta “Angeli e Demoni”.

Se la politica avesse una “moneta corrente”, sarebbe, per dirla con un luogo comune, di bassa lega, perché lo sappiamo tutti che è ‘una cosa sporca’. Malgrado questo, ci sono gli esponenti politici che, pur con i propri ineluttabili errori, ché la perfezione non è retaggio di questo mondo, non mettono l’avversario in un bersaglio e ci sparano contro, come fosse il migliore foraggio per alimentare il consenso.

Perché poi non si è ‘sparato’ a salve.

Il ministro Di Maio non si può dire che abbia esercitato in modo corretto il diritto all’opposizione nei confronti dei Dem, durante gli ultimi quattro anni in cui questi avevano le redini dell’esecutivo, è stata piuttosto denigrazione continua, e poi lo sappiamo com’è finita. Il Pd dopo le elezioni politiche del 2018 è ‘tornato a casa’, e il Movimento stellato è andato solennemente alla guida del Paese insieme alla Lega.

E anche a questa trionfale performance elettorale sono poi seguiti i risultati, ossia un Paese portato più o meno sulla deriva della recessione, dopo 4 anni di crescita economica,  miracoli no, ma crescita reale, non frutto di affermazioni demagogiche e politica economica basata sui sogni.

Sull’inchiesta Bibbiano sono stati in tanti a volare in picchiata come corvi e ad assaltare la ‘preda’, che in un momento politico di risultati ben poco lusinghieri, hanno ritenuto di rifarsi il look a spese di chi con clamore, nella primavera scorsa, è stato scaraventato nel primo girone infernale della giustizia, senza avere nulla a che fare con i fatti sporchi dell’inchiesta.

E poteva mai la Lega lasciarsi sfuggire un’occasione così allettante, ossia quella di mettere definitivamente alla forca i Dem, additandoli in pubblico come i responsabili dei mali peggiori dell’Italia? Ehh no, Bibbiano era una mina vagante che doveva servire a saldare i conti con un partito che si era permesso di mettere in discussione l’operato del precedente esecutivo, e lo aveva fatto in modo irriverente, con un’opposizione serrata.

A volte i conti tornano, se si riflette seriamente al caso della bambina esibita come un trofeo al raduno di Pontida, e all’indignazione che ha scatenato ovunque, perché qui davvero, sotto la luce del sole, si è usata una bambina per farsi scudo contro un avversario diffamato, infamato, vilipeso. La chiamano legge del contrappasso.

E’ inutile spenderci parole e commentare un episodio che rende la politica davvero un gioco sporco: non serve. Occorrerebbe invece un libretto d’istruzioni per la ‘Politica’, quella seria, che in modo legittimo può esercitare il diritto all’opposizione, ma non demonizzare l’avversario. Soprattutto non dovrebbe essere consentito l’opportunismo che permette di utilizzare persone coinvolte in inchieste il cui esito giuridico non è ancora ‘passato in giudicato’: potrebbe trattarsi di persone assolutamente estranee ai reati contestati.

Come il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, appunto, che sull’inaccettabile trattamento riservato a quei bambini non ha nulla a che fare.

CHIARA VIGO, UNICA MAESTRA AL MONDO DELLA SETA DEL MARE, OVVERO IL BISSO

DI VIRGINIA MURRU
 

Il Bisso, filo di seta che viene dal mare, e Chiara Vigo, l’unica Maestra al mondo che ne conosce i misteri, già proposta all’Unesco come patrimonio dell’umanità.

La storia del bisso, lunga oltre 7 millenni si ferma a S. Antioco, un grosso borgo di mare situato nell’isola omonima, a sud della Sardegna. Osservando da vicino le vicissitudini storiche si ha l’impressione di entrare in uno scenario mitologico, con vaghi aloni esoterici.

Eppure, nonostante lo scorrere del tempo, ancora oggi si può assistere con stupore alla lavorazione del ‘filo d’acqua e di mare’, il quale presenta luminescenze uniche, e dopo lunghi trattamenti, la sua consistenza serica diventa morbidissima nelle mani di Chiara Vigo, unica donna al mondo a conoscere i segreti della seta del mare, ultima rappresentante di una catena che abbraccia una trentina di generazioni.

Il bisso, prima d’essere stato indossato da personaggi biblici come Salomone e alti dignitari religiosi del tempo, da principesse e regnanti, seguiva processi di lavorazione finissimi e piuttosto complessi, ma il risultato era un tessuto sfolgorante, che i Caldei, raffinatissimi tessitori e tintori, esperti di tessuti pregiati e originali, coloravano secondo procedure strettamente dipendenti dalle risorse della natura.

Le origini del bisso sono legate alla storia delle Civiltà del Mediterraneo, in particolare agli Ebrei, Caldei, Fenici, Egizi e Cretesi, tutti popoli che avevano manifestato notevole creatività in questo settore. La cosiddetta ‘seta del mare’ è un filo che presenta consistenza e resistenza allo strappo, e questo, a parte le virtù estetiche, è una delle caratteristiche che lo hanno sempre reso prezioso.

Ma ciò che rende il bisso del tutto unico è l’origine, in quanto è un prodotto elargito direttamente dal mare, attraverso una sua creatura, ‘la pinna nobilis’ o nacchera, un mollusco bivalve che può raggiungere notevoli dimensioni, anche oltre un metro di lunghezza. L’interno delle valve è madreperlaceo e contiene l’animale, protagonista assoluto nella produzione del filato di bisso. Esso infatti secerne all’estremità appuntita delle valve una sostanza serica che a contatto con l’acqua diventa filiforme; la lunghezza varia a seconda degli esemplari, ma in media il bioccolo di filo grezzo è lungo circa 25 cm.

I popoli del Mediterraneo che producevano la seta del mare, pescavano grandi quantità di pinna nobilis ed estraevano completamente il ciuffo di fili dall’interno delle valve, uccidendo per conseguenza l’animale. Attualmente la pinna rientra tra le specie protette pioiché si è riscontrato che a causa della pesca indiscriminata è in pericolo d’estinzione. Pertanto Chiara Vigo, la sola donna che ancora oggi porta avanti questa tradizione millenaria, durante le sue immersioni alla ricerca della pinna è riuscita a sviluppare tecniche di ‘prelievo’ del prezioso filo senza nuocere all’animale, asportandone solo qualche cm e riposizionando la nacchera poi sul fondale.

Questa sostanza serica secreta dal mollusco ha la funzione di tenerlo saldo sui fondali, vive bene in profondità che vanno dai sei metri ai quaranta, ma è diventato sempre più raro anche per ragioni d’inquinamento oltre che di pesca incontrollata. La pinna vive al meglio tra praterie di Poseidonia, una pianta non un’alga, che solitamente si accompagna alla sua presenza nei fondali.

Altra creatura marina associata alla produzione del bisso è il murice, un mollusco che i Fenici conoscevano bene dato che questo mollusco monovalva forniva una sostanza rosso-violaceo: la porpora, usata per la tintura dei filati non solo di bisso.

E’ stata in definitiva la porpora a dare il nome a questo popolo d’ingegnosi mercanti, abilissimi nel commercio di prodotti vari, che portavano ovunque attraverso imbarcazioni all’avanguardia nel primo e secondo millennio A.C. Etimologicamente infatti, Phònix, nome greco dei Fenici, significa proprio porpora.

Anche i processi di lavorazione per ottenere questa tinta sgargiante erano piuttosto lunghi, e poiché doveva pure essere maleodorante, si svolgeva al di fuori dei centri abitati. In ogni caso è grazie all’ingegnoso modo di sfruttare le risorse del mare che si ottenevano risultati così eccellenti, e i tessuti tinti secondo queste tecniche erano peraltro piuttosto costosi, dato il pregio e la non facile reperibilità. Per questo erano capi che solo gli alti dignitari religiosi e i regnanti, faraoni compresi, potevano permettersi. Non erano certamente retaggio della gente comune.

Non esiste una datazione certa sulle origini del bisso marino, si sa che nel Vecchio Testamento ci sono decine di riferimenti a questo tessuto pregiato, pare che lo stesso Salomone indossasse una tunica tessuta con la seta del mare e che addirittura ne promuovesse la produzione, facendo arrivare esperti tessitori per assicurarsene la disponibilità.

A S. Antioco, cittadina dell’isola omonima, l’antica Solki, che ha un passato storico veramente ricco d’eventi, crocevia nel Mediterraneo per i popoli che venivano dall’Oriente, e meta privilegiata dei Fenici, si ferma anche la storia di questa fibra setosa.

Pare sia stata, secondo la leggenda, la principessa Berenice, ebrea di origine, consorte dell’imperatore Tito e non molto amata a Roma, a trasferirsi a S. Antioco e a trasmettere alla popolazione – formata già da un consistente numero di Ebrei confinati nel posto – tutti i segreti del bisso e dei suoi delicati processi di lavorazione. Ma certezze non ve ne sono. Anche la regina di Saba pare indossasse indumenti di questo luminoso tessuto.

Un manufatto in bisso risalente al IV secolo è stato ritrovato nel primo decennio del novecento nei pressi di Budapest, si tratta di un capo di vestiario femminile, e infatti secondo le notizie riguardanti il reperto era venuto alla luce in seguito ad uno scavo archeologico, nel sarcofago di una donna che doveva essere di nobile rango se poteva permettersi d’indossare una veste di bisso. Comunque, tale reperto, è andato perduto in seguito ai bombardamenti che si sono susseguiti sul posto durante la seconda guerra mondiale.

Una cuffia in bisso è stata invece rinvenuto nel corso di scavi archeologici nella basilica Saint Denise di Parigi, ora è conservata nel vicino museo, si pensa realizzata intorno al secolo XIV.

I segreti riguardanti la produzione di questo filato sono tanti, e non tutti si conoscono, Chiara Vigo è l’unica donna di S. Antioco, unica Maestra al mondo ancora in grado di lavorarlo. Dopo l’immersione nei fondali porta in superficie esigue quantità di bioccoli e conserva gelosamente i segreti che a sua volta le sono stati trasmessi dalla nonna materna, Leonilde, alla quale ha dovuto giurare, secondo la consuetudine, che non avrebbe mai lucrato sulla lavorazione del filato di bisso. E infatti tiene a precisare che ‘il bisso non si compra e non si vende’, è patrimonio di chiunque e deve essere pertanto reso disponibile a tutti, soprattutto a coloro che si avvicinano con rispetto a lei per andare oltre il mistero di questa fibra in apparenza così fragile e invece tanto tenace, come del resto lo è il carattere della Maestra.

E’ naturale che questa donna straordinaria sia oggetto d’ attenzione da parte di persone interessate alla storia del bisso. Nel Museo, allestito a sue spese a S. Antioco, vi si possono trovare reperti riguardanti il prezioso tessuto, che sono antichissimi. E’ sempre assediata da visitatori, giornalisti, troupe televisive, tutti smaniosi di strappare un velo al mistero della seta del mare.

Chiara ha realizzato capolavori in bisso presenti in numerosi musei europei e anche oltre oceano, ha fatto dono delle sue opere a grandi personaggi dei nostri tempi: una stola in bisso a Giovanni Paolo II, una cravatta offerta in omaggio a Clinton, e tanti altri doni elargiti a persone che, a parer suo, meritavano queste esclusive creazioni.

Di recente è stato pubblicato un libro dedicato a Chiara Vigo e all’Arte della lavorazione del bisso, lo ha scritto Susanna Lavazza, il ibro è intitolato “Dal buio alla luce, il bisso marino e Chiara Vigo”.

La Maestra è spesso invitata per conferenze in tutto il mondo, quando naturalmente è richiesto un contributo qualificato e speciale, come può esserlo il suo, che viene dall’esperienza diretta, e ha tanto da raccontare in questo ambito.

Cominciò nel VI secolo D. C. la ‘crisi’ nella produzione del bisso tra i popoli del Medio Oriente, il declino avvenne in seguito all’importazione del baco da seta dalla Cina, che prevedeva metodi di lavorazione certamente più semplici, disponibilità e in certo qual modo abbondanza e facilità nella diffusione anche in Europa.

Non ci si deve meravigliare se all’epoca furono i Romani a farsi artefici dell’importazione della nuova magica fibra, questa volta non prodotta dal mare, ma offerta da una creatura di terra, ossia il baco.

Il Maestro Chiara Vigo ha un carisma veramente speciale, quelli che l’hanno incontrata non possono sottrarsi all’aura magica che viene dalla sua persona; nelle parole e nei gesti c’è qualcosa che va oltre il singolare ‘mestiere’: si avvertono atmosfere indefinibili nel suo sguardo come se portasse con sé l’alito di un tempo lontano, con i suoi misteri e le sue consuetudini.

Misteriosi sono anche i canti che rivolge al mare ogni mattina all’alba, e le parole del giuramento che la nonna Leonilde le fece pronunciare, antico rituale e ‘passaggio’ generazionale dei segreti del bisso, dove il rispetto e l’etica legata al possesso dei manufatti sono severissimi. Queste le parole del giuramento:

“Ponente, Levante, Maestro e Grecale
prendete la mia anima e
gettatela nel fondale
che sia la mia vita
per Essere, Pregare e Tessere
per ogni gente
che da me va e da me viene
senza tempo, senza nome, senza colore, senza confini,
senza denaro
in nome del Leone dell’Anima mia e
dello Spirito Eterno
così sarà..”

L’eco dei millenni sembra vibrare in queste parole o si tratta forse del vago rumore dell’onda e del ritrarsi della risacca, mentre tra mare e terra s’intreccia una strana alleanza, tenuta salda da un filo d’oro: l’oro del mare, ovvero il bisso.

BREXIT. IL PREMIER JOHNSON CON LA PROROGATION GIOCA LA SUA ULTIMA CARTA

DI VIRGINIA MURRU
Il Regno Unito è in rivolta contro la decisione scellerata di Boris Johnson di sospendere in un momento così delicato l’attività del Parlamento, interpretata dal popolo come intento di portare a termine la questione Brexit, fosse pure ‘hard brexit’, ossia il ‘no-deal’ tanto temuto perfino da una parte dei parlamentari Tory.
Proprio tra questi ultimi sono decine le defezioni interne, per protesta contro le misure spregiudicate del premier, il quale, com’è noto, è deciso a sbarcare la Brexit a qualunque costo.
C’è chi rimpiange Theresa May, che è stata una convinta assertrice della logica dei Leave, e ha portato avanti in modo inflessibile e ortodosso le scelte di quella metà del popolo britannico che aveva votato contro la permanenza nel Mercato Unico.
E tuttavia la May, che in termini di risolutezza non aveva nulla da imparare, tendeva anche le orecchie verso il dissenso dei suoi, sul rischio della trattativa con Bruxelles che escludesse una ‘separazione consensuale’, nella quale vi fossero gli estremi del buon senso e della distensione.
E poi c’era la questione del backup, il problema della frontiera tra Irlanda del Nord e Irlanda: la pace, ottenuta dopo anni e anni di scontri e vittime, non poteva (e non può) essere insidiata. Indietro con la Storia non si torna, tuonava lo scorso dicembre il ministro degli Esteri irlandese. Mentre il capo negoziatore Ue, Michel Barner, prospettava la soluzione di tenere tra i confini del Mercato Unico l’Irlanda del Nord.
Lasciare all’Unione europea una ‘costola’ del Regno Unito in nome della Brexit? Mai. Per la May e il suo entourage politico si trattava di un ricatto da respingere categoricamente. Come sarebbe stato possibile concepirlo? C’è già la Scozia che scalpita dai tempi di Maria Stuarda, e ancora chiede a gran voce indipendenza tramite la premier Nicola Sturgeon, dunque cedere come nulla fosse una parte di sovranità sull’Irlanda del Nord, che avrebbe rischiato l’annessione al resto dell’isola? Impossibile, una provocazione per la premier.
Accettare l’indipendenza dei Paesi del Commonwealth non è stato uno scherzo per i privilegi che la Gran Bretagna vi aveva esercitato per secoli, ma dare corso al totale disfacimento dello Stato mai. E’ già una guerra in sordina tra Londra ed Edimburgo, nessuna delle parti disposta a mollare gli ormeggi sulla questione.
Di certo nessuno avrebbe immaginato, all’indomani dell’esito del referendum, che la Brexit sarebbe diventato un dilemma Shakespeariano di questa portata, che avrebbe creato conflitti politici tali da rischiare una guerra civile, dato il clima di divisione e tensione che si è creato nel volgere di tre anni.
Già un dilemma era la questione del divorzio dall’Ue, e tale resta, un’incognita che in apparenza ha una via maestra e tante diramazione, ma tutte strade tempestate di mine.
Intanto la Gran Bretagna ha già subito in tre anni pesanti contraccolpi economici e finanziari dopo la vittoria dei ‘Leave’, il 23 giugno 2016. Tantissime grandi industrie e importanti istituti di credito, hanno lasciato il Paese, altri sono in procinto di farlo, perché uscire dai Trattati dell’Unione europea non può che essere traumatico, trattandosi di un mercato che può contare su circa 500 milioni di persone, e agevolazioni in termini commerciali non di poco conto.
Negli ultimi giorni tutto il Paese si sta rivoltando contro Boris Johnson, c’è tensione, fermento e paura per le conseguenze di questo deliberato atto politico che potrebbe segnare con lettere di fuoco la sorte dell’economia britannica. Soprattutto potrebbe rendere più acuto il rischio delle tensioni nel Paese, le contrapposizioni sull’opportunità della Brexit hanno certamente spostato l’asse del ‘gradimento’ da parte dei cittadini britannici, ora la scelta potrebbe essere più chiara e matura di tre anni fa; ma c’è resistenza anche verso un secondo referendum. E allora?
Sul piano sociale è difficile tracciare una linea di resoconti e convergenze in questo ambito, l’incertezza persiste, anche perché, francamente, c’è una classe dirigente che non è in grado di offrire garanzie, di traghettare la questione Brexit in una sponda o nell’altra, senza creare forti malcontenti e proteste.

Dalle colonne del Times Boris Johnson minaccia che i Tory ribelli saranno cacciati dal partito, e avverte:
“it’s me or Corbyn chaos” (sceglete, o me il caos di Corbyn). Dopo le defezioni dei tanti parlamentari Tory, intanto si mette a rischio la stessa maggioranza. Così l’opposizione replica che è pura strategia per arrivare alle elezioni generali. E un altro casino è servito, tanto per continuare ad infarcire di complicazioni e ordigni una situazione già di per sé esplosiva. Ma tant’è..
Rodd Liddle, giornalista, saggista e polemista britannico, proprio ieri sul Sunday Times si rivolgeva con ironia ai Remainers, scesi in piazza nel disperato tentativo di bloccare il corso della Brexit, ricorrendo all’ultimo avamposto della ‘Democrazia tradita’ dalla decisione del premier Johnson di prorogare la chiusura del Parlamento.
Liddle testualmente invita la gente in rivolta a smetterla con l’isteria di slogan che rimandano a presunti ‘golpe’: “Boris Johnson non è un dittatore e Westminster non è andato in fiamme”. Scrive, e continua in tono sarcastico ricorrendo a termini di paragone tra Johnson e Nazismo, tira in ballo perfino le camere a gas, per estremizzare e riportare la gente su una linea di ragionamento più razionale.
Il dibattito sulla legittimità della scelta politica del premier, imperversa nei media, ormai il popolo ha processato per direttissima questo atto ritenuto sconsiderato dalla maggioranza, perfino dai Tory, dei quali i più agguerriti sono i rappresentanti scozzesi, alcuni infatti si sono dimessi.
Non è più una questione di opposizione in Parlamento, l’allarme riguarda il supposto abuso di potere di Johnson, che pur di sbarcare la Brexit è ricorso al supporto della Corona, strappando l’assenso alla regina, che di fatto non poteva negarlo (non ci sono precedenti), poiché, paradossalmente, l’atto relativo al ‘prorogation’ ( proroga della chiusura estiva dell’attività delle Camere tra una sessione e l’altra, comunque prevista dalla Costituzione) è legittimo sul piano giuridico.
L’autorizzazione alla sospensione dell’attività parlamentare concessa dalla regina Elisabetta, rientra pertanto nella procedura sancita da norme precise. Ma il clima di diffidenza è tale che alla gente la mossa del premier è apparso come un attentato alla democrazia, proprio perché a monte vi sono ragioni di opportunismo politico, in un momento delicatissimo per il Paese, mentre la regina ha assunto le sembianze di un ordigno nucleare sulla Brexit.
Dunque si può procedere alla ‘prorogation’, nonostante le proteste, salvo il rischio – fanno osservare i maligni – di finire come Carlo I, il quale durante il suo regno, nel 1641 impedì la normale attività del Parlamento, provocando una guerra civile. ll popolo infine prese il sopravvento e il monarca fu decapitato.