BORIS JOHNSON ALL’UE: QUESTE SONO LE MIE CONDIZIONI, PRENDERE O LASCIARE

DI VIRGINIA MURRU

 

Ed è esattamente l’ultimatum che il premier britannico ha lanciato alle Autorità dell’Unione europea: “take it or leave it” (prendere o lasciare, appunto..), ma è chiaro che gioca d’azzardo, perché nel suo irriducibile atteggiamento c’è poca credibilità.

E’ noto che ha perso numerose battaglie, gran parte dei rappresentanti del popolo a Westeminster gli si è rivoltata contro, ci sono eccessi di risolutezza nel suo modo di proporsi, e anche il credito che riscuote tra i suoi è fissato sulle sabbie mobili del rischio. Rischio per l’economia che già si porta il peso di tre anni d’instabilità, con i fondamentali che hanno mostrato segni di cedimento. In primis sono i mercati finanziari a ringhiare contro la Brexit, ma ormai si sta diffondendo anche tra la gente un senso di sfiducia e paura per il futuro del Paese.

Il PM, inquilino bizzarro di Downing Street, continua a minacciare di abbandonare l’Ue , sostenendo che il Regno Unito se ne andrà dall’Unione comunque, sia che si accettino le sue condizioni, sia che si decida di respingerle.

Dietro la sua baldanza e le dichiarazioni arroganti, in realtà si cela l’insicurezza di un Premier circondato dal dissenso, soprattutto in ambito internazionale (a parte l’endorsement dei soliti noti potenti che simpatizzano a distanza e lo istigano a gettarsi nel burrone..).

E’ una sicumera che non convince nelle interviste in TV – dove di recente gli si è contestato anche di avere le ‘mani lunghe’ con le donne – insomma si percepiscono cedimenti sul piano psicologico, c’è una sicurezza che vacilla, nonostante l’attitudine a giocarsi tutto in una sola posta. E in effetti sta rischiando con l’inclinazione al ruolo del funambolo, ma è consapevole che le sue ‘volate’ non hanno alcuna garanzia di salvataggio.

Agisce in nome e per conto proprio e del Governo che rappresenta, come se Westeminster – che proprio di recente ha approvato una norma che pone il veto su una trattativa con implicazioni di no-deal – fosse un optional della democrazia britannica, un’aristocratica democrazia che vanta secoli e secoli nel suo excursus storico.

Ma Johnson continua a minacciare anche Westeminster: se non si piegheranno al suo volere, chiuderà ancora l’attività del Parlamento.

Ora ci si chiede: si era mai visto un simile saltimbanco nella storia della politica britannica? Per quanto Enrico VIII ne avesse combinate di tutti i colori, era certamente più scaltro e avveduto.

Johnson della questione Brexit ne ha fatto una crociata personale, una trincea nella quale si sta barricando forte dell’esito della consultazione referendaria del 2016. In tre anni tuttavia, troppe vicissitudini hanno proiettato  ombre sulle conseguenze dell’abbandono del Mercato Unico. Si tratta di deragliamenti in termini di percentuali sui dati macro dell’economia britannica, che già all’indomani del referendum hanno fatto sussultare la City, centro finanziario londinese d’importanza strategica per tutti i settori, ma hanno creato soprattutto fermento negativo nei mercati.

Le condizioni per la trattativa con Bruxelles proposte da Johnson sono state liquidate in modo pressoché lapidario dai membri laburisti del parlamento: “né credibil né attuabili” (neither credible nor workable..), e del resto, com’è noto, proprio recentemente Westeminster ha deliberato a maggioranza una norma sul veto ad un piano Brexit no-deal.

Ma per il premier le delibere del Parlamento a quanto pare contano come gli iconici suoni delle cornamuse scozzesi, che rimandano a venti contrari di dissenso. E non solo gli scozzesi minacciano rivolta, di questa proposta sibillina sul backstop alle frontiere dell’Irlanda del Nord, sono poco convinti gli stessi irlandesi, sia quelli del Nord che la Repubblica, saldamente legata all’Unione europea.

Ma vediamo di capire il reale significato del piano presentato da Johnson, e consegnato a Bruxelles stamattina per mano del capo negoziatore britannico per la Brexit, David Frost.

C’è qualche innegabile ‘concessione’, ma il parere delle Autorità Ue è che dietro questo apparente compromesso vi sia la coda di volpe del premier britannico. Non c’è convinzione, e del resto come potrebbe essere credibile? La proposta è in apparenza semplice e allettante, ma ‘a termine’, ossia concedere la permanenza nel Mercato Unico dell’Irlanda del Nord fino al 2025, con alcune varianti sul piano commerciale degli scambi, ma poi blindare le frontiere, e addio backstop che è costato migliaia di vittime.

Della proposta dell’esecutivo non sono persuasi neppure allo Stormont, il Parlamento dell’Irlanda del Nord; vi sono punti poco chiari sui quali neppure gli Unionisti irlandesi che supportano Johnson al Governo sono convinti.

Non sarebbero previsti nuovi dazi lungo le frontiere, e i controlli sarebbero ridotti, Londra concederebbe una maggiore integrazione nel Mercato Unico alla parte Nord dell’isola sotto la sua giurisdizione, giusto per dare il contentino a Bruxelles, ma di fatto non sono previsti reali cambiamenti nella trattativa.

In ogni caso dare la possibilità all’Irlanda del Nord di decidere del proprio futuro (sul piano degli scambi commerciali), con il voto ogni 4 anni, ha reso disponibili gli Unionisti (il DUP). Si tratta comunque di un periodo di transizione, con alcune concessioni all’Ue sull’Irlanda del Nord, in termini di scambi commerciali, non pretese d’ingerenze politiche o giuridiche, dato che il Governo è tutt’altro che disposto a concedere influenze  su una parte del suo territorio.

Insomma il piano per sbloccare definitivamente la Brexit e mollare gli ormeggi da Bruxelles è circondato di nebbia, quella nebbia fitta dell’esecutivo londinese che sta veramente tentando il tutto per tutto, pur di non arrivare ad una proroga della scadenza fatidica del 31 ottobre, oltre la quale nulla sembra garantito per la sfida del premier.

Boris Johnson, prima di trasmettere l’ultimo piano da proporre a Bruxelles, ha spiegato i dettagli nel corso del  congresso dei Tory. Si parlava di proposta secretata, ma in realtà c’è ben poco di nuovo, tant’è che i quotidiani inglesi ne avevano già diffuso gli estremi nei giorni scorsi.

E tuttavia il premier ripete come un tam tam la solita solfa: “o Bruxelles si adegua alla ‘nuova’ offerta, oppure la Gran Bretagna lascerà l’Unione con la formula no-deal. E suona come una raffica sinistra, ogni volta che quella minaccia s’insinua nella foga del suo eloquio lapidario, dove sempre si avverte l’impressione che non ci sia scampo.

La paura sul backstop (o accordo del Venerdì Santo, attraverso il quale si raggiunse un accordo con la Repubblica d’Irlanda per la fine del sanguinoso conflitto nel 1998), è più che giustificata.

La possibilità data dal Governo all’Irlanda del Nord di decidere del proprio futuro (su certi aspetti concernenti lo scambio di beni con l’Ue) sembra essere stata introdotta, come già accennato, per convincere della proposta anche il partito degli Unionisti nordirlandesi (DUP – Democratic Unionist Party), che al Parlamento di Londra sostiene il governo Conservatore di Johnson.

Ma non c’è da rallegrarsene eccessivamente, perché gli entusiasmi si spengono quando nel nuovo Piano  si sottolinea che alla fine del periodo di transizione, l’Irlanda del Nord uscirà definitivamente dall’Unione europea insieme al Regno Unito.

Ed è questo punto fondamentale che intrappola i negoziatori dell’Unione, che ora si ritrovano a gestire e decidere l’aut aut del premier britannico, il quale detta regole e condizioni: prendere o lasciare, appunto.

Scrive The Guardian: “Boris Johnson sembra  stia combattendo una battaglia già persa in partenza, tentando di evitare che il Regno Unito continui a stare nell’Unione oltre la scadenza del 31 ottobre – sulla base di un’aspra analisi del capo negoziatore Ue, Michel Barnier – il quale, secondo indiscrezioni, sembra abbia definito il nuovo piano di Johnson “un’autentica trappola.”

Non meno caustiche le dichiarazioni di Jean Claude Junker, il quale, durante una telefonata con il premier Johnson, ha affermato che nella proposta persistono punti molto problematici per quel che concerne le frontiere tra Irlanda e Irlanda del Nord.

Il premier Boris, intanto, nonostante ostenti sicurezza nelle sue azioni di Governo, vive in realtà ore difficilissime, così si è espresso con un quotidiano inglese: “Questo Governo vuole raggiungere un accordo, come sono certo che tutti vogliano. Se non sarà possibile, ciò determinerebbe il fallimento del piano strategico del governo, del quale saremmo tutti responsabili.”

Di seguito l’originale della missiva di Johnson all’Ue.