UNA LEGGE CHE UCCIDE?

DI PIERLUIGI PENNATI

Quasi trecento morti sul lavoro dall’inizio dell’anno, una media di due al giorno, ai quali si sommano gli infortuni, non tutti sul lavoro, dato che per la legge chi oggi ha un “Job” non sempre “Act” come lavoratore fino a quando la sua posizione non viene stabilizzata, come nel recente caso del giovane “rider” di 28 anni al quale è stata amputata una gamba per essere finito sotto un tram mentre in motocicletta consegnava di fretta una pizza.

Lavoratori per un giorno i cui spostamenti sono tracciati con braccialetti e telefonini, oppure in subappalto del subappalto, cui i diritti sono negati in funzione della loro “spontanea” rinuncia ad essi per poter raggranellare qualche centesimo per sopravvivere, perché di vivere non si parla nemmeno più.

Di chi è la colpa?

Certamente della sicurezza non applicata, sostengono i sindacati che poi proclamano scioperi per far rispettare una legge che è tra le più restrittive al mondo e per la quale mancherebbero solo i controlli e la volontà delle aziende alla sua applicazione reale che produce solo costi e non benefici.

Così le imprese appaltano, gli appaltanti subappaltano, i subappaltanti… fanno quello che possono, spesso, come evidenziato da morti ed infortuni, prendendosi personalmente il rischio in cambio del contenimento dei costi.

Tutti contenti quindi, o quasi, le grandi imprese spariscono, il mercato del lavoro è dinamicissimo, i costi contenuti, i profitti alle stelle ed i sindacati svolgono la loro funzione: protestare.

Ma tutto questo nasconde qualcosa e questo qualcosa è la soluzione che, come spesso accade, deve essere trovata nelle causa e non negli effetti e la causa sembrerebbe certa: la legge non garantisce più i tre principi base che dovrebbero essere tutelati nell’offerta di manodopera, vale a dire libertà, dignità e sicurezza.

Tutto si chiude con proteste e scioperi che si esauriscono davanti alla nuova emergenza che tutti distrae mentre sul lavoro si continua a morire, mentre si dovrebbe lavorare solo per vivere.

In tristithia ilaris, in hilaritate tristis, tutto ciò è tristemente ridicolo ed inutile, la colpa della mancanza di sicurezza è evidente non risiedere nella necessità di controlli, ma nell’assurda situazione creata dalle competizioni derivanti dagli appalti e dai subappalti di manodopera, che permette la polverizzazione delle imprese che espletano la funzione meramente economica del datore di lavoro, senza doverdi accollare le responsabilità e gli obblighi di chi impiega personale.

Il tutto favorito da una legge, la numero 30 del 2003, che in nome della dinamizzazione del “mercato del lavoro”, nell’intento seppur nobile di favorire il “lavoro in prestito”, attraverso le agenzie interinali come strumento di collocamento ed occupazione, ha generato nel tempo precarietà e compressione di diritti.

Come è chiaro, abolendo innanzitutto l’articolo 1 della legge 1369/60, che vietava esplicitamente le “mere prestazioni”, vale a dire esattamente ciò che ormai è normale e sotto gli occhi di tutti, appaltare e subappaltare attività specifiche della propria missione aziendale sotto il diretto controllo del committente.

Se questo articolo di legge fosse ancora valido il fattorino che consegna pacchi per un qualsiasi spedizioniere sarebbe dipendente di quello che per primo riceve la richiesta di lavoro, invece è oggi possibile per quell’impresa di trasporto affidare sotto il proprio controllo, elettronico o meno, l’attività ad un terzo, solitamente una cooperativa, che a propria volta l’affida il servizio ad un padroncino che in alcuni casi si avvale persino di altri collaboratori a tempo.

L’ultimo lavoratore della catena, il più debole, è praticamente uno schiavo che riceve pochi centesimi a consegna e si prende il rischio, come nel caso del fattorino motociclista amputato, della propria sicurezza, e tutti gli altri della catena comunque ricattati.

Davamti a tutto ciò possiamo sempre dire che mancano solo i controlli?

Certo che no, è invece possibile pensare che l’attuale stato di diritto favorisca la loro elusione totale per mancanza di altre possibilità, vale a dire dell’applicazione corretta della legge da parte di una impresa che ha tutto da perdere nel nom farlo, perché di dimensioni sufficienti a subirne le conseguenze sanzionatorie cin efficacia.

Non si possono obbligare dei poveretti, sfruttati con un sistema che ricorda molto il caporalato, ad adeguarsi ad una legge che gli toglierebbe la possibilità di guadagnare e di sopravvivere, ma possiamo ripristinare le leggi che già c’erano e che sono state abolite, probabilmente in buona fede, ma che è oggi ampiamente dimostrato che hanno fallito.

La legge 30/04, ovviamente, non è l’unica ad aver causato ciò e non è stata nemmeno la prima, si dovrebbe metter mano anche alla 218/90, alla 201/11, ed alla 142 e 183/14 ed alle altre riforme che da oltre 20 anni sono diventate un solo pacchetto che, apparentemente, ha generato solo danni e nessuno sviluppo, nemmeno meramente economico.

Di questo dovremmo parlare, non di reddito di cittadinanza, sostegno alla disoccupazione o di scioperi che si dimenticano in fretta, il futuro si pianifica guardando al passato e recuperando gli errori eventualmente fatti, abbiamo conosciuto nei secoli dittature e schiavitù, impariamo dalla nostra storia ed attuiamo la costituzione invece di modificarla per adattarla ai tempi moderni, che tanto moderni non sembrano più.

« Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo »
George Santayana