SCONGIURATI ALTRI SCIOPERI A SORPRESA A LINATE E MALPENSA

In un video i lavoratori dell’aeroporto documentano quello che sta succedendo in attesa che scoppi di nuovo la protesta: le aziende violano le norme per permettere la sostituzione del personale a basso costo.

Quello che succede nel video è significativo: un solo dipendente di AGS  carica i bagagli nella stiva di un aereo della compagnia low cost egiziana Almasria Universal Airlines e solo alla fine del carico si intravede l’arrivo di un secondo addetto che comunque non sembra prendere parte alle operazioni di carico.

I sindacati spiegano che nel filmato appare un Airbus 319 e che in questo caso “Di norma servirebbero tre addetti per caricare la stiva di un aeromobile 319: un addetto deve stare a terra al nastro bagagli, un altro deve stare all’imbocco della stiva per passare i bagagli e un terzo all’estremità della stiva per sistemarli nel modo più opportuno e sicuro” ed invece nel filmato appare un solo operatore che sale e scende dal nastro, prassi normalmente non sarebbe consentita.

AGS non è una compagnia qualunque, ma la società a cui fa riferimento «Alpina», la cooperativa contro la quale le otto sigle sindacali si sono mobilitate da mesi e che il primo di agosto ha fatto scattare la protesta spontanea che ha paralizzato il traffico aereo negli scali milanesi, questa denuncia parla chiaro, l’utilizzo di un solo operatore che preleva i bagagli dal carrello per metterli sul nastro, abbandonando incustodito l’ingresso della stiva e gettando con fretta e nervosismo i bagagli in fondo alla stiva, secondo i sindacati, è un «modo di operare» decisamente «contrario ad ogni regola di sicurezza sul lavoro ed espone l’operaio al rischio di infortuni oltre a sottoporre i bagagli dei passeggeri ad un trattamento a dir poco discutibile. Troppo facile fare concorrenza in questo modo, facendo lavorare un solo operaio quando ne occorrerebbero tre».

Ora il filmato è stato inviato alle autorità aeroportuali nel tentativo di far arrivare alla società un formale ammonimento, ma il rischio che le assemblee programmate potessero far parlare ancora degli scali paralizzando il traffico in mezza Europa, ha suggerito ad ENAC, l’autorità aeroportuale, di sospendere ulteriormente le licenze delle società subentranti fino al 25 settembre, data nella quale i tribunali si esprimeranno presumibilmente, nel merito dei ricorsi presentati sulle liceità dei subappalti.

Una buona notizia in attesa della prossima agitazione o che si possa risolvere felicemente una vertenza nella quale non si vorrebbe far scioperare più nemmeno a chi perde il posto di lavoro e per la quale sarebbe sufficiente almeno non cambiare.

MIGRANTI ECONOMICI DALLA PELLE CHIARA

Leggo dell’ennesima polemica sui migranti e non riesco a trattenermi, la critica è che costoro viaggiano con denaro e telefonini e spesso sono ben vestiti, mentre i nostri migranti dei secoli scorsi non lo erano, inoltre sarebbero le avanguardie di intere famiglie che investono su di loro e quindi ancora più dannosi…

Ora, a parte che nei secoli scorsi la tecnologia era differente e sono sicuro che potendo anche i nostri avi sarebbero partiti con un telefonino per avvertire la famiglia che li avrebbe seguiti, io però mi chiedo spesso cosa pretendiamo, vogliamo denaro e vita comoda per noi e se possibile sprechiamo senza ritegno e pretendiamo che altri non facciano lo stesso?

Se fossimo noi a dover migrare partiremmo senza un telefonino e soldi a sufficienza per il viaggio?

E se fossimo l’avanguardia di una intera famiglia rifiuteremmo l’aiuto dei parenti?

Criticabili o meno i migranti sono tutti uguali e tutti lo specchio dei tempi che vivono, andiamo in vacanza per una settimana con valigie che basterebbero per un intero mese a tutta la famiglia e pretendiamo che gli altri viaggino nudi e senza soldi, eppoi cosa vuol dire migrante economico, che i nostri figli non possono impiegarsi a Wall Street perché non sono americani?

E di Marchionne ne vogliamo parlare? Lo rifiutano solo perché ha del denaro e vuole lavorare in una nazione senza averne la cittadinanza?

I latini dicevano pecunia non olet, infatti profuma e tutti la vogliono, purché sia tanta e solo per loro.

Non scherziamo, io non sono buonista, ma nemmeno forcaiolo, cosa centra se uno scappa da una guerra o cerca lavoro, una priorità bisogna darla, ma credere che tutto si risolva erigendo muri è davvero assurdo, anche perché il muro lo abbiamo già eretto noi ai nostri figli, che con il sistema economico e legislativo che abbiamo permesso si instaurasse in Italia non vogliono più fare lavori sottopagati e sfruttati, per questo non si trova più personale alberghiero e per le pulizie, perché i nostri giovani italiani quei lavori vanno a farli in Austria, Germania, Olanda e qualsiasi altro posto dove salario, diritti e dignità sono ancora rispettati.

Provenire da una foresta dove la gente sparisce per un nonnulla è già scappare da una guerra, così come andare a lavorare all’estero per i nostri figli, che scappano dalla guerra che ogni giorno facciamo ai nostri diritti, permettendone la compressione e la negazione al punto che solo chi proviene da aree più oppresse della nostra ormai accetta la situazione.

I migranti vanno dove possono stare meglio, per questo tutti i figli dei miei amici studiano e lavorano all’estero: migranti economici dalla pelle chiara!

ISCHIA. MA LA COLPA NON E’ SOLO DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO

DI PIERLUIGI PENNATI

 

Dopo l’emergenza, la gioia per i salvataggi e poi le polemiche inutili, così adesso la colpa del terremoto è diventata il degrado del sud e dell’abusivismo edilizio di Ischia.

Io stesso ho affermato, ed ancora affermo, che il cambiamento parte da noi, quindi gli abitanti di Ischia, ma anche quelli di Vipiteno e del resto del mondo, sono i primi responsabili del buono o del cattivo andamento delle proprie città, ma affermare che i crolli sono dovuti solo all’abusivismo dilagante è davvero troppo.

Anni fa, a Milano, crollò un palazzo d’epoca senza preavviso, tra le macerie morirono delle persone, abitanti dell’edificio, il gestore del bar che si trovava al piano strada ed alcuni avventori dell’esercizio. La colpa? Infiltrazioni di acqua poco evidenti e quindi trascurate, il terremoto non era stato necessario per abbatterlo, ci aveva pensato da solo.

Così anche la palazzina di Ischia, sotto la quale sono rimasti intrappolati i bambini salvati ieri, era un edificio di inizio secolo e non “abusivo”, semmai trascurato, ma quanti di noi hanno fatto una seria manutenzione antisismica all’edificio in cui abitano negli ultimi venti anni?

Ah, già, da noi non è zona sismica, invece Ischia lo è…

Noi assolti e “gli altri condannati, eppure l’Italia ha la maggior parte del territorio considerato “zona sismica” a vari livelli di pericolo, quindi tutti siamo coinvolti in una seria e necessaria pianificazione, ma i terremoti, come tutti gli altri elementi della natura, seppur possibili non sono sempre esattamente prevedibili e le azioni preventive non sempre attuabili in tempi ragionevoli.

Ne consegue che se il terremoto, non una eruzione od uno smottamento anch’esso possibili sull’isola, hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il dilagante abusivismo di Ischia, le morti, almeno in questo caso, non sono a questo ascrivibili, anche se la tendopoli, quella si, ne è direttamente conseguente.

Cittadini assolti?

Niente affatto, nessuno è assolto e tutti siamo responsabili, persino chi scrive, la società è fatta per questo, per dare vicendevole sostegno e distribuire responsabilità e non solo per cercare altri colpevoli del momento: se a Ischia è avvenuto un terremoto non è colpa di nessuno, ,a se a Ischia ci sono abusi edilizi è colpa di tutti ed insieme vanno definiti e risolti.

Due situazioni differenti con due diverse soluzioni, prevenzione anti-sismica, anti-idrogeologica, anti-eruttiva la prima, repressione delle condotte sbagliate la seconda.

Così da qualche giorno abbiamo tutti “scoperto” che ad Ischia ci sono abusi edilizi, di questo passo tra non molto diranno persino che “miracolosamente” sono state scoperte acque termali e tutto passerà ancora una volta nel cosiddetto “dimenticatoio”, resteranno gli abusi vecchi, ne sorgeranno di nuovi e quasi tutti saranno felici e contenti: appuntamento tra una cinquantina di anni al prossimo terremoto prevedibile.

Ma in definitiva, cos’è esattamente un “abuso edilizio” e, soprattutto, quali rischi comporta?

Esempi di abusi edilizi ne abbiamo avuti ed ancora ne abbiamo a iosa, un abuso edilizio è una costruzione contro la legge, una legge che a sua volta tiene conto di differenti fattor, facendo si che una casa antisismica può essere abusiva se eretta in una riserva naturale tanto quanto una casa non stabile può esserlo in un luogo che ha ottenuto la licenza, vanno quindi distinti gli abusi e classificati per quello che sono: rischio sismico, rispetto di norme ambientali, architettoniche, igieniche, etc.

Ad Ischia il problema maggiore sembra essere quello ambientale, cui si somma il rischio sismico, ma non solo, risultandone un abuso generale difficilmente classificabile singolarmente, aggiungendo a questi abusi quelli che negli ultimi tempi sono classificati come “abusi di necessità”, vale a dire una contraddizione in termini: come può una cosa “necessaria” essere un abuso?

La soluzione è semplice, si tratta di abusi, vale a dire edifici privi di licenza edilizia o con licenza parziale, senza dei quali una famiglia senza altri mezzi dovrebbe vivere all’aperto od in tenda, quindi in “stato di necessità”.

Come definire e condannare queste situazioni di abuso? Semmai l’abuso è fatto da chi consente la costruzione di “mostri” di cemento di fronte a bellezze naturali e non consente a costoro, in stato di necessità, di edificare una piccola casa, con il risultato che, considerazione su considerazione, si scopre che il fenomeno è complessivo e spesso globale, sommando o sovrapponendo in modo complicato e confuso le necessità dei cittadini, sovrani secondo costituzione, al rispetto per ambiente, le amministrazioni incapaci od interessate ed gli affaristi sempre pronti dietro l’angolo ad approfittare di qualsiasi situazione.

Oggi assolvere o condannare per un terremoto è un esercizio inutile, guardare al domani con spirito costruttivo e pianificatore è molto meglio, perché mentre si discute dell’abusivismo di Ischia odierno, domani 24 agosto 2017 sarà un anno che ad Amatrice qualcuno vive ancora in tenda dopo l’evento di magnitudo 6.0 che ha devastato la sua casa e se in Italia si documentano morti per terremoti da quando l’uomo registra la sua memoria è anche vero che molti piani di prevenzione sono già disponibili, con relative stime di costi, enormi, ma necessari.

Secondo molti di questi studi, per “mettere in sicurezza” tutti gli edifici italiani con una buona approssimazione di efficienza servirebbero almeno 850 miliardi di euro, lasciandoci solo due alternative: cominciare a raccoglierli e spenderli bene od aspettare il prossimo terremoto per poter trovare altri responsabili e piangere i nostri morti.

A questo servono gli investimenti, se sapremo convincerci di essere il nostro futuro, potremo imparare dal nostro passato per usare il presente affinché il domani possa essere un oggi migliore.

TERREMOTO. IL MOSTRO DI ISCHIA E DEI CAMPI FLEGREI

DI PIERLUIGI PENNATI
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A Ischia c’è un mostro, anzi, ci sono tanti mostri e non tutti risiedono sull’isola: sono tutti coloro che continuano a pensare che i problemi siano da rincorrere e non da prevenire e che quello che fanno loro debba sempre essere speciale e giustificato rispetto a quello che fanno tutti gli altri.
Così, un giorno, una scossa di terremoto di 3.6, portata dai sismologi a 4.0 per l’effetto di amplificazione locale, fa crollare palazzine e cornicioni uccidendo persone e ferendone altre, quando, in condizioni “normali”, questo non dovrebbe assolutamente accadere.
Già, condizioni normali, cosa significa?
Significa che Ischia è una miniera d’oro a cielo aperto, ad Ischia l’oro si chiama mare, montagna e sottosuolo termale in un ambiente isolano che rende difficile scappare e quindi a bassa piccola criminalità, che rende tutto il territorio terreno di sfruttamento e possibile bersaglio della criminalità organizzata, quella che non si vede per le strade ed opera dalle case, dagli uffici e sfrutta tutto e tutti senza guardarsi troppo attorno.
La cosa potrebbe sembrare non troppo grave, se non fosse che nello stesso posto si concentrino i tre più grandi rischi della nazione, quello vulcanico, Ischia è un vulcano attivo dell’area flegrea che potrebbe eruttare in qualsiasi momento, quello idrogeologico, con continue frane e smottamenti, e quello sismico, non prettamente legato all’attività vulcanica, ma a quella tettonica, già avvenuto disastrosamente in passato quando le vittime furono oltre 2000.
Davanti a questa evidenza non possiamo pensare che il mostro sia sottoterra, ma sopra di essa, si chiama abusivismo e pressapochismo interessato, due elementi che congiuntamente producono un territorio devastato da cemento fragile, brutto da vedere e che si sbriciola al minimo colpo di vento.
Ma il problema non è solo ad Ischia, è dappertutto, anche se in questa zona è forse più esteso, tutti sanno che il Vesuvio prima o poi esploderà e che l’attesa dell’evento a Napoli potrebbe essere paragonabile a quella della città di San Francisco, che aspetta il Big Ben dalla Faglia di Sant’andrea.
L’esperto vulcanologo della New York University Flavio Dobran, ha scritto solo pochi mesi fa, in un suo studio documentato, “All’improvviso il Vesuvio che sonnecchia dal 1944 esploderà con una potenza mai vista. Una colonna di gas, cenere e lapilli s’innalzerà per duemila metri sopra il cratere. Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di 7 chilometri spazzando via case, bruciando alberi, asfissiando animale, uccidendo forse un milione di esseri umani. Il tutto, in appena 15 minuti”.
Quando?
Statisticamente le eruzioni su larga scala avvengono una volta ogni mille anni, quelle su media scala una volta ogni 4-5 secoli e quelle su piccola scala ogni 30 anni, quindi, sempre secondo l’esperto, se consideriamo che “l’ultima gigantesca eruzione su larga scala è quella descritta da Plinio il Vecchio: quella che il 24 agosto del 79 dopo Cristo distrusse Ercolano e Pompei uccidendo più di duemila persone. La più recente eruzione su media scala è quella del 1631, che rase al suolo Torre del Greco e Torre Annunziata, facendo 4 mila morti in poche ore“, potremmo essere più vicini all’evento di quanto si possa immaginare.
Cosa fare?
La vicenda non è semplice, dato che la ragione vorrebbe una cosa, il cuore un’altra e l’interesse senza ragione e cuore da tanto, troppo tempo spadroneggia quasi indisturbato e con la complicità delle persone che vivono nelle stesse zone a rischio incriminate.
Eppure qualche soluzione potrebbe esserci, forse non definitiva, ma efficace, bisognerebbe cominciare a pensare che il cambiamento e la ricostruzione nascono da noi e prima che qualcosa crolli, bisognerebbe smettere di sperare che “statisticamente” ci possa andare bene e cominciare a sviluppare uno spirito collettivo per il quale i diritti ed i doveri sono condivisi e di tutti e non solo diritti nostri e doveri altrui, lo stato siamo noi, anche se ci vogliono far credere diversamente, per governare bene si deve partecipare con coerenza e senso di giustizia alla vita pubblica affinché tutti ne possiamo godere.
Fare le cose “secondo le regole” non è prerogativa degli stupidi, ma puro egoismo, se tutti costruissimo edifici adatti alla località in cui sorgono, se tutti evitassimo di sfruttare selvaggiamente il territorio, se tutti ci comportassimo onestamente non ci sarebbe bisogno di cercare alcun colpevole per i mali che ci affliggono, ma cercheremmo solo soluzioni ai problemi che si manifestano.
Il mostro non è fuori di noi, non è nel sottosuolo, in un temporale o dentro un vulcano, il mostro risiede dentro di noi, è fatto di egoismo stupido ed ingiustificato, di indifferenza ed insensibilità, di miope visione del futuro e dell’idea che noi si sia sempre dalla parte della ragione e gli altri dal torto, possiamo batterlo, ma solamente cominciando da noi stessi.

FERNANDO ALVAREZ: IL VINCITORE É CHI SA FERMARSI

DI PIERLUIGI PENNATI
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I Mondiali di nuoto Masters di Budapest non sono certo tra le gare più seguite, eppure, se i suoi partecipanti si allenano come e forse più degli atleti più giovani e non sono meno determinati a vincere, ci sono gare che non si possono disputare, sono le gare contro se stessi, contro il rispetto della persona, della vita e della morte.
Così Fernando Alvarez, 71 anni, dopo essersi allenato molto e con grande determinazione a voler vincere le sue gare, non ha comunque potuto fare a meno di provare rispetto per le vittime dell’attentato di Barcellona che ha sconvolto il mondo e non avendo trovato notizia di un fuori programma nelle mail ricevute dal comitato organizzatore gli ha scritto chiedendo un minuto di silenzio prima delle gare.
Non ha ottenuto nessuna risposta, ma non si è perso d’animo, prima della gara ha parlato con la giuria e con la direzione, ma ancora nulla da fare: non c’è tempo da perdere, nemmeno un minuto, un minuto di rispetto.
Così gli attempati atleti si dispongono sui blocchi e gli arbitri danno il via. Alvarez, però, resta immobile sul suo piedistallo prendendosi un minuto di concentrazione e raccoglimento in segno di rispetto per le vittime, per lui il rispetto per l’uomo non può gareggiare con la semplice voglia di vincere una gara atletica.
Terminato il minuto di silenzio parte regolarmente e termina la sua prova.
Tutto normale, la gara è vinta, ma non quella contro altri uomini, quella contro le coscienze indifferenti di tutti.
Alvarez non ha avuto la medaglia d’oro, ma il pubblico ed i media gliela hanno assegnata lo stesso, pochi ricorderanno chi ha vinto la gara dei muscoli, tutti ricorderanno il gesto di Alvarez che resterà per sempre negli annali di uno sport che qualche volta fa propaganda e qualche altra volta si rivela cinico ed indifferente.
Oggi sappiamo che almeno per uno sportivo vincere è meno importante che rispettare il prossimo.
Questo era forse il valore olimpico voluto da Pierre de Coubertin nel fondare i moderni Giochi olimpici, quel “l’importante non è vincere, ma partecipare” del vescovo Ethelbert Talbot, da lui rilanciato, aveva ed ha esattamente questo sapore: il rispetto prima di tutto.
Per Fernando Alvarez “Certe cose non valgono tutto l’oro del mondo”, purtroppo il numero delle persone che la pensano come lui sembra ridursi di anno in anno.
Chapeau, Fernado Alvarez.

EBREI E DOCCE, QUANDO IL DIALOGO POTREBBE FARE LA DIFFERENZA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Le parole ebreo e doccia evocano spesso gli orrori delle Shoah, ma questa volta non centra nulla, il fatto è accaduto all’Aparthaus Paradies di Arosa, sulle Alpi svizzere: i proprietari hanno affisso due cartelli nella struttura, uno in piscina, per invitare gli ospiti ebrei a farsi la doccia prima di immergersi, ed uno in cucina, dove venivano istituiti turni per l’accesso al frigorifero da parte degli ebrei.

Una famiglia di religione ebraica ha lamentato incomprensioni fin dall’inizio: “All’arrivo in hotel abbiamo detto alla direttrice che siamo ebrei e lei ci ha detto che in questo periodo arrivano molti ebrei. Non le abbiamo detto niente perché non volevamo cominciare una lite”, ma alla vista dei cartelli non si sono potuti più trattenere ed hanno immediatamente informato la vice ministro degli esteri di Tel Aviv, Tzipi Hotovely che senza altre formalità ha chiesto in fretta alla struttura le scuse ufficiali per “questo atti di antisemitismo della peggiore specie” ed ha informato l’ambasciatore israeliano in Svizzera di richiedere una condanna formale da parte del governo.

Per la Vice Ministro israeliana “l’antisemitismo in Europa è ancora una realtà e dobbiamo garantire che la punizione per incidenti come questi serva da deterrente per chi ha ancora il germe dell’antisemitismo”.

Anche la reazione Svizzera non si è fatta attendere, il ministro degli Esteri Elvetico ha subito replicato che la Svizzera “condanna il razzismo, l’antisemitismo e ogni tipo di discriminazione”.

Ma non è finita qui, il centro Simon Wiesenthal ha chiesto di “chiudere l’hotel dell’odio e punire la sua direzione”, una richiesta è stata rilanciata a Booking.com per ritirare l’Aparthaus Paradies dalle sue proposte e metterlo su di una “lista nera“ e sulla piattaforma change.org è stata poi lanciata una petizione per chiedere la chiusura dell’hotel Aparthaus Paradies  “se non cambierà atteggiamento in relazione ai clienti ebrei, che devono essere trattati come tutti gli altri ospiti”.

Una tempesta immediata ed un incidente diplomatico sfiorato tra le due nazioni, ma secondo la direttrice della struttura, i cartelli sono stati affissi per ragioni precise e che nulla hanno a che fare con l’antisemitismo, anzi, proprio i clienti ebrei sarebbero i benvenuti e sempre numerosi, sostenendo che gli avvisi si erano resi necessari dopo aver “notato che alcuni fanno il bagno in piscina senza prima fare la doccia. Altri clienti mi hanno chiesto di fare qualcosa e ho scritto un po’ ingenuamente questi cartelli, avrei fatto meglio a rivolgermi a tutti i clienti in generale”.

Niente antisemitismo, quindi, ma ragioni igieniche alle quali anche gli ebrei ortodossi, che si fanno il bagno con la maglietta, si devono attenere per rispetto di tutti.

Il secondo cartello, in cucina, con la scritta “I nostri clienti ebrei hanno accesso al frigorifero solo dalle 10 alle 11 e dalle 16,30 alle 17,30. Speriamo comprendiate che il nostro personale non può essere disturbato senza sosta”, sempre secondo la direttrice serviva a regolamentare l’accesso al frigorifero privato della struttura durante gli orari di servizio del personale dipendente, che non è presente al di fuori di quelli indicati, a causa del fatto che ai clienti ebrei, e solo a loro, in aggiunta al frigorifero a disposizione di tutti gli ospiti viene concesso anche l’uso del frigorifero dello staff per agevolare le loro abitudini alimentari dovute alla scelta religiosa.

Anche questa volta nessuna discriminazione, anzi, un ampliamento degli spazi non concesso ad altri, un beneficio che dimostrerebbe che sebbene, la direzione dell’hotel ha certamente commesso una grande leggerezza nell’apporre quei cartelli così espliciti, qualche volte sarebbe meglio iniziare con il parlare con chi hai vicino e cercare di chiarire la situazione prima di scatenare una guerra internazionale tra governi, razze e religioni.

Così resta oscuro il perché la vice ministro degli esteri di Tel Aviv, l’ambasciatore israeliano in Svizzera, il ministro degli Esteri Elvetico, il centro Simon Wiesenthal, Booking.com e la piattaforma change.org abbiano saputo della cosa prima della direzione dell’hotel.

Ovviamente fin qui le scuse le hanno fatte i presunti antisemiti, i presunti intolleranti sono ancora a piede libero.

Il dialogo è alla base di tutto, pratichiamolo.

BUON FERRAGOSTO, MA NON PER TUTTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Mentre ci accingiamo a trascorrere una delle più antiche festività italiane, istituita nientemeno che 2032 anni fa, nel 18 a.C. dall’imperatore Augusto da cui trae il nome e che significa “Feriae Augusti” (il riposo di Augusto), ci sono migliaia di poveri lavoratori costretti a lavorare per noi.
Non parlo di coloro che servono a garantire servizi pubblici davvero essenziali e senza dei quali ci sarebbero disastri e problemi, ma di quei “poveri” lavoratori, spesso vessati e sottopagati, che sono realmente costretti dai loro datori di lavoro ad essere a nostra disposizione per il nostro piacere, che spesso piacere nemmeno è, ed in particolare quei lavoratori che tengono aperti in questi giorni festivi i centri commerciali, i supermercati e gli outlet, che ormai non chiudono più nemmeno a natale e capodanno.
Due, massimo tre giorni di chiusura all’anno, 48 ore settimanali, spesso anche di più e non sempre pagate, e competizione aperta tra chi riesce ad impiegarsi comunque, a qualunque costo, si deve pur sbarcare il lunario con un costo del lavoro abbassato drasticamente da disoccupazione ed immigrazione.
Nemmeno nell’antica Roma avevano osato tanto: Augusto, oltre all’evidente scopo propagandistico sulla sua persona, aveva aggiunto il Ferragosto ad altre festività già presenti nello stesso mese, in particolare i Consualia, cui fu legato fin dall’inizio, che era un periodo di meritato riposo e festeggiamenti per celebrare la fine dei lavori agricoli, dedicati a Conso che, nella religione romana, era il dio della terra e della fertilità.
L’antico Ferragosto, quindi, era un premio per chi già lavorava duramente tutto l’anno ed originariamente cadeva il 1º agosto congiungendo tra loro le feste del mese e generando gli Augustali, un adeguato periodo di riposo per recuperare le forze dopo le grandi fatiche nei campi.
Fu la Chiesa Cattolica a spostarlo al 15 di agosto, per far coincidere l’importante ed irrinunciabile ricorrenza laica con la festa religiosa dell’Assunzione di Maria, cui anche il Duomo di Milano è dedicato, e da oltre due millenni è una festa intoccabile, nessuno può lavorare a Ferragosto, cattolico o laico che sia.
La tradizione, originata fin dalla sua istituzione, vuole che questo giorno siano di festa e gioia conviviale, persino il “Palio dell’Assunta”, che si svolge a Siena il 16 agosto, è una reminiscenza delle antiche corse di cavalli romani che si tenevano in quella giornata, ma alla fine, dopo quasi due secoli, ce l’abbiamo quasi fatta: in nome di un consumismo che ci sta consumando anche la festa italiana più antica sta per essere cancellata, almeno per i molti che, pur non essendo essenziali per la sopravvivenza del genere umano, sono oggi costretti a lavorare sottomessi e dare la possibilità a chi è ancora libero di fare shopping invece che trascorrere la giornata all’aperto, approfittando del bel tempo.
Di questo passo, prima o poi la festa sarà abolita anche per tutti gli altri, ormai il ferragosto non ha più senso per nessuno, i gremitissimi centri commerciali non vendono comunque a sufficienza per ripagarsi gli straordinari ed i costi festivi ed il sapore finto di questi luoghi sta piano piano sbiadendo anche l’illusorio piacere di una passeggiata e di un gelato nei loro viali.
Il retroscena è spesso terribile, nascosto dalle vetrine luccicanti, i lavoratori degli esercizi sono spesso “stagionali” o precari, sottopagati e senza diritti, sotto il ricatto dell’allontanamento immediato senza tutele del lavoro, tra l’indifferenza di tutti coloro che non vogliono sapere cosa succede agli “altri”, almeno fino a quando gli altri non saranno essi stessi.
Grande o piccolo che sia l’imprenditore oggi vuole sempre di più al minor costo, anzi gratis, spesso infrangendo i diritti dei propri dipendenti che sono sempre più disposti a privarsene per necessità ed affamando sempre più la popolazione di lavoratori in una società dove chi paga le tasse è stupido e debole e chi ricatta i propri dipendenti si sente intelligente e potente.
Oggi è ferragosto, nei paesi più industrializzati d’Europa non si lavora nemmeno nei festivi, tanto meno in giornate come queste, in quelli decadenti invece sì, si lavora spesso anche a Natale e capodanno riducendo le feste a meri eventi commerciali.
Possiamo davvero considerarci fortunati a vivere in un paese di questo tipo?
Personalmente credo che il lavoro vada sempre rispettato, qualunque esso sia, perché è sempre dignitoso quando è svolto dall’uomo, il lavoro di un automa non è né nobile né dignitoso, è solo lavoro, ma quando è un essere umano a svolgerlo acquista un valore differente e non solo economico: oggi siamo così abituati a non rispettare più il lavoro degli altri che a poco a poco anche il nostro lavoro sta perdendo di dignità e nobiltà senza che ce ne rendiamo pienamente conto.
Se il progresso è avere i negozi aperti la domenica, Natale e Ferragosto, allora viva il regresso, se questo serve a recuperare quei valori umani che persino i romani imperiali, quelli con potere di vita e di morte sul popolo, non negavano ai propri sudditi ai quali, invece, riconoscevano la dignità di lavoratori istituiendo per loro nuove feste e non altri turni forzati.
A Natale, quest’anno, chiediamo dignità per chi lavora ed oggi, Ferragosto, andiamo al mare od ai monti, non nei centri commerciali: il recupero della nostra umanità passa anche da questi piccoli gesti.

UOVA CONTANTAMINATE, MA CI SALVA IL MADE IN ITALY

DI PIERLUIGI PENNATI
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Una volta tanto il Made in Italy è una garanzia anche in patria e non soltanto per la qualità dei manufatti o per il loro gusto, ma anche per l’autosufficienza delle risorse, infatti,  il se 2 agosto l’Olanda ha scoperto un lotto contenente Fipronil, vietato dalle leggi europee, nell’azienda olandese Chickfriend ed arrestato due dirigenti, l’Italia è tra i paesi fortunati che praticamente non importano uova potendole produrre quasi interamente sul suolo nazionale.
Secondola Commissione Europea “Anche l’Italia ha ricevuto uova” dalle aziende in esame, ma il ministero della Salute ha assicurato che non risultano distribuzioni contaminate sebbene siano stati comunque confiscati articoli mai messi in commercio per prevenirne la vendita.
Il Fipronil, il cui nome chimico è fluocianobenpirazolo, è un insetticida ad ampio spettro che disturba l’attività del sistema nervoso centrale dell’insetto impedendo il passaggio degli ioni cloruro attraverso il recettore del GABA ed il recettore del Glut-Cl, ciò causa la ipereccitazione dei nervi e dei muscoli degli insetti contaminati.
La sostanza viene usata prevalentemente per la prevenzione contro le pulci ed antiparassitario per gli animali da compagnia, il suo veleno, la cui concentrazione è volutamente blanda nei prodotti in commercio, ha una lenta attività d’azione per evitare che l’insetto avvelenato muoia immediatamente e faccia prima rientro nella sua colonia liberando l’organismo che infestava e diventando un “untori” per tutta la sua colonia.
Pur essendo categoricamente vietato nei trattamenti anti-pulci di animali destinato al consumo umano, perchè secondo l’Oms è pericoloso per fegato, reni e tiroide, per causare problemi all’uomo occorrono alte dosi di prodotto e non dovrebbe essere il caso dell’attuale scandalo alimentare.
Le persone esposte al Fipronil a forti dosi si possono osservare ipereccitabilità, irritabilità, tremori e, ad uno stadio più grave, letargia e convulsioni.
I sintomi sono reversibili, una volta terminata l’esposizione la sostanza si assorbe lentamente attraverso l’intestino e siccome non è noto un antidoto specifico i medici consigliano una lavanda gastrica per ridurre l’assorbimento  ed un purgante salino o carbone attivo.
Secondo la UE i Paesi dell’Unione coinvolti, compreso l’Italia, sono il Belgio, i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia, il Regno Unito, l’Austria, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia e la Danimarca, a cui si devono aggiungere Svizzera e Hong Kong.
Una volta tanto, però, l’Italia è libera da questo rischio sia per la possibile limitata concentrazione di prodotto nei nostri alimenti, compreso quelli di pasticceria, sia per la produzione quasi interamente nazionale di uova: quando il Made in Italy ti salva la vita.

STIAMO DIVENTANDO TUTTI MIGRANTI ECONOMICI

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Laurea magistrale a pieni voti in ingegneria civile, ottima conoscenza della lingua tedesca e buona della lingua inglese, gradita esperienza Erasmus, disponibilità a trasferte in Italia ed estero, contratto di 6 mesi, 600 euro netti al mese, ticket restaurant per ogni giorno lavorato, zona Grugliasco”.
L’annuncio è di maggio, ma ancora la foto impazza sulla rete come fonte di ilarità tra chi del dramma vede solo l’assurdità ridendone invece di scandalizzarsi o lo strumentalizza contro gli immigrati “mantenuti dallo stato”.
L’indignazione immediatamente seguita all’annuncio ne ha provocato il ritiro e la rettifica ed a seguito degli insulti e delle richieste di chiarimenti piovute nei loro uffici, la società si è affrettata a dichiarare che «L’annuncio non è nostro perché noi non facciamo annunci su cartaceo e stiamo cercando di capire come ci sia finito. Cerchiamo un ingegnere con quelle caratteristiche ma solo per uno stage post-laurea».
Si tratta della società Gruppo Dimensione, multinazionale con sede italiana a Torino, che – è scritto nel loro sito – «svolge attività di consulenza e servizi altamente specializzati nel campo dell’ingegneria civile e degli impianti tecnologici.»
La vice presidente, Marie Chantal Manenc, ha subito precisato che la richiesta riguardava  «solo un tirocinio, serve per qualificare il candidato, insegnandogli quello che all’università non si impara, e per valutare l’opportunità di assumerlo», poi, se il periodo di stage si conclude favorevolmente, l’azienda assume il candidato «Con un contratto di apprendista» e «per quelli che sono all’estero siamo sui 2400-2.500 euro. Netti, eh!»
Nulla di strano, quindi, la legge viene pienamente rispettata e così grazie alle nuove norme sul Jobs Act, le tutele crescenti e gli apprendistati, un laureato super qualificato deve lavorare per quasi quattro anni a condizioni da terzo mondo per riuscire ad avere un contratto che si avvicina al “normale”, dato che vivere in trasferta all’estero per 2.550 euro netti al mese non sembra certo una retribuzione stellare e per le destinazioni italiane, solo probabilmente dato che non viene dichiarato, ancora meno.
Qualcosa deve essere andato storto quando è stata approvata la legge attuale, i giovani, se non cambiano ancora le condizioni e dopo tutto questo peregrinare ed avere difficoltà, dovranno lavorare fino a 70 anni e forse più per poter avere una pensione, la cui “normalità” viene messa costantemente discussione, posizionando le condizioni ed il mercato del lavoro italiano tra quelli “da terzo mondo”.
Pur essendo comparso solo sul sito del Comune di Torino nella sezione InformaLavoro, senza menzionare che i 600 euro fossero da ritenersi compenso per uno stage, e solo una volta in formato cartaceo, l’eco mediatica sembra aver fatto comunque il suo dovere e se l’azienda ha sostenuto ufficialmente che «questa faccenda è un disastro per l’immagine del gruppo», dopo le telefonate di insulti della prima ora sono state da essa ricevute «all’incirca una cinquantina» di candidature con i requisiti richiesti, che ora «andranno valutati in modo più approfondito».
Il bilancio finale è che al di là dell’indignazione istantanea e le risa dei qualunquisti l’annuncio ha attirato l’attenzione e quasi 50 laureati altamente qualificati si sono dichiarati disposti, al di là di tutto, ad entrare in competizione per lavorare quasi gratis solo per riuscire poi a guadagnare quanto un operaio specializzato.
Per completezza di informazione riporto che in un’indagine comparsa il 18/11/2014 sul Sole 24 Ore, la differenza delle retribuzioni tra Italia e Germania portava già differenze dal 40 al 70% in più rispetto all’Italia e, solo per fare un esempio la retribuzione media di un operaio generico italiano stimata in 29.523 Euro l’anno diventava 49.507 Euro sul suolo tedesco e con un welfare state certamente più elevato.
Sembra di capire che qualcosa da noi non sta andando come ci hanno prospettato e se i nostri ragazzi guardano all’estero è perché là, la mano d’opera, è meglio retribuita, considerata e produce più dignità e stabilità del lavoro, trasformando di fatto tutti noi in “migranti economici”.
Non volevamo che le nostre aziende emigrassero all’estero, così costringiamo ad andarci le nostre migliori risorse, mentre da noi ormai solo chi proviene da paesi dove le condizioni sono ancor meno favorevoli accettano le condizioni di vita al limite della dignità che le aziende nostrane oggi offrono “a norma di legge”.
Dite a Renzi e Salvini che senza rispetto nessuno starà mai a casa propria, tutti, prima o poi, cercheranno un posto dove vi sia maggiore “giustizia sociale” rispetto “a casa loro”, per andare avanti, qualche volta bisogna tornare indietro, almeno ai tempi in cui in Italia i diritti e la dignità dei lavoratori erano ancora valori da salvaguardare.

PIGNORATI BENI PER 10 MILIONI, "BUTTIAMO TUTTO IN VACCHI"

DI IMMACOLATA LEONE
 
Gianluca Vacchi, noto imprenditore bolognese, re dei social, di Instangram e noto per il suo ego smisurato, come ammesso da lui stesso, ha problemi economici.
Notizia seria, per noi comuni mortali, diffusa oggi dai quotidiani del gruppo QN, Quotidiano Nazionale, la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno e Quotidiano.net.
Da un debito iniziale di 30 milioni, della First Investments spa, di cui Vacchi è amministratore unico, ed il successivo mancato pagamento della restante parte di 10 milioni, il Banco Popolare, ora Banco BPM, in seguito ad una fusione, ha iniziato le azioni esecutive per entrare in possesso di alcuni beni, barche, ville, azioni, ed alcune quote di un esclusivo golf club, appartenenti a Vacchi.
Azioni partite gia nel dicembre del 2015, data della terza rata insoluta, ed oggi divenute esecutive.
Gianluca Vacchi, fresco cinquantenne, nasce molto bene, la sua famiglia è a capo di un’azienda,l’IMA, l’impresa familiare fondata da suo padre negli anni Sessanta, produttrice di oggetti di nicchia, ma assolutamente indispensabili: cioè macchine che confezionano prodotti cosmetici e farmaceutici, oggi azienda leader a livello mondiale.
A trent’anni lascia l’azienda di famiglia e si butta nel duro mondo degli affari, compra 12 aziende, le “risolleva” e poi le rivende, spaziando nei settori più disparati: dai camper, agli oblò per lavatrici, agli orologi Toy Watch, diviene anche il primo fondatore in Europa di un’azienda di last minute.
“Enjoy” è il suo motto, il suo stile di vita, il suo pensiero unico è rendere pubblica su Instangram , facebook e youtube, ogni momento della sua “regale” vita, delle sue bellissime fidanzate, del suo tempo libero, dei suoi amici, dei suoi tatuaggi, del numero di addominali fatti, dei suoi balletti con la fidanzata del momento, le ospitate come dj nelle discoteche, i suoi abiti gialli, rosa, tutti perfetti sul suo fisico scolpito.
Insomma una gran figata di vita, invidiata e ammirata, a seconda dei casi, anche quando entra in casa inforcando la sua Harley.
Sono sincera, fino a sei mesi fa non conoscevo Gianluca Vacchi, quando per un caso fortuito, mi imbatto in un suo video, in cui lo si vede uscire da una specie di involucro, poi ho scoperto trattarsi di una camera di crioconservazione, cioè un macchinario che porta il corpo a delle temperature sottozero per sentirsi giovani mantenendo la pelle soda.
Vacchi, esce dalla camera di crio indossando una bizzarra mutanda col bozzo, visibilmente infreddolito, ma sempre col suo sorriso smagliante, comincia a a ballare e a mimare un ballo lap dance.
Trovandolo molto bizzarro, l’ho cercato sul social facebook ed ho visto questo giovanotto attempato, sorriso smagliante, occhiali che fanno tanto figo, e improponibili abbigliamenti, da lui perfettamente indossati, come un divo di Hollywood ecco.
Poi non paga, leggo i commenti dei comuni mortali, tanta ammirazione per lo sfoggio di una vita patinata e impossibile e tanto tanto livore per la sua fortuna.
Ma, come tutti sanno, la dea fortuna è bendata, ed essendo uscito dalla sua visuale, adesso finisce tutto in “Vacchi” .

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ALITALIA É SANA MA SI (S)VENDE LO STESSO

DI PIERLUIGI PENNATI
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I nodi sono venuti al pettine da tempo e forse i lavoratori che hanno respinto in massa il piano di ristrutturazione con 2.000 licenziamenti, su 12.000 impiegati, sapevano già che i loro ulteriori sacrifici erano inutili: Alitalia è sana ed il problema è solo gestionale, ma viene ceduta ugualmente all’asta.
Che qualcosa non andasse lo si era capito da subito, solo un paio di settimane dopo il voto di fine aprile che cassava l’accordo raggiunto da CGIL CISL e UIL, il docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, Antonio Bordoni, a seguido di uno studio commissionato da un editore affermava che “Gli stipendi sono più bassi, con più passeggeri per dipendente. Il problema? Contratti di servizio onerosi e poco sviluppo nel lungo raggio”.
L’obiettivo dello studio non era attribuire delle colpe, ma cercare di capire se dopo la bocciatura del piano industriale questo potesse essere riproposto da qualunque possibile nuovo assetto azionario e, quindi, cercare di evitarlo.
Il rifiuto dei tagli aveva immediatamente portato i benpensanti a bollare i dipendenti come “furbetti del cartellino”: privilegiati che non volevano rinunciare a nulla, nullafacenti che avevano portato al collasso la compagnia e volevano continuare a farlo, ma non era così, il costo del lavoro non centrava nulla, dato che Alitalia era “Meglio di Air France, Lufthansa e British” secondo Bordoni.
I lavoratori spesso lo sanno prima degli analisti e del pubblico, chi percepisce uno stipendio sa quanto guadagnano i colleghi di altre compagnie e quante ore di lavoro realizzano, come e con quale sforzo, e nessuno di loro aveva mai detto che, dopo la prima grande ristrutturazione, la situazione Alitalia fosse da lager, ma nemmeno da paese del bengodi, consapevoli di non essere in una situazione di grande privilegio rispetto ad altre compagnie, se non per il maggior rispetto della loro dignità, che in qualche concorrente sembrerebbe a rischio, e della stabilità di impiego, il posto fisso e dignitoso era già un valore sufficiente.
Dopo il piano di ristrutturazione che prevedeva essenzialmente solo tagli al personale, il sindacato USB aveva sostenuto da solo la campagna contro di esso e, contraddicendo ogni pronostico, aveva avuto ragione riuscendo a convincere oltre 5.000 lavoratori il cui posto di lavoro non era toccato dal piano di ristrutturazione ad esprimersi contro di esso per dare prospettive a tutti.
La ragione più profonda del rifiuto, probabilmente, è stata vista nel fatto che a furia di ridurre le risorse si uccide il lavoro, così come il contadino che riduceva il pasto del proprio asino fino a quando trovandolo morto disse “accidenti, proprio adesso che aveva imparato a non magiare e non mi costava più nulla”.
Chi ha votato sapeva bene, e senza essere un economista, che i tagli non sono mai temporanei, si taglia oggi per tagliare ancora domani, senza fine e fino alla perdita del posto di lavoro, un posto che, a quanto pare, era stabile e non minato da problemi di costi, ma solo da politiche sbagliate sulla gestione dei contratti di servizio.
Bordoni, nel suo studio, afferma anche che uno dei grandi problemi riguarda le commissioni da pagare sui biglietti, che per Alitalia sono una volta e mezzo quello che pagano i concorrenti, e che questo potrebbe essere dovuto ad una mancata capacità di negoziazione dei costi delle commissioni a causa di possibili incapacità manageriali, incapacità criticate in maggio senza perifrasi anche dal commissario Luigi Gubitosi e dal ministro Calenda.
Inoltre, sempre secondo Bordoni, nonostante il prezzo medio dei biglietti di Alitalia sia molto concorrenziale sulle rotte fra 800 e 1200 chilometri, il tasso di riempimento degli aerei è deludente, facendo pensare che forse abbassare le tariffe su quelle distanze, dove c’è la concorrenza delle compagnie aeree «low cost» e dei treni superveloci, sia uno sforzo inutile e persino dannoso, aggiungendo alla poca capacità negoziale con i fornitori, errori di strategia globale.
Tra questi, rileva servirebbero più aerei sulle rotte intercontinentali, di cui Alitalia non si è dotata nemmeno quando è entrato il socio forte Etihad «Perché l’Unione europea ha imposto a Etihad di fermarsi al 49% dell’azionariato. Se Etihad avesse acquisito una quota più alta, avrebbe investito molto di più, anche nell’acquisto di aerei a lungo raggio».
Quindi spese eccessive per i servizi, politiche tariffarie discutibili ed investimenti mancati, tutte voci ascrivibili al management e non alle maestranze che però rischiano ancora di essere gli unici a farne le spese.
Ma qui si tratta anche di cultura e di obiettivi, in una società in cui la dignità dei lavoratori non è più un valore da salvaguardare e si pensa solo a se stessi è impensabile anche solo immaginare che un dirigente possa provare vergogna per il suo operato e dimettersi: se sbaglia è sufficiente licenziare un po’ di personale e tutto torna a posto, con i risparmi immediati si paga la sua ricca buonuscita e lo si manda a far danni da un’altra parte.
Questo sembra essere anche quello che sta succedendo ad Alitalia, dopo il caso della “bad company”, a carico dello stato, e della “new company”, semi regalata ai “capitani coraggiosi” o “patrioti”, come furono definiti dall’allora premier Berlusconi per la cordata realizzata per salvare l’italianità della compagnia di bandiera, si pensa oggi non ai dipendenti ed alle loro famiglie, ma solo a fare cassa, vanificando ogni sforzo passato e senza individuare colpevoli, ma solo vittime: i lavoratori.
I ogni caso se il costo del lavoro e il numero di passeggeri per dipendente in Alitalia sono migliori, anzi molto migliori, di quelli delle concorrenti Air France, Lufthansa e British Airways ed il costo medio di ogni dipendente di Alitalia è di neanche 49 mila euro, rispetto a quello compreso fra i 70 mila e gli 81 mila euro delle grandi compagnie concorrenti e dovuto ad anni di tagli ed al ricorso al lavoro precario, il problema resta: cosa fare nel futuro?
Per volontà squisitamente politica la vendita pare oggi inevitabile, rischiando di disperdere altra forza lavoro a vantaggio di investitori stranieri senza troppi scrupoli, anche se la notizia degli ultimi giorni è che la cessione Alitalia, almeno, non dovrebbe vedere spacchettamenti, o quasi: i tre commissari straordinari Laghi, Gubitosi e Paleari hanno pubblicato il primo agosto il bando per la vendita prevedendo solo due opzioni per i possibili acquirenti, la vendita in blocco della compagnia aerea o la cessione separata della parte handling, dividendo la parte volo dalla parte terra.
In Francia il leader considerato più liberista d’Europa tutela il lavoro e statalizza i cantieri navali STX per proteggerli dal rischi speculazione e pensando al loro futuro, in Italia si cercano compratori ad ogni costo senza nemmeno considerare gli eventuali piani strategici, soldi freschi e nessuna previsione per il personale.
Ma qualcuno una soluzione ce l’ha e la grida da tempo con tutta la voce che possiede: Francesco Staccioli, dell’ Esecutivo Nazionale Lavoro Privato dell’Unione Sindacale di Base USB Trasporto Aereo, a proposito della vendita dichiara che pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”, preludendo ad una statalizzazione della compagnia.
Per USB, unico sindacato che insieme a CUB si era schierato fin dall’inizio contro i tagli del piano industriale ed escluso da tutti i tavoli di trattativa, la soluzione sarebbe quindi statalizzare nuovamente Alitalia promuovendo una gestione più competente e qualcuno nel sindacato arriva persino ad invocarne la “cogestione”, realtà applicata da moltissimi anni in aziende economicamente solide come le tedesche BMW e Mercedes e dove la partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili ne migliora in continuazione competitività ed l’efficienza senza penalizzare troppo i lavoratori.
“Il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia”, continua Staccioli riferendosi all’impossibilità di statalizzare dovuta ad un presunto stop dell’Unione Europea, “Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Il destino di Alitalia, purtroppo, è nelle mani di un governo che fino ad ora ha salvato le banche con miliardi di euro pubblici per “salvaguardare i risparmiatori”, ma quando si è trattato di salvaguardare il lavoro è sembrato chiudere gli occhi e dimostrare incapacità di guardare lontano, creando precarietà e compressione di diritti in un’ottica miope per le future generazioni, in fondo se i conti dovessero andare bene oggi sarebbe merito di chi governa oggi, ma se il lavoro si svilupperà domani sarà merito di chi sarà al potere domani e nessuno lavora per dare meriti ad altri.
La questione resta la stessa, è meglio realizzare subito od investire per il futuro?
Auguri Alitalia, abbiamo bisogno di pensare a domani.

NON SOLO CERVELLI IN FUGA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A quanto pare molti cervelli sono fuggiti da molto tempo, in particolare quelli di chi, pensando di essere il più furbo, supporta la devastazione del nostro paese favorendo lo sfruttamento e le vessazioni nel mondo del lavoro.
Ormai non sono più solo i cosiddetti “cervelli” a scappare dall’Italia, ma anche la mano d’opera, più o meno specializzata, che serve alla nazione per supportare l’economia dello stato ed in particolare una delle nostre industrie più importanti e redditizie: il turismo.
Favorito da un rapporto uno ad uno con gli impiegati e dai contratti a termine per le stagioni, il mercato della mano d’opera hoteliera non è immune allo sfruttamento dilagante, con offerte di lavoro che si trasformano in veri e propri ricatti per sottopagare il personale, approfittando del suo stato di necessità.
Schiavi, più che impiegati, alle dipendenze di molti albergatori e ristoratori senza troppi scrupoli.
È questa la storia di due lavoratrici tra i tanti, Maurizia e Antonella i loro nomi, che dopo un solo mese di superlavoro non pagato hanno avuto il coraggio di lamentarsi con chi le sfruttava e sono state cacciate seduta stante dall’hotel dove lavoravano senza possibilità di scampo, dovendo persino riparare per la notte nei locali di una associazione di volontariato ed ora la loro lamentela è diventata una forte denuncia.
A seguito di situazioni simili, non sempre denunciate e non sempre facili da segnalare, anche nell’industria del turismo gli operatori specializzati preferiscono ormai rivolgersi all’estero, dove un minimo di legalità e dignità dell’uomo sono ancora rispettate e la storia delle due coraggiose è così solo la punta dell’iceberg che sta cominciando ad emergere.
Se in altri settori lo sfruttamento sommerso è di più facile emersione per la complicità di una maggior concentrazione di persone in un’unica impresa che favorisce la solidarietà, nell’industria alberghiera e della manutenzione di stabili ed appartamenti i piccolissimi gruppi di lavoro di singoli operatori lo rendono incontrollabile ed elevatissimo ed è spesso frenato solo dall’etica dei datori di lavoro, che non essendo un requisito obbligatorio è maggiormente presente dove, spesso per ragioni culturali, la pratica dello sfruttamento del lavoro non è solo un divieto legale ma è mal vista nella società civile e pertanto meno praticata.
Così se gli italiani di oggi rifiutano alcuni tipi di lavoro, specie nella mautenzione e pulizia degli immobili, forse non è solo perché, per parafrasare una nota ministra, sono choosy (schizzinosi), ma anche  soprattutto perché i lavori cosiddetti “umili” o meno qualificati sono anche i più sfruttati e sottopagati.
Le lamentele denunciate da Maurizia e Antonella sono ben conosciute agli uffici vertenze sindacali, si tratta generalmente della mancata fruizione giorno libero, delle ore di straordinario non retribuite e che spesso arrivano a pareggiare le ore di lavoro minando la salute e dimezzando di fatto la paga rispetto al pattuito, della mancata assegnazione di un alloggio temporaneo, che aumenta i costi di soggiorno che dovrebbero, invece, essere inclusi nel contratto di servizio, del demansionamento di fatto, con l’assegnazione di compiti “accessori” di pulizia, facchinaggio e quant’altro non dovuti e non inclusi nel contratto, e della frequente nocività dei luoghi di lavoro della quale non si può discutere pena l’immediato licenziamento.
Ma se il lavoro non fosse così sfruttato ed i contratti di lavoro fossero dignitosi, quanti italiani sarebbero oggi contenti anche solo di poter pulire le latrine?
Purtroppo la dignità del lavoro, qualsiasi esso sia, non è più considerata nemmeno un optional e non solo in certe umili professioni, è emblematico il caso del lavoratore costretto ad urinarsi addosso alla FIAT di Chieti e se Maurizia e Antonella, impiegate per la stagione estiva sulla riviera romagnola, hanno avuto il coraggio di denunciare lo sfruttamento affrontando il licenziamento, centinaia di migliaia, e forse ancor più, di lavoratori, non lo fanno per non perdere anche quelle poche risorse che hanno faticosamente raggiunto.
Non c’è nessun Welfare, nessun diritto di cittadinanza che porti un colore della pelle od una nazionalità, quello che oggi subisce uno qualsiasi di noi lo subiremo domani tutti noi: negli anni ’70 andava di moda pensare che fosse normale pagare un lavoratore od una lavoratrice filippina di meno, ancorché, in quegli anni, in regola con le tasse, oggi ci lamentiamo dei cervelli in fuga, questi non sono altro che il risultato del generale disinteresse a quello che “succede agli altri”.
Non sono religioso, ma credo nell’etica della reciprocità come valore morale fondamentale e se il celebre rabbino Hillel, vissuto molto prima di Cristo lo aveva già capito e scriveva «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia.», forse dovremmo interrogarci su quanto più socialismo ci sia nella religione rispetto a quanto oggi è riposto nella democrazia costituzionale degli stati, il nostro compreso.
Platone, ancor prima, sosteneva che «Una delle punizioni che ti spettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori», se la pensiamo ancora come lui dovremmo riflettere molto attentamente sul continuare a scandalizzarci per quanto succede ad “altri” senza che “noi” si muova un dito.
Se davvero vogliamo che i cervelli, e tutto il resto dei loro corpi, restino a casa nostra dovremmo cominciare a pensare di più in modo sociale, collettivo e lungimirante.
Il nostro futuro è già nel nostro oggi.

ALITALIA È PRONTA PER IL BANCHETTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo avevano già annunciato nella riunione con i sindacati del  27 luglio scorso e tre giorni dopo lo hanno reso ufficiale: i tre commissari straordinari incaricati dal governo hanno emesso il bando definitivo per la vendita di Alitalia SAI e Cityliner, confermando il termine per la presentazione delle offerte vincolanti per il prossimo 2 ottobre.
Nel bando, articolato e circostanziato, si evidenzia la previsione di priorità per le offerte che garantiscano l’unicità aziendale, senza, però disdegnare la vendita della compagnia a pezzi che possano essere acquisiti da soggetti diversi e, secondo alcuni sindacati, la sorpresa nello spezzettamento sarebbe la previsione di scorporo del settore dell’handling, unico settore che anche nel corso delle gestioni da essi criticate produceva ricavi interessanti e che in conseguenza di ciò potrebbe ora essere venduto a parte, confermando le preoccupazioni di come la vendita possa diventare la spartizione delle spoglie di Alitalia a tutto vantaggio di competitori che potrebbero strappare alla nazione parti importanti di un mercato ricco come quello del trasporto aereo italiano.
Pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, viene contestato che “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”.
Francesco Staccioli, Segretario Nazionale del Sindacato di base USB Trasporto Aereo, a proposito dello spacchettamento aziendale dichiara: “Per USB è inaccettabile persino l’ipotesi dello scorporo dell’Handling. Continuiamo a chiedere il blocco della svendita di Alitalia e pretendere che il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia. Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Al di là di altre possibili considerazioni, è ormai di dominio pubblico che la vicenda Alitalia nascondeva grandi limiti nella gestione della compagnia e che il problema non era il suo costo di gestione, in linea e talvolta inferiore a quello del mercato e dei concorrenti, ma, semmai risiedeva nell’ottimizzazione dell’organizzazione ed nella necessità di una strategia di miglioramento dei ricavi fino ad ora assente, quindi la scelta di vendere, o svendere, a pezzi la compagnia, tradizionalmente di bandiera e fiore all’occhiello dell’immagine italiana nel mondo, si fa davvero incomprensibile se non si pensi a realizzare a tutti i costi il realizzabile, senza tener conto del mercato del lavoro e del possibile impatto futuro sull’economia nazionale.
La pratica degli ultimi decenni ha evidenziato come ad ogni ristrutturazione, cessione, vendita, siano seguiti problemi occupazionali: il nuovo acquirente sistematicamente taglia i costi del personale ed ottimizza le spese anche comprimendone i diritti, producendo un amento della disoccupazione e vessando i lavoratori.
È questo il destino previsto per Alitalia?
Hanno sbagliato i dipendenti che a maggioranza assoluta hanno rifiutato ieri 2000 esuberi su 12000 dipendenti per doverne affrontare forse un numero maggiore in altre compagnie per effetto della vendita all’asta?
Inoltre, che tipo di reale danno sociale può provocare questa operazione?
L’emersione del reale stato di salute economica di Alitalia ha evidenziato come la compagnia fosse sana, come il personale non avesse alcuna colpa del suo dissesto economico e come le sue potenzialità fossero da sempre elevate, sarebbe ora sufficiente continuare a considerarla un “patrimonio nazionale” da difendere per poterla in breve tempo far ripartire.
In altri stati si operano scelte diverse a tutela del mercato interno del lavoro, in Francia, il leader considerato più liberista dell’Unione, pensa a statalizzare dei cantieri navali perché patrimonio indiscusso dello stato e scalzando persino il governo italiano che vuole investire in essi; in Germania è legge l’obbligatorietà della “cogestione” persino nelle aziende private, che realizza una partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili migliorandone la competitività e l’efficienza; in Italia, invece, abbiamo ceduto, e continuiamo a farlo, grandi parti di aziende strategiche nazionali che, in qualche caso producevano, ed ancora producono, risultati importanti, come ENAV che realizza ogni anno oltre 70 milioni di euro netti di utile consolidato, vicini al 10% del suo fatturato e che sono persi per sempre.
Forse dovremmo cominciare a ripensare al mercato interno del lavoro come un bene da tutelare e non come un valore da svendere, forse dovremmo cominciare ad attuare la nostra Costituzione repubblicana, prima di pensare a smantellarla, forse dovremmo riflettere sul valore delle ultime tre parole della prima frase della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

STAVOLTA HAI TOPPATO ALLA GRANDE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Enrico Mentana carissimo, di solito mi piaci molto, però stavolta hai toppato alla grande.
Da giornalista ti sarebbe bastato leggere la prima ANSA del mattino per capire che dei lavoratori in procinto di essere licenziati, con la complicità di una legge che impedisce loro di scioperare persino quando perdono il posto, erano così disperati, arrabbiati e stressati da mesi di appelli caduti nel vuoto e nel silenzio stampa, che non hanno trovato di meglio che fare la “guerra tra poveri”, vale a dire impedire in modo estemporaneo a chi era stato assunto con meno diritti e meno stipendio di loro, all’unico scopo di “rubare” il loro posto di lavoro, di sostituirli.
Era il primo agosto?
Che ci vuoi fare, l’azienda ha scelto bene la data per metterli sul lastrico: quando quelli come te devono andare in vacanza e se ne fregano dei portabagagli, troppo umili e lontano dai ricchi vacanzieri…
Qualcuno è partito in ritardo per le vacanze e qualcuno, per quello che ha fatto, verrà sanzionato duramente, perderà il posto di lavoro e si troverà una multa salata per aver cercato di difenderlo.
Caro Enrico Mentana, se sei davvero sensibile ai problemi della gente, se davvero tieni alla repubblica fondata sul lavoro, rettifica, chiedi scusa e licenzia chi ti ha consigliato male, fossi anche tu stesso.
Chi è conosciuto e famoso come te provoca grandi benefici, ma può fare anche gravi danni, a te non costa nulla, anzi, ammettere i propri errori ti rende più grande e forti di tutti quegli stupidi che non sanno farlo.
Io sto con chi difende il proprio posto di lavoro, io sto con chi, per farlo, infrange le “regole” volute da chi non vuole essere disturbato mentre schiaccia i diritti degli altri e rovina le loro vite.
Fallo anche tu, stai con noi.
http://www.rds.it/podcast/100-secondi-con-mentana-01-08-2017-1057-01-08-20171057/

 

SCANDALOSO. LICENZIANO PER RIASSUMERE CON SALARI PIÙ BASSI. SCIOPERO A MALPENSA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal nostro inviato a Malpensa

É in corso dalle 5 di questa mattina uno sciopero spontaneo dei lavoratori del trasporto bagagli di Linate e Malpensa dopo le ultime inutili proteste dei lavoratori contro il sistema di subappalti che si vorrebbe diffondere negli scali italiani, licenziando personale dalla aziende concessionarie per poi riassumerlo decimato e con salari insufficienti dai vincitori degli appalti, secondo i sindacati solo un modo per vessare e sfruttare i lavoratori senza una reale necessità di risparmio.

Nei giorni scorsi le proteste dei sindacati avevano avuto voce quasi unanime, FILT FIF UILT FLAI USB CUB ADL avevano diramato un comunicato contro questo sistema dannoso per il lavoro e per la dignità dei lavoratori senza essere stati ascoltati e, complice la franchigia imposta dalle autorità dello stato in materia di scioperi, le aziende stavano procedendo alla sostituzione del personale con le nuove imprese appaltanti contando sulla “pace sociale” da questa ingenerata a loro favore.

I lavoratori, invece, hanno deciso di infrangere questa assurda regola che permette alle aziende di vessare il personale ed ai lavoratori di protestare riunendosi in assemblea proprio nei luoghi di lavoro e bloccando così le operazioni di carico e scarico dei bagagli nel primo giorno di lavoro delle nuove cooperative.

I viaggiatori hanno da subito riportato sul web «Migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate».

Secondo i sindacati l’agitazione sarebbe la mancata risposta da parte delle istituzioni dopo l’incontro svoltosi ieri in prefettura a Varese per l’ingresso della cooperativa Alpina che dovrebbe iniziare a operare in subappalto per contri di Ags.

I viaggiatori sono scatenati sui social, fin dalle prime ore del mattino scrivono su Twitter «1 agosto, sciopero a Linate e Malpensa. Ma che bel vivere», «Linate, agitazione spontanea del personale aeroportuale. Bravi, proprio bravi», «A Linate ore di attesa, migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate per “sciopero spontaneo” addetti ai bagagli».

Luca Pistoia, Rappresentante Sindacale USB che si trova sul posto dichiara che si è trattato di un “Grande risultato dei lavoratori degli handlers di Malpensa e Linate contro l’entrata delle cooperative, a fronte della mobilitazione di tutti i lavoratori che hanno di fatto bloccato gli aeroporti è stato emanato un provvedimento da ENAC che sospende in modo temporale il loro accesso”

Ora, ottenuto il primo provvedimento, il braccio di ferro continuerà nelle sedi istituzionali per difendere il lavoro di tutti, non si tratta di una “guerra tra poveri”, lavoratori contro e passeggeri in ostaggio, si tratta di una lotta per la dignità del lavoro oggi troppo spesso osteggiata da regole contro lo sciopero e contro i diritti che stanno minando i fondamento della nostra repubblica “fondata sul lavoro”.

Intorno alle 8,30 Milan Airports ha scritto che «Causa agitazione sindacale spontanea del personale di terra si stanno verificando disservizi e ritardi su Malpensa. Seguiranno aggiornamenti», i sindacati, per ora dichiarano che la protesta, che va avanti dal mese di Maggio, proseguirà unitaria fino a che l’azienda non recederà dalle sue intenzioni, per la salvaguardia della dignità e delle tutele dei lavoratori di Linate e Malpensa, a tal proposito Luca Pistoia di USB dichiara: “L’ingresso delle cooperative nell’unico servizio in cui sono ancora assenti, quello di Handling, significherà, come ben sanno i lavoratori, l’abbassamento delle condizioni di lavoro e la frantumazione dei diritti, per questo la protesta unitaria di tutti i sindacati del comparto proseguirà fino a che non verranno accolte per intero le richieste dei lavoratori: fuori le cooperative dal Comparto Handling”.