RAPPORTO CSC: “L’ITALIA CRESCE, MA TROPPO POCO, PLAUSIBILE MANOVRA CORRETTIVA”

DI VIRGINIA MURRU

 

Secondo il Centro Studi Confindustria (CsC), l’economia italiana sta rallentando più di quanto ci si aspettasse nelle stime di dicembre 2017. I riscontri, per quel che concerne il tasso di crescita del Pil, sono infatti inferiori rispetto ai target: -0,2%, ossia, non la crescita del +1,5%, ma del +1,3% in termini reali. Gli economisti ed esperti del Centro studi di Viale dell’Astronomia, prevedono anche per il 2019 una flessione più ampia rispetto alle aspettative, ossia +1,1%. L’analisi riguarda il biennio 2018/19.

Secondo gli studi del Centro, la decelerazione nella crescita prosegue in modo graduale, e tanti sono i fattori che hanno inciso nella determinazione di queste dinamiche ‘involutive’.

A questo punto diventa ragionevole e ‘plausibile’ una manovra correttiva, stimata dell’ordine di 9 miliardi di euro. L’aggiustamento richiesto per il 2018, sarebbe pari allo 0,5% del Pil, mentre il  prossimo anno, si dovrebbe intervenire con  0,6 punti (equivalgono a circa 11 miliardi). Sarebbe più o meno l’equivalente del valore della clausola di salvaguardia, qualora fosse stata attivata.

Nelle previsioni sui conti concernenti il 2019, c’è l’ipotesi di sterilizzazione completa delle clausole di salvaguardia Iva, che peraltro è stata inserita nella risoluzione di maggioranza del 19 giugno, al Documento di Economia e Finanza. La copertura della sterilizzazione Iva dovrebbe attuarsi attraverso la già annunciata manovra di agevolazioni fiscali  sulle imposte dirette, e di un previsto aumento di quelle in conto capitale. Non vi sarà, come per gli anni scorsi, finanziamento in deficit.

I rischi, secondo il Centro studi Confindustria, per la crescita dell’economia italiana sono dietro la porta, soprattutto in riferimento allo scenario globale, che ultimamente ha presentato serie ragioni d’incertezza e tante incognite. Le politiche protezionistiche e le recenti misure d’inasprimento sui dazi, portate avanti dal governo americano, sono motivo di preoccupazione, non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea (e oltre com’è noto). I riflessi di queste politiche economiche sul nostro export sono stati severi, e potrebbero essere causa di un ulteriore rallentamento dell’economia, qualora il conflitto commerciale in atto dovesse proseguire in modo spregiudicato.

Intanto è pesante, sempre secondo il CsC, la flessione della domanda estera, e la conclusione del ciclo positivo degli investimenti sul piano nazionale, dinamiche negative derivanti dalle condizioni d’incertezza in cui si muovono gli operatori economici, sia in ambito internazionale che interno. Sull’aumento rilevante riscontrato negli anni scorsi, s’inserisce poi “un aggiustamento fisiologico”.

La crescita a livello globale dell’export, rimane stabile e positiva nel biennio considerato, trainata anche dal crescente sviluppo delle maggiori economie emergenti. Nonostante le incertezze sui tanti fronti dello scenario internazionale, non si avvertono scosse che fanno pensare ad un’inversione del trend, ossia alla fine del ciclo di espansione globale. Incoraggianti i ritmi degli scambi, anche se ci sono da considerare i rischi al ribasso, proprio per le dinamiche insite negli scambi globali, dove entrano in merito le politiche protezionistiche degli Usa, oltre alle incognite fisse che riguardano le tensioni geopolitiche, fattori che mettono in gioco la stabilità, con annesse le ripercussioni sui mercati finanziari. Il rialzo dei tassi (da parte della Fed) potrebbe causare “turbolenze” finanziarie nei mercati emergenti.

Sullo sfondo di questo panorama economico globale, il CsC  opta per una revisione al ribasso sulle previsioni relative al 2018, per quel che riguarda l’export del Paese di beni e servizi (che incide per circa il 32% sul Pil). Dopo un 2017 all’insegna del boom nell’export, si assisterà ad una contrazione della domanda mondiale nel biennio considerato. Non accadeva dal 2013, ossia da quando il Paese stava imboccando la via della recessione. Si perderanno, in considerazione di queste valutazioni, consistenti quote di mercato.

Del resto, un primo segnale di questa inversione di tendenza nell’export, si è avuta nel primo trimestre del corrente anno. In conto sui dati negativi riscontrati, il rafforzamento del cambio dell’euro soprattutto nella seconda metà del 2017, e nei primi mesi del 2018. Un riflesso negativo deriva anche dalla contrazione degli scambi esteri dei paesi europei, che ha notevolmente penalizzato l’export italiano.

Si legge nel rapporto del CsC:

“L’Italia ne ha risentito per via della specializzazione in beni semilavorati e strumentali che rispondono più rapidamente a variazioni del ciclo. Comunque, l’andamento dell’export va valutato su un

periodo più lungo, data la normale volatilità degli scambi e considerato che nel 2017 l’espansione

è stata molto sostenuta”.

Secondo Confindustria, il Pil rallenta anche a causa del clima d’incertezza, “serve un’Italia forte in un’Europa forte”.

Come si è visto, Confindustria ha fatto il punto sullo stato dell’economia italiana,  in funzione degli scenari globali, del resto non si potrebbe prescindere, anche alla luce degli ultimi allarmi provenienti dalle risoluzioni della politica economica americana.

 

“Dove va l’economia italiana, e una proposta per l’Eurozona”, è stato dunque il tema dell’incontro organizzato dai rappresentanti degli imprenditori.

In evidenza, negli studi degli economisti di Confindustria, alcuni dati macro, tra i quali lo stato dell’occupazione, che è previsto in aumento di circa l’1,0% nel biennio 2018/19, con intensità inferiore rispetto al Pil.

Nei primi mesi del 2018 ha interrotto la crescita il lavoro a tempo indeterminato, mentre si rileva un considerevole aumento di quello a termine.

Il deficit si contrae ma troppo lentamente: “dal 2,3% del Pil nel 2017, all’1,9% dell’anno in corso, e all’1,4% nel prossimo.” Tenendo conto dell’annullamento della clausola di salvaguardia, per la quale, come si è accennato, andrà in compenso l’aumento delle imposte dirette e quelle in conto capitale.

 

Il Centro Studi Confindustria sostiene l’Europa e la sicurezza che rappresenta per il Paese: “un’opportunità per tutti i paesi membri, Italia in primis”, proprio per la vulnerabilità derivante dalla crescita troppo lenta, per ragioni di fluttuazioni del ciclo, e conseguenti turbolenze dei mercati finanziari. E’ necessario migliorare “questa” Europa, secondo gli economisti del Centro, ma allontanarsene sarebbe una follia.

 

Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria, sostiene che è presto per giudicare le scelte del governo appena insediato, saranno i mercati, giudici severi, a esprimersi al riguardo. Intanto l’Italia è attualmente a rischio per la zona euro. Boccia fa diversi riferimenti al mercato del lavoro, e si riferisce con particolare preoccupazione ai contratti a termine: “non bisogna renderli più cari”.

 

Per quel che riguarda l’Ue, tante sono state le proposte del CsC, tutte volte all’integrazione dei paesi membri, alla luce del dibattito europeo, che vede dominante la visione tedesca e il suo rapporto di forza, in virtù della solidità della sua economia. E tuttavia, sostengono gli economisti, prima di richiedere una maggiore condivisione del rischio nell’area, è necessario operare e collaborare con serietà e rigore, per la riduzione stessa del rischio, responsabilità implicita per i paesi che presentano divergenze nei conti rispetto ai parametri previsti.