IL LOW COST NON E’ PIU’ LA STRATEGIA VINCENTE DELLE COMPAGNIE AEREE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

La strategia del low cost, applicata da tanti vettori in Europa (e non solo), nonostante si sia rivelata vincente per anni e anni, ora è inesorabilmente in crisi. Qualcosa si è spezzato nella giungla di questo mercato, dove le dinamiche della concorrenza decidono la supremazia delle compagnie che dimostrano di reggere gli urti della competitività, perché in fin dei conti sono più resilienti, più corazzate finanziariamente.

Per troppo tempo abbiamo messo alla gogna Alitalia, l’ex compagnia di bandiera, addebitandole ogni responsabilità, mentre si assisteva ad un susseguirsi di crisi e dissesti, che nel volgere di alcuni decenni, da vettore di prestigio internazionale, si è esposta al declino, cancellando anno dopo anno le credenziali di efficienza e invulnerabilità sulla ‘quota’ di mercato che si è conquistata.

Dalle stelle alle stalle, da un padrone all’altro. Eppure le altre compagnie di bandiera europee non hanno avuto ali propriamente d’acciaio, e le notizie di cedimenti non sono state poi una rarità nella compagine dei vettori europei più solidi negli anni della crisi.
Ora c’è da dire che stanno recuperando, dopo serie riflessioni sull’esigenza di tagliare i costi e di migliorare la gestione. Per non collassare hanno messo in atto strategie volte a ridurre gli sprechi, anche tramite il contenimento degli stipendi al personale.

Una delle ragioni che hanno portato più volte Alitalia sull’orlo del fallimento, è stato proprio il trattamento economico di cui beneficiano i dipendenti, in particolare piloti e comandanti.

Le compagnie di bandiera, e quelle al di fuori del perimetro del low cost, hanno assimilato diverse lezioni.

Per questo nuovo assetto finanziario più solido, per una governance più garantita ed efficiente, la Borsa le ha premiate, se si considera come riferimento l’inizio dell’anno, i titoli di alcune compagnie hanno fatto balzi davvero considerevoli, si allude ad Air France Klm, il cui titolo è salito del 163%, British Airways, del 38%, Lufthansa, del 98%..
In questo clima di ripresa e consolidamento delle grandi compagnie tradizionali, come mai le big del low cost, che sembravano inossidabili e inaffondabili, si trovano davanti all’abisso della crisi? Una crisi che magari non sarà irreversibile, ma che, inevitabilmente, si presenta come una spia rossa lampeggiante, ed impone una revisione del concetto ‘low cost’.

C’è da fare il punto su un allarme che nemmeno Ryanair può più celare dietro ‘il riposo dovuto ai piloti’ e ‘lo studio per il rispetto della puntualità sugli orari’, quando la verità è più amara, e riguarda invece la fuga dei piloti verso ripari più gratificanti, non solo sul versante del trattamento economico. Tutto da rivedere? Possibile, se da questi acquitrini Mister Michael O’Leary si vuole allontanare, insieme a tutta la numerosa tribù.

Il quotidiano irlandese ‘The Irish Independent’, parla di ‘migrazione’ verso la compagnia low cost ‘Norwegian’, che sembra godere ottima salute, e ha spalancato le sue porte a 140 piloti di Ryanair, offrendo loro contratti molto più allettanti.

E la lista non sarebbe così ‘esigua; infatti, secondo le risultanze dell’associazione dei piloti irlandesi, Ialpa, sarebbero invece 718 i comandanti che hanno trovato riparo altrove, in compagnie ancora più compiacenti, come quelle cinesi e arabe. Se questi dati fossero confermati, sarebbe davvero tutto da rifare, e non resterebbe che un senso di stupore e scalpore, perché davvero, con i risultati conseguiti dal vettore irlandese nel 2016, sembrava che quel cielo fosse libero e immune dal termine ‘crisi’. Il low cost sembrava anzi il parafulmine della crisi.

E infatti lo scorso anno si è chiuso con cifre da record: prima di tutto il vettore irlandese si conferma in Italia la prima compagnia aerea, sia in ambito nazionale che internazionale. Ryanair, e già si sapeva, è il principale operatore degli scali aeroportuali italiani.

E veniamo ai numeri (nel 2016): 32.615.340 passeggeri, che segnano una crescita in positivo del 9,8%, rispetto al 2015. Non cifre che preludono una crisi quasi imminente. Eppure, siamo sulla soglia. Mentre ad Orio al Serio Ryanair fa la parte del leone, e detiene l’80% del traffico passeggeri. Vi lavorano 7.500 dipendenti, senza considerare l’indotto, che sfiora i 25 mila.
Ora la ‘big company’ farà la sua pausa di riflessione, come tutte le crisi che si rispettino, al malessere serio, seguirà un protocollo di cura che sia confacente al caso, ma non è pensabile, né tanto meno auspicabile, che un gigante di questa portata possa collassare. Perderà qualche unghia, userà un’impietosa mannaia, e ad essere sacrificati saranno magari migliaia di dipendenti. Ma è ragionevole pensare che potrà tornare a spiccare il volo con la consueta sicurezza.

Nessuno, in ogni caso, avrebbe mai potuto ipotizzare una crisi del settore low cost, che delle strategie di ottimizzazione dei costi ne ha sempre fatto una carta vincente. Non ‘All of a sudden’, dicono nel Regno Unito per ‘Monarch Airlines’, vettore (low cost) che gestiva una buona fetta del mercato in Europa, e che facendo un bel po’ di rumore è uscito di scena, perché finito nel vortice della bancarotta. E’ un turbinare continuo negli ultimi mesi, soprattutto intorno alle compagnie del low cost; ignorare questo planare raso terra di eccellenze, il cui ‘brand’ ha sempre rappresentato una garanzia per i passeggeri, non è più possibile.

Difficile capire le origini di questi cedimenti, alcune cause sembrano evidenti, ma tante si celano nella fitta rete di dinamiche che regolano il mercato, una giungla, quasi.
Secondo il prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale alla Luiss, “abbassare i prezzi in modo così selvaggio, per difendersi dalla concorrenza, a scapito del personale di volo e della qualità dei servizi, non può produrre buoni risultati nel lungo periodo.

I costi con i quali ci si misura, portano inevitabilmente alle difficoltà.” Le ragioni, secondo il prof. Pozzi, sarebbero da ricercare anche sulla liberalizzazione del trasporto aereo, che ha portato a sviluppare un nuovo assetto normativo, il quale favorisce la concorrenza, ma produce dipendenza nel mercato. Gli investimenti pubblici negli aeroporti, per rendere più agevoli gli scali, hanno favorito fino ad ora i vettori del low cost, perché hanno anche finanziato la disponibilità di nuove rotte.

Intanto Ryanair ora deve pensare a svincolarsi dagli artigli della Codacons e della Procura di Bergamo, visto che la Magistratura non intende fare finta di nulla, dopo gli annunci shock della compagnia sulla sospensione di centinaia di migliaia di voli.

Ryanair, non è una novità, con la politica di prezzi ‘low cost’, ha costruito la sua fortuna, ora però dovrà fare i conti con un procedimento istruttorio aperto dall’antitrust, a causa di presunte iniziative commerciali sleali, violando, secondo l’Authority, il Codice del Consumo. Il vettore irlandese dovrà vedersela anche con l’inchiesta dei magistrati della procura di Bergamo, in seguito all’esposto di Codacons, dopo la decisione di cancellare migliaia di voli.

Quest’ultima ha deciso di tutelare i passeggeri, ‘scaricati’ senza troppi riguardi, i quali potranno costituirsi come parte offesa nel procedimento in corso, e saranno assistiti tramite una richiesta di rimborso e/o risarcimento che ognuno di loro potrà indirizzare a Ryanair. Gli interessati possono scaricare ‘una nomina di persona offesa’ individuale, con questa procedura saranno sicuramente riconosciuti i diritti di ogni passeggero danneggiato.

E in graticola, come si è accennato, c’è anche Monarch, oltre ad un’ecatombe di fallimenti di piccole compagnie, che sono scese nell’arena, ma non hanno retto il confronto: i passeri, del resto, davanti alle aquile, prima o poi finiscono per diventare prede, e infatti molte di loro sono state reclutate da vettori più forti, sia in termini di flotta che di profitti.
Monarch Airlines, compagnia del Regno Unito, pochi giorni fa ha dichiarato fallimento, e non è stato facile per l’aviazione civile britannica accettarne il crack, anche perché ha piantato in asso 110 mila passeggeri, mentre altri 300 mila si ritroveranno con i voli annullati, e un ticket da rimborsare.

Il Governo britannico ha provveduto al noleggio di alcune decine di aerei, per riportare in Gran Bretagna i passeggeri bloccati all’estero a causa della cancellazione dei voli. Mentre Ryanair scopre nel giro di pochi mesi che piove in casa, per Monarch Airlines non è una novità, lo spettro della crisi incombeva da anni. Come Alitalia ha subito tante trasfusioni di liquidità, si pensa che le tratte verso la Turchia e l’Egitto, nelle quali aveva quasi il monopolio, abbiano subito un ingente calo di passeggeri, e questa sia stata la breccia attraverso la quale è passata la crisi.

La Monarch Airlines, con base all’aeroporto londinese di Luton, è stata pertanto costretta alla sospensione di tutti i voli. Questa volta il malessere è serio.
Ora è in amministrazione controllata, le sue sorti non sono state ancora definite, occorrerà del tempo, ovviamente, anche perché 3 mila lavoratori non si rassegneranno ad essere scaricati come valige in un angolo. I dirigenti della compagnia non risparmiano le frecce al veleno al Governo May, per il modo in cui è stata gestita la crisi fino ad ora, e c’è poi l’incognita Brexit, che non si sta rivelando essere, come si illudevano i sostenitori del ‘leave’, quel favo di miele che avrebbe finalmente reso felici i sudditi di S.M.

Eppure la crisi che attraversa l’aviazione civile non riguarda solo l’Europa, negli Usa, le difficoltà ci sono eccome. Anche negli States c’è carenza di piloti (in Europa, secondo gli esperti, ne mancherebbero circa 50 mila). La compagnia ‘Horizon Air’ è stata indotta a cancellare oltre 700 collegamenti ad agosto scorso, ed entro un ventennio si stima che sono necessari più di 600 mila boeing. Ma la grande lacuna restano i piloti, la loro formazione, l’integrazione nell’organico.

In piena era di globalizzazione, l’Europa non poteva essere l’unico continente ad essere coinvolto in questo fenomeno, che sta peraltro creando notevoli disagi ai passeggeri.