NON SI PLACANO LE POLEMICHE TRA ROMA E BRUXELLES

DI VIRGINIA MURRU

 

Ancora tensioni nei rapporti tra il Governo e la Commissione europea – è ancora la manovra “l’oggetto del contendere”. Entrambi arroccati nelle loro posizioni, in apparenza disposti al dialogo, ma in realtà nessuno finora vorrebbe cedere qualcosa sulle proprie posizioni, difese a suon di percentuali e numeri,  in definitiva il riflesso poco edificante di un popolo che non merita questo stato di quasi emergenza economica in cui è stato ancora una volta scaraventato.

L’incontro tra il ministro dell’economia Giovanni Tria, e il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, non ha sciolto i nodi della divergenza sulla manovra di bilancio trasmessa alla Commissione; da entrambi toni distesi, ma nessun passo avanti, neppure un compromesso che consenta di ristabilire relazioni più serene. Centeno auspica la collaborazione dell’Italia a sostegno dell’euro e della sostenibilità dello sviluppo nell’area, e per questo sostiene che è importante mantenere gli impegni assunti quando si tratta di legge di bilancio.

Il ministro Tria non si schioda facilmente dalle sue convinzioni, ha poi due “mastini” intorno che certamente gli fanno buona guardia. Dopo l’incontro con Centeno, ha dichiarato di essere stato molto chiaro:

“Non c’è alcun bisogno di questo allarmismo da parte delle autorità di Bruxelles, nei confronti della manovra di bilancio, ci sono numeri e indicazioni dei quali siamo consapevoli. Per incidere con più leggerezza sul debito, occorrerebbe una politica fiscale molto aggressiva, ridurre l’incidenza del deficit ad un livello tale da risultare insostenibile per un’economia che sta dando segni di rallentamento, insomma ci stanno chiedendo un processo d’involuzione, non di sviluppo e crescita.  Mi chiedo se i risultati poi sarebbero in sintonia con le aspettative in area euro.”

Il ministro ha ribadito più o meno i medesimi concetti anche nel corso della sua audizione in parlamento, davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite, sempre sul tema manovra, sottolineando che è stata voluta perché produca nei prossimi anni un effetto espansivo e deciso verso la crescita, per svincolarsi dalle catene del passato, e dalle formule che la rendevano lenta e poco incisiva. “L’Italia non è la Grecia  – ha detto il ministro – l’economia del Paese è stabile, pertanto non si può creare panico con nuove tasse, e non ci sarà una patrimoniale, sarebbe un suicidio, non sono previsti interventi neppure a sostegno degli istituti di credito.”

Intanto arriva il pungolo del presidente della Commissione , Jean-Claude Juncker: martedì prossimo è attesa la risposta dal Governo italiano sulla manovra, e ci si aspetta un ‘aggiustamento sostanziale’, in linea con le direttive contenute nella lettera in cui sono state elencate le incongruenze. Non c’è molto spazio per altre strategie, e non c’è neppure ‘vocazione’ alla conciliazione soprattutto da parte dei due vicepremier italiani, che spingono ad oltranza verso la disobbedienza, perché prima di tutto viene l’Italia..

Juncker ricorda che proprio l’italia non può più aspettarsi ulteriore flessibilità, dato che le è già stata concessa, per via delle modifiche alla legge di Stabilità, sarebbe stata anzi la prima nazione a beneficiarne. Tutti i ministri dell’Economia dell’area euro, sono peraltro concordi con le decisioni della Commissione di essere irremovibile nei confronti del governo italiano; ci si aspetta piena compliance riguardo al rispetto delle regole comuni.  In virtù delle  modifiche alla legge di Stabilità, l’Italia ha avuto a disposizione 30 miliardi in più, rispetto all’applicazione rigida e ortodossa della legge, per questo, secondo il presidente della Commissione europea, ora a Bruxelles si attendono coerenza e rispetto degli impegni.

Mentre il Fmi mette in guardia dal possibile ‘contagio’ e le implicanze negative dovute all’impatto dello spread, la Banca d’Italia non se ne sta a guardare, e con un monito rende noto che proprio lo spread ha generato costi tutt’altro che indifferenti: 1,5 miliardi nel corrente anno che peseranno sui contribuenti (negli ultimi sei mesi), mentre nel 2019 verrebbero  immolati 5 miliardi, e nel 2020, 9 miliardi. In tre anni oltre 15 mld potrebbero essere bruciati in interessi in più, a causa dei balzi dello spread, ossia dei costi relativi al differenziale di rendimento tra Btp/Bund.