IGNAZIO VISCO. LA RICONFERMA DEL MANDATO E L’AUDIZIONE ALLA COMMISSIONE BANCHE

DI VIRGINIA MURRU

E’ arrivata nei giorni scorsi la fumata bianca del Consiglio dei Ministri per la riconferma dell’incarico di Ignazio Visco a Governatore di Bankitalia, il cui primo mandato è in scadenza il 31 ottobre.

Nonostante l’’ostruzionismo’ esercitato dall’ex premier Matteo Renzi, e i quattro ministri assenti alla riunione di Governo, il Consiglio ha approvato la delibera all’unanimità, riproponendo, tra uno sciame di polemiche, il Governatore uscente.

Si è trattato di una ‘seduta lampo’, durata una ventina di minuti.
Ma i rumors, in questo gioco di veti incrociati, non sono mancati, la riconferma di Visco si è portata dietro un’autentica bufera, la scadenza del mandato peraltro coincide con le imminenti prossime elezioni politiche, non c’era molto tempo per il Governo, si è trattato in primis di considerazioni che mettono al centro la ‘continuità per garantire la stabilità’, in un momento in cui il premier Paolo Gentiloni, è impegnato su diversi fronti, non ultimo i rapporti con le Istituzioni europee, che hanno già chiesto spiegazioni sulla Legge di bilancio 2018.

E poi c’è il giro di boa che attende l’esecutivo con la scadenza della legislatura, ormai alle porte, il clima di campagna elettorale è già iniziato, fervono ‘i preparativi’ per il cambio di guardia a Palazzo Chigi, e ovviamente del Parlamento.
Non c’erano poi molti candidati che presentassero credenziali migliori di Ignazio Visco per ricoprire un ruolo certamente prestigioso, ma piuttosto delicato, ed esposto a tutti i venti della polemica in ambito politico.

Renzi proprio aveva ‘in uggia’ il Governatore, e non ne ha fatto mistero, ha espresso in modo chiaro la sua posizione e le riserve sulla riconferma alla guida di Palazzo Koch.
Alla riunione del Cdm, che doveva esprimersi sulla ricandidatura di Visco, mancava, e non a caso, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, oltre al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, alle Politiche Agricole Maurizio Martina, allo Sport Luca Lotti. Un drappello che, con motivazioni varie, ha giustificato la sua assenza nella particolare circostanza.

Dopo la delibera del Governo, sul candidato idoneo a diventare il prossimo Governatore della Banca d’italia, i dubbi sulla riconferma di Visco sono stati praticamente spazzati via. C’era anche il parere favorevole del Consiglio Superiore della Banca d’Italia, a questo punto Renzi stesso ha capito di non avere alcuna chance sul veto alla nomina, sarebbe stato del resto come giocare con i mulini a vento.

Gentiloni ha esitato a lungo prima di risolversi ad esprimere parere favorevole, ha certamente ascoltato le ragioni di Renzi e dei ministri che hanno optato per una defezione celata da impegni vari, ma poi ha scelto la linea del buon senso. Sull’assenza dei 4 ministri è arrivata puntuale la disapprovazione di Franceschini, Roberta Pinotti, Marco Minniti, Andrea Orlando.

Disappunto seguito al vespaio di reazioni suscitate dalla mozione parlamentare, dove Matteo Renzi non si è esposto, ma la fonte era evidente, visto che esprimeva riserve sull’operato di Visco, sul modo in cui ha gestito le emergenze del sistema bancario, che Renzi, in più di un’occasione, ha definito “gestione disastrosa”.

Chi forse non ha dubitato sulla riconferma del Governatore di Bankitalia, è Mario Draghi, Presidente in carica della Bce, e sponsor convinto di Visco. Sembrava chiaro già il 31 maggio scorso, quando, nel corso della lettura delle ‘Considerazioni finali’ (da parte di Visco), Draghi era seduto in prima fila a Palazzo Coch, tra Mario Monti e Rosy Bindi; non lo si era più visto circolare in Via Nazionale, da quando aveva lasciato la Banca d’italia per la presidenza dell’Eurotower.

In quelle considerazioni finali, del resto c’erano temi scottanti, come i dossier sulle banche venete, il dialogo difficile con le istituzioni europee, Monte dei Paschi di Siena da salvare con intervento pubblico, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul credito, il settore bancario in crisi, nonostante Ignazio Visco si ostinasse a definirlo ‘solido’.

I giudizi poco lusinghieri su Visco sono stati tanti, non è stata denigratoria solo la critica mossagli dall’ex premier Renzi, anche Vittorio Feltri è stato drastico e irriverente: ‘Visco piace ai politici perché è un inetto..’

E’ indubbio che una nebbia fitta abbia circondato il comparto bancario italiano, uno dei più colpiti dalla crisi in ambito europeo. Bankitalia non è stata immune da critiche negli ultimi anni, i politici hanno espresso sospetti soprattutto sulla vigilanza che la Banca Centrale avrebbe dovuto esercitare nei confronti degli istituti che sono finiti in default.

Non sono esattamente cieli tersi quelli che attendono Ignazio Visco; tra alcune settimane dovrà affrontare la Commissione d’inchiesta sulle banche, gli esponenti politici che ne fanno parte gli chiederanno conto del suo operato negli ultimi anni, in particolare del ruolo che ha avuto nel crack delle banche venete, di Monte dei Paschi..

Di certo, per ora, c’è che Ignazio Visco, economista, ricoprirà il ruolo di Governatore di Bankitalia per altri 6 anni, era in carica dal 1° novembre del 2011.
Con il decreto di nomina firmato dal Presidente Sergio Mattarella, il rinnovo dell’incarico a Visco è ormai ufficiale. Lo aspettano impegni ‘roventi’, Bankitalia dovrà mostrarsi più convincente davanti al mondo politico, risolvere l’annoso problema dei Npl, emergenza tutt’altro che alle spalle, e il Fondo speculativo americano Cerberus, lo sa bene.

Bankitalia ha sempre rassicurato al riguardo, ma ora ci saranno più obiettivi puntati su Palazzo Koch, e se tutti i mali non vengono per nuocere, scuoterne le fondamenta, con qualche benevolo siluro, non sarà stato propriamente un male, se servirà a portare maggiore efficienza e ad esercitare una più accorta vigilanza sugli istituti di credito. Ignazio Visco, naturalmente, difenderà nelle sedi opportune i suoi 6 anni di mandato, portando davanti alla Commissione banche, quando sarà chiesta la sua audizione, tutta la documentazione necessaria.

Non mancherà di sottolineare i meriti, la riforma delle Popolari, per esempio, scritta proprio tra le mura di Palazzo Koch, oltre al nuovo assetto che assumeranno le Bcc (Banche di Credito Cooperativo), tutte iniziative, comunque, da condividere con l’ex premier Matteo Renzi, che peraltro ne rivendica la ‘paternità’.

Se la strategia di Renzi, in un clima pre-elettorale, era rivolta all’incasso di consensi, il tiro al bersaglio su Bankitalia potrebbe rivelarsi un mezzo boomerang, Ignazio Visco non è personaggio facile da incastrare, troverà il modo di disimpegnarsi dai sospetti e le accuse davanti alla Commissione.

Intanto ci sono buone nuove per i dipendenti della Banca d’Italia, che sono circa 7 mila. Pochi giorni fa il dipartimento risorse umane- divisione e avanzamenti, ha inviato una circolare ad una parte del personale (che svolge ruoli di responsabilità), dove si comunicano i ‘passaggi di livello economico 2017’.
L’avanzamento di livello (nonché trattamento economico), riguarda circa 1.700 dipendenti.

CONFERENZA STAMPA DI MARIO DRAGHI A FRANCOFORTE: DICHIARAZIONI IN LINEA CON LE ASPETTATIVE

DI VIRGINIA MURRU
Nessuna dichiarazione a sorpresa nella conferenza stampa del presidente della Bce, Mario Draghi, ha comunicato quello che il mondo dell’Economia e della Finanza si aspettava, in linea anche con le previsioni espresse da un gruppo di analisti consultato in un sondaggio da Bloomberg una decina di giorni fa.
Draghi, con la consueta espressione calma, ha confermato le attese, ossia che le misure di politica monetaria subiranno delle variazioni a partire da gennaio 2018, con una riduzione di acquisti di asset pari alla metà di quello attualmente in corso: 30 mld di euro al mese fino a settembre prossimo.
Non sono le economie dell’area euro che si adeguano alle strategie di politica monetaria decise dal board della Bce, ma al contrario, è la Banca Centrale Europea che prende le sue risoluzioni secondo gli assetti e le esigenze dell’Eurosistema.
E’ naturale che le risposte, in un clima d’interdipendenza, debbano essere quelle più affini alle necessità del sistema, e chi sta al timone di una struttura complessa come la Bce, può scegliere rotte di breve e medio termine, considerate le variabili, i condizionamenti e i riflessi di un fenomeno come la globalizzazione, che rende il contesto internazionale piuttosto volatile, e per questo non si può prescindere.
Ed è una delle ragioni della cautela del Governatore dell’Eurotower, il ruolo della Banca centrale è quello di camminare a fianco delle economie che tutela, come un’ombra discreta, seguirne gli orientamenti, le ascese e soprattutto le scivolate. Draghi ha affermato, nella conferenza tenutasi in data odierna, che l’accomodamento monetario è ancora necessario,  nessuno del resto dubitava del fatto che un intervento d’interruzione drastico non facesse parte della programmazione e delle scelte del board.
Uno dei giornalisti presenti in aula ha chiesto al Presidente se le delibere del Consiglio Direttivo sono state approvate in modo unanime, e Mario Draghi ha risposto che su alcuni temi ‘il consensus’ è stato pieno, su altri l’intesa è avventa a grande maggioranza. Il Consiglio ha concordato sulla necessità di allentare il Qe e di allungare il programma di stimolo monetario, anche in vista di un maggiore controllo sul tasso d’inflazione.
“Il programma di accomodamento monetario – ha spiegato il Presidente della Bce – si rende ancora necessario, sarà portato a 30 mld al mese a partire da gennaio prossimo fino a settembre, ma potrebbe andare oltre ed è suscettibile di variazioni, anche d’essere incrementato qualora il caso ricorresse.”
Si sta dunque in un clima d’attesa, la politica monetaria non convenzionale, ossia quella relativa ai tassi, sarà invariata, i tassi dunque resteranno a 0, mentre un ulteriore rallentamento del Qe, è comunque un buon segno, significa che l’economia europea si è allontanata dai semafori rossi della crisi esplosa nel 2007, una delle più grandi e difficili che siano state affrontate da un secolo a questa parte. Le conferme vengono dai numeri e da tutte le analisi degli specialisti che monitorano l’andamento dell’economia dei singoli Stati e in generale dell’Unione europea.
Draghi ha precisato che le scelte della Bce non possono essere messe in una linea di simmetria con quelle di altre Banche centrali, dato che gli scenari sono diversi, e di conseguenza anche le strategie adottate.
I mercati finanziari intanto hanno espresso ‘apprezzamento’ verso le scelte dell’Eurotower, sì dunque alla stretta del Qe, ma in modo graduale, non traumatico, i mercati del resto reagiscono negativamente alle virate d’impulso che non risultino ponderate per il sistema.
Per questo le Borse europee hanno chiuso in positivo, sono messaggi chiari, risposte senza urti. Invece pare ne abbia risentito il confronto euro/dollaro, sceso, a un’ora di distanza dal discorso di Draghi, a 1,175. Il mese scorso il rapporto più marcato a favore dell’euro, si era superato l’1,20. Lo spread tra Btp e bund tedeschi è sceso a 152 punti base.
“I tassi – ha precisato Mario Draghi – saranno mantenuti bassi anche oltre il programma di acquisto di attività nel mercato”. E ha aggiunto: “Le riforme strutturali devono essere incentivate, per la tenuta del sistema, sono stati creati 7 milioni di posti di lavoro in 4 anni, e questo è dovuto alla ‘forza e tenuta dell’economia’, ma è necessario un consolidamento che offra più sicurezza.”
Uno degli obiettivi del Consiglio Direttivo della Bce, è quello di agganciare il target relativo al tasso d’inflazione, ancora distante da quel sospirato 2% al quale si mira.
Nel suo intervento, Vitor Constancio, il vicepresidente, ha spiegato che sono previsti degli accantonamenti per i Npl, ossia i crediti deteriorati, questo consentirà agli istituti di credito di migliorare la gestione dei finanziamenti, e di bypassare il problema delle sofferenze bancarie.
Terminato il discorso di Mario Draghi, si è dato spazio alle domande dei giornalisti presenti a Francoforte per assistere alla Conferenza stampa.

IL TRENO (DEL) BOMBA

DI PIERLUIGI PENNATI

C’è un treno che circola da qualche giorno con “Destinazione Italia”, si tratta di un treno a bordo del quale Matteo Renzi, detto da giovanissimo il Bomba, ha pianificato un giro d’Italia per sostenere la sua campagna elettorale.

Dopo pullman, roulotte, motorini ed altri mezzi, cosa ci sarà mai di strano nell’usare un treno?

Nulla, la stranezza risiede nel fatto che si tratti di un treno fantasma, o quasi, infatti nessun organo di stampa ufficiale o sovvenzionato dallo stato ne parla, se non liquidando la cosa con frasi di repertorio, le “grandi” ed affidabili testate si limitano ad informazioni su come è dipinto il treno e la data di partenza da Roma, il 17 ottobre, nessun programma, nessuna data di arrivo e località toccate, nessuna informazione precisa, nulla.

Solo ANSA, in modo davvero ardito, parlando della tappa di Reggio Calabria del 24 ottobre, si spinge ad un “Fuori dalla stazione c’erano ad attenderlo sostenitori, ma anche un gruppetto di contestatori di Fratelli d’Italia e vigili del fuoco precari”.

Sono invece i blog personali e la piccola stampa indipendente che riportano numerosi video e notizie di contestazioni accese, Imola Oggi, sulla stessa notizia di ANSA titola: “Matteo Renzi in fuga dalla stazione di Reggio Calabria. Non ha salutato neanche gli amici del Pd che lo stavano aspettando”; YouReporter, il giornale fatto dagli utenti, mostra video con insulti e risse all’arrivo del convoglio sia a Reggio che in altre stazioni, persone apparentemente normali, non gruppi organizzati, cittadini sparsi che accorrono alla stazione solo per poter insultare Renzi al suo arrivo in treno.

Anche Libero non è tenero e titola “Matteo Renzi, Destinazione Italia: a ogni tappa del suo tour in treno piovono insulti”, nell’articolo si sostiene che sia stata una “Pessima scelta, quella del tour su rotaia. Già, perché come detto, ogni volta che mette piede giù dal convoglio si scatena una gazzarra disumana: l’ex premier, non lo vuole nessuno.”

Ma questa è solo la realtà della cronaca, in verità non si tratta solo della scelta del mezzo, il treno, si tratta di troppe promesse già non mantenute e di troppi provvedimenti assunti dal governo in antitesi con quella “giustizia sociale” proprio dallo stesso Renzi invocata durante le primarie del suo partito e poi dimenticata in fretta una volta preso il potere.

Il Fatto Quotidiano, più accanito, scopre persino che nessuno sa bene dove il treno andrà e si fermerà: “Pd, il treno di Renzi viaggia in incognito: per evitare proteste e insulti a ogni fermata si cancellano programma e date”, “insulti e proteste nelle stazioni lo staff cambia programma e decide di non divulgare più le tappe, sottraendo il segretario alle imboscate di chi non gradisce la sua passerella lungo i binari. Neppure l’organizzazione del Pd sa dove e quando ferma il treno. E passa la palla alle Fs, che a sua volta la ripassano al partito”.

Un flop enorme, dettato dalle politiche del primo governo Renzi e del secondo Gentiloni che, fingendo indipendenza, cerca di limitare i danni fatti fino ad ora e lavare la faccia di un partito che, dopo la colonizzazione di chi è stato “educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini”, ex Deputato Costituente e segretario DC, e la fuoriuscita degli esponenti storici del partito quando era ancora di sinistra, nella sua sigla ha ancora PD, ma più che Partito Democratico sembra indicare Poltrone e Divani, quelle poltrone e divani che nonostante il sempre più ampio dissenso si vorrebbero ora mantenere superando le prossime elezioni.

Ma che sia con il Rosatellum od un’altra legge elettorale, andremo finalmente al voto, un giorno, ed in quel momento il voto utile degli italiani sarà il voto espresso.

L’astensionismo degli ultimi decenni ha portato all’attuale situazione, quindi se davvero in Italia vogliamo cambiare facciamo una cosa utile, andiamo tutti a votare.

Qualunque esso sia è solo con un voto ampio e partecipato che si potranno stabilire di nuovo delle vere maggioranze in grado di cambiare in meglio il nostro paese: l’astensione è amica dei regimi totalitari, la partecipazione della democrazia e della libertà.

ALITALIA. IL FONDO USA CERBERUS FA UN’OFFERTA FUORI TEMPO, IL NO DEI COMMISSARI

DI VIRGINIA MURRU

 

La manifestazione d’interesse espressa alcuni mesi fa dal Fondo Cerberus Capital Management verso il vettore italiano non è sufficiente se non si è poi concretizzato l’intento attraverso un’offerta vincolante nei termini stabiliti (16 ottobre).

Ne parla anche il Financial Times con un articolo circostanziato, il Fondo Usa (operante fondi di investimento, ossia private equity), rileverebbe tutta la compagnia italiana, non in parti o lotti, come invece hanno proposto le due blasonate compagnie europee, Lufthansa e Easy-Jet.

Peccato però che le pretese di Cerberus, di aggiudicarsi l’acquisto in toto del gruppo italiano, siano quelle di scavalcare le regole, e anche i vettori che hanno presentato un’offerta secondo i termini e i criteri stabiliti dal bando di gara.
Si legge sul quotidiano di Finanza britannico:

“Cerberus opted not to submit its own binding offer because it considered the terms of the public tender too restrictive”. (Cerberus ha deciso di non trasmettere la propria offerta vincolante perché ha ritenuto che i termini relativi all’asta fossero troppo restrittivi).

E’ vero che il Fondo Usa avrebbe avuto dei contatti con i commissari poco dopo la chiusura del bando ufficiale, e che li abbia informati circa l’intenzione di acquistare in blocco sia le attività di ‘aviation’ (di volo), che quelle di ‘handling’ (di terra), a condizione che la compagnia italiana fosse adeguatamente ristrutturata.

Ma ormai era fuori tempo, anche considerando il fatto che, il termine di scadenza per la presentazione delle offerte vincolanti, era stato prorogato di due settimane, ossia dal 2 di ottobre al 16. Niente da fare, il Fondo speculativo statunitense non può cambiare le carte in tavola, questa sembra sia stata la risposta per ovvie ragioni da parte dei commissari.

E’ verosimile che Cerberus abbia giocato d’azzardo considerando l’offerta di acquisto ‘relativa’ delle altre compagnie in gara, le quali, com’è noto, intendono rilevare solo gli asset più allettanti della compagnia tricolore.

Quand’anche fosse stato possibile accettare la proposta del Fondo speculativo americano, resta il fatto che, secondo la normativa europea, avrebbe potuto acquisire al massimo il 49%, non il controllo del vettore, trattandosi di un gruppo d’affari extra-europeo, norma ben nota alla compagnia di Abu Dhabi, Etihad, che aveva acquistato proprio una quota pari al 49% di Alitalia nel 2014.

Secondo l’articolo pubblicato dal Financial Times, le intenzioni del gruppo Cerberus sarebbero quelle di investire dai 100 ai 400 mln di euro per acquisire il controllo del business della compagni italiana, e sarebbe interessata anche a coinvolgere il Governo tramite una partecipazione azionaria, e perfino i sindacati (così sarebbero fuori dalle scatole.. Etihad si è spesso lamentata degli eccessivi scioperi), con i quali si potrebbero condividere gli utili.

I 150 manager di Cerberus si presentano ad Alitalia come dei salvatori, e fanno leva sull’orgoglio italiano, che vorrebbe evitare di ‘svendere’ la compagnia a ‘pezzi’, e infatti i tre Commissari straordinari hanno sempre sottolineato che avrebbero privilegiato le offerte che avessero mirato all’acquisto per intero di Alitalia.

Ma sono dei salvatori o dei corvi?

Di certo Cerberus figura tra i più rilevanti investitori speculativi di Wall Street. Attualmente, il Fondo americano, gestisce un patrimonio intorno ai 30 mld di dollari, dietro ai quali ci sono 150 manager espertissimi (nonché scaltri). Sono specializzati in cure drastiche di imprese che rischiano il default, si occupano del settore immobiliare, e di Npl, ossia di sofferenze bancarie. Si sono occupati anche della ristrutturazione di Air Canada.

In Italia è interessato ai prestiti in sofferenza, come si è accennato, attività in cui certamente è un’eccellenza. Ambisce, sempre in Italia, a rilevare i 10,3 mld di mutui e rate non riscosse delle Rev, le 4 banche italiane in default (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara), finite in amministrazione straordinaria. Ma avendo vista acuta ha già puntato la mira verso le sofferenze di Intesa Sanpaolo, Carige e Bpm.

DISORIENTAMENTO SU APE VOLONTARIA, RIESAME DELLE DOMANDE PER APE SOCIAL

DI VIRGINIA MURRU

 

Il 16 ottobre, l’Inps ha comunicato che le operazioni di verifica sull’idoneità delle domande di ‘riconoscimento delle condizioni di accesso ai benefici dell’Ape social’, o pensione anticipata per lavoratori precoci (la cui prima esperienza di lavoro è avvenuta prima dei 19 anni), si sono concluse regolarmente il 15 ottobre.

L’Ape Social riguarda categorie di lavoratori che hanno diritto a tutele specifiche prima del raggiungimento dei requisiti concernenti il pensionamento.
Tali diritti sono stati introdotti con la legge 11 dicembre 2016, n. 232, Legge di bilancio 2017.

L’Ente di previdenza precisa comunque che, secondo i “nuovi indirizzi interpretativi” espressi dal Ministero del Lavoro su alcune categorie di lavoratori, si ‘procederà al riesame delle istruttorie, e, nei casi in cui l’esito sarà ritenuto positivo, il risultato sarà trasmesso d’ufficio ai beneficiari interessati al provvedimento, la cui domanda, dopo il riesame, è stata accolta.”
Priorità e attenzione verso i lavoratori che sono più vicini alla pensione di vecchiaia.

Si legge nel comunicato stampa diffuso dall’Inps:

“L’Istituto ha provveduto all’invio agli interessati delle comunicazioni di avvenuta certificazione del diritto alle prestazioni in parola sulla base della maggiore prossimità al requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Si comunica, inoltre, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha inviato nuovi indirizzi interpretativi in merito alle istruttorie inerenti all’accesso ai benefici da parte dei richiedenti che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione, e da parte dei lavoratori dipendenti addetti ai lavori particolarmente difficoltosi e rischiosi.”

L’Ape social è un anticipo pensionistico che viene riconosciuto prima che sia maturata l’età pensionistica (di vecchiaia), ai soggetti che hanno presentato una regolare richiesta all’Inps.
Hanno presentato richiesta circa 66 mila persone, ma due su tre sono state respinte per cause diverse.

Eccesso di reiezioni per scarsità di risorse o per incompatibilità con i requisiti richiesti?

L’esame delle domande è stato rigorosissimo, tanto che il Direttore Generale dell’Istituto di Previdenza, Gabriella Di Michele, e il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, hanno pensato di riesaminare le domande per l’accesso all’Ape Social, le quali, con varie motivazioni, sono state respinte.

Una parte non è stata accettata a causa del particolare tipo di contratto che il richiedente aveva nel momento in cui è cessato il rapporto di lavoro. In questo ambito si sono riscontrate la maggior parte dei ‘vizi’ che hanno indotto i funzionari addetti all’esame delle domande, a respingerle.

Tante sono le istanze Ape Social ritenute non idonee, in quanto, pur essendo i soggetti richiedenti in regola con il requisito anagrafico e contributivo, l’ultima attività lavorativa riguarda un contratto a termine, a tempo determinato, oppure retribuito tramite voucher.

Le condizioni ritenute non compatibili con i requisiti, paradossalmente, hanno indotto l’Inps e il Ministero del Lavoro a richiedere più elasticità nei criteri di valutazione, il rigore è risultato veramente eccessivo. Già si sapeva che la Legge di bilancio è passata su sentieri stretti in termini di risorse, ma quando le richieste risultate in regola, e quindi accettate, sono anche inferiori alle somme stanziate, allora è necessario riprendere in mano le domande e analizzarle secondo criteri più flessibili.

E questo si sta tentando di fare, intervenendo sulla Legge di Bilancio. I sindacati sono già sul piede di guerra. Ma basterebbe dare uno sguardo ai risultati relativi all’esame delle pratiche, per capire che la procedura ha necessità d’essere formulata in maniera tale che risulti più ‘inclusiva’.
Sono state in definitiva respinte il 64,89% delle domande su Ape Social, ovvero 7 su dieci, perché non idonee. Secondo i dati pubblicati dall’Inps risulta che sono state presentate in tutto 39.700 domande, ne sono state accolte 13.600, e bocciate 25.890.

L’Inps stesso trova severa la procedura d’esame delle domande, e chiede pertanto che la valutazione per il riconoscimento del diritto all’Ape social, riguardi tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro, che si tratti di licenziamento o di rapporti a tempo determinato.

Intanto, nei giorni scorsi (il 19 ottobre), il Ministero del lavoro ha comunicato che la platea dei beneficiari di Ape Social o precoci, sarà allargata, con interventi sulla Legge di Bilancio, quest’ultima del resto è stata varata ‘salvo intese’. Il ministero ha altresì informato l’Inps della decisione di rivedere la normativa e di renderla più duttile, affinché sia possibile una più ampia inclusione di domande.

Nel testo del comunicato si legge:

“I dati resi noti oggi dall’INPS riguardo i risultati dell’esame delle domande di accesso all’Ape sociale e al pensionamento anticipato per i lavoratori precoci (ossia i soggetti che hanno iniziato a lavorare prima del compimento del diciannovesimo anno di età), sono riferiti all’esame effettuato dall’Istituto prima delle nuove indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro, in risposta alla richiesta di chiarimenti avanzata dall’Inps.

In quella risposta, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha confermato la volontà del Governo di favorire una piena utilizzazione delle due misure, fornendo indicazioni che permetteranno all’Istituto di applicarle in maniera pienamente coerente con le volontà espresse dal legislatore, anche rivedendo in autotutela le decisioni già assunte.”

Terminata la seconda valutazione, sarà il Ministero stesso ad effettuare un controllo obiettivo sui risultati, al fine di accertare che siano stati rispettati i nuovi requisiti di coerenza. Nella legge di bilancio, che ora prevede una più ampia platea di beneficiari, figurano lavoratrici con figli a carico e lavoratori disoccupati a causa della cessazione del rapporto di lavoro, dovuto a contratti a tempo determinato.

Secondo il Patronato Inca Cgil, si è partiti con una linea rigida di off limits da parte dell’Ente previdenziale, in netta divergenza con le intenzioni del legislatore, quando non in contrasto con la legge stessa. Ancora prima che gli esiti sull’esame Ape Social fossero diffusi, il Patronato ha messo in rilievo i motivi per cui, tante, troppe domande, sono state respinte.

Il requisito riguardante lo stato di disoccupazione, come già si è detto, è uno dei più penalizzanti, perché secondo questa logica, basta un solo giorno di lavoro retribuito con voucher, seguito ad un periodo di disoccupazione, per perdere il diritto all’Ape Social.

Perdono il diritto anche i lavoratori che sono stati licenziati senza ammortizzatori sociali privi dei requisiti, oppure perché non hanno inoltrato richiesta entro il termine stabilito. Infine i lavoratori che hanno svolto attività all’estero, con relativi contributi (l’Inps ritiene invece di avere esteso il diritto all’Ape a questa categoria di lavoratori).

Per il Patronato si tratta di una discriminazione che non può essere accettata. L’Inps si è ritrovata a mantenere un atteggiamento controverso: ha respinto le accuse dei sindacati, e allo stesso tempo ha ammesso, in sintonia col Ministero del Lavoro, che la selezione delle domande è stata troppo severa. Lo sdegno, peraltro legittimo di lavoratori e sindacati, un risultato lo ha raggiunto: un intervento al riguardo nella Legge di bilancio c’è stato, la platea degli aventi diritto è stata ampliata.

Non c’è molta chiarezza nemmeno nel versante degli anticipi pensionistici, su Ape volontaria si è dovuto attendere a lungo prima che il decreto attuativo fosse firmato. In ogni caso i lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti, non possono accedere all’anticipo pensionistico, dopo mesi di attesa per la firma del decreto, perché non ci sono ancora le convenzioni con l’Abi, nel settore bancario, e Ania, su quello assicurativo, con entrambe le Associazioni il governo non ha ancora fissato un accordo per le relative convenzioni.

Non sono stati determinati dunque i costi per avere accesso ai prestiti tramite banca, né quelli assicurativi tramite polizza, che prevedono la copertura dei rimborsi nel caso in cui il pensionato muoia prima di avere estinto il prestito.

La conseguenza più diretta di questo clima sospeso, è il disorientamento, non si conoscono le condizioni, i tassi, sul prestito, che avrebbe una durata ventennale con l’istituto di credito che finanzia l’anticipo pensionistico. Come del resto quelle riguardanti la polizza assicurativa, che coprirebbe i rimborsi nei casi estremi di scomparsa del pensionato.

Neppure l’Inps ha fornito istruzioni adeguate per la presentazione della regolare richiesta. C’è però la scadenza del 17 novembre, in quanto il decreto ha previsto che le convenzioni tra Abi, Ania e Ministero del Lavoro, siano fissate entro 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta.

Per ora il Governo ne ha preso atto nella Legge di bilancio 2018, prorogando di un anno i termini entro i quali sarà possibile inoltrare richiesta. Dunque non sarà più il 31 dicembre 2018, ma slitterà di un anno.

VOGLIO UN’ITALIA SOLA

DI PIERLUIGI PENNATI

Subisco passivamente un fiume di idiozie sui referendum della lega, possibile che esistano così tanti disinformati?

Luoghi comuni, battute, sciocchezze di ogni genere, nessuno che ammetta che per una volta la Lega, che non avrà comunque il mio voto, è riuscita a puntare il dito esattamente e legalmente sul problema.

Persino l’Europa lo ha scritto nel rapporto sull’Italia approvato settimana scorsa: alla nostra nazione servono più autonomie.

Ma già, “lo chiede l’Europa” vale solo quando fa comodo…

Comunque il problema lo conoscono tutti e tutti lo lamentano, dove finiscono i nostri soldi?

Gestioni più oculate permetterebbero maggior controllo, le autonomie, previste dalla nostra costituzione, sono un metodo, se ne esistono altri fatevi avanti, io sono per l’abolizione di tutte le autonomie o per l’istituzione di tutte quelle mancanti, perche la Sicilia si e la Lombardia no?

Siamo tutti italiani, voglio un’Italia sola e non tante italiette, uno stato, una legge.

IN ITALIA NON SI MUORE ABBASTANZA

DI PIERLUIGI PENNATI

Questa la frase attribuita al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e poi da lui smentita: “Gli italiani muoiono troppo tardi e ciò incide negativamente sui conti dell’Inps”.

La battuta sarebbe stata infelice e per molti verosimile, dato che mostra un ministro insensibile e cinico come sembrano essere gli amministratori negli ultimi tempi, ma la realtà è, se possibile, ancora più dura, infatti l’amministratore pubblico che fa quadrare i conti in modo coerente oggi è visto come colui che non tiene più conto di altri fattori, persino la vita umana.

È per questo che non ci stupiamo, la matematica non è un’opinione e non ammette errori, i numeri sono da sempre asettici e fini a se stessi, un ministro che dicesse questo, quindi non commetterebbe nessun errore e nessuna caduta di stile: avrebbe solo evidenziato quale sia il posto reale riservato alla vita ed alla dignità umana dal sistema economico dal mero punto di vista matematico, cioè nessuno.

Reduci dal conflitto mondiale e dal fascismo i padri della nostra patria hanno scritto un documento, la nostra Costituzione, che conteneva i principi fondamentali per la vita e la dignità delle persone nella nostra repubblica, diritti del singolo e doveri reciproci, tutti valori imprescindibili, tra questi i più importanti ed articolati nel testo sono forse il diritto al lavoro (artt. 4, 35, 36, 37, 38, 39 e 40), alla famiglia (artt. 29, 30 e 31), alla salute (art. 32, all’istruzione ed alle arti (art. 9, 33 e 34), all’informazione (art. 21) e, nel senso più generale, alla pari dignità sociale (art. 3).

Tutti diritti che, attraverso leggi che considerano solo i numeri, possono essere definiti oggi come ampiamente negati o difficili da conseguire, basti pensare ai provvedimenti che li riguardano, il “Jobs Act”, la “buona scuola” e le continue riforme sanitarie che privilegiano i manager ed aumentano i costi per i singoli, riducendo per tutti questi argomenti le possibilità di accesso ai servizi dei cittadini.

Tutto è “privato”, vale a dire demandato alla libera imprenditoria personale, con la conseguenza che tutto diventa “privato”, vale a dire assente.

Rispetto al 1970 il cittadino di oggi è privato di molti dei diritti e dei servizi che possedeva, tra questi un libero accesso alle cure, le analisi e le terapie costano ed i tempi per ottenerle sono spesso biblici, con l’effetto che moltissimi rinunciano, il “posto fisso”, sogno di quegli anni è oggi diventato un’utopia, il Jobs Act, con le sue “tutele crescenti” che non crescono mai, ha reso la sopravvivenza dei singoli e delle famiglie precaria, l’istruzione è resa più complicata da una “buona scuola” che non tiene in adeguato conto le necessità di alunni ed insegnati e le pensioni sono oggi minate persino dall’incremento della salute generale che, nonostante tutto, migliora.

Dovrebbe essere ovvio, per ogni servizio erogato vi sono sempre almeno tre elementi in concorrenza tra loro: la richiesta, i costi e la capacità di erogazione, lo squilibrio tra di essi genera vuoti di lavoro o, al contrario, paralisi e per questa ragione i tre valori dovrebbero essere in grado di modificarsi nel tempo per potersi adattare l’uno all’altro.

Negli ultimi venti anni, invece, per ragioni di bilancio ed indipendentemente dagli altri due fattori, vengono continuamente ridotti i budget, ragione per cui dopo grandi riduzioni e tagli ai settori a parità o persino aumento della richiesta, per evitare le paralisi, si deve oggi eliminare quest’ultima.

Proprio questa sembra essere la filosofia che chi ha travisato le parole del ministro dell’Economia vuole far apparire e proprio questa sembra essere la modalità realmente adottata in tutti i settori dello Stato per risolvere i suoi problemi gestionali: eliminare la clientela eliminandone così i relativi costi.

Ecco che se i tribunali sono pieni si fa in modo che qualche reato non lo sia più e che l’accesso alla giustizia sia più difficoltoso, aumentandone i costi preventivi e complicandone le modalità di attivazione.

Se la sanità non ce la fa più si impongono ticket sempre più costosi, fino all’assurdo che alcuni medicinali, gli antibiotici per esempio, ed alcune prestazioni, le piccole radiografie, spesso costano meno a pagamento che di ticket SSN e le visite specialistiche, a parità di costi, si fanno “privatamente”, alleggerendo il Servizio Sanitario Nazionale ed impedendo alla fine a molti di potersi curare.

Infine, se i numeri dell’occupazione non aumentano si creano i posti precari, così ogni anno si avranno migliaia di nuovi posti di lavoro da sbandierare, ma con l’effetto di avere complessivamente meno occupati e con loro minori diritti dei lavoratori, contribuzione sociale e dignità della persona.

La conclusione di un bilancio puramente matematico della vita di uno stato, il nostro, evidenza che qualche volta persino vivere diventa una colpa: l’essere umano, per la società dei numeri bancari, non è un valore, ma un elemento da sfruttare a piacimento per incrementare il profitto in una corsa senza obiettivi, perché l’aumento del profitto non ha un tetto, ma tende sempre al rialzo a discapito degli altri fattori in gioco.

La direzione presa è certamente pericolosa, quando si raggiungerà il limite e si dovrà dire stop all’incremento del profitto per poter rispettare i diritti ed i valori fondamentali dell’uomo?

Personalmente credo che questo limite sia stato già raggiunto e, per quella che è la mia formazione, ampiamente superato, facendomi ritenere che per proseguire si dovrebbe tornare indietro, almeno un po’, rimettendo i valori umani, perlomeno quelli scritti nella nostra costituzione, prima di tutto il resto.

Un giorno, forse, le banche saranno ricchissime, ma non esisteranno più i risparmiatori: progresso e civiltà non sono solo un aumento di indici economici, progresso e civiltà sono soprattutto il rispetto per le persone, la capacità di convivenza, mutuo aiuto e collaborazione, la rincorsa del mero profitto, invece, prima o poi ucciderà l’umanità, intesa come popolazione, dato che quella intesa come sentimento sembra essere già più che agonizzante.

In tristitia hilaris, in hilaritate tristis, grazie Giordano Bruno per avercelo fatto notare, quelle che sembrano battute divertenti o scandalose nascondono spesso una grande tristezza che ci da modo di capire quale potrebbe essere il nostro destino se non cambieremo direzione ricominciando dall’uomo e non più dal denaro.

SONDAGGIO SU UN CAMPIONE DI ANALISTI: LA BCE DIMEZZEREBBE GLI ACQUISTI DI ASSET

DI VIRGINIA MURRU

 

 

Secondo il sondaggio condotto da Bloomberg, le misure di tapering sarebbero orientate verso una riduzione dell’importo di acquisto di titoli da parte dell’Eurotower, che verranno presumibilmente ridotti fino a metà degli attuali 60 miliardi al mese.
Le misure di tapering che la Bce dovrebbe annunciare giovedì prossimo, in occasione della riunione del Consiglio direttivo, sono particolarmente attese, nel mondo della finanza c’è anzi un gran fermento per queste importanti decisioni.

Il Qe rispetterà le esigenze del sistema economico, e non renderà traumatica l’interruzione degli acquisti, anche perché, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha continuato a ripetere, nel corso delle conferenze stampa mensili, che nonostante la ripresa si stia consolidando, è necessario sostenerne la crescita anche attraverso la politica monetaria espansiva.

Draghi ha sempre ritenuto fondamentale il supporto che lo stimolo monetario ha garantito, e nonostante le pressioni e l’avversione dei più importanti esponenti della finanza tedesca, non si è mai lasciato travolgere da teorie contrarie: le risposte del sistema sono state positive, e pertanto non si può considerare una ‘terapia d’urto’ priva di ponderazione o eccessiva.

Intanto fervono ‘i preparativi’, non mancano supposizioni e ipotesi sull’effettiva entità della prossima manovra della Bce, secondo il sondaggio portato avanti da Bloomberg, le misure di tapering sarebbero ormai dietro la porta, è solo questione di giorni. I tempi sembrano maturi per scalare la ‘terapia’, e rendere il sistema meno dipendente dallo stimolo monetario. In breve, l’intento è quello di portare l’economia dell’area euro ad essere nuovamente autonoma, gradualmente, fino a quando potrà muoversi con le proprie gambe.

Gli acquisti, secondo il parere degli analisti, non dovrebbero comunque essere interrotti fino a settembre del 2018, Draghi ha più volte fatto cenno a questa possibile ‘scadenza’, ma non ha mai neppure escluso il fatto che potrebbe protrarsi anche oltre, qualora il caso ricorresse e se ne riscontrasse la necessità. Insomma, il tempo sarà maestro, le previsioni, in un clima globale di cambiamenti continui, non esprimono certezze.

E’ tuttavia convinzione comune, tra gli analisti interpellati, che il primo rialzo dei tassi avrà luogo nel 2019, non prima. Questi sono i rumors più attendibili, ma ovviamente si dovrà attendere il meeting di metà settimana per conoscere le risoluzioni del direttorio (25/26 ottobre).
In ogni caso i dubbi sulla riduzione degli acquisti di titoli, sono davvero minimi, resta semmai da capire in che modo queste misure saranno portate avanti nei confronti dei paesi dell’Eurozona.

Negli ultimi 5 mesi, la Bce pare abbia acquistato meno bund tedeschi (tra lo 0,5 e l’1% rispetto alla quota), mentre verso altri paesi, come Francia e Italia, ci sarebbero state ‘deroghe’ circa la quantità dei titoli acquistati, che sarebbero maggiori rispetto al piano stabilito dall’Eurotower.

Un’elasticità negli acquisti non propriamente nota a livello ufficiale, ma frutto di un adeguamento alla realtà dei mercati, ossia alla disponibilità di bond. Decisioni non molto gradite ai tedeschi, il confronto su questi temi nell’ambito del board Bce, non è stato certamente facile.

INPS. OSSERVATORIO SUL PRECARIATO AGOSTO 2017

 

DI VIRGINIA MURRU

 

Sono stati pubblicati dall’Inps i dati riguardanti l’Osservatorio sul precariato agosto 2017, certamente in rilievo la notevole crescita dei contratti a chiamata, un autentico boom da gennaio ad agosto: + 129,5%, rapportato al 2016 (sempre i primi 8 mesi dell’anno).

Il mercato del lavoro è in netto miglioramento, lo dicono in modo evidente i numeri.
Dai rilevamenti risulta che il turn-over cresce, in lieve calo i posti di lavoro stabili. Dall’analisi dei dati emerge infatti che solo 24 contratti aperti su 100 sono da considerarsi stabili. La causa va ricercata nella riduzione degli sgravi per l’inserimento fiss, quando questi erano più consistenti il rapporto era 38 su 100.
Gli sgravi tuttavia rientreranno con la nuova legge di bilancio 2018, misura adottata proprio per favorire l’occupazione nel triennio 2018/20, i lavoratori assunti, secondo le stime, aumenteranno di 1 milione.

Il report periodico dell’Istituto previdenziale sul precariato, mette in evidenza il saldo attivo tra nuove assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro nel settore privato, in relazione al periodo gennaio-agosto del corrente anno: + 944mila. Il dato, che rispecchia l’andamento positivo dei dati macro dell’economia italiana, supera i rilevamenti del 2016: +704mila – e del 2015: +805mila.

Per quel che riguarda il lavoro subordinato, l’Inps precisa che il campo di osservazione considera i lavoratori dipendenti del settore privato, pertanto sono esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli.
Sulla Pubblica Amministrazione, il riferimento è esclusivamente ai lavoratori degli Enti pubblici economici. Le rilevazioni hanno per oggetto i flussi, ossia i movimenti effettivi dei rapporti di lavoro, che comprendono le assunzioni, le cessazioni e trasformazioni intervenute nel corso del periodo di riferimento.

L’Ente di previdenza fa anche osservare che la contabilità dei flussi non può coincidere con quella dei lavoratori in quanto lo stesso lavoratore può risultare, nel medesimo periodo, interessato da una pluralità di movimenti.

Se si considerano i contratti ‘a chiamata’ o ‘intermittenti’, l’aumento che va dai 121mila del 2016, ai 278mila del corrente anno, è dovuto alla necessità delle imprese di fare ricorso a mezzi di contratto flessibili, che sostituiscano i voucher, com’è noto eliminati a marzo in seguito al referendum fortemente voluto dalla CGIL, e a partire da luglio, per le imprese con meno di 6 dipendenti, sostituiti da contratti di prestazione occasionale.

Si possono tenere in considerazione i dati relativi al saldo per la misurazione della variazione tendenziale concernente le posizioni di lavoro. Negli ultimi 12 mesi, secondo l’Osservatorio sul precariato, il saldo su base annua, che indica la differenza tra nuove assunzioni e cessazioni, ad agosto 2017, è positivo, ossia pari a +565mila, lievemente contenuto se rapportato ai dati rilevati a luglio: +586mila.

Questi risultati, secondo l’Osservatorio Inps, “cumulano la crescita tendenziale dei contratti a tempo indeterminato (+17mila), dei contratti di apprendistato (+53mila) e, soprattutto, dei contratti a tempo determinato (+494mila, inclusi i contratti stagionali).

Tali tendenze, in linea con le dinamiche osservate nei mesi precedenti, attestano il proseguimento della fase di ripresa occupazionale.”
Le assunzioni che si riferiscono solo al settore privato, nel periodo di riferimento gennaio-agosto 2017, sono state 4.598.000, le quali esprimono un aumento del 19,2%, rispetto allo stesso periodo del 2016.

Le più consistenti vengono dal lavoro a tempo determinato, pari a +26,3% e dall’apprendistato, +25,9%, mentre risultano in calo quelle a tempo indeterminato: -3,5%, rispetto allo scorso anno, la causa è da attribuire alle assunzioni part time.
In aumento anche le cessazioni: +15,9%, sempre rapportato allo stesso periodo del 2016, ma il dato cresce in maniera inferiore rispetto alle assunzioni.

L’Osservatorio sottolinea infine l’incentivazione di 36.236 rapporti di lavoro, quale effetto del programma ‘Garanzia giovani’, e 75.957 attraverso le misure adottate per favorire l’”Occupazione al Sud”.

RITORNANO LE PROVINCE, CE LO CHIEDE L’EUROPA

DI PIERLUIGI PENNATI

È il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa a dirlo e lo fa tramite alcune raccomandazione contenute nel rapporto di monitoraggio che ha messo ai voti nella sessione plenaria dei lavori, secondo gli esperti dell’unione l’Italia deve “rivedere la politica di progressiva riduzione e di abolizione delle province, ristabilendone le competenze, e dotandole delle risorse finanziarie necessarie per l’esercizio delle loro responsabilità”.

Stop all’abolizione delle province, quindi, ma non solo, sempre nella relazione si dice che è necessario “rafforzare autonomia di bilancio delle Regioni” e persino che debba essere ristabilita “l’elezione diretta per gli organi di governo delle province e delle città metropolitane”, oltre che “fissare un sistema di retribuzione ragionevole e adeguata dei loro amministratori”.

Insomma l’Europa ci dice non solo cosa fare, ma anche che tutto quello che abbiamo fatto è sbagliato e si deve tornare indietro.

“Ce lo chiede l’Europa” è stato il motto che ha portato ad approvazione di leggi, ma anche a modifiche costituzionali, introducendo il pareggio di bilancio, per esempio, ed a desso cosa succederà?

Ascolteremo questa volta il consiglio oppure l’Europa è uno strumento utile solo quando fa comodo a qualche governo?

Il Congresso ha effettuato visite ispettive nella nostra nazione, delle quali l’ultima si è tenuta lo scorso marzo, realizzando una sezioni di osservazioni e raccomandazioni che chiedono un pieno ripristino delle province “il cui futuro, dopo la bocciatura del referendum sulla riforma costituzionale lo scorso dicembre, è incerto”.

Nella relazione, ampia ed articolata, si fa riferimento all’intera vita economica ed amministrativa di provincie e regioni italiane entrando nel dettaglio persino dei sistemi di governo, delle procedure interne e nelle relazioni tra gli enti, arrivando a chiedere che venga introdotta “la possibilità di votare una mozione di revoca o di censura all’interno dei consigli provinciali e metropolitani nei confronti dei loro presidenti o sindaci, per rafforzarne la responsabilità politica”.

Per le regioni, invece,  andrebbero riviste “le norme e i principi finanziari di quelle a statuto ordinario, per rafforzare la loro autonomia di bilancio e aumentare l’aliquota delle loro entrate proprie” riformando nel contempo il sistema perequativo al fine di compensare i divari tra le risorse finanziarie a disposizione delle differenti Regioni, che il Congresso ritiene “inefficace”.

Insomma, più che un rapporto un vero e proprio manuale da applicare al nostro sistema amministrativo generosamente fornito dall’Europa per risolvere i nostri conflitti interni ed i nostri problemi, vedremo ora come reagirà chi da sempre professa il “ce lo chiede l’Europa”.

SE NON CAPISCO LE DONNE

DI PIERLUIGI PENNATI

Dedicato a chi dice che non capisco cosa significa essere donna e dover subire delle “violenze”.

Moltissimi anni fa ero molto giovane, avevo 19 anni, ed avevo conosciuto una ragazza davvero molto bella, bionda (tinta) alta e formosa, ero invidiato da tutti gli amici.

Un giorno mi chiede di accompagnarla da un produttore a Lugano, a lei piaceva cantare e questo “signore” aveva una casa discografica.

Arriviamo sul posto e saliamo nell’appartamento dove aveva l’ufficio, entriamo insieme, chiacchieriamo di progetti canori e copertine per una decina di minuti e poi lui chiede alla mia amichetta di seguirlo nella saletta di registrazione adiacente per registrare un breve provino da mandare ai tecnici del suono.

Spariscono dietro una porta e resto solo nell’ufficio.

Nessun suono dall’altra parte della porta, solo un tenue sottofondo musicale che poteva anche provenire da altrove.

Passano dieci minuti e comincio a spazientirmi, così esploro l’appartamento: grandi vetrate sul lago, quadri sparsi, qualche copertina di dischi alle pareti, una grande teca di vetro in un angolo contenete della sabbia rossastra sulla quale era evidente un grande segno a forma di otto: una mostruosa tarantola giaceva in un angolo… insomma stranezze senza un filo logico, in fondo è un produttore, sarà stato eccentrico.

Dopo quasi un’ora la porta si anima e rientrano, lei sembra accaldata ed ha la cintura, che portava sopra i jeans attillati, allacciata al contrario, lo ricordo bene, perché era molto particolare, come si usava ai tempi, e la fibbia era capovolta.

Cosa hanno fatto in quel tempo?

Non so, ma eravamo entrambi maggiorenni ed indipendenti.

Passano alcuni giorni e lei mi parla di amiche che per lanciarsi nello spettacolo fanno orgie, vere e brave artiste, costrette a competere in quel modo per accaparrarsi l’attenzione del personaggio più influente, qualcuna, addirittura, fuma hashish od assume altro durante gli incontri.

Non so di più, sparì un pomeriggio dopo solo 15 giorni che ci si conosceva: andai a prenderla a casa e la sua coinquilina mi disse che era andata a prendere il sole nella villa di un amico che aveva una bella piscina…

Non la cercai più, anche lei non lo fece e l’amica, incontrata ancora una volta per caso, mi disse che stava pensando alla sua carriera e che certamente  avrei capito, dato che noi uomini siamo tutti maiali allo stesso modo.

Ho capito, ma non siamo tutti maiali allo stesso modo, pensai che fosse una reazione ad averle resistito quando ancora mi accompagnavo all’amica, ma forse mi sopravvalutavo ed oggi mi ricredo.

Qualche anno dopo fu la mia volta, conobbi un facoltoso personaggio, ricco e di buona famiglia, persino cavaliere dello SMOM, che poco alla volta si interessò a me sempre più, mi disse di essere gay e che il suo fidanzato non lo capiva, io si che ero comprensivo e, soprattutto, sprecato, con la mia intelligenza potevo ambire a molto meglio, lui mi avrebbe mostrato come.

Non lo vidi più dopo aver gentilmente declinato alcuni inviti nelle sue ville…

Oggi sbarco il lunario come tanti, sottoposto ad un capo affidabile, che dice sempre si, preferibile ad un assertivo come me, che dice spesso no, sia io che la mia amichetta non abbiamo fatto carriera e soldi, non so la mia amichetta, ma io sono contento della mia vita, tante fatiche, tante delusioni e poche soddisfazioni, ma le poche soddisfazioni valgono certamente molto più delle tante delusioni, perchè una cosa non mi è mai mancata: un profondo rispetto e stima per me stesso.

Non so se diventerò mai ricco e famoso, ma certo so che non lo diventerò rinunciando alla mia dignità ed indipendenza di essere umano: potete imprigionare il mio corpo, seviziarmi e torturarmi, potete costringermi a chiedere pietà, ma non avrete mai la mia libertà, non sarò mai disposto a diventare vostro schiavo.

Chi accetta compromessi per bruciare le tappe non si rispetta e stima, come può chiedere rispetto e stima agli altri?

Dai, ora fatemi nero con il maschilismo e l’insensibilità, che però non centrano nulla.

ALITALIA. 7 PLICHI CON RELATIVE PROPOSTE D’ACQUISTO ALL’ESAME DEI COMMISSARI STRAORDINARI

 

DI VIRGINIA MURRU

 

Il clima di fiducia è diverso rispetto al mese di giugno scorso, quando era stata aperta la data room per i soggetti che avevano presentato manifestazione d’interesse verso l’ex compagnia di bandiera italiana.

Alitalia è diventata un obiettivo un pò più allettante per le grandi compagnie aeree, Lufthansa compresa, che ha disdegnato a lungo la prospettiva di un eventuale acquisto, anche di alcuni asset.

Ora arrivano nelle mani dei Commissari straordinari 7 offerte, i plichi, che contengono proposte vincolanti per la compagnia italiana, sono stati portati allo studio notarile Atlante Cerasi di Roma, dopo la scadenza dei termini previsti.

Al vaglio, tra le altre, le proposte della britannica EasyJet e Lufthansa, non interessate alla rilevazione ‘in blocco’ di Alitalia, ma ad alcune ‘attività’. In quei 7 plichi ci potrebbe essere il futuro dei 12 mila dipendenti del vettore tricolore, ma proprio su questo versante saranno inevitabili tagli anche dolorosi in vista di un solido risanamento.

Com’è noto, Ryanair si è ritirata dalla gara circa un mese fa, quando è esplosa la crisi che ha indotto il vettore irlandese a sospendere migliaia di voli fino a marzo prossimo, e forse oltre. Il management ha infatti dichiarato alcune settimane fa, che “saranno eliminati dall’agenda tutti gli impegni che non riguardino l’emergenza in corso, e dunque anche l’interesse verso Alitalia; né saranno presentate ulteriori offerte sull’aviolinea.”

In altri versanti, secondo le dichiarazioni dei vertici di EasyJet, non vi sarebbero certezze circa un accordo o una reale transazione, la sua offerta, pertanto, è sospesa su alcune condizioni che influenzeranno le negoziazioni. Anche EasyJet è interessata all’acquisto di un lotto, o parti di attività, non a quello totale della compagnia

Offerta certamente interessante quella proposta dal colosso Lufhtansa, il cui importo si aggira sui 500 mln di euro, e riguarda l’aviation (il lotto che suscita più interesse), ossia il personale, con piloti e flight attendants, la flotta e gli slot.

La proposta Lufthansa prevede misure già temute circa personale di volo, che secondo i tedeschi dovrebbe essere dimezzato, in particolare quello di terra (l’handling), che presenta esuberi inconciliabili con il possibile futuro assetto della compagnia. Un’altra condizione riguarda la limitazione delle attività di corto e medio raggio. Il vettore tedesco chiede inoltre una più precisa definizione del ruolo dell’ex azionista di minoranza, Etihad. Dopo il ritiro di Ryanair, infatti, si prevede che l’asse Etihad-Lufthansa acquisti maggiore forza nelle trattative.

Le due compagnie hanno in mano progetti in comune (oltre ad Airberlin); arabi e tedeschi hanno lanciato quest’anno una partnership nell’ambito del catering, del valore di 100 mln di dollari, ma ambiscono anche a collaborazioni che interessano la riparazione, manutenzione e revisione degli aeromobili. Alitalia, dunque, non è il solo campo in cui si confrontano.

Condizioni da ‘pesce grande’ che intende dare qualche morso a quello più piccolo, ma sceglie le parti migliori, questo è del resto il pragmatismo e il rigore tedesco, sul quale, tuttavia, il governo sta riflettendo, o meglio, cercando di mettere le mani avanti: la mannaia sul taglio del personale è di un rigore inaccettabile. Per questo si sta tentando di rinviare gli accordi, presumibilmente ad aprile, dopo le elezioni politiche nel Paese.

Lufthansa non ha fretta, ma rende noto il fatto che la compagnia italiana, strutturata così com’è, non può essere accettata, e tanto meno un ‘handling’ (personale di terra) di 6 mila dipendenti, assolutamente da ridimensionare, secondo il diktat del vettore tedesco. Allo stesso tempo non s’intende rinunciare al bersaglio strategico che l’Italia rappresenta: “l’Italia è il secondo mercato più importante per noi, dopo gli Usa” – ha dichiarato di recente il Ceo del gruppo, Carsten Spohr, al Corriere della Sera.

Il gruppo Lufthansa, sempre in competizione con la compagnia low cost Ryanair – che detiene il 13% del mercato europeo, contro il loro, che è del 9% – sta facendo di tutto per surclassare il vettore irlandese, per esempio investendo qualche miliardo su Eurowings, divisione con costi ridotti.

Di recente ha rilevato Air Berlin, con la sua flotta e 3 mila dipendenti. Ma non è mai abbastanza per questo colosso dell’aviazione, e l’interesse nei confronti di Alitalia è certo, la loro presenza in Italia s’intende incrementarla, ma gli accordi sono vincolati a condizioni ben precise.

Intanto i plichi contenenti le proposte di acquisto vincolanti, sono state portate dal notaio Nicola Atlante, presso lo studio legale Gianni Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, qui saranno prese in esame le offerte di acquisto. Già si sa che le proposte riguardano l’acquisto di ‘pezzi’ di attività di Alitalia, e questo è l’aspetto meno allettante. Di certo non esultano i dipendenti, e neanche i sindacati che li tutelano.

E tuttavia la prospettiva da scongiurare resta quella dei tagli all’occupazione: il personale rischia d’essere dimezzato.

Intanto, dei 600 milioni del cosiddetto ‘prestito ponte’ concesso dal governo, ne sono stati utilizzati una novantina. Gli ulteriori 300 mln, messi a disposizione sempre dal Governo Gentiloni, andranno in un Fondo garanzia, come ammortizzatore in caso di fallimento.
Insomma saranno mesi durissimi, quelli che aspettano Alitalia, l’incertezza fibrillerà fino ad aprile, quando il suo destino si delineerà con orizzonti più certi.

Per i tre Commissari straordinari, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, si va al prossimo anno, con l’obiettivo di migliorare, nell’interesse della compagnia, l’offerta definitiva; in particolare si punta alla vendita con lotto unico, piuttosto che separare i due lotti ‘aviation’ e ‘handling’.

Verso giugno prossimo, si arriverà al ‘closing’, e si attenderà quindi il parere dell’Antitrust, prima di conoscere il reale destino dell’ex compagnia di bandiera italiana.

CDM. APPROVATO IL DECRETO FISCALE, DOMANI PRESENTAZIONE DELLA LEGGE DI BILANCIO

DI VIRGINIA MURRU

E’ stato approvato il decreto fiscale, in vista della legge di bilancio che lunedì sarà presentata dal Cdm, nell’ambito della manovra 2018 (sarà solo la prima tranche). La legge di Bilancio sarà poi trasmessa a Bruxelles, ma l’attende anche l’esame di Camera e Senato.

L’approvazione, secondo la dichiarazione della ministra Anna Finocchiaro, è ‘salvo intese’, potrebbe pertanto essere rivista prima di passare alle Camere.
Si riconfermano (come anticipato da Padoan nelle scorse settimane), le sanatorie sulle cartelle fiscali, la cosiddetta ‘rottamazione bis’, nonché la proroga con rifinanziamento del prestito ponte destinato ad Alitalia: si aggiungeranno (ai 600 mln già stanziati) 300 milioni.

Per quel che concerne la rottamazione bis, si tratta dei ruoli fiscali e contributivi di pertinenza del corrente anno, da gennaio a settembre. Sono state previste massimo 5 rate, l’importo delle rate deve essere ripartito in modo uguale, i mesi di competenza saranno: luglio, settembre, ottobre, novembre e febbraio 2019. Sarà stabilito un accordo in merito con l’agente della riscossione entro marzo 2018, mentre il termine ultimo per le adesioni dei contribuenti è fissato per il 15 maggio prossimo. Per coloro che avessero omesso di versare le rate di luglio e settembre, i termini sono stati prorogati fino alla fine di novembre.

Secondo il ministro Padoan, la sanatoria sulle liti pendenti dovrebbe portare nelle casse dell’Erario 250 milioni. Il ministro dell’Economia ritiene ‘compatta e solida’ la legge di bilancio, e si dichiara fiducioso sull’esito della discussione alla quale sarà sottoposta a breve in Parlamento.

La riapertura della sanatoria arriva anche sul versante delle rateazioni, che anch’esse saranno soggette a rottamazione. I contribuenti che hanno saltato il pagamento delle rate relative alle vecchie cartelle, potranno beneficiare di questa proroga, con la precedente disciplina non era consentito, si perdeva il diritto.

Del dl fa parte anche una nuova norma ‘anti-corvo’, per alzare una barricata contro le scalate ostili; le norme sul golden power, infatti, prevedono poteri speciali quando si presenta l’insidia di investimenti ‘predatori’ provenienti dall’estero. Si tratta di una norma cara al ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e agisce contro i ‘predatori’ di quote azionarie che vengono da Paesi terzi.

La norma stabilisce infatti che, al superamento della soglia, chi investe ha l’onere di trasmettere una ‘lettera d’intenti’, nella quale, in modo trasparente, si mettono in chiaro gli intenti, appunto, al fine di prevenire manovre poco limpide. Dopo il contenzioso tra Mediaset e Vivendi, il Governo ha ritenuto opportuno disciplinare queste evenienze, evitando spiacevoli sorprese alle aziende ‘vittime’ di queste mire da parte di imprenditori stranieri.

Troverà applicazione nel contenzioso Vivendi-Tim, ma non sarà l’unico caso, la norma disciplina e contempla situazioni simili. In via di definizione ora gli interventi del Cdm su questo caso specifico, verrà messa in atto una delibera al riguardo dalla Presidenza del Consiglio proprio lunedì 16 ottobre, quando sarà presentato anche il disegno di legge di bilancio.

Nella delibera della Presidenza del Consiglio ci saranno condizioni di trasparenza ben precise concernenti la gestione di Telecom Italia Sparkle, che è controllata da TIM, e si occupa dei cavi sottomarini internazionali. La delibera è stata avviata in concerto con il Ministero della Difesa e  degli Interni, e la collaborazione del Ministero per lo Sviluppo Economico.

Il decreto fiscale prevede, come il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva già annunciato, la sterilizzazione Iva per il prossimo anno, in programma 1 miliardo. La legge di bilancio stabilirà le misure per questo processo di contenimento delle aliquote, che sarebbero scattate nel 2018, per un importo di 15,7 miliardi.

500 mln sono stati invece assegnati, tramite il Fondo di garanzia, alle piccole e medie imprese, di questi 300 sono destinati al 2017, i restanti 200 al prossimo anno. Il decreto tiene anche conto delle catastrofi naturali, e pertanto sono state sospese le tasse nell’area intorno a Livorno, di recente colpita dall’alluvione.

Una novità del decreto fiscale riguarda l’intermediazione della SIAE, ossia quelle norme che disciplinano il diritto d’autore. Gli organismi di gestione collettiva (associazioni no profit) potranno rappresentare i propri tesserati e difenderne i diritti, senza chiedere l’intervento della Siae, prima d’ora obbligatorio.

Un’altra disposizione del decreto si occupa del credito d’imposta per l’avvio di una campagna pubblicitaria (tramite giornali o radio e TV). Il beneficio relativo al credito d’imposta è rivolto ai lavoratori autonomi e imprese, per investimenti di competenza del secondo semestre 2017. Il credito d’imposta, che è del 75%, viene applicato sulle quote incrementali degli investimenti, rapportate all’anno precedente. Arriva fino al 90% per start-up e piccole imprese.

Sarà esteso a tutte le società controllate dalla Pubblica Amministrazione lo ‘Split payment’; si tratta, in spiccioli, del nuovo meccanismo di liquidazione IVA, che era stato previsto dalla Legge di Stabilità di due anni fa (la Legge 190/2014), poi revisionata con DL 50/2017.

La nuova normativa riguarda gli enti pubblici nazionali, regionali e locali, fondazioni (partecipate della PA) e società controllate in modo diretto o indiretto da qualunque amministrazione pubblica.
Tra le disposizioni del decreto c’è anche il rinnovo del finanziamento delle missioni internazionali, oltre ad assunzioni straordinarie per le forze dell’ordine (polizia). In questo ambito stabilisce che, la carica dei generali, avrà una durata massimo di 3 anni e non sarà suscettibile di proroghe.

Sono previste in questo ambito 5.590 assunzioni entro la fine del 2017, più alcune migliaia da reclutare tramite concorsi che si svolgeranno entro il 2019. E’ in sintesi la risposta del governo alle proteste dei sindacati di polizia, Vigili del fuoco e agenti penitenziari, che tramite la Consulta di sicurezza, hanno chiesto interventi più incisivi. Oltre 5 mila nuovi assunti andranno a potenziare le forze dell’ordine.

Un milione di euro per il triennio 2018/20 sarà stanziato per il personale delle Prefetture in missione all’estero per l’adempimento dei relativi accordi internazionali, riguardante la lotta contro il terrorismo, ed emergenze in materia d’immigrazione.

IL NOBEL PER L’ECONOMIA 2017, RICHARD H. THALER, E LA ‘TEORIA DEL PUNGOLO’

 

DI VIRGINIA MURRU

 

Quest’anno il Nobel per l’Economia è stato assegnato ad un ‘professor’ di scienze comportamentali all’University of Chicago Booth School of Business, per gli studi sui comportamenti economici (e la finanza comportamentale), ma è anche ricercatore associato del National Bureau of Economic Research.

Thaler è il noto autore e assertore della “Teoria del pungolo”. Questi studi costituiscono ormai una branca dell’Economia Politica, che fonda le sue basi su concezioni di carattere psicologico, in quanto spiega l’irrazionalità delle scelte nei comportamenti umani, guidati da flussi d’ impulsi emotivi che non di rado influenzano l’andamento dei mercati.

E’ infatti l’aspetto puramente umano, secondo gli studi portati avanti da Thaler in questo versante per decenni, ad avere il potere di orientare l’esito delle contrattazioni (per esempio), e non è certo un’eccezione che il panico agisca come una raffica causando autentici crolli in Borsa. Abbiamo visto cosa è accaduto nel gennaio 2016 nei mercati di Shenzhen e Shanghai, e l’effetto domino che ha causato nei mercati dell’Occidente, e a livello globale.

Reazioni simili possono interagire su altri mercati, espandere quest’onda d’urto come fosse un cerchio concentrico che si propaga in modo irrazionale, a volte difficile da controllare. Eppure dietro il panico o l’euforia dei mercati, vi sono queste onde emotive scatenate da dichiarazioni di alti esponenti della finanza, da rappresentanti politici, o da situazioni d’instabilità geopolitica.

Tutto ciò che filtra in questo grande impluvio finanziario, può scatenare tempeste o esaltare gli investitori, dipende ovviamente da quelli che sono gli input che provengono da orizzonti sensibili.

I mercati sono uno degli aspetti analizzati e studiati da Thaler, è in generale il comportamento del singolo e della collettività ad essere oggetto delle sue ricerche.

Gli studi sulle teorie di Thaler hanno riscontrato un notevole successo e sono stati applicati di recente non solo negli States (Nudge è stato un libro simbolo durante la campagna elettorale di Obama), ma anche in Europa. Thaler ha prestato la sua opera in qualità di consulente ‘tecnico’ nel governo Cameron e ha quindi creato il “Behavioural Insights Team”, uno staff che ha contribuito a mettere in pratica la teoria del paternalismo libertario.

I suoi principi di scienza comportamentale, orientati sull’economia e la finanza, sono stati divulgati attraverso una pubblicazione del 2008, scritta a quattro mani con il giurista Cass Sunstein, e intitolata ‘Nudge (pungolo), la spinta gentile’.
L’opera spiega quanto sia importante orientare le scelte del singolo o di un gruppo di persone, affinché i risultati siano ponderati e soddisfacenti, indirettamente anche per la società e il governo che la rappresenta (paternalismo libertario).

Scelte che contribuiscono a migliorare il proprio stile di vita, risultando più consapevoli, perché dietro vi operano esseri umani, vero punto di partenza per ogni valutazione di carattere politico ed economico. Thaler ha in definitiva messo al centro dei suoi studi l’uomo, avvalendosi di ricerche in ambito psicologico e sociologico.

Già le grandi aziende hanno adottato strategie di economia comportamentale per influenzare i consumatori e persuaderli a scegliere un certo prodotto. Una semplice pubblicità, del resto, con tutte le ricerche di marketing che si porta dietro, assolve un ruolo di questo tipo, perché è in fin dei conti una sollecitazione, non puro orientamento.

Secondo il professore dell’University of Chicago, ‘gli esseri umani compiono scelte poco mirate, perché influenzati da una serie di comportamenti inadeguati, viziati da pregiudizi cognitivi, in tante direzioni: dalla scelta dell’istruzione, a quella della salute, alle valutazioni di un investimento, un mutuo, fino a errori che implicano conseguenze anche più serie.

Thaler non è il pioniere degli studi sulla finanza comportamentale, già Adam Smith, con l’opera ‘Teoria dei sentimenti morali’, illuminò il processo dei comportamenti psicologici individuali che guidano le scelte, specialmente in ambito economico e finanziario. Ed altri seguirono la traccia di questi studi, fino a che, Kahneman e Tversky, diedero una svolta con l’opera “Decision Making Under Risk”.

I due autori si avvalsero di tecniche particolari, attinenti alla psicologia cognitiva, per spiegare i nodi che determinano l’impulso decisionale. Seguendo questa logica, le teorie economiche partono dal presupposto che gli individui svolgono un ruolo razionale ben preciso nel mercato.

Eppure vi sono oscillazioni di reazioni all’interno dei mercati, tali da implicare e chiamare in causa la finanza comportamentale. Il panico di perdere i soldi investiti, per esempio, che magari rappresentano i risparmi di una vita, sembra sia tre volte più incisiva dell’esaltazione di una speculazione andata a buon fine.

I mercati funzionano non di rado tramite flussi di emozioni che viaggiano in modo ‘sotterraneo’ (in apparenza), per questo nessuno si stupisce quando c’è la corsa all’acquisto di un titolo, perché si segue il branco, e non ci si volta indietro, spesso, anzi, non si prendono nemmeno le dovute precauzioni, seguendo un’adeguata informazione. E’ così che esplodono le cosiddette ‘bolle speculative’.

Dietro la scienza relativa alla finanza comportamentale vi sono studi svolti ‘sul campo’, tramite test o sondaggi, con il supporto della stessa medicina, per arrivare a comprendere il complesso universo degli impulsi che portano l’individuo a compiere scelte davanti a situazioni incerte, comunque poco chiare.
Si è riusciti ad individuare, tramite ricerche mirate, le aree del cervello implicate nel processo ‘decisionale’, e dunque si è trovato un riscontro concreto, con questi studi ancora empirici, purtroppo, perché non danno certezze assolute nei risultati.

L’individuo, in quanto singolo, può compiere scelte in modo autonomo, ma spesso è il risultato di naturali influenze di carattere sociale a spingerlo verso una direzione piuttosto che in un’altra. In definitiva si direbbe che è l’inconscio collettivo di Jung a svolgere il suo ruolo anche negli ostici scenari dell’economia e della finanza, dove il terreno è tempestato di ‘mine’.

Gli studi di Thaler iniziarono negli anni ’70, mettendo in discussione le teorie economiche classiche, le quali partivano dal presupposto che l’equilibrio perfetto si potesse raggiungere attraverso il punto d’incontro (perfetto) tra domanda e offerta. Mentre gli attori economici si pongono l’obiettivo di massimizzare i vantaggi e il profitto dalle operazioni e scelte compiute, naturalmente portando al minimo i costi.

Thaler ha dimostrato che si tratta di assetti convenzionali: la realtà compie altri percorsi. Gli esseri umani possono essere divisi in due grandi categorie, secondo l’economista:
gli Econs – che sono assolutamente razionali, e in grado di effettuare scelte ponderate,
e gli Humans – cioè il resto dell’umanità. Un’umanità che ha tutte le informazioni e la giusta ‘segnaletica’ per compiere scelte idonee alle proprie esigenze, dal semplice prodotto di un supermercato, al medico più competente, alla banca più efficiente, al mutuo più conveniente.

Eppure, nonostante la razionalità della ragione (it’s hard to make good decisions), ci lasciamo prendere la mano da influenze che non risultano governabili dall’arbitrio. Thaler ovviamente, concentra le sue ricerche sulla seconda categoria, ossia un prototipo d’individuo che rappresenti la società.

Il professore, insignito del più alto riconoscimento in ambito internazionale, non ritiene positivi i comportamenti puramente razionali derivanti dai modelli economici imperanti, e per sottolinearne l’importanza, ha dichiarato che la somma in denaro del Premio Nobel (9 milioni di corone svedesi, circa), “la spenderà nel modo più irrazionale possibile..”

ABBANDONATO DALL’INPS L’AZIENDA GLI PAGA LO STIPENDIO

Succede a Cesenatico, lui compirà 22 anni tra un mese ed è malato gravemente, ricoverato in ospedale l’INPS considera finito il periodo di diritto alla malattia e gli taglia il sostentamento, ma per fortuna, questa volta, non solo i colleghi di lavoro, ma anche i titolari dell’azienda per cui lavorava si indignano e continuano a pagargli lo stipendio.

Ha scoperto di essere malato del Sarcoma di Ewing, una forma tumorale che si sviluppa prevalentemente a livello osseo, fin dall’età di 11 anni e nonostante le difficili e lunghe terapie è riuscito a diplomarsi ed ad essere assunto dall’azienda Siropack Italia S.r.l. di Cesenatico con la mansione di terminalista.

La Siropack conta circa 30 dipendenti ed all’epoca dell’assunzione non aveva l’obbligo di assumere persone disabili, i titolari, Rocco De Lucia e Barbara Burioli, però commentano: “Prima che sopraggiungesse l’obbligo di assumere una persona diversamente abile, non abbiamo avuto dubbi a puntare su di lui, nella convinzione che il lavoro potesse dargli un ulteriore stimolo per continuare a combattere la sua battaglia personale è un ragazzo infinitamente disponibile e positivo, per questo la sua presenza ha rappresentato, fin dal suo arrivo, un valore aggiunto per tutta l’azienda”.

In un tempo nel quale non solo le aziende, ma persino gli organi dello stato sociale voltano le spalle alle persone nel nome del profitto e del contenimento dei costi, trovare qualcuno che ancora crede nel valore umano non è solo commovente, ma apre una speranza per il futuro.

“La nostra azienda considera quanto subito dal giovane una profonda ingiustizia – continuano i titolari – Siamo rimasti commossi dalla sensibilità dei nostri circa 30 dipendenti, che si sono resi subito disponibili al pagamento di una colletta, ma abbiamo stabilito che sarà la proprietà a provvedere al suo sostentamento, là dove gli organi preposti alla tutela dei lavoratori hanno deciso di voltare le spalle a chi si trova nel bisogno”.

La vicenda ha avuto inizio nel marzo scorso, quando la malattia ha costretto il ragazzo a sottoporsi ad un intervento di rimozione di un polmone che lo ha costretto anche ad lunga e difficile convalescenza ancora in corso e, nonostante le necessità di degenza, l’Inps è intervenuta azzerando lo stipendio che Siropack versava regolarmente al proprio dipendente a partire dalla busta paga di settembre, considerando terminati i giorni di malattia concessi.

I titolari, dell’azienda, che collabora da ormai da due anni, sostenendo vari progetti di ricerca, con l’Istituto Oncologico Romagnolo che lo ha in cura, hanno subito ritenuto trattarsi di “un atto arbitrario e lesivo nei confronti di un ragazzo che sta combattendo contro un tumore e che, come tutti i suoi coetanei, nella quotidianità deve affrontare spese, anche importanti, e progettare il suo futuro”.

Anche il sindaco di Cesenatico, Matteo Gozzoli, avvertito della notizia, è subito intervenuto contattando i titolari della ditta per complimentarsi del “grande gesto che hanno compiuto insieme ai dipendenti dell’azienda” e promettendo che farà di tutto per sensibilizzare le istituzioni, “Porto il caso in Parlamento e Regione” ha detto, accogliendo l’appello lanciato dai suoi datori di lavoro: “Nei periodi in cui il suo stato di salute gli ha permesso di svolgere la propria mansione all’interno della nostra azienda,  si è dimostrato un lavoratore volenteroso, nonché un ragazzo umile e generoso, per questo non possiamo permettere che questa decisione renda ancor più difficile la sua situazione. Agiremo con tutti i mezzi a nostra disposizione per sostenerlo e dimostrargli la nostra vicinanza, ed allo stesso tempo sensibilizzare le autorità competenti affinché i lavoratori come lui possano essere trattati con maggiore umanità”.

Umanità, forse è questa quella che dovremmo recuperare, prima di leggi elettorali e bilanci dello stato.

SE FUORI C’É LA RIVOLUZIONE IO MI BEVO UN ROSATELLUM

Qualcuno prima o poi se ne dovrà accorgere, una guerra civile è già in atto dietro le quinte, anche se tenuta lontana dal grande pubblico e nell’indifferenza di chi ancora pensa al consumo senza considerare il proprio futuro.

I fatti parlano chiaro, per la seconda volta nella storia repubblicana è in atto una enorme crisi sindacale, segno di un disagio che non è più controllabile con mezzi tradizionali: la concertazione ed i provvedimenti tampone hanno fallito.

I sindacati tradizionali arretrano, i giornali hanno parlato ad inizio anno di 700 mila tessere perse dalla CGIL, che ha oltre la metà degli iscritti che non sono occupati, pensionati ed altro, in particolare la FIOM è in caduta libera nonostante sia  tradizionalmente il “sindacato dei lavoratori” per eccellenza, perdendo consenso ed iscritti con una crisi ed un’emorragia imponente a favore dei sindacati autonomi, USB in testa che da questa situazione trae il principale vantaggio crescendo esponenzialmente.

Resiste la CISL, sostanzialmente stabile nei numeri anche se in lieve calo con i delegati, forte anche della sua base nel pubblico impiego, mentre la UIL, nonostante le ristrutturazioni e gli accorpamenti dovuti ai cali di introiti, è persino in leggera crescita, con incrementi anche del 30% dei delegati nelle grandi industrie metalmeccaniche e sbilanciando i rapporti di forza che producono un panorama sindacale nuovo che dovrebbe far pensare molto attentamente a cosa sta succedendo nel nostro paese.

Gli esuberi, le svendite, i subappalti e le migrazioni industriali sono ormai dilaganti e sotto gli occhi di tutti: non esiste una località italiana dove non vi sia un’azienda che dichiara la crisi o che comunque licenzia e ridimensiona.

I contratti di solidarietà, le procedure di “accompagnamento” alla pensione e gli aiuti sociali non sono più sufficienti, anche perché la solidarietà si dà quando si ha disponibilità in eccesso, e non è più il caso, la pensione sta diventando un miraggio irraggiungibile per tutti e gli ammortizzatori sociali sono ormai stati estinti dalla riforma Fornero.

Cosa resta?

La disperazione: per questo sempre più gli scontenti si rivolgono al sindacalismo di base, fatto non di grandi strutture, uffici e funzionari, ma di persone che fanno parte dei lavoratori in sofferenza e che cercano di organizzare i propri colleghi attraverso il volontariato e sfruttando i pochi permessi a disposizione delle rappresentanze aziendali.

Nessuna grande struttura e pochi mezzi, solo persone che, facendo parte esse stesse dei lavoratori in crisi, comprendono meglio i problemi delle loro realtà e cercano di ottenere giustizia, solidarietà e rispetto per la loro dignità.

Questa situazione ha cambiato anche il modo di protestare e fare sindacato, non più riunioni ufficiali in tavoli cui non sono invitati, ma presidi e guerre tra poveri, come è successo il primo agosto a Linate  e Malpensa quando i lavoratori che perdevano il posto di lavoro hanno impedito spontaneamente le operazioni della cooperativa che aveva preso l’appalto e li stava sostituendo.

Mano d’opera con pochi diritti che veniva sostituita da mano d’opera senza diritti, nell’indifferenza di chi, privilegiato e spesso nelle stanze del potere, pensa che il mondo si possa cambiare comprimendo i diritti degli altri in favore dei propri.

Questo atteggiamento non è solo stato attuato dallo stato fascista e quindi contrario principi costituzionali repubblicani, ma persino autolesionista perché farà presto mancheranno le risorse per tutta la nazione, consegnandola a nuovi padroni totalitari.

Solo un anno fa, davanti ai cancelli della società di spedizioni GLS di Piacenza, un lavoratore moriva  sotto le ruote del camion di un “crumiro” durante un picchetto per impedire le attività aziendali di sfruttamento e vessazione dei lavoratori.

Meno di un mese fa un altro incidente scampato ed oggi, un po’ dappertutto, ci sono picchetti e presidi in difesa della sicurezza, della dignità e dei diritti che molto tempo fa i lavoratori ancora avevano e che sono ora trascurati in nome di un profitto che sta uccidendo la classe lavoratrice, in particolare quella più debole costituita dalla massa che compie lavori a supporto e/o preparazione delle attività più “nobili”.

Questa massa di lavoratori è oggi la più grande e meno considerata di tutte le categorie, è quella che traina il mercato del lavoro, ma anche quella che sta morendo in favore delle grandi multinazionali che negano diritti e libertà ed impiegano persone ricattandole con strumenti di legge, come il Jobs Act, che pur di lavorare finiscono per accettare condizioni di schiavitù e sudditanza di fatto ed uccidendo nel contempo la nostra economia.

Secondo i dati dell’Inps relativi al primo trimestre 2017, vi sono più occupati rispetto allo stesso periodo del 2016, ma calano i contratti a tempo indeterminato ed aumentano i licenziamenti, mentre vi è un vero e proprio boom di contratti che applicano il Jobs Act.

Secondo i dati del sindacato USB, le aziende licenziano per poi riassumere con le nuove formule legali: sgravi fiscali e precariato attirano i datori di lavoro che in questo modo ricattano i lavoratori comprimendone le retribuzioni ed aumentando le prestazioni gratuite “non dovute” di chi vede il proprio posto di lavoro minacciato.

Mentre nelle periferie dilaga non più il solo malcontento, ma addirittura la disperazione, mentre i lavoratori lottano tra loro per accaparrarsi le ultime briciole di sopravvivenza rinunciando ai propri diritti, mentre l’economia reale è ormai ridotta al lumicino in favore della grande ed imperscrutabile finanza virtuale, in parlamento il problema principale in Parlamento sembra essere la legge elettorale.

Serve una ripresa delle coscienze prima che dei lavori parlamentari, serve che chi governa, specie se di sinistra, recuperi i valori repubblicani più veri, quelli che ci hanno fatto scappare dal fascismo che affamava il popolo togliendogli risorse in modo davvero vicino a quello che vediamo oggi: comprimendo diritti e pensando di conoscere i bisogni del popolo meglio del popolo stesso.

Siamo andati così avanti che siamo tornati indietro, per proseguire potrebbe essere necessario arretrare un po’, almeno al tempo in cui i diritti rispettavano ancora la dignità della persona.

Qualsiasi sarà la legge elettorale, questa volta, serve invertire la tendenza, andare a votare in massa pensando al nostro futuro comune, l’alternativa al voto potrebbe essere solo un’altra guerra civile che sarebbe meglio evitare.

FMI: ACCELERAZIONE DELLA RIPRESA A LIVELLO GLOBALE, ITALIA IN CRESCITA

DI VIRGINIA MURRU

 

Il FMI, nel ‘Global Financial Stability Report 2017, è positivo sui risultati della ripresa a livello globale, ma invita alla cautela e alla vigilanza, a non ‘compiacersi’ degli obiettivi raggiunti, sottovalutando le vulnerabilità che ancora sussistono nel sistema.

Secondo le valutazioni dell’Istituto di Washington, è stato, ed è fondamentale, il sostegno della politica monetaria espansiva (Qe), e pertanto si ritiene importante proseguire ancora in questa direzione, fino a quando l’eurosistema non sarà in grado di svincolarsene senza creare conseguenze sul piano finanziario. Si legge infatti, nel report di ottobre 2017:

“The Global Financial Stability Report (GFSR) finds that the global financial system continues to strengthen in response to extraordinary policy support..” (Il ‘Report sulla stabilità finanziaria globale, constata che il sistema finanziario globale continua a rafforzarsi, in risposta alla politica di supporto straordinaria).

I punti fragili del sistema economico mondiale sono stati riassunti in 5 punti, tra i quali il protezionismo, la volatilità bassa dei mercati, e il debole tasso d’inflazione, che in diversi paesi (Europa in primis), è distante dal target, ossia del 2%, obiettivo delle banche centrali.

E poi l’ottimismo delle stime: l’economia europea è avviata verso una crescita del 2,1%, invece il target relativo all’inflazione del 2% slitta al 2022, con traguardi intermedi tra l’1,4% (nel 2018) e l’1,5% nel 2017. A fare fibrillare i ‘forecast’ sono anche i ‘Non performing loans’, ossia i crediti deteriorati, quelle sofferenze bancarie che tanti disastri hanno creato nel sistema finanziario dell’Ue.

E poiché proprio l’assetto finanziario è vulnerabile alle incertezze geopolitiche che filtra il sistema, l’attenzione è puntata sull’instabilità politica che sta causando la richiesta di secessione della Catalogna, la quale potrebbe fungere da detonatore per altre aree dell’Europa sensibili su questo versante.

L’analisi del Fmi tiene conto anche di queste variabili, i risultati si considerano soddisfacenti, ma persistono ‘correnti’ contrarie, che, se non tenute sotto controllo, potrebbero sovvertire un quadro proiettato verso la crescita. Christine Lagarde, Direttore Generale del Fmi, insiste sull’importanza della cooperazione a livello globale, a non erigere steccati sul piano internazionale: è necessario andare avanti e non percorrere sentieri autonomi che chiamano in causa il protezionismo, pressoché inconcepibile in piena era di globalizzazione.

Non si fanno allusioni, nel report, ma certamente la politica degli Usa non è vista nell’ottica della stabilità e della cooperazione.

Secondo l’istituto americano, l’Italia ha compiuto notevoli passi avanti, e infatti le stime di crescita sono state riviste al rialzo per il corrente anno, mentre nel 2018 ci sarà una contrazione pari allo 0,4%, sarà dunque dell’ordine dell’1,1%.

Una divergenza non di poco conto con le stime del Def, che invece ha previsto lo stesso livello di crescita anche per il prossimo anno. Il tasso di disoccupazione sta rientrando, secondo il Fmi, verso argini meno drammatici, ma resta ancora un dato sensibile dell’economia italiana. Come del resto non si può ancora dire solido il comparto bancario, se si porta dietro una zavorra di Npl che equivale al 30% del totale riscontrato negli altri paesi europei.

E tuttavia, a livello generale, in Eurozona, i crediti deteriorati restano un problema irrisolto, nel primo trimestre dell’anno in corso risultano pari al 5,7%, in diversi paesi hanno raggiunto picchi che superano il 10%.

A rendere meno vigorosa la crescita in Italia, contribuisce anche il debito (soprattutto), perenne emergenza dei conti pubblici del Paese, il Fmi prevede che nel 2017 si attesterà al 133% (era 132,6% lo scorso anno), il Fondo prevede un miglioramento nel 2018: il debito pubblico sarà ridotto a 131,4%. Anche qui discordanza con la Nota di aggiornamento del Def, che è più ottimista circa la possibilità di ridurne la portata.

Un’Italia promossa in fin dei conti con riserva, sono questi i nodi che impediscono di esprimere auspici migliori per il futuro, le stime non possono essere del tutto positive finché non si interverrà per sanare i punti deboli del nostro sistema economico.

BCE. POSITIVI GLI ESITI SUGLI STRESS TEST CONDOTTI DALL’EBA NELLE BANCHE EUROPEE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Autorità Bancaria Europea (EBA), ha eseguito gli stress test sui bilanci delle banche europee di fine esercizio 2016; l’Eurotower si è dichiarata soddisfatta dell’esito positivo di questi risultati, le banche hanno risposto bene a queste ‘sollecitazioni’.

Gli stress test rappresentano un fondamentale mezzo di controllo sulle capacità di tenuta dei maggiori istituti di credito europei; si considerano situazioni finanziarie avverse, ma  effettivamente, non hanno un alto grado di probabilità di verificarsi.

Le Autorità di vigilanza europee adottano questi metodi di analisi da anni, ormai. Lo stress test sui bilanci delle banche europee (relativi alla fine del 2016), hanno avuto il fine di accertare la tenuta delle banche in esame, dato che in prospettiva c’è, per i successivi 3 anni, un possibile aumento dei tassi d’interesse:  ci si aspetta infatti dalla Bce un cambiamento della politica monetaria (misure di tapering).

Se questo aumento dei tassi auspicato si verificasse – secondo le risultanze della Vigilanza – ciò avrebbe come conseguenza l’incremento del margine d’interesse, al quale seguirebbe un’altra reazione, che porterebbe in decremento il valore del capitale, ossia dell’equity.

Aumentando di 200 punti base i tassi, il margine d’interesse andrebbe ad aumentare del 4,1% nel corrente anno, del 10,5% entro il biennio 2018/19, anche se, come si è accennato, andrebbe in decremento il valore dell’equity, che sarebbe del 2,7% considerato a livello aggregato.

Con queste premesse, sostiene la Banca Centrale Europea, ci si aspetta che, in considerazione dei maggiori rischi, ogni singola banca chieda un capitale maggiore; si tratterebbe di una reazione comunque circoscritta, non sul piano globale.
Il metodo con cui si applicano gli esercizi di stress test, possono essere diversi e cambiare a seconda del paese ‘in esame’ con l’andare del tempo.

La procedura attuale riguardante i test è piuttosto rigorosa, sia perché è proiettata in un triennio, e dunque uno spazio temporale più ampio (per esempio rispetto a quelli seguiti dalle Autorità statunitensi), e sia per le caratteristiche concernenti i metodi applicati.
Gli stress test possono anche definire esigenze immediate d’incremento patrimoniale, ma sono risultati che vengono impiegati dalla Vigilanza per fini di ordinari processi di controllo e supervisione.

L’EBA – Autorità Bancaria Europea – si prefigge, con l’utilizzo di questi metodi, di verificare la stabilità del sistema finanziario europeo, e di regolare il funzionamento  e l’efficienza dei mercati finanziari, individuandone quindi le possibili vulnerabilità, i rischi e le tendenze.

Le funzioni dell’Eba, in ambito europeo, vengono svolte in collaborazione con il CERS, ossia Comitato Europeo per il Rischio Sistemico, i test ai quali le banche sono sottoposte, hanno il fine d’individuare le reali capacità degli istituti di credito di affrontare emergenze, comunque situazioni negative dei mercati.

Elaborando questi dati, l’Eba può prevenire condizioni di rischio e in ogni caso contribuire alla valutazione del rischio sistemico (finanziario) in ambito europeo.
Gli stress test seguono una procedura ‘bottom-up’, alla base vi sono metodiche e scenari analizzati tramite una stretta collaborazione con il CERS, oltre che con la Bce e la Commissione europea.

MOODY’S: L’ITALIA NON MERITA UNA PAGELLA PIU’ BRILLANTE..

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Agenzia Moody’s non si lascia condizionare dall’entusiasmo del momento, l’outlook sull’Italia è negativo e il rating non va oltre Baa2. Estrema prudenza nelle valutazioni, permangono considerazioni d’incertezza verso il futuro e le prossime elezioni politiche.

Secondo l’agenzia di rating, che non è mai stata di ‘manica larga’ nei confronti del bel paese, il futuro Governo, verosimilmente, potrebbe essere ‘un precario’ non in grado di assicurare la stabilità politica della quale il Paese ha estremo bisogno, per ingranare una marcia di crescita più decisa.

Ci dovrebbero essere garanzie precise per quel che concerne le scelte di politica economica coraggiosa espresse dall’attuale Governo, con un’incentivazione delle riforme strutturali, e il rafforzamento del settore bancario.
In sintonia con altri dati macro fondamentali per consolidare la crescita.

Moody’s riconosce tutti gli sforzi compiuti dal Governo negli ultimi quattro anni, ritiene buona anche la crescita dell’1,5% del Pil per l’anno in corso e il 2018, rivelatosi ‘oltre le aspettative’, sottolinea. Ma non basta: per una pagella più brillante, è necessario dimostrare impegno e risultati più convincenti, secondo l’Agenzia di rating.

Insomma, nessun voto d’incoraggiamento, il Paese dovrà dimostrare di meritarselo con coerenza e impegno nei prossimi anni, una volta avviata la nuova legislatura. Moody’s insiste sulla necessità di risanare i conti pubblici, il debito è molto alto, e proprio qui il prossimo Governo dimostrerà di sapere stare al timone.

Abbattere questo mostro che schiaccia l’economia deve diventare un imperativo, considerato che sottrae risorse fondamentali, anche a causa della ruota infernale di interessi che produce. Bisogna fermarlo e ridurlo in maniera più efficace, sia pure graduale, solo così i margini di manovra diventeranno più elastici, tali da rendere più agevole la spesa e l’incentivazione degli investimenti.

IL LOW COST NON E’ PIU’ LA STRATEGIA VINCENTE DELLE COMPAGNIE AEREE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

La strategia del low cost, applicata da tanti vettori in Europa (e non solo), nonostante si sia rivelata vincente per anni e anni, ora è inesorabilmente in crisi. Qualcosa si è spezzato nella giungla di questo mercato, dove le dinamiche della concorrenza decidono la supremazia delle compagnie che dimostrano di reggere gli urti della competitività, perché in fin dei conti sono più resilienti, più corazzate finanziariamente.

Per troppo tempo abbiamo messo alla gogna Alitalia, l’ex compagnia di bandiera, addebitandole ogni responsabilità, mentre si assisteva ad un susseguirsi di crisi e dissesti, che nel volgere di alcuni decenni, da vettore di prestigio internazionale, si è esposta al declino, cancellando anno dopo anno le credenziali di efficienza e invulnerabilità sulla ‘quota’ di mercato che si è conquistata.

Dalle stelle alle stalle, da un padrone all’altro. Eppure le altre compagnie di bandiera europee non hanno avuto ali propriamente d’acciaio, e le notizie di cedimenti non sono state poi una rarità nella compagine dei vettori europei più solidi negli anni della crisi.
Ora c’è da dire che stanno recuperando, dopo serie riflessioni sull’esigenza di tagliare i costi e di migliorare la gestione. Per non collassare hanno messo in atto strategie volte a ridurre gli sprechi, anche tramite il contenimento degli stipendi al personale.

Una delle ragioni che hanno portato più volte Alitalia sull’orlo del fallimento, è stato proprio il trattamento economico di cui beneficiano i dipendenti, in particolare piloti e comandanti.

Le compagnie di bandiera, e quelle al di fuori del perimetro del low cost, hanno assimilato diverse lezioni.

Per questo nuovo assetto finanziario più solido, per una governance più garantita ed efficiente, la Borsa le ha premiate, se si considera come riferimento l’inizio dell’anno, i titoli di alcune compagnie hanno fatto balzi davvero considerevoli, si allude ad Air France Klm, il cui titolo è salito del 163%, British Airways, del 38%, Lufthansa, del 98%..
In questo clima di ripresa e consolidamento delle grandi compagnie tradizionali, come mai le big del low cost, che sembravano inossidabili e inaffondabili, si trovano davanti all’abisso della crisi? Una crisi che magari non sarà irreversibile, ma che, inevitabilmente, si presenta come una spia rossa lampeggiante, ed impone una revisione del concetto ‘low cost’.

C’è da fare il punto su un allarme che nemmeno Ryanair può più celare dietro ‘il riposo dovuto ai piloti’ e ‘lo studio per il rispetto della puntualità sugli orari’, quando la verità è più amara, e riguarda invece la fuga dei piloti verso ripari più gratificanti, non solo sul versante del trattamento economico. Tutto da rivedere? Possibile, se da questi acquitrini Mister Michael O’Leary si vuole allontanare, insieme a tutta la numerosa tribù.

Il quotidiano irlandese ‘The Irish Independent’, parla di ‘migrazione’ verso la compagnia low cost ‘Norwegian’, che sembra godere ottima salute, e ha spalancato le sue porte a 140 piloti di Ryanair, offrendo loro contratti molto più allettanti.

E la lista non sarebbe così ‘esigua; infatti, secondo le risultanze dell’associazione dei piloti irlandesi, Ialpa, sarebbero invece 718 i comandanti che hanno trovato riparo altrove, in compagnie ancora più compiacenti, come quelle cinesi e arabe. Se questi dati fossero confermati, sarebbe davvero tutto da rifare, e non resterebbe che un senso di stupore e scalpore, perché davvero, con i risultati conseguiti dal vettore irlandese nel 2016, sembrava che quel cielo fosse libero e immune dal termine ‘crisi’. Il low cost sembrava anzi il parafulmine della crisi.

E infatti lo scorso anno si è chiuso con cifre da record: prima di tutto il vettore irlandese si conferma in Italia la prima compagnia aerea, sia in ambito nazionale che internazionale. Ryanair, e già si sapeva, è il principale operatore degli scali aeroportuali italiani.

E veniamo ai numeri (nel 2016): 32.615.340 passeggeri, che segnano una crescita in positivo del 9,8%, rispetto al 2015. Non cifre che preludono una crisi quasi imminente. Eppure, siamo sulla soglia. Mentre ad Orio al Serio Ryanair fa la parte del leone, e detiene l’80% del traffico passeggeri. Vi lavorano 7.500 dipendenti, senza considerare l’indotto, che sfiora i 25 mila.
Ora la ‘big company’ farà la sua pausa di riflessione, come tutte le crisi che si rispettino, al malessere serio, seguirà un protocollo di cura che sia confacente al caso, ma non è pensabile, né tanto meno auspicabile, che un gigante di questa portata possa collassare. Perderà qualche unghia, userà un’impietosa mannaia, e ad essere sacrificati saranno magari migliaia di dipendenti. Ma è ragionevole pensare che potrà tornare a spiccare il volo con la consueta sicurezza.

Nessuno, in ogni caso, avrebbe mai potuto ipotizzare una crisi del settore low cost, che delle strategie di ottimizzazione dei costi ne ha sempre fatto una carta vincente. Non ‘All of a sudden’, dicono nel Regno Unito per ‘Monarch Airlines’, vettore (low cost) che gestiva una buona fetta del mercato in Europa, e che facendo un bel po’ di rumore è uscito di scena, perché finito nel vortice della bancarotta. E’ un turbinare continuo negli ultimi mesi, soprattutto intorno alle compagnie del low cost; ignorare questo planare raso terra di eccellenze, il cui ‘brand’ ha sempre rappresentato una garanzia per i passeggeri, non è più possibile.

Difficile capire le origini di questi cedimenti, alcune cause sembrano evidenti, ma tante si celano nella fitta rete di dinamiche che regolano il mercato, una giungla, quasi.
Secondo il prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale alla Luiss, “abbassare i prezzi in modo così selvaggio, per difendersi dalla concorrenza, a scapito del personale di volo e della qualità dei servizi, non può produrre buoni risultati nel lungo periodo.

I costi con i quali ci si misura, portano inevitabilmente alle difficoltà.” Le ragioni, secondo il prof. Pozzi, sarebbero da ricercare anche sulla liberalizzazione del trasporto aereo, che ha portato a sviluppare un nuovo assetto normativo, il quale favorisce la concorrenza, ma produce dipendenza nel mercato. Gli investimenti pubblici negli aeroporti, per rendere più agevoli gli scali, hanno favorito fino ad ora i vettori del low cost, perché hanno anche finanziato la disponibilità di nuove rotte.

Intanto Ryanair ora deve pensare a svincolarsi dagli artigli della Codacons e della Procura di Bergamo, visto che la Magistratura non intende fare finta di nulla, dopo gli annunci shock della compagnia sulla sospensione di centinaia di migliaia di voli.

Ryanair, non è una novità, con la politica di prezzi ‘low cost’, ha costruito la sua fortuna, ora però dovrà fare i conti con un procedimento istruttorio aperto dall’antitrust, a causa di presunte iniziative commerciali sleali, violando, secondo l’Authority, il Codice del Consumo. Il vettore irlandese dovrà vedersela anche con l’inchiesta dei magistrati della procura di Bergamo, in seguito all’esposto di Codacons, dopo la decisione di cancellare migliaia di voli.

Quest’ultima ha deciso di tutelare i passeggeri, ‘scaricati’ senza troppi riguardi, i quali potranno costituirsi come parte offesa nel procedimento in corso, e saranno assistiti tramite una richiesta di rimborso e/o risarcimento che ognuno di loro potrà indirizzare a Ryanair. Gli interessati possono scaricare ‘una nomina di persona offesa’ individuale, con questa procedura saranno sicuramente riconosciuti i diritti di ogni passeggero danneggiato.

E in graticola, come si è accennato, c’è anche Monarch, oltre ad un’ecatombe di fallimenti di piccole compagnie, che sono scese nell’arena, ma non hanno retto il confronto: i passeri, del resto, davanti alle aquile, prima o poi finiscono per diventare prede, e infatti molte di loro sono state reclutate da vettori più forti, sia in termini di flotta che di profitti.
Monarch Airlines, compagnia del Regno Unito, pochi giorni fa ha dichiarato fallimento, e non è stato facile per l’aviazione civile britannica accettarne il crack, anche perché ha piantato in asso 110 mila passeggeri, mentre altri 300 mila si ritroveranno con i voli annullati, e un ticket da rimborsare.

Il Governo britannico ha provveduto al noleggio di alcune decine di aerei, per riportare in Gran Bretagna i passeggeri bloccati all’estero a causa della cancellazione dei voli. Mentre Ryanair scopre nel giro di pochi mesi che piove in casa, per Monarch Airlines non è una novità, lo spettro della crisi incombeva da anni. Come Alitalia ha subito tante trasfusioni di liquidità, si pensa che le tratte verso la Turchia e l’Egitto, nelle quali aveva quasi il monopolio, abbiano subito un ingente calo di passeggeri, e questa sia stata la breccia attraverso la quale è passata la crisi.

La Monarch Airlines, con base all’aeroporto londinese di Luton, è stata pertanto costretta alla sospensione di tutti i voli. Questa volta il malessere è serio.
Ora è in amministrazione controllata, le sue sorti non sono state ancora definite, occorrerà del tempo, ovviamente, anche perché 3 mila lavoratori non si rassegneranno ad essere scaricati come valige in un angolo. I dirigenti della compagnia non risparmiano le frecce al veleno al Governo May, per il modo in cui è stata gestita la crisi fino ad ora, e c’è poi l’incognita Brexit, che non si sta rivelando essere, come si illudevano i sostenitori del ‘leave’, quel favo di miele che avrebbe finalmente reso felici i sudditi di S.M.

Eppure la crisi che attraversa l’aviazione civile non riguarda solo l’Europa, negli Usa, le difficoltà ci sono eccome. Anche negli States c’è carenza di piloti (in Europa, secondo gli esperti, ne mancherebbero circa 50 mila). La compagnia ‘Horizon Air’ è stata indotta a cancellare oltre 700 collegamenti ad agosto scorso, ed entro un ventennio si stima che sono necessari più di 600 mila boeing. Ma la grande lacuna restano i piloti, la loro formazione, l’integrazione nell’organico.

In piena era di globalizzazione, l’Europa non poteva essere l’unico continente ad essere coinvolto in questo fenomeno, che sta peraltro creando notevoli disagi ai passeggeri.

IL RIO DELLE AMAZON NELL’EUROPA DISUNITA

 

Si chiama Unione Europea, ma ognuno fa un po’ quello che gli pare, almeno fino ai confini faticosamente imposti dalla comunità di stati, confini quasi sempre economici, aiuti di stato, scambi commerciali e moneta unica, al punto che la fiscalità può essere in concorrenza, ma il debito di un paese non può essere compensato con quello degli altri, sbilanciando offerta e domanda all’interno del gruppo di stati associati.

Ieri ce ne siamo accorti con Ryanair, che pur avendo sede in uno stato membro dell’Unione sfugge ai controlli fiscali ed anche alle regole sull’occupazione di tutti gli altri stati membri, pagando tasse inferiori ed applicando contratti di lavoro che altrove all’interno della comunità sarebbero considerati illegali, oggi alla ribalta, invece, è Amazon che, come ha dichiarato la Commissaria UE alla Concorrenza, Margrethe Vestager, «Grazie ai vantaggi fiscali concessi dal Lussemburgo ad Amazon circa tre quarti degli utili di Amazon non sono tassati. In altri termini, Amazon ha potuto pagare 4 volte meno tasse rispetto alle altre società locali sottoposte alle stesse regole fiscali nazionali. È una pratica illegale rispetto alle regole Ue in materia di aiuti di Stato: gli Stati UE non possono accordare alle multinazionali dei vantaggi fiscali selettivi a cui le altre società non hanno accesso».

Circa 250 milioni di euro che Amazon deve pagare, anzi “restituire”, secondo l’Unione, al Lussemburgo per evitare che lo stato venga multato per concorrenza sleale.

Una situazione assurda in un sistema apparentemente mai stato veramente sotto controllo e che oggi sta cominciando ad evidenziare tutte le sue falle, su tutte l’evidente disomogeneità delle regole all’interno del gruppo di stati dove quattro libertà fondamentali sono garantite: la libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali e della prestazione dei servizi.

Come sia possibile garantire tutto ciò con regole differenti in ogni stato è davvero un mistero e le evidenze sembrano dare torto a chi pensa che l’Europa sia davvero Unita.

La cifra è certamente scandalosa, bisogna però chiedersi cosa nasconda il fatto che uno stato possa “rinunciare” a 250 milioni di euro in favore di un’azienda, dato che, escludendo che si tratti di un favore tra amici, qualche tornaconto questa rinuncia lo deve pur produrre e se questo tornaconto sono il resto delle tasse che in questo modo non sono pagate ad altri… allora abbiamo davvero un problema.

Il sistema di rinunciare a parte delle entrate pur di accaparrarsi il resto evidenzia una lotta fratricida in una comunità che dovrebbe essere di amici ed omogenea, una cosiddetta guerra tra poveri che certo non doveva essere lo spirito con cui fu pensata inizialmente la Comunità degli Stati d’Europa, ma che ha finito per diventare quasi una necessità di sopravvivenza in un ambiente dove lo stato “virtuoso” non aiuto lo stato “bisognoso”, ma lo costringe a rinunce ancor maggiori, come nel caso eclatante ed ormai sopito della Grecia, tuttora affamata dai debiti e lasciata sola ad affrontarli.

Così in questa Europa che ci permette di evitare di cambiare moneta in ben 19 stati differenti non ci consente di avere una vita armoniosa al suo interno, un solo prefisso telefonico, un solo sistema fiscale ed un solo unico governo capace di armonizzare, nella speranza di semplificarle, le norme comuni quotidiane.

Ieri Ryanair, oggi Amazon e domani chissà, forse Google o Facebook, ma il problema dell’unificazione delle norme e delle condizioni resta appeso: per ora lo scandalo è solo che il Lussemburgo, badate bene non l’incolpevole Amazon, è stata apparentemente sleale con i suoi confratelli.

VIA LIBERA DEL PARLAMENTO SU NOTA DI AGGIORNAMENTO E SCOSTAMENTO BILANCIO

DI VIRGINIA MURRU

 

Il Senato approva in data 4 ottobre, con risoluzione di maggioranza, la Nota di Aggiornamento al Def e scostamento dal pareggio di bilancio. A sostegno della Nota di programmazione economica presentata dal Governo, è emersa una forte maggioranza (è stata assoluta, e avrebbe comunque superato l’esame anche con una maggioranza semplice), visto che hanno votato a favore 164 senatori. I contrari sono stati 108, più un astenuto.

Mentre, poco più tardi, l’Aula ha dato il via libera al Governo sullo scostamento dal pareggio di bilancio; la maggioranza è stata più ampia perché sostenuta anche dal gruppo Mdp, passa dunque con 181 favorevoli e 107 contrari. Con l’approvazione si rende possibile l’aggiustamento strutturale pari allo 0,3% per il prossimo anno, intervento che rientra nella Nota di aggiornamento al Def. Per questa approvazione era necessaria, secondo l’art. 81 della Costituzione, la maggioranza assoluta.

Anche il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, esprime la sua soddisfazione in un tweet: “il voto del Senato è all’insegna della responsabilità e stabilità”. E dichiara ‘che non sarà una manovra depressiva per il sistema’.
Il Movimento democratici progressisti si sono astenuti lasciando l’Aula, i suoi esponenti non convergono sostanzialmente sulla linea programmatica del quadro economico-finanziario relativo alla prossima legge di Bilancio. Non erano stati peraltro accolti i sette emendamenti presentati precedentemente. Votato a favore, ‘per senso di responsabilità verso il Paese’, 12 esponenti del gruppo di Verdini.

Hanno però espresso il voto a favore, nella seconda votazione riguardante l’autorizzazione allo scostamento dal pareggio di bilancio, i 16  senatori del Mdp hanno infatti votato coesi per il sì.
C’è stato poi anche l’’ok’ a Montecitorio, con 358 sì e 133 no sull’autorizzazione allo scostamento di bilancio, per il quale si è espresso a favore anche Mdp. In seconda votazione ampio assenso alla risoluzione di maggioranza relativa alla Nota di aggiornamento del Def (i favorevoli sono stati 318 e i contrari 135), ma, come avevano annunciato, gli esponenti Mdp, si sono astenuti.

Mdp non concorda su diversi punti, come la mancanza di interventi sulle privatizzazioni, le quali, secondo il Movimento, avrebbero permesso un più agevole contenimento del debito. Non vi è convergenza sulle iniziative di carattere strutturale, che ritengono fragili, mancherebbe una visione chiara sulla Sanità, alla quale sarebbero state destinate risorse insufficienti, considerando poi che in ambito europeo siamo di alcuni punti percentuali al di sotto della media. Pierluigi Bersani non vuole sentire parlare di superticket.

Il Governo, al riguardo, ha manifestato comunque apertura sull’ipotesi di una revisione, ma in prospettiva ci sono ancora tante battaglie, anche se, in generale, i parlamentari della Sinistra hanno dimostrato senso di responsabilità, e questi atteggiamenti possono sostenere il Paese più dell’ostruzionismo e della sterile opposizione.

Le iniziative del quadro programmatico sono proiettate su un clima di crescita, innovazione e progresso, considerato il favorevole assetto congiunturale degli ultimi anni, e del 2017 in particolare. Le performance dell’economia, secondo le risultanze dei dati diffusi dall’Istat (ma anche dalle varie Agenzie di rating), sono andati al di là di ogni ragionevole aspettativa. Sono queste le fondamenta di un processo proiettato nel futuro, dove tuttavia il presente, attraverso scelte mirate, è importantissimo, per aprire orizzonti nuovi di crescita e permettere al Paese di allontanarsi definitivamente dalla palude della crisi.

Tante le misure del Governo contenute nel quadro di programmazione economica, alla luce dell’ottimismo imperante e delle nuove prospettive in cui è proiettata l’economia del Paese. E’ prevista una ‘crescita inclusiva’ per le classi meno abbienti, promette il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il ministro assicura che il paese ha imboccato la via della svolta, e  non c’è da preoccuparsi circa la ‘dipendenza’ dal Qe, il cui effetto non può essere ritenuto una ‘droga’ dalla quale è difficile affrancarsi.

“Lasciamo il Paese – afferma Padoan –  con un lungo percorso di riforme e interventi che ci hanno permesso di abbandonare le sabbie mobili della recessione, lasciamo un’eredità forte al prossimo Governo, al quale spetterà il compito del transito, del passaggio all’autonomia per ciò che concerne la politica monetaria espansiva portata avanti dalla Bce, che indubbiamente ha dato una mano al Paese.
La crescita va avanti, il settore bancario procede con maggiore sicurezza, anche se – precisa – il sentiero è stretto e le risorse ancora limitate. Ma si può migliorare, non pecchiamo di ottimismo.”

Secondo il ministro, la fine del Qe, attesa a breve, non deve preoccupare, a patto che in futuro si continui a perseverare nel campo delle riforme strutturali, e le iniziative volte alla riduzione del debito. Questo impegno è fondamentale per proseguire su un percorso di crescita.
Nel 2016 risulta cresciuto anche il reddito disponibile delle famiglie italiane.

Ed eccole le ‘cifre’ più importanti del Def:

Sostegno alle famiglie e potenziamento degli assegni per i figli; proroga sulla riduzione, fino al 10%, della cedolare secca sugli affitti, con l’impegno di allungare l’intervento anche sui proventi che derivano dagli affitti non destinati ad uso abitativo. Nelle politiche di sostegno alle famiglie vi è l’intento di favorire la crescita demografica, l’Italia è uno dei paesi interessati al fenomeno del calo delle nascite.

Per ciò che attiene agli interventi previsti per il settore sanitario, così tanto contestati dalle opposizioni, c’è la disponibilità a riesaminare i criteri concernenti le norme sul superticket, con misure di revisione graduali, e col presupposto di agevolare gli assistiti sui costi, già di per sé un versante piuttosto travagliato e discusso. Ed è proprio una condizione che la maggioranza ha praticamente imposto al Governo per il Def, sulla risoluzione relativa alla Nota di aggiornamento.

L’opposizione insiste anche  sulla necessità di investimenti in ambito sanitario, da attuare nel volgere di un triennio, dato che le risorse destinate non sono ritenute sufficienti per il settore.
Il Governo ha mostrato disponibilità per una revisione in meglio degli interventi sul sistema Sanità, anche nell’ottica di misure che rendano più dinamica ed efficiente l’assistenza sanitaria.

Intanto la legge di bilancio dovrà essere approvata entro il 20 ottobre, e la bozza trasmessa alla Commissione dell’Unione europea entro il 15 ottobre.
Nella manovre ci sarà spazio per circa 2,5 mld di spesa e 6 mld di entrate. Si deve tenere conto anche della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, la quale, secondo gli intendimenti del ministro Padoan – precisati nella Nota di aggiornamento al Def – sarà compensata con misure intorno allo 0,5% del Pil, ed interesserà sia la spesa pubblica che le entrate. La manovra, complessivamente, sarà pertanto di 8,5 mld, dei quali 6 riguardano le entrate e 2,5  tagli alla spesa.

Il ministro dell’Economia spiega che nella manovra non è previsto l’aumento dell’Iva, anch’esso tanto dibattuto, “ci sarà attenzione verso il sostegno ai soggetti più fragili e dunque verso la povertà, in un’ottica di rispetto verso gli impegni presi con l’Ue.”

Secondo l’Istat, il debito pubblico, comunque drammatico, sarà, per l’anno in corso, pari a 131,6%, rapportato al Pil, mentre nel 2018 si riscontrerà una contrazione, e, sempre in rapporto al Pil, sarà di 129,9%, ma qui anche i decimali rappresentano importi considerevoli. Secondo le affermazioni di Padoan, nel volgere di un quinquennio  o poco più, l’imposizione fiscale sarà ridotta di circa 20 mld; i tagli a beneficio del contribuente riguardano l’Ires, il bonus Irpef, eliminazione della Tasi per la prima casa.

Il ministro Padoan, come si è visto, assicura anche l’eliminazione delle clausole Iva, totalmente, insieme alle accise. Per i compensi si potrà attingere dai margini di deficit pari a 6 decimi di punto, il che, tradotto in cifre, equivale a 10 mld. Resterebbero altri 5 mld di clausole senza relativa copertura, ma si pensa di riuscire a trovare gli spazi necessari nella legge di bilancio, così come per altri ambiti.

E’ chiaro che queste manovre richiedono sacrifici, secondo il ministro, e non manca mai ultimamente, di sottolineare che si procede ancora su un ‘sentiero stretto’. Per questa ragione, per via delle risorse limitate, il pareggio di bilancio sarà conseguito nel 2020, e non nel 2019, come si pensava fino al secondo trimestre del 2017.

BANKITALIA: LA RIDUZIONE DEL RAPPORTO TRA DEBITO E PIL E’ UN IMPERATIVO

 
DI VIRGINIA MURRU
Mentre è ormai prossima la scadenza sul mandato del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al momento l’Istituto mette al vaglio i dati e le analisi sulla favorevole congiuntura economica del Paese.
 
Il Vicedirettore generale, Luigi Federico Signorini, in audizione alle Commissioni di Bilancio della Camera e del Senato (su Nota aggiornamento al Def), sottolinea questo clima di ottimismo, e il trend di crescita previsto anche nell’ultimo trimestre del 2017.
 
Afferma Luigi Signorini:
 
“l’aggiustamento dei conti pubblici e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil deve essere un ‘imperativo’, e, alla luce dei risultati conseguiti negli ultimi anni, anche possibile, alla portata dell’attuale congiuntura”.
 
Dunque, secondo il Vicedirettore generale di Bankitalia, questo obiettivo deve essere considerato in un’ottica quasi ‘ingiuntiva’ per l’italia. La riduzione graduale del debito, che ha raggiunto proporzioni ormai allarmanti (oltre 2.400 mld), è fondamentale per dare un senso a tutti i segnali verdi che il semaforo della nostra economia sta riflettendo. Le manovre di politica economica e di bilancio – secondo Signorini – dovrebbero armonizzarsi in una linea di simmetria tale da non compromettere la crescita in atto, e allo stesso tempo tenendo conto dell’esigenza di controllo e riduzione del debito.
 
“E’ un sentiero stretto – commenta Luigi Federico Signorini, ma rispetto al passato è più percorribile, perché le premesse e l’assetto dell’economia italiana permettono misure e vie più agevoli, perché diversa è la congiuntura e le condizioni di mercato.”
 
Del resto, ormai da mesi, è anche la formula chiave del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Circa la Nota al Def, il Vicedirettore Signorini, sostiene che l’’analisi di sensibilità’, volta a sondare gli effetti di un possibile shock alla crescita (e ai tassi d’interesse), collima con le analisi espresse dalla Banca d’Italia: ossia che la tendenza alla contrazione del debito proseguirebbe anche nel medio periodo, precisando però che questo percorso sarebbe in salita, e in termini di riduzione, la percentuale sarebbe per ovvie ragioni inferiore.
 
E aggiunge che il Governatore della Banca d’Italia, al riguardo, ha già parlato in alcuni recenti interventi, di studi mirati, più precisamente di simulazioni rapportate alla velocità di contrazione tra debito e Pil, in linea con ipotesi di crescita diverse, e le relative reazioni dei tassi d’interesse.
 
Queste analisi hanno messo in rilievo il fatto che è possibile, nel medio termine, procedere alla riduzione del debito.
Vale anche la pena ricordare che l’aggiustamento strutturale del Pil è stato definito dello 0,3% (per anno), misura che consentirà al governo italiano di perseverare con manovre di politica economica tali da ridurre in modo costante il rapporto deficit/Pil, nonché la stabilizzazione che riguarda il rapporto debito/Pil (dinamiche che viaggiano quasi in tandem..), e che già nel 2017 dovrebbe dare i risultati attesi.
 
E’ possibile intraprendere questa importante strada di contenimento del debito, anche secondo Giorgio Alleva, presidente dell’Istat (economista e statistico di prestigio internazionale), anch’egli in audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il quale sottolinea, a sua volta, le condizioni favorevoli dell’economia, che dovrebbero perdurare, e anzi migliorare nell’ultimo trimestre dell’anno, sostenuta dalla domanda d’investimenti in macchine e attrezzature.
 
Gli fanno eco anche gli ultimi dati sul mercato delle auto, divulgati dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture: a settembre c’è stato un incremento nelle vendite pari all’8,13%, rapportato a settembre del 2016. Nel corso dei primi nove mesi dell’anno (e in rapporto allo stesso periodo del 2016), la crescita in termini di vendite è stata del 9%.
 
A corredo dei buoni segnali che vengono dai diversi orizzonti dell’economia, vi sono i dati macro, che consolidano questa tendenza incoraggiante, come la crescita del tasso di occupazione (anche giovanile), che ad agosto scorso, secondo gli ultimi dati Istat diffusi il 2 ottobre, continua a presentare un trend in crescita, +0,2% – rispetto al mese precedente. In termini di cifre, pari a +36 mila. I dati mettono in evidenza la tendenza alla crescita emersa negli ultimi mesi. Secondo i dati Istat, pertanto, il tasso di occupazione sale al 58,2%. Aumento lieve, ma importante.
 
Tutto questo mentre da Palazzo Koch e dalla Corte dei Conti arriva un monito: “non si torni indietro sulle pensioni”.

LO SCIOPERO CHE NON C’È

 

Centinaia di voli cancellati, aeroporti in tilt, tangenziali bloccate e nessuno sciopero annunciato, come mai?

La ragione è che si è trattato dello sciopero generale dei trasporti proclamato dal sindacato di base USB e che, come per tutti gli scioperi dei sindacati di base che danno fastidio al governo, non è stato battuto dai quotidiani nazionali, quelli che sopravvivono con le sovvenzioni dello stato.

Alganews, senza sovvenzioni, totalizza quotidianamente un numero di lettori superiore a molti di essi, ma, ovviamente, se lo dice uno di questi le cose cambiano, diventa subito importante anche un pettegolezzo.

ANSA non batte la notizia se non per un trafiletto dovere di cronaca, altrimenti che agenzia stampa è?

Repubblica ed il Mattino comunicano che a Napoli la tangenziale è in tilt, sciopero locale?

La Nazione riporta disagi negli aeroporti di Firenze e Pisa, Milanotoday rischio per bus e tram.

Fine della cronaca di una giornata di normale disinformazione, nessun’altra testata ne è al corrente.

Eppure lo sciopero in Italia sottostà a moltissime regole e vincoli, al punto che scioperare è diventato difficilissimo: per prima cosa si deve dire ufficialmente alla controparte di essere arrabbiati per qualcosa ed esperire un primo obbligatorio tentativo di conciliazione, se questi non va bene, si deve ripetere l’incontro alla presenza della prefettura o del governo, a seconda se si tratta di un conflitto locale o nazionale, infine si può scioperare per sole 4 ore e poi per un massimo di 24 con preavvisi di almeno 13 giorni ed altrettanti tra uno sciopero e la proclamazione del successivo… quindi se si fanno i conti per bene sono almeno due mesi che lo sciopero di oggi era in preparazione, eppure nessuno sa nulla, nemmeno quei giornalisti tanto bene informati da sapere che in Oregon un gattino non riesce più a scendere da una pianta ed è stato salvato da un eroico anziano di passaggio…

Sarebbe facile dare la colpa ai social ipnotici od alla disattenzione generale alle cose serie, ma se oggi fa più sensazione un bebè che ride a crepapelle e non ci si scandalizza più per i soprusi sui lavoratori la colpa è solo nostra, che non sappiamo più reagire a nulla, pigri ed assuefatti al messaggio che ci propinano i governi che nessuno, oltre a loro, ci possa salvare, avviandoci verso un baratro inevitabile se non reagiremo in massa.

La rivoluzione di domani si può fare senza armi, sarà sufficiente tornare indietro di trent’anni, a quando le banche di affari erano separate dalle banche commerciali e quando i diritti dei cittadini e dei lavoratori erano garantiti e non negati attraverso norme aggiuntive e vessatorie.

Cancelliamo il Jobs Act, la legge Biagi e le varie riforme del lavoro, via libera alle tutele integrali e rispetto della persona prima che delle banche, forse produrremo meno PIL, ma saremo certamente più sereni e soprattutto via libera allo sciopero sotto tutte le sue forme: chi sciopera non si diverte, perde tempo e salario, mediamente tra 80 e 100 euro, non si spreca denaro se non si è davvero convinti che sia necessario, non è un giro sulla giostra od una gita fuori porta.

Oggi migliaia di lavoratori hanno scioperato con fatica e sofferenza, per farlo hanno dovuto costruire un percorso difficile che realizza l’assurdo che se lavori ti possono licenziare quasi senza preavviso e se vuoi scioperare devi dirlo in anticipo e poi andare comunque a lavorare e persino quando scioperi perché ti stanno licenziando ti vorrebbero obbligare a lavorare fino a quando non avrei più un lavoro… se non è assurdo tutto questo!

Ma la cosa più interessante è la motivazione con la quale USB ha proclamato uno sciopero generale nazionale ed altri due scioperi di sindacati di base sono già previsti per fine ottobre: si sciopera per rivendicare il diritto di sciopero!

È il caso di riflettere se non siamo davvero arrivati al capolinea, ormai non si rivendica più salario perché manca lavoro e stabilità, non si chiedono maggiori tutele perché mancano i diritti di base e si sciopera per poter continuare scioperare, cioè rivendicare l’unico strumento di lotta efficace dei lavoratori… assurdo.

Sullo sciopero si basano le civiltà industriali moderne, è stata approvata la legge 300/70, quelle forse più famosa in Italia, quella denominata “lo statuto dei lavoratori”; festeggiamo l’8 marzo, il primo maggio ed altre date che ci dovrebbero ricordare come siano stati in passato superati grandi soprusi attraverso questo strumento di lotta, mentre chi ancora oggi difende i diritti della base è costretto a rivendicarne il diritto ormai negato.

Lo sciopero di oggi è perfettamente riuscito nonostante il silenzio stampa, moltissimi dei lettori di Alga lo potranno riconoscere, muoversi oggi non è stato facile un po’ ovunque, e la disinformazione ha regnato sovrana: pochi articoli e su edizioni locali per scelte “imperscrutabili” dei grandi editori.

Quello che però è certo è non faremo alcun passo avanti se continueremo a mettere “mi piace” alla notizia del gattino dell’Oregon e non ci scandalizzeremo più per i nostri diritti negati: per ogni utente che oggi non si è potuto muovere c’è almeno un lavoratore oppresso, precario o licenziato, non “altri” soggetti invisibili, ma tanti noi stessi che attraverso la nostra indifferenza ci trascinano nel baratro con loro.

Oggi dare solidarietà a chi sciopera per il lavoro ed i diritti significa cercare di evitare che questi vengano sempre più negati e sempre più irreparabilmente anche a noi.

Pensiamoci.