SECONDO I REPORT STATISTICI, L’ITALIA NEL 2016 REGISTRA IL PIU’ ELEVATO NUMERO DI POVERI

DI VIRGINIA MURRU
Le stime relative al 2016 (consideriamo prima i dati relativi all’Ue), diffuse dal report Eurostat sulle popolazioni a rischio povertà o esclusione sociale, stanno creando un certo giustificato allarme. Si tratta di numeri impressionanti: in Europa, 117,5 milioni di persone, ossia il 23,4% della popolazione, sono a rischio povertà.
Il confronto, in ambito Ue, del tenore di vita nei paesi membri, sono solitamente fondati sul prodotto interno lordo, ovvero il Pil pro capite, il quale determina in termini monetari, il grado di ricchezza di un paese in rapporto agli altri del ‘perimetro’ indicato nell’indagine statistica. Si tratta, tuttavia, di un indicatore che non esprime tante informazioni circa la distribuzione dei redditi di un determinato paese, così come sui fattori non monetari che possono risultare incisivi al fine di mettere in rilievo la qualità della vita della popolazione oggetto dell’indagine.
Non di rado emerge che, alle disparità di reddito, sono legati fenomeni di criminalità, povertà ed esclusione sociale. In questi casi si può essere incentivati a trovare soluzioni per il miglioramento della condizione economica, attraverso il lavoro, l’acquisizione di nuove competenze e dunque l’innovazione, ma non è un percorso semplice, né realizzabile nel breve periodo.
Nel 2001, nel corso di una sessione del Consiglio europeo, i Capi di Stato e Governo, fissarono per la prima volta un ventaglio di indicatori statistici comuni in termini di povertà ed esclusione sociale, sottoposti poi ad un processo di revisione e perfezionamento da un sottogruppo di indicatori del Comitato della Protezione Sociale (o CPS). Tali indicatori consentono un monitoraggio sulle misure poste in essere dagli Stati dell’Unione per abbattere le radici che determinano povertà ed esclusione sociale.
Secondo i criteri fissati dalla ‘Strategia Europa 2020’, il Consiglio europeo, nel 2010, ha individuato al riguardo una priorità, ossia l’obiettivo dell’inclusione sociale, con un forte impegno per la riduzione, entro il 2020, appunto, di 20 milioni di persone a rischio povertà, rispetto alle statistiche emerse nel 2008.
Dagli ultimi dati diffusi da Eurostat, sul ‘rischio povertà nell’Eu’, sono in evidenza i più significativi indicatori di povertà, dai quali emergono le difficoltà più critiche delle classi sociali meno abbienti. Circa un terzo (il 31%), della popolazione, non può permettersi una settimana di vacanza annuale (uno degli indicatori), con la più ampia fascia riscontrata in Romania (il 66%), e la più bassa in Svezia (l’8%).
Il 26,5% dei bambini in ambito Eu, nel 2016 è stato a rischio povertà ed esclusione, con un gap che va dal 13,8% in Danimarca al 49,2% della Romania.
L’11,5% della popolazione Eu con diploma di laurea, è stata a rischio povertà – sempre riferimento 2016 – con una differenza che va dal 3,4% di Malta al 21% della Grecia.
Altro indicatore è il tasso di disoccupazione nell’Eu, il 67% delle persone senza un’occupazione sono a rischio povertà. Un’apparente contraddizione: ‘i working poors’ esprimono la percentuale più critica in Germania, con ben l’83,3% d’incidenza, e il ranging più basso in Slovenia, 56%.
Si tratta degli indicatori fondamentali per formulare le statistiche al riguardo, c’è anche da dire che Eurostat definisce a rischio povertà quegli individui o nuclei familiari che non raggiungono il 60% del livello ‘mediano’ di reddito disponibile. Che tale reddito provenga da salari o altre fonti. Il rischio povertà non coinvolge solo i soggetti senza un’occupazione, ma purtroppo interessa anche i lavoratori che non raggiungono un livello di reddito sufficiente.
Il fenomeno dei ‘working poors’, già monitorato da tempo negli Stati Uniti, interessa una fascia di lavoratori che percepiscono livelli di salari minimi, non sufficienti per un dignitoso sostentamento. I dati riguardanti l’Italia sono forse i più drammatici: il nostro paese è in assoluto quello che conta più poveri nell’Unione europea. Secondo Eurostat sarebbero 10,5 milioni nel 2016. Come si è visto, i criteri di classifica tengono conto di una serie di indicatori che mettono in rilievo la consistenza economica e la condizione sociale degli individui. Classifica dei primi 10 paesi con un indice di povertà assoluta:
1 – Italia, 2 – Romania, 3 – Francia, 4 – Regno Unito, 5 – Spagna, 6 – Germania, 7 – Polonia, 8 – Grecia, 9 – Bulgaria, 10 – Ungheria. Singolare che la Germania, l’economia più solida dell’Ue, e una delle più forti a livello globale, abbia più poveri della Grecia, ma tant’è: si tratta di statistiche.
La ‘deprivazione materiale e sociale’ è un indicatore sensibile, e si entra in questa categoria quando non si possono affrontare almeno 5 delle ‘spese’ seguenti:
spese impreviste, una settimana di vacanza annuale, maturazione di arretrati su mutui, affitti o utenze o arretrati di rate varie. La possibilità di acquistare un pasto di carne o pesce, o di tipo vegetariano. Garantire un adeguato riscaldamento per la propria casa. Un’auto o furgone per uso familiare e personale.
Cambio mobili logori, sostituzione di abiti lisi con altri nuovi, almeno due paia di scarpe, per estate/inverno. Avere una piccola somma disponibile settimanale per piccole spese. Potersi permettere attività di svago regolari. Frequentare amici o familiari stretti per un drink o un pasto 1 volta al mese. Possibilità di connessione alla rete Internet.
In Italia, sempre tenendo conto del 2016, come anno di riferimento, è emerso, secondo le statistiche redatte da Eurostat e Istat, un record in termini di persone a ‘rischio di povertà’: il 20,6% – a rischio povertà ed esclusione sociale il 30%. Nettamente peggiorato rispetto ai dati del 2015, che erano del 28,7%. A livello di tassi, sono in ogni caso peggiori rispetto alla media europea: il 17,2% rispetto ad una media europea del 15,7%. Il gap non è elevatissimo, ma certamente preoccupante per l’Italia.
Ci si può confortare con paesi sicuramente in condizioni peggiori, ma questo non significa che sia una realtà che tranquillizzi, o peggio che sia suscettibile d’immobilismo e inerzia. Dovremmo comunque essere in fin dei conti undicesimi in questa poco edificante classifica:
1- Romania, – 2 Bulgaria, 3- Grecia,  4 – Ungheria, 5 – Lituania, 6 – Lettonia, 7 – Cipro, 8 – Portogallo, 9 – Spagna, 10 – Italia. (Primi 10 paesi per numero di poveri rispetto alla popolazione).
Sempre per quel che riguarda l’Italia, le stime relative ai report, si riferiscono a due misure diverse di povertà, ossia quella relativa e quella assoluta, alle quali sono comunque legate quasi 5 milioni di persone. In questo senso, rispetto al 2015 non ci sono state sostanziali variazioni. L’incidenza di povertà assoluta, se si considerano le famiglia, è del 6,3%, il trend è più o meno stabile negli ultimi 4 anni.
Per quel concerne gli individui, invece, la povertà assoluta incide del 7,9%; non significativamente più alta rispetto al 2015 (7,6%).
Anche la ‘povertà relativa’ è sostanzialmente stabile rispetto al 2015. Lo scorso anno era del 10,6% (come abbiamo visto), e nel 2015 era del 10,4%. L’incidenza della povertà relativa si mantiene elevata per categorie di lavoratori come operai e assimilati, il 18,7%, e per famiglie il cui soggetto di riferimento è alla ricerca di un’occupazione (31%).
Intanto, su un altro fronte, per quel che riguarda la produzione industriale, l’occupazione, il movimento del Pil (tutti dati macro piuttosto importanti), l’Italia, nell’Ue, ha registrato delle buone performance, certo i target da raggiungere sono ancora lontani, soprattutto in termini di miglioramento dei conti pubblici, ma tanti passi avanti sono stati fatti. E anche questi dati emergono regolarmente dai report diffusi da Eurostat e Istat.
Intanto, da segnalare, in ambito Ue, l’occupazione record relativa al terzo trimestre 2017: in Eurozona i soggetti che hanno ottenuto un’occupazione è cresciuto dello 0,4%, e dello 0,3% in ambito Ue. Se si raffronta allo stesso periodo del 2016, il dato macro aumenta di ben 1,7% in zona euro e 1,8% in ambito Ue 28. Secondo il report di Eurostat, 236,3 milioni di individui hanno un lavoro nell’Unione europea, dei quali 156,3 milioni in Eurozona. Non è un dato trascurabile, perché riporta il più alto livello mai registrato.