SOSPESE LE TASSE NELLE ‘ZONE ROSSE’ DEL CONTAGIO, GUALTIERI HA FIRMATO IL DECRETO

DI VIRGINIA MURRU

 

Lo rende noto il comunicato stampa N. 36 pubblicato dal Mef. Nelle aree interessate dai contagi del virus sono stai sospesi i versamenti delle tasse e adempimenti tributari. Il decreto ministeriale reso esecutivo con la firma del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, interviene in merito agli adempimenti a carico dei contribuenti residenti nelle aree interessate dai contagi, e dunque dal Decreto della Presidenza del Consiglio, che prevede misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza dal virus COvid-19.

Con tale provvedimento sono stati sospesi pertanto i versamenti delle imposte, ritenute e adempimenti tributari, per  contribuenti e imprese residenti o operanti negli undici Comuni interessati  (dei quali si riporta qui sotto l’elenco) dalle misure. Misure  che riguardano anche le cartelle di pagamento emesse dagli agenti della Riscossione, e quelli “conseguenti ad accertamenti esecutivi”.

Il decreto che è già in corso di pubblicazione, riguarda i versamenti e gli adempimenti la cui scadenza è compresa tra il 21 febbraio e 31 marzo 2020.

Nel seguente elenco i comuni coinvolti:

LOMBARDIA
Bertonico (LO)
Casalpusterlengo (LO)
Castelgerundo (LO)
Castiglione D’Adda (LO)
Codogno (LO)
Fombio (LO)
Maleo (LO)
San Fiorano (LO)
Somaglia (LO)
Terranova dei Passerini (LO)

VENETO
Vo’ (PD)

Un estratto del  Decreto firmato dal ministro Gualtieri, del quale si riporta in calce il pdf con testo integrale.

“Nei confronti delle persone fisiche che alla data del 21 febbraio 2020, avevano la residenza, ovvero la sede operativa nel territorio nei comuni citati (nell’allegato al testo del decreto del 23 febbraio), sono sospesi i termini dei versamenti e adempimenti tributari, compresi quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, oltre che dagli atti previsti dall’art. 29 del decreto-legge relativo al 1° maggio 2010 n. 78 (convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 2010 n. 122) ricadenti nel periodo compreso tra il 21 febbraio del corrente anno e il 31 marzo.

Non si procede al rimborso di quanto già versato, precisa il decreto. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche nei confronti dei soggetti, diversi dalle persone fisiche, aventi la sede legale o operativa, nel territorio dei Comuni ai quali fa riferimento il comma 1.

I sostituti d’imposta avente sede legale o operativa nei suddetti comuni, non operano ritenute alla fonte per tutto il periodo di sospensione indicato.

Gli adempimenti e i versamenti interessati dalla sospensione devono essere effettuati in un’unica soluzione entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione.”

Il decreto firmato dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

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IL CORONAVIRUS PORTA SCONQUASSO ANCHE NEI MERCATI FINANZIARI EUROPEI

DI VIRGINIA MURRU

 

Apertura in ribasso a Piazza Affari stamattina, il Ftse Mib ha ceduto in sede di avvio il 3,5%, con un tasso di rendimento per il decennale italiano dello 0,98%.; le ragioni sono note, il coronavirus sta portando sconquasso anche sul versante economico e finanziario, oltre che in quello umano, che resta, per ovvi motivi, il dato più grave.

Un microrganismo invisibile, misurabile in nanometri, è in grado di mettere in ginocchio l’umanità, bloccandone l’attività, i ritmi di vita, i tanti processi legati alle relazioni sociali, i collegamenti interni e internazionali. Sulla scia del caos che sta creando in diversi stati del pianeta, il bilancio e i riflessi sul piano economico sono piuttosto pesanti.

Fino a che l’emergenza, con elevati numeri di contagiati, ha riguardato la Cina e alcune nazioni asiatiche, in Italia i mercati hanno puntato sulla fiducia, ora che nel nostro Paese il clima è di autentico allarme, con crescita continua del contagi, e 5 decessi, le reazioni si fanno sentire.

E non solo in Italia. Sono forti anche nelle Piazze europee, dovute al clima di panico per l’avanzata dei contagi che ha interessato in particolare proprio l’Italia, verso la quale si cominciano ad intraprendere misure di cautela, con il controllo dei collegamenti.
Per quel che concerne le Borse, Piazza Affari è quella più negativa, ma anche i più importanti riferimenti europei sono in decisivo calo. Tutte oltre il 2%.

Il condizionamento dovuto all’emergenza in atto esercita il suo peso anche sui titoli di Stato, il differenziale di rendimento ha fatto un balzo subito dopo l’apertura dei mercati, raggiungendo i 145 punti base, tuttora lo spread è fermo su questi valori.
La seduta è stata negativa anche per la maggior parte dei listini asiatici, qui il clima di emergenza è presente da tempo, dato che la Cina a livello globale è stato il detonatore, l’epicentro di questo ordigno biologico così infausto da avere causato oltre 2.700 decessi, e circa 80 mila contagi nel mondo; numeri che aumentano di ora in ora.

I mercati si orientano sui beni rifugio, come accade quando l’incertezza diventa palpabile. L’oro vola oggi sui mercati asiatici soprattutto, il prezzo va a 1.680 dollari l’oncia, massimo raggiunto da sette anni a questa parte.

E intanto crollano i prezzi dell’oro nero, sempre sui mercati asiatici, in seguito all’allarme lanciato dal G20 finanziario, secondo il quale l’impatto del coronavirus sull’economia globale potrebbe andare al di là delle stime. Ha perso 3,3% il Brent, scivolando a 56,60 dollari a barile, ed è calato anche il prezzo del West Texas, che ha perso il 3%, scivolando a 51,77 dollari al barile.

ROTTAMAZIONE-TER, IL 28 FEBBRAIO SCADE LA RATA PER UN MILIONE DI CONTRIBUENTI

DI VIRGINIA MURRU

 

Il coronavirus finora non rende immuni dalle scadenze fiscali,  in questo versante tutto procederà secondo il rispetto dei termini fissati. Il 28 febbraio per un milione di contribuenti c’è pertanto l’impegno  riguardante il  pagamento della rata relativa alla rottamazione-ter (Decreto Legge n. 119/2018). Chi non assolvesse all’obbligo del versamento dovuto all’Agenzia delle Entrate, perderebbe il beneficio in modo irrevocabile.

Mancano quindi  pochi giorni per il pagamento della prima rata di competenza del 2020; coloro che hanno aderito alla cosiddetta pace fiscale e accettato il piano di definizione agevolata entro il 30 aprile scorso, dovrebbero tenere presenti le scadenze nel corso dell’anno, pena la revoca dei benefici ottenuti.

Secondo la legge infatti, coloro i quali contravvenissero agli obblighi per insufficienza o pagamento oltre il termine, anche di una sola rata (oltre la tolleranza di 5 giorni previsti per legge), incorrerebbero nei provvedienti previsti: ossia l’inefficacia della definizione agevolata, e la conseguente perdita dei benefici accordati. Il debito pertanto non potrebbe essere più suscettibile di rateizzazione, e l’agente della Riscossione sarebbe autorizzato alle azioni di recupero.

Già nel 2019 è stato comunicata la data e l’importo previsti dal piano dei pagamenti. L’Agenzia Entrate-Riscossione ha diffuso l’alert  per le cartelle relative a debiti iscritti a ruolo tra il 2000 ed il 2017.

Attraverso i benefici derivanti dalla pace fiscale, è possibile pagare il debito maturato al netto di sanzioni e interessi di mora, la differenza è considerevole, soprattutto per quelle cartelle che si portano dietro anni di inadempienze.

Venerdì 28 il Fisco chiama quei contribuenti che hanno inoltrato domanda di pace fiscale entro lo scorso aprile (come già accennato), dopo la prima e la seconda rata, entrambe scadute il 2 dicembre, termine che era stato prorogato per via di festivi, dal 30 novembre.

Entro l’ultimo giorno feriale del corrente mese è il termine fissato per il versamento della terza rata. E lo è anche per coloro che hanno inoltrato domanda entro il 31 luglio scorso: dopo la prima rata scaduta il 2 dicembre, il 28 febbraio si dovrà versare la seconda.

Quanto alle rate successive, dovranno essere versate entro il 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno, fino a che terminerà il proprio piano di dilazione. Chi ha aderito alla rottamazione-ter può versare quanto dovuto in un massimo di 18 rate, per la durata di 5 anni, dipende dalle preferenze scelte in fase di adesione. L’Agenzia Riscossione ricorda che nei mesi scorsi, tramite il comunicato ai contribuenti interessati,  sul sito internet dell’Ente è disponibile una copia con i bollettini.

La scadenza di venerdì 28 febbraio interessa anche coloro che avevano già aderito alla ‘rottamazione bis’, ma non avevano rispettato i termini di scadenza. Per questi contribuenti il debito può essere saldato tramite il versamento in un massimo di 9 rate, entro le date già stabilite, ossia 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre, dal 2020 al 2021.

Il versamento della prossima rata in scadenza a giorni è abbastanza semplice. Si potrà effettuare in banca, con sportelli bancomat (o ATM) abilitati ai servizi Cbill; tramite Internet banking, uffici postali, tabaccherie che aderiscono a Banca 5 SpA,  attraverso i circuiti Sisal e Lettomatica, sul Portale dell’Agenzia Entrate-Riscossione, e infine tramite l’App. Equiclick con la piattaforma PagoPa, nonché in modo diretto agli sportelli dell’Agenzia stessa.

Ma la legge toglie ogni appiglio all’inadempienza, per cui le rate relative alla rottamazione delle cartelle possono essere versate anche tramite “compensazione con i crediti commerciali non prescritti”, che siano certi, liquidi ed esigibili, ossia crediti certificati e maturati per somministrazioni, forniture, appalti e servizi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Tutte le informazioni che riguardano le scadenze delle rate concernenti la Rottamazione-ter, sono consultabili nel comunicato stampa che l’Agenzia Entrate-Riscossione ha diffuso il 21 febbraio, reperibile facilmente via internet nel portal dell’Agenzia.

La stessa ha anche diffuso una classifica su base regionale, nella quale il Lazio risulta prima per numero di contribuenti chiamati ad assolvere gli obblighi in scadenza verso il fisco: sono 181.334; segue Campania e Lombardia (rispettivamente 144.039 e 137.550, e con numeri nettamentente inferiori le altre regioni.

PDF dell’Agenzia Entrate-Riscossione

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OPS DI INTESA SANPAOLO SU UBI BANCA. NON SARANNO NOZZE MORGANATICHE

DI VIRGINIA MURRU

 

Molta prudenza da parte di Ubi Banca sull’offerta pubblica di sottoscrizione lanciata da Intesa Sanpaolo, i commenti sono cauti, e Victor Massiah, Ceo di Ubi, ha fatto sapere in primis ai dipendenti che la proposta non è stata previamente concordata con i vertici della Banca, ed è presto per operare delle scelte. Così si è espresso in merito:

“E’ presto per trarre conclusioni, l’offerta di Intesa Sanpaolo è al momento solo una proposta, prima che diventi un vero progetto si dovrà seguire un complesso iter di autorizzazioni dalle autorità vigilanti, nonché approvazione dalle Assemblee. Nulla pertanto è al momento scontato sull’esito dell’offerta.”

Intanto, dopo la presentazione del Piano industriale, che ha riscontrato consensi dai mercati e dagli azionisti, il CdA in seguito alla riunione di ieri  ha conferito mandato al Ceo Messiah per la nomina degli advisor finanziari e legali, i quali forniranno assistenza al Gruppo nel corso della valutazione dell’Ops.

Insomma il dado è tratto, ma per gli sviluppi Ubi si concede tempo, e del resto non si tratta di un’operazione di poco conto, in ballo c’è un risiko che ha necessità di ampie riflessioni, dato che si valuteranno altre prospettive, senza preclusioni nelle scelte che determineranno il futuro dell’Istituto. Tra i consulenti più accreditati affiorano i inomi di Morgan Stanley e Credit Suiss, certamente riferimenti blasonati, in grado di offrire pareri autorevoli in questo momento.

Non tutti i soci di Ubi sono entusiasti dello scambio azionario, in particolare il premio del 22,6% al netto del dividendo. Ma poiché il 70% del capitale Ubi è nelle mani del mercato, si dovranno attendere le reazioni in questo versante per decretare il successo dell’Ops. I giudizi critici riguardano i valori dell’offerta, e sono stati ritenuti lontani da quelli attesi, secondo il parere dei soci.

Occorreranno alcuni mesi, se la proposta sarà approvata, per dare avvio alla procedura . Da parte sua Banca Intesa ha dichiarato che depositerà alla Consob le carte  entro il 7 marzo prossimo, allorché si inoltrerà la richiesta di autorizzazione alla Bce, Ivass, Antitrust e Banca d’Italia. Procedura d’obbligo nel comparto bancario per operazioni di questa rilevanza.

Si procederà alla pubblicazione dopo l’Assemblea prevista per il 27 aprile prossimo, e dovrà avere il lasciapassare delle Authority. Il Ceo Massiah ha inoltre fatto sapere che ‘prima dell’avvio del periodo di adesione, che si ritiene avvenga entro giugno, il CdA di Ubi si esprimerà sulla proposta, allorché sarà sottoposta ad attenta valutazione per definirne la congruità finanziaria e industriale”.

I mercati sono fiduciosi, quasi entusiasti di queste possibili nozze tra due istituti blasonati, non un’unione ‘morganatica’, certo tra i migliori in Italia. I titoli si tengono vicini ai valori del concambio, per Ubi c’è al momento un 2% di premio. Che i mercati abbiano ‘benedetto’ il possibile risiko, ne sono convinti anche a Intesa Sanpaolo, il cui presidente, Gian Maria Gros-Pietro, afferma  che a Piazza Affari c’è ‘convinzione’: “la proposta riscuote successo e fiducia anche a Piazza Affari, e indubbiamente porterà dei vantaggi agli azionisti di entrambe le Banche, oltre che ai dipendenti e ai clienti, perché è in grado di aggiungere valore ai due istituti”.

E’ un’offerta che ha il beneplacito anche del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, il quale ha dichiarato che si tratta di un’ottima iniziativa “ma la politica deve tenersi lontana dalle operazioni di mercato”. E c’è il parere positivo di qualche Agenzia di rating, che al momento osservano a distanza, ma sulle potenzialità e credibilità di Intesa Sanpaolo non esistono preclusioni.

Nessuno mette in discussioni la solidità del gruppo Intesa in Italia, che ovviamente punta ad aumentare il prestigio e l’autorevolezza nel comparto,  creando il terzo gruppo in termini d’importanza per capitalizzazione, e il settimo in termini di ricavo in Europa.

Intesa Sanpaolo è un colosso, una delle migliori Banche europee, lo dicono i numeri, i mercati, l’Eba con gli stress test, che lo giudica uno dei migliori istituti italiani ed europei quanto a solidità patrimoniale, dato che supera agevolmente la soglia minima (che è del 5,5%), anche nello scenario avverso. Intesa supera il test dell’Eba alla soglia del 10%.

C’è solidità patrimoniale, secondo i due indicatori principali, ossia Cet1 ratio e Total Capital ratio, il primo a 13,40% e il secondo a 17,30%, tra i migliori del comparto bancario europeo. Il gruppo è guidato dal Ceo e Consigliere Delegato Carlo Messina, dal 2013. Conta oltre 90mila dipendenti, ed è il fiore all’occhiello della finanza italiana.

Non è l’ultimo arrivato nel settore nemmeno il Gruppo bancario commerciale Ubi, risulta il terzo  per capitalizzazione di Borsa, con una quota di mercato intorno al 7%. Ha più di 1.500 sportelli nel territorio del Paese e circa 20mila dipendenti. Il Gruppo è quotato alla Borsa di Milano e fa parte dell’Indice FTSE-MIB.

Nel comunicato stampa diffuso da Intesa Sanpaolo due giorni fa, il Ceo, Carlo Messina ha reso noto che:

“L’operazione annunciata apre un nuovo capitolo della storia di questo Gruppo: vogliamo unire due eccellenze del nostro sistema bancario – Intesa Sanpaolo e UBI Banca – per dare vita a una nuova realtà leader nella crescita sostenibile e inclusiva”.

Nel comunicato, fra ii tratti distintivi del Gruppo e le caratteristiche di solidità, si sottolineano gli intenti relativi all’offerta lanciata su Ubi:

Intesa Sanpaolo, infatti, potrà rappresentare un fattore di accelerazione nel raggiungimento degli obiettivi appena annunciati nel piano industriale di UBI.

Insieme creeremo un leader europeo che sarà in grado di:

raggiungere un utile netto di oltre 6 miliardi di euro nel 2022; distribuire ai propri azionisti dividendi elevati e sostenibili con la previsione di un dividendo per azione pari a 0,2 euro a valere sul 2020 e superiore a 0,2 euro a valere sul 2021; accelerare la riduzione dei crediti deteriorati senza costi per gli azionisti.

Confermare una elevata solidità patrimoniale, con un common equity ratio previsto a un livello superiore al 13%.

Grazie alla capacità reddituale e alla solidità patrimoniale la Banca che nascerà dall’aggregazione fra Intesa Sanpaolo e UBI potrà: garantire 30 miliardi di euro di credito aggiuntivo nei prossimi 3 anni a sostegno dell’economia italiana; Aumentare da 50 a 60 miliardi le nuove erogazioni a favore della Green Economy e incrementare da 5 a 6 miliardi il plafond destinato a investimenti nella circular economy.

Portando da 1,25 a 1,5 miliardi la capacità erogativa del Fondo d’Impatto.”

Certamente si tratta di un ‘disegno’ ambizioso, i cui fini difficilmente saranno valutati in modo superficiale dalla ‘controparte’ in causa. Il Ceo, Carlo Messina, dichiara d’essere convinto che il progetto avrà un grande impatto, poiché i due Istituti sono accomunati dai modelli di business, e dai ‘valori di riferimento’, che assicureranno nel tempo al Paese una solida prospettiva di crescita sostenibile e inclusiva. Dietro ci sarebbero 110 mila persone a garantirne il successo.

 

IN QUALE GIRONE INFERNALE SI E’ SMARRITA L’ECONOMIA TEDESCA?

DI VIRGINIA MURRU

 

Che l’economia tedesca non vada più al ritmo della marcia di Radetzky non è notizia di oggi, considerati i dati statistici diffusi da un anno e mezzo a questa parte.  Alle ragioni di carattere interno si sono aggiunte le ‘correnti globali’, delle quali risente al pari di altri Paesi;  la sferzata proveniente dall’emergenza coronavirus non ha contribuito a riportare il Pil tedesco ai valori ai quali ci aveva abituati.

L’ultimo bollettino di questa guerra in sordina che si combatte in Germania nel versante economico riguarda un dato importante, l’indice Zew, che riflette il clima di fiducia degli investitori nel Paese. Secondo il dato diffuso ieri, l’indice è crollato a 8,7 punti nel corrente mese, mentre a gennaio era a 26,7.

Non uno shift di poco conto. Gli analisti si attendevano un calo meno drastico, intorno ai 21 punti, e in definitiva sono segnali che mettono in rilievo le difficoltà della ripresa,  più in particolare, al momento, le preoccupazioni per la diffusione del coronavirus e il suo impatto nel commercio a livello globale. Secondo alcuni analisti, Italia e Germania sarebbero i paesi più esposti alle conseguenze dell’emergenza coronavirus.

Ma le ragioni di questa persistenza nella crisi, per la Germania vengono soprattutto da altri versanti. E’ in primo luogo un dato di fatto che sia  uno storico partner commerciale degli Stati Uniti. In questa logica certamente la politica dei dazi portata avanti dall’Amministrazione Trump non è stata un incentivo per l’export, e qui c’è una delle cause che hanno condotto il complesso meccanismo della produzione industriale della locomotiva d’Europa ad una flessione sempre più critica.

Non stupisce dato che la metà del Pil tedesco dipende dalle esportazioni, e la contrazione notevole registrata da oltre un anno a questa parte, ha fatto pure fibrillare il mercato interno. Lo ammette anche la Bundesbank nelle sue analisi: ‘è il perdurare di questa insidia nell’export che ha avuto un riflesso pesante nella produzione industriale e nella domanda interna’. Ma com’è arrivata la Germania, nel volgere di pochi anni, a diventare, da ‘Anfitrione’ dell’economia europea, quasi a   battere cassa, o comunque a scivolare in un terreno limaccioso d’incertezze dal quale non riesce a smuovere le ruote robuste della locomotiva?

La Germania che solo fino a pochi anni fa sembrava una roccaforte eretta sull’acciaio, talmente solida da trovare un riparo ad ogni intemperia, sta mostrando cedimenti preoccupanti. Un’economia che appariva davvero blindata, con scudi invulnerabili praticamente in ogni settore, dimostra adesso evidenti segni di arresa. Anche nel settore finanziario, che comunque i maggiori istituti di credito tedeschi hanno messo a dura prova da oltre una decina d’anni. E basterebbe citare in quest’area franosa Deutsche Bank e Commerzbank, i due gioielli della finanza teutonica, giganti che hanno messo in mostra in tante circostanze i loro piedi d’argilla.

L’Economia della Germania, da più di un anno ormai, dimostra che nei confronti della crisi non ha difese a prova di scasso, le vulnerabilità ci sono, le falle si sono aperte soprattutto nel versante della produzione industriale e dell’export. Eppure sono trascorsi solo pochi anni da quando Bruxelles bacchettava i tedeschi sulla questione ‘surplus commerciale’. Ma tant’è: le spire urticanti della crisi hanno le sembianze di un enigma non facile da sbrogliare, neppure per tutti gli analisti ed economisti che cercano di tirare le somme da una impasse che si presenta come un intrico di fattori e cause in apparenza indipendenti, che comunque hanno non di rado seguito percorsi e sviluppi autonomi (basta pensare alle due maggiori banche tedesche, che sono arrivate sull’orlo del default quando l’economia del Paese viaggiava a gonfie vele).

Dopo un decennio di crescita quasi ininterrotto la Germania si è fermata, e da Paese guida dell’area euro è diventato la controfigura di questo ruolo.

“Scampando di strettissima misura alla recessione tecnica nel terzo trimestre del 2019, continua a registrare risultati negativi in termini di crescita, con la minaccia di una contrazione economica dovuta in primis alla fragilità del settore manifatturiero, che si riflette poi nei consumi e nei servizi”. Lo scriveva a gennaio il Financial Times, osservando inoltre che il Pil lo scorso anno ha messo in rilievo il più basso ‘rate’ in termini di crescita degli ultimi sei anni, certamente per ragioni riconducibili a fenomeni globali, debolezza nell’export e persistenza di crisi nelle vendite riguardanti l’industria dell’automotive. Il Pil è cresciuto in termini tendenziali dello 0,6%, secondo i dati pubblicati dall’Istituto di Statistiche tedesco, e si è pertanto attestato come valore più basso dal 2013.

Un decennio di grande espansione sta aprendo il passaggio dunque ad un periodo di stagnazione economica, e la causa prima è proprio da ricercare nelle tensioni commerciali tra le due superpotenze, ossia Usa e Cina. Neppure la Brexit che incombe sta dando una mano alla crescita dell’economia tedesca, insieme ai sopraggiunti problemi di carattere strutturale, che dovranno essere affrontati con determinazione per superare il tunnel nel quale si è inoltrata la locomotiva d’Europa.

I fondamentali hanno piedi d’acciaio in Germania, non d’argilla, e la resilienza a questo stress in settori chiave potrebbe essere affrontata in maniera ben più efficiente che in altri Paesi dell’Ue, Italia in primis. Eppure questa ripartenza stenta a riscaldare i motori, e anzi, nonostante le misure di politica economica intraprese dal Governo per bypassarne i sintomi poco rassicuranti, non si riparte con decisione e con lo sprint che ci si aspetterebbe da un gigante così potente.

La globalizzazione e i suoi condizionamenti non sono un fenomeno dal quale ci si può facilmente schermire, di certo questa è la realtà del terzo millennio. Nessun paese nel mondo può erigere barriere tali da impedire che le ‘correnti’, quand’anche si chiudessero le porte, possano entrare dalle finestre. Da oltre un trentennio l’economia dei singoli Stati fa i conti con questo assioma, e più sono potenti e solidi, più sono esposti, dato che in definitiva l’export è vitale.

Lo hanno capito molto bene gli Usa, che tentano di erigere muri (non solo materiali) attraverso misure di politica economica, con l’inasprimento dei dazi e un protezionismo che per i nostri tempi suona come anacronistico: la globalizzazione non è suscettibile di grandi cambiamenti, e indietro non si torna, è la legge del progresso.

La scorsa primavera si facevano  i conti in tasca ad alcuni dati macro dell’economia tedesca, alla fine del 2019 si analizzavano i dati rilasciati dall’Istituto di Statistica, dai quali emergeva che, nel 2018 il Governo aveva ottenuto due risultati importanti, ossia un surplus di bilancio pari all’1,7% del Pil (circa 58 miliardi di euro, il più elevato degli ultimi 30 anni) e un surplus delle partite correnti al 7,3%, più o meno vicino ai massimi raggiunti nel 2016.

Non sono numeri fini a se stessi, poiché dimostrano in spiccioli che il complesso industriale e finanziario tedesco è il maggiore esportatore di merci e capitali a livello globale, e non è uno scherzo precedere colossi come la Cina e il suo export, così come gli Usa.

Ci si chiede se ci sia qualche paese in Europa che esulti per questa débacle della Germania e il clima di austerity nei settori chiave della sua economia. Il FMI ha provato a mettere in discussione l’operato del Governo che non ha ancora espresso formule efficaci per affrontare la tempesta. In uno degli ultimi report infatti ipotizza un reimpiego del surplus di bilancio tedesco in un programma d’investimenti pubblici, quale antidoto al clima di stagnazione.

Suggerimenti sono arrivati anche dalle conclusioni della Commissione europea, tramite il Commissario agli Affari Economici e Monetari, ma soprattutto dall’implacabile Jens Weidmann, Governatore della Bundesbank. Il surplus commerciale avrebbe potuto essere il salvagente di un’economia che stenta a riprendere il passo, la dimostrazione che in fondo la forza e la potenza delle risorse esiste, bisognerebbe solo trovare il modo di rimettere nei binari la locomotiva che ha in qualche modo deragliato. Il surplus, secondo un’analisi pubblicata qualche mese fa da Il Sole 24 Ore, è stato finora protetto ‘egregiamente grazie all’impalcatura normativa blindata dell’ex ministro Schauble, che impone il pareggio di bilancio a livello costituzionale, con il noto “Schwarze Null”.’

Sempre secondo questa analisi articolata, nonostante il basso tasso di disoccupazione e la stabilità economica di una decina d’anni, tenuti saldi dalle performance dell’export, il surplus commerciale in Germania ha creato anche conseguenze negative.

A subirne il peso è stata la spesa per gli investimenti, sia nel versante pubblico che privato. Dopo il piano di grandi investimenti seguito alla riunificazione delle ‘due Germanie’ negli anni novanta, si è verificato in questo settore della politica economica un ristagno, ed è invece emersa la tendenza al risparmio. “Sembrerebbe che la Germania, per quel che riguarda gli investimenti, viva di rendita sul piano infrastrutturale dal passato,  e non investa abbastanza per il rinnovamento e la manutenzione. Investono poco anche le imprese, e si adagiano sul trend dei loro profitti, restituendo perfino meno dividendi.” Critica espressa dall’autorevole osservatorio della Bundesbank.

E’ venuto meno il ruolo guida dell’economia tedesca in ambito Ue ed europeo in generale. La Germania che bacchettava i Paesi meno virtuosi dell’Unione, che esigeva la quadratura dei conti pubblici secondo i parametri fissati dai Trattati – quello di Maastricht in particolare – che assaltava con critiche fredde e implacabili la politica economica e di bilancio italiani, dov’è finita?

Possibile che sia ostaggio dello ‘shark’ americano, che controlla il traffico delle merci nelle sue frontiere, e va avanti a colpi di ‘America first’, incurante di tutto, al di là di tutto?

Non è stato  d’aiuto in questa red line sicuramente il WTO (Il World Trade Organization), che ha autorizzato gli Usa ad imporre tariffe doganali nei confronti di diversi prodotti europei. Decisione proprio in favore del protezionismo più cinico.

La Germania fa i conti con la crisi del settore industriale e manifatturiero, le cui performance non sono quelle di alcuni anni fa, perché ordinativi ed export sono  in calo, così come il livello di fiducia di consumatori e imprese, nonché l’indice Pmi manifatturiero (che è sempre stato il migliore della zona euro, solo una volta quello italiano lo ha superato).

In questa graticola ci sono anche gli istituti di credito, ma su questo versante non ci sono grandi novità, dato che il Governo tedesco ha contribuito al salvataggio e alla ripresa anche dei più grandi, in periodi di vacche grasse per l’economia, realtà che ha sempre creato perplessità negli ambienti economici e finanziari.

Non sembra la panacea per tutti i mali il cosiddetto Piano Green varato dal Governo, e così gli esponenti politici più critici verso la politica monetaria che aveva portato avanti  Mario Draghi, in questo momento non hanno nulla da obiettare nei confronti di Christine Lagarde, che ha da sempre approvato l’accomodamento monetario, quale mezzo di sostegno per l’economia dell’Eurozona.

Non potrebbero del resto permetterselo negli ambienti finanziari tedeschi, con la Deutsche Bank (e Commerzbank nella stessa barca) che ancora stenta a stare a galla, e ora alle prese con le conseguenze della politica protezionistica degli Usa, che ha fortemente colpito la più grande potenza d’Europa.

Ormai anche Lufthansa, uno dei fiori all’occhiello dell’economia teutonica, simbolo di efficienza e stabilità, con i suoi quasi 130 mila dipendenti, dimostra vulnerabilità non indifferenti, e conti che deragliano.

Saranno la solidità delle risorse di questo Stato, le sue potenzialità, a portarla fuori da questo giro infernale, nel quale comunque, nonostante la sua indiscutibile forza, si è smarrita.

Non è certo che i ‘rattoppi’ riporteranno il giusto livello di ossigeno all’economia tedesca, riforme strutturali e investimenti saranno strategie indispensabili per ripartire.

 

 

 

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CINA. ALTRO INTERVENTO DELLA BANCA CENTRALE CON IMMISSIONE DI LIQUIDITA’ NEL SISTEMA

DI VIRGINIA MURRU

 

E’ evidente che le prime misure adottate dalla People’s Bank of China per sostenere i fondamentali dell’economia non sono bastate a fronteggiare la fase di emergenza da coronavirus nel Paese.  Sono stati infatti decisi nei giorni scorsi ulteriori interventi della Banca Centrale sul sistema interbancario, tramite l’acquisto di titoli a breve termine.

Si tratta di una forte ‘iniezione’ di liquidità, circa 200 miliardi di yuan sono stati trasfusi nel sistema (equivalenti a 28,6 miliardi di dollari), e 100 miliardi di yuan sono stati dirottati in operazioni di pronti contro termine (o PCT, sono uno speciale strumento finanziario, contratti in cui il venditore, quasi sempre una banca, cede titoli di proprietà, di solito titoli di Stato, con l’impegno di riacquistarli massimo entro 12 mesi).

La People’s Bank of China ha deciso anche altre misure, tagliando il tasso sui prestiti a medio termine (ad un anno), al 3,15% (erano al 3,25%).

FMI. L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS SUL PIL GLOBALE SARA’ LIEVE

DI VIRGINIA MURRU

 

Kristalina Georgieva, direttrice dell’FMI, intervenendo al Global Women’s Forum, a Dubai, ha affermato,  che l’epidemia da coronavirus ha aggredito soprattutto la Cina e avrà certo un impatto sulla crescita globale nell’anno in corso, ma inciderà nello scenario economico in modo contenuto, e sarà comunque ‘reversibile’ .

“Al momento – ha spiegato la Georgieva al Forum delle donne di Dubai – le stime del Pil globale sono del 3,3%, per cause riconducibili al virus si prevede che si verifichi una riduzione in negativo che oscilla dallo 0,1 allo 0,2%.”

La Georgieva ha tuttavia invitato alla cautela, a non trarre per ora conclusioni affrettate, e infatti a chi le chiedeva ulteriori dettagli ha risposto che è meglio aspettare una decina di giorni per una valutazione che sia più vicina agli sviluppi dell’emergenza in atto.

“Questo è un periodo d’incertezze – ha aggiunto – i nostri riferimenti e le valutazioni riguardano gli scenari economici globali, non vere e proprie proiezioni di dati.”

La direttrice dell’Fmi ha tuttavia sottolineato che riflessi negativi ci saranno sicuramente in settori chiave direttamente legati all’epidemia, quali il turismo e i trasporti, che negli ultimi mesi sono stati il bersaglio più interessato dal fenomeno connesso alla diffusione del virus e alle relative misure di protezione nei collegamenti, soprattutto del traffico aereo.

Le incertezze riguardano ancora i dati provenienti Cina, e le ripercussioni sull’economia cinese, per la cui crescita, nel 2020, è prevista una flessione, che porterà il Pil del dragone dal 5,7% al 5%. E per questo Georgieva nei giorni scorsi ha dichiarato alla Cnbc che la Cina, nel versante emergenza da coronavirus, resta vulnerabile, ma la contrazione dell’attività economica è destinata in ogni caso ad essere neutralizzata appena l’epidemia rientrerà in valori rassicuranti.  Il Paese asiatico, infatti, ha tutte le potenzialità per superare l’emergenza. E al momento si stima che la crescita globale non ne risentirà in modo rilevante.

Georgieva a Dubai ha poi precisato che la crescita del Pil globale, già a gennaio era stimata superiore rispetto al 2019  (è stata pari a +2,9%), e infatti dovrebbe attestarsi  a +3.3%. La probabile flessione tra lo 0,1-02% da impatto virus, non sarà particolarmente significativa per il trend sul quale si è avviata l’economia del pianeta.

 

EMERGENZA CORONAVIRUS. S&P RIDUCE LE STIME SUL PIL GLOBALE, -0,3%

DI VIRGINIA MURRU

 

L’emergenza causata dal coronavirus va avanti, non ci sono segnali di rientro dell’epidemia, secondo i dati relativi alla diffusione del virus. Il forte impatto nell’economia cinese ha portato  Standard & Poor’s Global a tagliare le stime del Pil globale per il 2020: -0,3%.

L’allarme viene anche dagli esponenti più autorevoli della Finanza mondiale, come Jerome Powell, presidente della Fed, il quale nel corso della sua audizione al Congresso americano ha dichiarato che i rischi per l’economia globale sono concreti.

Più o meno sulla stessa linea le dichiarazioni di Christine Lagarde, presidente dell’Eurotower.

Il report di S&P è piuttosto eloquente: “a causa della velocità di diffusione del coronavirus negli ultimi mesi, aumenta il rischio per l’economia globale e il credito”. L’Agenzia mette in evidenza il rallentamento dell’economia cinese, dovuta alle ripercussioni dell’emergenza virus, che ha colpito tanti settori chiave. Le previsioni sul Pil del colosso asiatico sono state infatti ridotte dal 5,7% a 5%.

Nelle sue analisi l’Agenzia sottolinea l’alto rischio al quale è esposta nel versante economico l’area dell’Asia-Pacifico, e quindi la Cina. Permangono incertezze sul tasso di diffusione e tempistica del picco concernente il virus, in definitiva non è ancora possibile una stima del rischio per gli altri Paesi, non adeguatamente preparati ad una possibile pandemia.

L’emergenza in atto in definitiva presenta un quadro d’incertezza sulle conseguenze di una diffusione più ampia,  con incerti riflessi per quel che riguarda i costi, nel complesso ordine della rete economica globale.

Intanto siamo arrivati a 45 mila contagi con oltre 1.350 decessi, numeri che aumentano, con un tasso di crescita dell’epidemia piuttosto preoccupante.

Al momento di positivo in ambito economico ci sono le reazioni ottimistiche dei mercati finanziari, solitamente molto sensibili ai rischi che destabilizzano gli equilibri e rendono instabili le contrattazioni. A questo riguardo l’indice S&P è aumentato del 3% nel nuovo anno, un trend più o meno simile per gli indici azionari europei e asiatici, ad eccezione della Cina, dove, com’è noto, il Governo è intervenuto adeguando la politica monetaria all’emergenza, immettendo nel sistema finanziario liquidità attraverso la Banca Centrale, sostenendo quindi anche i mercati finanziari cinesi, ossia Shenzhen e Shanghai, in evidente difficoltà.

Nel report, S&P mette in rilievo i riflessi economici del coronavirus, i quali, secondo l’Agenzia, “avranno un impatto maggiore nei settori più esposti alla spesa cinese legata alle famiglie, in particolare i movimenti di traffico aereo e collegamenti, vendita al dettaglio, spostamenti su strada e pedaggio. Conseguenze pesanti possono derivare dalla chiusura temporanea di impianti, con blocchi nella catena delle forniture, soprattutto in alcuni settori, come materie prime, tecnologia e industria. Il Governo potrebbe essere indotto a misure d’intervento dovute all’emergenza, come “riduzioni fiscali e sussidi, supporto agli istituti di credito”.

Misure del resto già in atto e comunque annunciate già verso metà gennaio. A causa del perdurare dell’epidemia e del conseguente allarme, con interruzione del traffico aereo e diminuzione dei flussi turistici, ripercussioni in generale nell’economia cinese, l’Agenzia S&P stima che ci sarà nella Cina e nel mondo, un “effetto di breve termine, così come sui costi economici inerenti le industrie più esposte ai consumi delle famiglie cinesi, e alle misure di contenimento in atto”.

L’Agenzia americana stima che un rientro dell’epidemia inizierà nel mese di marzo. L’impatto del coronavirus sull’economia americana e il Pil sarà dello 0,1%, mentre in Europa tra lo 0,1-0,2%. In Asia sarà più elevata, per ovvie ragioni di rapporti commerciali con il colosso cinese.

 

 

 

 

 

FRAGILI LE ALI DI AIR ITALY, GLI AZIONISTI NE HANNO DECRETATO LA LIQUIDAZIONE

DI VIRGINIA MURRU

 

Forse non finirà così il sogno del Principe Karim Aga Khan, per intenderci il grande imprenditore turistico che da zero, nella seconda metà degli anni ’60, creò la Costa Smeralda, rendendola celebre meta di miliardari, ed elevando quest’area costiera del Nord Sardegna ad ‘high level tourism’.

Assicurando i collegamenti con questi luoghi esclusivi, praticamente paradisiaci, attraverso la realizzazione di un aeroporto degno di ricchi personaggi, principi e sceicchi compresi. La prima compagnia si chiamava Alisarda, e col tempo l’Aeroporto di Olbia è diventato sempre più importante in termini di traffico e  scali internazionali.

Poi ha conosciuto tempi d’oro con Meridiana, e infine la compagnia, dopo tante traversie, malesseri e guai interni, ha assunto il nome di Air Italy. Ed eccoci di nuovo a terra, con oltre 1.200 dipendenti a rischio.

Dalle 14:30 di ierii infatti la flotta di Air Italy non vola più, nonostante fino a pochi giorni fa si invitassero i viaggiatori all’acquisto dei biglietti, per questo è in corso l’avvio di un piano di riprotezione per migliaia di passeggeri, i cui voli dovranno essere garantiti.

Il malessere si avvertiva già nel 2018, con un bilancio che registrava una perdita di 165 milioni di euro. Nell’ultimo trimestre del 2019 le perdite sono più che raddoppiate, raggiungendo i 356 milioni di euro. Nelle voci di bilancio anche una riserva negativa intorno agli 850mila euro, e riserve complessive per 263 milioni. Occorreva almeno una liquidità di alcune centinaia di milioni per affrontare il 2020 senza mettere a rischio la gestione dell’azienda.

Roberto Spada aveva lanciato l’idea di coprire la perdita attraverso l’utilizzo integrale delle riserve e azzeramento di capitale, e infine aumento di capitale col sovrapprezzo in grado di ripianare la perdita residua. Il socio unico, Aqa Holding non ha accettato la proposta, cosicché si sono aperte le porte della liquidazione. Il collegio dei liquidatori è formato dagli stessi commissari che si erano occupati del dossier Alitalia.

Il socio di minoranza, Qatar Airways voleva evitare la liquidazione, e dichiara che l’obiettivo della Compagnia era di rilanciare Air Italy e di contribuire alla sua crescita, ma è evidente che era necessario un concorso d’intenti con tutti gli azionisti. Qatar aveva acquisito una quota di monoranza nel 2017, perché credeva nelle sue potenzialità e nelle prospettive di sviluppo per il futuro. Intendeva sostenere un business plan che si prefiggesse di puntare alla crescita, con un management dinamico, che aprisse un varco all’aumento di posti di lavoro, ampliasse le rotte a lungo raggio e si occupasse di migliorare la qualità dei servizi a bordo, di allinearli agli standard di Qatar Airways, di altissimo livello. Ma questi lusinghieri obiettivi non hanno trovato percorsi possibili, visto l’epilogo di questi giorni.

In un comunicato della Compagnia si legge che, a seguito dell’ultima Assemblea degli azionisti (Alisarda e Qatar Airways attraverso AQA Holding S.p.A.) si è deliberato all’unanimità  ‘la liquidazione in bonis’ (ossia che è solvibile) della società, con l’obiettivo di portare al minimo i disagi per i passeggeri che avessero acquistato già i ticket. Le ragioni della scelta deriverebbero dalle ‘persistenti e strutturali’ difficoltà, che rendono ostiche le condizioni di mercato.

A questo riguardo si informano i viaggiatori che, a partire da oggi e fino al 25 febbraio 2020, i voli di pertinenza Air Italy saranno gestiti da altri vettori, con il rispetto della data e orari previsti dai biglietti. Coloro che avessero prenotato voli oltre questa data saranno riprotetti o rimborsati.

Ulteriori dettagli al riguardo sono stati pubblicati nel sito ufficiale.

A quanto sembra al Governo si ignorava che fosse prossima la liquidazione della Compagnia, il ministro dei Trasporti Paola De Micheli, di recente aveva espresso tutto il suo sdegno per non essere stata messa al corrente della scelta operata dall’Assemblea degli azionisti. Così si era espressa in merito, prima che si arrivasse alla determinazione di mettere in liquidazione l’azienda:

“Non si può accettare che si decida di liquidare un’azienda di questa importanza senza prima informare il Governo, e senza peraltro valutare alternative. Mi aspetto che intanto Air Italy sospenda la deliberazione fino a fissare un tavolo di confronto, che dovrebbe avvenire nelle prossime ore”.

Ma gli azionisti hanno comunque preso la decisione di liquidare la compagnia. Il Pd ha chiamato in causa i ministri competenti con un’interrogazione parlamentare, per tentare di salvare Air Italy.

Intanto i vertici della Compagnia, insieme ai rappresentanti della Regione Sardegna, con l’assessore all’Industria, erano stati convocati in data odierna a Roma dal ministro dei Trasporti Paola De Micheli, dovevano essere presenti anche la Sottosegretaria allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde e il presidente Enac, Nicola Zaccheo. Ma l’incontro è saltato e quindi rimandato ad altra data.

La sede di Air Italy è in Sardegna, mentre la base operativa si trova a Milano Malpensa. Dei circa 1.300 dipendenti, 550 sono in Sardegna. La flotta è formata da 9 aerei, dei quali 3 sono Airbus la cui attività si svolge sul lungo raggio. 26  le destinazioni coperte.

200 lavoratori operano per Meridiana Maintenance, ossia negli hangar in cui si svolge l’attività di manutenzione degli aeromobili. I dipendenti che lavorano nell’amministrazione della compagnia sono circa 100, e circa 120 sono impiegati nei call center. Per questi ultimi sarà difficile il ricollocamento in altre realtà lavorative del settore. Solo per i tecnici e il personale di volo potrebbe essere più facile trovare un nuovo lavoro.

La situazione più drammatica è quella che riguarda i lavoratori sardi della compagnia, si tratterebbe, se gli eventi volgessero al peggio, di un altro colpo per l’isola, già abbastanza bersagliata da chiusure e conseguente alto indice di disoccupazione. Secondo Arnaldo Boeddu (Segretario Generale Fit Cgil Sardegna), non si può accettare una soluzione così drastica ad occhi chiusi, è necessario un forte e autorevole impegno del Governo volto a tornare indietro da un’erta che potrebbe rappresentare la fine di Air Italy.

I DATI ISTAT SULLA PRODUZIONE INDUSTRIALE 2019 CERTIFICANO UNA FLESSIONE: -1,3%

DI VIRGINIA MURRU

 

I dati Istat sulla produzione industriale nel 2019, sono una conferma del rating espresso negli ultimi mesi dalle principali Agenzie, un trend che ha preso avvio già a partire dal secondo semestre del 2018.

Dopo 5 anni s’inverte la rotta della crescita nel settore industriale, con -1,3% di flessione nel 2019, in media rispetto all’anno precedente, che aveva presentato un aumento dello 0,6%. E’ in sintesi la prima contrazione dal 2014 (-4,3%).

Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Nazionale di Statistica, a dicembre 2019 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione nell’industria scivolerà a -2,7%, rispetto al mese precedente. Per quel che concerne l’indice corretto per gli effetti di calendario, è stata stimata una contrazione tendenziale del 4,3%, dato piuttosto significativo di questo andamento poco lusinghiero. Si è tenuto conto di 20 giorni lavorativi, uno in meno rispetto a dicembre 2018.

Sul piano trimestrale, il livello di produzione mette in evidenza una flessione pari all’1,4% rispetto al trimestre precedente.

Contrazioni congiunturali sull’indice destagionalizzato mensile si riscontrano in tutti i comparti, dai beni intermedi, con -2,8%, all’energia e beni di consumo -2,5%, a quelli strumentali, -2,3%.

L’indice complessivo è calato sul piano tendenziale (corretto per gli effetti del calendario), del 4,3%. Nella media dell’anno di riferimento la produzione industriale è andata giù dell’1,3%, considerando il dato sia in termini grezzi che al netto degli effetti di calendario. L’Istat sottolinea che i giorni lavorativi nel 2019 sono stati uguali a quelli dell’anno precedente.

Secondo l’analisi dei dati si sono riscontrati notevoli diminuzioni per quel che riguarda i beni intermedi, l’energia e i beni strumentali (4,7%); meno accentuato il calo nei beni di consumo (0,8%). Dati riguardanti la base tendenziale e al netto degli effetti del calendario.

L’Istituto fa notare che  incrementi tendenziali si sono rilevati nella produzione di computer, prodotti di elettronica e ottica, industria alimentare, bevande e tabacco, e poche altre. Ma risultano i soli comparti attivi. Il settore automobilistico presenta la maggiore sofferenza, in rilievo dunque con un ribasso annuo del 13,9%.

Le flessioni più marcate riguardano le industrie, con -10,4%, fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati, con -9,3% e fabbricazione di macchinari e attrezzature, con -7,7%.