PENSIONE MINIMA PER LA NUOVA GENERAZIONE PERDUTA

DI IMMACOLATA LEONE

 

C’era una volta una vita, con un lavoro anche umile, ma pulito e pagato, una vita vissuta e sopravvissuta, con speranze, sogni e illusioni, fino ad arrivare alla tanto agognata pensione, quella vera però, quella che ti dava la dignità di vivere anche da anziano dopo una vita di sacrifici.
Oggi i sessantacinquenni sono sempre di più, con una pensione bassa che rasenta il ridicolo, che fanno rinunce disumane e con un numero imprecisato di figli e nipoti che si appoggiano ad essa.

L’imbuto del’INPS fa acqua da tutte le parti, il cambio del sistema retributivo a quello contributivo ha abbassato ancora di più le pensioni, le riforme su riforme non hanno trovato nulla di nuovo se non la genialata di allungare l’età pensionabile.
I lavoratori di oggi, soprattutto i precari, coloro che conoscono solo “per sentito dire” un lavoro stabile, vivono nel limbo dell’attesa rassegnata di qualcosa di concreto dallo Stato, che nulla fa e poco pensa per far fronte a questa metastasi epocale.

In questo quadro si inserisce la “succosa” notizia che il ministro Giuliano Poletti, seduto in contemplativa, sta pensando ad un generoso assegno minimo di 650 euro per i giovani di oggi, futuri pensionati.
Con il sistema odierno i giovani raggiungeranno l’età pensionabile “solo nel caso abbiano maturato una pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale, circa 670 euro, l’idea è quella di abbassare questo tetto a 1,2 volte. Con un sistema di garanzia che assicuri in ogni caso un assegno mai inferiore ai 650 euro, indipendentemente dai contributi versati”.
Il pensiero va anche ai pensionandi di oggi, si deve abbassare la soglia di reddito indispensabile per il pensionamento anticipato, “cioè una volta raggiunti i contributi necessari e prima dell’età pensionabile standard, a 63 anni e 7 mesi. Attualmente è di 2,8 volte l’assegno sociale”.

Ovviamente non c’è fretta, la proposta non è proprio urgentissimma come sottolineato anche dal ministro Poletti: “Il tema è all’ordine del giorno, è in discussione e continueremo a discuterlo ma il problema non si configura domani mattina. Faremo altri incontri a settembre: il 5 sarà sarà un tavolo tematico sul lavoro, il 7 pensioni e donne e il tagliando sui provvedimenti già emessi (Ape sociale), poi la settimana successiva il 13 settembre”.
La Camusso, leader Cgil, facendo capolino dalle sue stanze, ha espresso la sua insoddisfazione su un tema che non tiene conto delle aspettative di vita dei pensionandi.

A parte il chiacchiericcio continuo delle parti, che a voler essere cinici uno stipendio garantito ce l’hanno, il problema è serio.
Il sistema pensionistico si basa su due pilastri fondamentali, cioè il versamento di un contributo mensile obbligatorio lavoratore-azienda calcolato come una percentuale sul reddito imponibile e la erogazione di un assegno solo dopo aver versato per almeno 43 anni e averne 63 di età.
Ovviamente piu è alto lo stipendio, quindi il reddito imponibile, e più è alta la contribuzione nel “montante contributivo”.
Questo sistema è per coloro i quali abbiano la fortuna di avere il famoso posto fisso, scatti di anzianità e gli adeguamenti salariali periodici.

Per i figli della diseguaglianza generazionale, dei voucher, dei contratti a tempo determinato, il discorso cambia, loro avranno lavorato di più, ammazzandosi con tre lavori al giorno, ma si ritroveranno con una manciata di contributi versati ed una pensione miserabile.
Lavorato di più, guadagnato meno dei genitori e con un finale ignobile.
Secondo il Fondo monetario internazionale in Italia si guadagna meno di 20 anni fa. Certo che se la discontinuità comporta che prima dei 70 anni non si raggiunge il minimo numero di anni contributivi e i salari sono bassi, la pensione arriverà quando sarai una cariatide o magari muori prima e il problema si è risolto da sè.

Ma che senso ha pensare alle pensioni tra 30/40 anni quando è la disoccupazione oggi, giovanile e non, il vero problema?
E’ troppo complicato riuscire a garantire un lavoro continuativo con paghe oneste e dignitose ai “giovani”?

E’ così difficile ridurre il carico fiscale e contributivo di imprese e lavoratori?
Creare iniziative che facilitino l’incontro tra il capitale umano in uscita dal sistema dell’istruzione e le effettive necessità del sistema economico?
Si, è difficile quando si ha un’economia sclerotica, il mercato del lavoro inerte, l’incertezza del diritto, l’ inaffidabilità dei governi, una mentalità gerontocratica dove i più anziani, anche se meno competenti, sono ancora considerati come più ‘sapienti’, una mentalità familistica/nepotistica, squilibri territoriali molto marcati, corruzione endemica, e una classe politica ed amministrativa corrotta, anacronistica, tecnicamente incompetente, interessata alla banale e semplice conservazione dei propri interessi privati.

Si, è proprio la politica nostrana che non ha considerazione dei suoi giovani, eppure ogni cambiamento , ogni trasformazione parte proprio da loro.
Li chiamano i millenials, sono nati in piena rivoluzione digitale, ma vivono durante la più grande crisi economica dalla Depressione degli anni ’30.

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