UN MURO DA ABBATTERE? PEÑA NIETO CANCELLA L’INCONTRO CON TRUMP

Era stato per primo Trump a suggerire al presidente messicano Peña Nieto di annullare il viaggio previsto a Washington per la prossima settimana, ieri sera la decisione: “Esta mañana hemos informado a la Casa Blanca que no asistiré a la reunión de trabajo programada para el próximo martes con el @POTUS.”

Il dialogo a distanza era nato a causa della divergenza di idee sul muro che Trump andrà a completare, “If Mexico is unwilling to pay for the badly needed wall, then it would be better to cancel the upcoming meeting” (Se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno, allora sarebbe meglio cancellare l’incontro), aveva scritto Trump ed a bordo dell’Air Force One il suo portavoce, Sean Spicer, aveva dichiarato ai giornalisti che la Casa Bianca avrebbe cercato comunque “una data futura per fissare qualcosa” e che sarebbero state mantenute “aperte le linee di comunicazione” con il Messico.

L’incontro era previsto per martedì, ma dopo la firma di Trump sotto il decreto per la continuazione del muro lungo il confine con il Messico, Enrique Peña Nieto aveva subito affermato che il suo stato non avrebbe contribuito finanziariamente alla sua realizzazione, provocando la replica di Trump.

Il professor Michael Dear, docente alla California University di Berkeley, che da anni studia le relazioni tra sviluppo urbano, aspetti socio-economici e geografici al confine tra Stati Uniti e Messico, aveva già dichiarato che “il muro non ferma i traffici”, “i dati dimostrano che le barriere non aumentano la sicurezza tra USA e Messico” ed ancora “invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.

Ma il muro alla frontiera meridionale era una delle promesse elettorali che avevano  portato voti a Donald Trump che, diventato presidente, ne ha immediatamente approvato la costruzione con un ordine esecutivo, anche se i fondi non sono ancora stati approvati dal Congresso, e questo, secondo il professor Dear, non risolverà i problemi di sicurezza.

Nel suo libro intitolato “Perché i muri non funzionano” il professore spiega la sua teoria, basata su osservazioni reali del muro che già esiste tra i due stati, costruito negli ultimi 10 anni e lungo quasi mille chilometri. Secondo i dati raccolti “questo muro ha avuto un impatto nullo o comunque è stato minimo”, perché attraverso quel confine non passano solo quelli che negli Stati Uniti cercano lavoro, ma esiste un fiorente traffico di esseri umani, armi, droga, oltre a scambi legali commerciali “per oltre 1,4 miliardi di dollari ogni giorno”, facendo registrare proprio a cavallo del confine la più rapida crescita economica su entrambi i lati della frontiera.

Inoltre “il muro ha reso finora più facile l’attività dei cartelli messicani della droga. I narco-trafficanti conoscono quali punti di ingresso usare e il tipo di controlli effettuati dalla polizia di confine” ed i 3000 chilometri di confine col Messico che il presidente Trump vorrebbe sigillare sono per lo più in zone desertiche, mentre a ridosso del confine ci sono anche grandi città, che in alcuni casi sono proprio a cavallo della frontiera, come in California, Arizona, Texas, etc.

Alcune città-gemelle tra Stati Uniti e Messico, come San Diego, Tijuana, El Paso e Ciudad Juarez, costituiscono una sola comunità che non tiene conto della frontiera che le separa e secondo il professore “Invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.

Nel 2013, con una lettera aperta pubblicata da New York Times, il professor Michael Dear già aveva chiesto all’allora presidente Barack Obama di eliminare le barriere esistenti tra i due paesi, dopo il passaggio di consegne la richiesta resta valida, sebbene le speranze che l’amministrazione Trump decida di valutare metodi alternativi di controllo delle frontiere al momento sembrano davvero scarse.

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