BATTERI FECALI NEL CAFFÉ

DI PIERLUIGI PENNATI
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Il colore è simile al cioccolato, ma non il gusto, e dopo aver letto questi risultati non sembra più azzardato affermare che qualche volta il caffè è una vera m…a, almeno secondo un’indagine del programma di giornalismo investigativo della BBC Watchdog che ha annunciato di aver trovato nel ghiaccio di tre delle più grandi catene di caffetteria del Regno Unito una presenza di batteri fecali.
I reporter riferiscono di aver effettuato i test prelevando segretamente il ghiaccio da bevande delle catene Costa Coffee, Starbucks e Caffe Nero e che i test hanno rilevato diversi livelli di batteri fecali.
L’esperto Tony Lewis ha affermato che i livelli riscontrati erano “consistenti” ed ha aggiunto che “Questi non dovrebbero essere presenti in nessun livello – indipendentemente che la quantità trovata sia significativa o meno”.
Nella stessa indagine è stata valutata anche la pulizia di tavoli, vassoi e sgabelli di 30 esercizi delle tre catene .
I risultati sono stati eclatanti: sette campioni di ghiaccio su 10 della catena Costa sono stati trovati contaminati da batteri fecali e sia da Starbucks che Caffè Nero in tre campioni su 10 testati erano contenuti batteri fecali coliformi.
Mr Lewis, membro del Chartered Institute of Environmental Health, ha detto che questo tipo di batteri sono “patogeni opportunistici – fonte di malattie umane”.
A seguito dell’indagine Costa ha detto di aver aggiornato le sue linee guida per la gestione del ghiaccio e di essere in procinto di introdurre nuove attrezzature di conservazione del ghiaccio, Starbucks condurrà proprie indagini a seguito della denuncia affermando che la catena considera l’igiene in modo “estremamente serio” ed un portavoce di Caffe Nero ha assicurato che “un’indagine approfondita” era in corso, e che la catena avrebbe preso “misure appropriate”.

SONO HITLER E LA NOTIZIA FA IL GIRO DEL MONDO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Pubblicata sul sito in lingua inglese World Daily News Report il 20 giugno scorso, la notizia non ha tardato a fare il giro di tutto il mondo e persino importanti giornali italiani come Libero lo hanno riportato, questo sarebbe il testo tradotto:
“ARGENTINA: UN UOMO DI 128 ANNI SOSTIENE DI ESSERE ADOLF HITLER
Dall’Argentina arriva una notizia shock: un uomo di origine tedesca di nome Herman Guntherberg, che ha la bellezza di 128 anni e vive nella città di Salta, a nord-ovest del Paese sudamericano, ha annunciato al mondo di essere nientemeno che Adolf Hitler, il dittatore nazista, che oggi avrebbe proprio quell’età.
Intervistato dal giornale El Patriota, Guntherberg ha raccontato di essersi nascosto per anni e di aver potuto rifugiarsi in Argentina nel 1945, grazie ad un passaporto falso procuratogli dalla Gestapo poco prima che finisse la Seconda Guerra Mondiale. Avrebbe deciso di svelarsi solo dopo che i servizi segreti israeliani, il Mossad, hanno annunciato lo scorso anno di voler abbandonare la caccia ai criminali del Terzo Reich – la cui follia, come quella del loro capo, era riconducibile anche ad una serie di droghe -, ritenendoli ormai tutti morti. L’uomo ha detto di essere accusato di “molti crimini” dei quali si dichiara innocente, perciò di aver passato tutto quel tempo a nascondersi, ma avrebbe in serbo un’autobiografia in cui racconterà la sua verità. “Sono stato descritto come un cattivo solo perché abbiamo perso la guerra – ha sostenuto –. Quando la gente leggerà il mio lato della storia, cambierà il modo in cui mi percepisce”.
Ma è una bufala.
Il World Daily News Report è un giornale satirico dichiarato e molto ben fatto, tanto che moltissimi altri siti e quotidiani in tutto il globo hanno riportato la notizia come vera e non sono mancate testate che tutti considerano “autorevoli”.
La traduzione della dichiarazione di responsabilità del sito alla fonte di tutto recita:
“Il World Daily News Report si assume comunque ogni responsabilità per la natura satirica dei suoi articoli e per il contenuto fittizio dei loro contenuti. Tutti i personaggi che appaiono negli articoli su questa pagina – anche quelli basati su persone reali – sono puramente immaginari, ed ogni somiglianza tra loro e persone vive, morte o non morte è solamente un miracolo”
Bufala, dunque, ma la psicosi collettiva non sente ragioni, milioni di click, l’unità fittizia oggi quasi più importante quanto il denaro, per nulla, oppure per qualcosa, dato che proprio i click ed il traffico in rete oggi produce guadagno più di altri prodotti reali e forse qualcuno sperava in un incremento dei propri affari.
Bel tentativo, ma meglio rimanere affidabili, la fiducia è una cosa serissima, difficile da conquistare e facilissima da perdere, alle volte basta un click, appunto.
Per i più puntigliosi di seguito il testo integrale tradotto dall’originale:
“Un anziano di Salta in Argentina sostiene di essere il famigerato dittatore tedesco Adolf Hitler e di aver trascorso 70 anni in clandestinità. In un’intervista al quotidiano ultra-conservatore El Patriota, l’immigrato tedesco naturalizzato spiega di essere arrivato nel paese nel 1945 con un passaporto che lo identifica Herman Guntherberg.
Egli sostiene il suo era un passaporto falso prodotto dalla Gestapo verso la fine della guerra e che lui è in realtà l’ex leader nazista, Adolf Hitler. Dice che ha deciso di uscire allo scoperto dopo che un anno fa i servizi segreti israeliani ufficialmente abbandonato la loro politica di perseguire gli ex criminali nazisti.
“Sono stato accusato di un sacco di crimini fatto che non ho mai commesso. A causa di ciò, ho dovuto spendere più di metà della mia vita a nascondermi dagli ebrei, così ho avuto già la mia punizione “. L’uomo anziano sostiene si sta preparando a pubblicare la sua autobiografia per il ripristino la sua immagine pubblica. “Sono stato dipinto come un cattivo ragazzo solo perché abbiamo perso la guerra. Quando la gente leggerà la mia versione della storia, cambierà il modo in cui mi percepiscono “.
Dice che il suo libro sarà scritto sotto il nome di Adolf Hitler e sarà disponibile dal mese di settembre.
Molte persone, tra cui la moglie di 55 anni, Angela Martinez, credono che Herman Guntherberg in realtà non sia Adolf Hitler, ma sia semplicemente affetto da demenza. La signora Martinez sostiene il marito non ha mai parlato di Hitler fino a circa due anni fa, quando ha iniziato a mostrare segni di Alzheimer. “A volte, dimentica chi sono e dove si trova. Sembrava come in trance, e parlava di ebrei e demoni. Poi è tornato alla normalità. “
Lei pensa che suo marito potrebbe, eventualmente, essere stato un nazista e che può sentirsi in colpa per il suo passato, ma è convinta che non è Hitler. La moglie del signor Guntherberg sostiene che non sia Adolf Hitler, ma solo un uomo vecchio e senile che sta cominciando a perdere la lucidità.
Anche se quanto sostiene l’uomo appare piuttosto discutibile, si è acceso un animato dibattito in Israele e nella comunità ebraica americana per quanto riguarda il futuro dei criminali nazisti sopravvissuti. Il Mossad aveva dimostrato in passato la sua ambizione e portata globale con la cattura del criminale nazista Adolf Eichmann nel 1960 in Argentina, ma ha abbandonato questa missione negli ultimi anni.
Il Centro Wiesenthal, che sta ancora cercando di trovare e perseguire i criminali nazisti, ha criticato pubblicamente Israele nel mese di marzo dicendo che lo Stato ebraico stava ‘a malapena collaborando’ alla sua missione. Più di 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, pochi stati ed istituzioni stanno ancora cercando di trovare e perseguire i nazisti sopravvissuti e la maggior parte di loro morirà certamente senza mai essere stati puniti per i loro crimini.”
http://worldnewsdailyreport.com/argentina-128-year-old-man-claims-he-is-adolf-hitler/

ESPUGNATA LA " STALINGRADO D'ITALIA"

DI PIERLUIGI PENNATI
Sesto San Giovanni, città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, antifascista per vocazione e tradizione, ci voleva un segretario «educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini», sono parole sue, come Renzi per farla cadere: dopo 71 anni di gestioni di sinistra la città passa con un risultato incredibile al centro destra.
Un evento ritenuto assurdo da tutti, la città era conosciuta anche come la “Stalingrado d’Italia” e persino il sindaco uscente, Monica Chittò, ha ammesso che «è un dato nazionale», anche se sostiene di sentirne “tutta la responsabilità”.
L’affluenza è stata bassa, solo il 45,61% degli aventi diritto, pari a 27.970 elettori, che però costituisce già un dato in aumento rispetto al 2012, quando Chittò aveva trionfato, che era stato di appena il 39,37% e che genera un risultato netto ed epocale anche nel complesso, dato che già poco dopo la chiusura dei seggi la situazione era chiara e si è conclusa con un quasi incredibile 58,63% dei voti allo sfidante di destra, Roberto Di Stefano.
Renzi appare sereno, «Lo sapevano tutti chi avrebbe vinto, le Politiche un’altra cosa», sostiene, eppure la situazione è chiara, «Siamo riusciti ad espugnare la “Stalingrado d’Italia”» ha detto trionfante il neo sindaco di Forza Italia di Sesto San Giovanni che, dopo 10 anni in aula sui banchi dell’opposizione, è oggi al governo ed afferma che «ha vinto il cambiamento». Già, ma quale cambiamento?
Forza Italia non è certo un partito nuovo e non è nemmeno sulla cresta dell’onda, ma a Sesto San Giovanni, simbolo della resistenza, pur di cambiare si vota all’opposizione, un’opposizione tutto sommato stabile, ma pur sempre impressionante.
Così a Sesto si Cambia, come in molti altri centro d’Italia, una batosta più che clamorosa per un centrosinistra che ha perso una delle sue storiche roccaforti e che ha visto, se possibile ancor più clamorosamente, la lista formata da Sesto nel Cuore, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, venir sostenuta nel ballottaggio anche da molte altre liste civiche che in altri tempi avrebbero forse votato diversamente.
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LA BOMBA INESPLOSA

DI PIERLUIGI PENNATI
Era il 12 marzo 2014 quando Matteo Renzi, già Premier, nel corso di una riunione del Consiglio dei Ministri affermava: “Lo dico qui, prendendomene la responsabilità, che se non riesco a superare il bicameralismo perfetto non considero chiusa l’esperienza del governo, considero chiusa la mia esperienza politica”.
Da allora una lunga lista di promesse che, tralasciando le riforme mancate, da sole avrebbero già da tempo dovuto cancellarlo dalla politica nazionale, invece pare sia il candidato premier alle prossime elezioni politiche.
A questo punto appare chiaro che quando a scuola lo avevano soprannominato “il bomba” non esageravano, di bombe fin qui ne ha piazzate, ma lui non accenna a voler esplodere, mentre tutti intorno a lui sono scoppiati dalla fatica.
Ma vediamo cosa ha detto precisamente dopo quel 12 marzo 2014, quando le promesse di andarsene si sono moltiplicate:
30 marzo 2014, TG2:
“O facciamo le riforme, o non ha senso che io stia al governo. Se non passa la riforma del Senato, finisce la mia storia politica”.
29 dicembre 2015, Conferenza stampa di fine anno:
“È del tutto evidente che se perdo il referendum costituzionale, considero fallita la mia esperienza in politica”.
12 gennaio 2016, Repubblica.tv:
“Intendo assumermi precise responsabilità. È un gesto di coraggio e dignità. Se perdo il referendum io non solo vado a casa, ma smetto di far politica”.
20 gennaio 2016, Aula del Senato:
“Lo ripeto anche qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza politica. Credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica”.
25 gennaio 2016, Quinta Colonna su Rete 4:
“Io non sono come gli altri, se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa”.
7 febbraio 2016, Scuola di formazione del PD:
“Se vince il No prendo atto del fatto che ho perso. Dite che sto attaccato alla poltrona? Tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona”.
12 marzo 2016, Scuola di formazione del PD:
“Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa, ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.
20 marzo 2016, Congresso dei Giovani Democratici:
“Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più”.
28 aprile 2016, #matteorisponde su Facebook:
“Sto personalizzando? No, se perdi una sfida epocale che fai? Racconti che i cittadini hanno sbagliato? No, hai sbagliato tu”.
2 maggio 2016, ANSA:
“La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa”.
4 maggio 2016, RTL 102.5:
“Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone”.
8 maggio 2016, Che tempo che fa su RAI 3:
“Non è personalizzazione, ma serietà. Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto proprio di fare politica”.
11 maggio 2016, Radio Capital:
“Se non passa il referendum la mia carriera politica finisce qui. Vado a fare altro”.
11 maggio 2016, ANSA:
“Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo: finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro”.
12 maggio 2016), Porta a Porta su RAI 1:
“Se vince il No, mi dimetto il giorno dopo e torno a fare il libero cittadino”.
21 maggio 2016, L’Eco di Bergamo:
“Se perdiamo il referendum, vado a casa. Questa è personalizzazione? No. Questa è serietà”.
21 maggio 2016, durante un comizio a Bergamo:
“Non sono andato a palazzo Chigi dopo aver vinto un concorso, mi ci ha messo quel galantuomo di Napolitano con l’impegno di fare le riforme. Se non ottengo questo risultato, l’Italia continuerà a essere il Paese degli inciuci e del Parlamento più costoso del mondo. Se l’Italia vuole questo sistema, è giusto che lo faccia senza di me”.
22 maggio 2016, In mezz’ora su RAI 3:
“Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via”. (Nel governo Gentiloni tutti confermati, tranne il ministro Giannini)
1 giugno 2016, Virus su RAI 2:
“Se perdo il referendum troveranno un altro premier e un altro segretario”.
2 giugno 2016, Il Foglio:
“Io sono fiducioso che vinceremo bene. Ma se il referendum andrà male continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere. Vuole uno slogan semplice? O cambio l’Italia o cambio mestiere”.
29 giugno 2016, eNews:
“Secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla?”.
31 luglio 2016, La Repubblica:
“Personalizzare questo referendum contro di me è il desiderio delle opposizioni, non il mio”.
17 novembre 2016, ANSA:
“Io non posso essere quello che si mette d’accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio”.
21 novembre 2016, #matteorisponde su Facebook:
“Non sto qui aggrappato al mantenimento di una carriera. Non ho niente da aggiungere al curriculum vitae”.
30 novembre 2016, Matrix su , Canale 5:
“Io sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri, il mio lavoro deve servire a cambiare il paese. Se vogliono un bell’inciucione, se lo facciano da soli…”.
30 novembre 2016, Comizio ad Ancona:
“Non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini. Per questo possono chiamare qualcun altro”.
30 novembre 2016, Repubblica.tv:
“Se gli italiani dicono No, preparo i pop-corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta”.
Dopo di che, il referendum: 33.244.258 votanti su 50.773.284 di aventi diritto, il 65,47%, ha espresso la propria preferenza con 13.431.842 SI, il 40,88% e 19.420.271 NO, il 59,12%.
Quasi 20 milioni di italiani, il 38,25% della popolazione, ha detto a Matteo Renzi che poteva tranquillamente ritenere conclusa la sua carriera politica.
Quindi?
Quindi il bomba è ancora lì, più carico di prima e questa volta si vuole far eleggere, così non potremo nemmeno più accusarlo di non essere passato dalla prova elettorale.
Il metodo sembra funzioni, nel nostro paese vince chi la spara più grossa e Matteo Renzi usa da sempre l’artiglieri pensante con un bel numero di soldati nelle sue file.
Già, oltre a lui a sparare grosso ci sono stati altri, il renzismo, più che la rottamazione delle vecchia politica, sembra delinearsi come un modo di fare ben preciso: promettere e fare il contrario.
Insieme a lui anche Maria Elena Boschi si è data da fare con le bombe, il 27 aprile 2016 durante la trasmissione Otto e Mezzo su LA7 aveva detto “Se un governo ha avuto il mandato da Napolitano a fare le riforme e queste poi non passano, è normale che ne prenda atto”, poi, il 22 maggio 2016 a In mezz’ora su Rai 3 ha ribadito “Noi vinceremo, quindi questo problema non si porrà. Ma comunque sì, noi siamo molto serie e se Renzi perde anch’io lascio la politica, perché è un lavoro che abbiamo fatto insieme. Come potremmo restare e far finta di niente?”.
Il metodo renziano gli ha portato quindi una bella nomina a Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel successivo Governo fotocopia di Gentiloni, al contrario di quanto affermato, restando e facendo finta di niente.
Dario Franceschini, confermato al ministero dei Beni Culturali nel Governo Gentiloni, proseguiva la legislatura dopo aver detto seccamente su Repubblica il 29 maggio 2016 che “Il ritiro in caso di vittoria del No non è una minaccia, a me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio”.
Anche se il caso che ha fatto più eco è forse quello di Valeria Fedeli, Ministro dell’Istruzione nel Governo Gentiloni, che da vicepresidente del Senato a L’aria che tira, su La7, il 4 dicembre 2016 ha detto con piglio deciso e convinto: “Se vince il No il giorno dopo bisogna prenderne atto, non possiamo andare avanti perché non avremmo più l’autorevolezza. Sarebbe giusto rimettere il mandato da parte del premier ma anche da parte dei parlamentari: tolgo l’alibi a chi pensa ‘tanto stiamo lì fino al 2018’, perché pensano alla propria sedia. Io non penso alla mia sedia”.
Lavoro, tasse, RAI, immigrazione, scuola, casta, etc, se escludiamo una recrudescenza sui cittadini che ha provocato l’effetto di ridurre i procedimenti giudiziari ed i contenziosi fiscali a svantaggio dei loro diritti costituzionali, è davvero difficile trovare un provvedimento del Governo Renzi o dei suoi ministri accolto con favore dalla popolazione, eppure il bomba circola ancora e sta tornado.
La prova elettorale di domenica 11 giugno 2017 è stata importante, ma solo per le città.dove si è svolta, “senatores boni viri senatus mala bestia”, la politica nazionale si fa a Roma, i sindaci delle città sopravvivono spesso contro i loro stessi partiti, dovevamo votare subito, se il referendum fosse stato perso, si andrà, invece, a fine legislatura, permettendo di maturare quegli ingiusti privilegi che si era detto i parlamentari non dovevano più avere.
Se ancora una volta il bomba non esploderà dissolvendosi in una bolla di fumo, allora aveva ragione lui, gli italiani avevano sbagliato e sarà dimostrato che quasi 20 milioni di italiani non possono nulla contro una politica ingiusta, ma diffusa.

TROPPO ONESTA PER FARE IL POLIZIOTTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Qualche volta l’onestà è una colpa, così grave che non puoi nemmeno fare il poliziotto.
Questo è quello che è successo a Maria Cristina Fossati, ex comandante della polizia locale di Lonate Pozzolo, un piccolo comune in provincia di Varese dove, a quanto pare, i problemi di corruzione non sono tanto differenti o meno importanti che altrove.
Il sindaco Danilo Rivolta aveva ripetutamente cercato di farle capire che la sua solerzia nel Far rispettare le leggi, ed in particolare gli abusi edilizi, non era gradita.
«Se non sistemi il tuo ufficio io ti faccio cacciare», le diceva il sindaco senza ottenere ascolto, perché per la comandante se sei un poliziotto di qualsiasi rango DEVI far rispettare la legge, così per la sua sordità agli avvertimenti era stata destituita e confinata in un ufficio da dove non poteva più indagare: demansionata.
A suo posto Costantino Gemelli, che ora, dopo che il tribunale le ha dato ragione, si trova indagato.
Un brutto pesce d’aprile per chi la voleva lontano dal suo ruolo di tutore della legalità, dal primo di aprile Fossati è vicecomandante del Comando di Busto Arsizio e siede al suo nuovo tavolo con orgoglio speciale: «Me lo aspettavo, sapevo che la conseguenza del mio doveroso rispetto della legge sarebbe stata la rimozione dal ruolo. Sapevo però che la Procura e le forze dell’ordine stavano lavorando in tutela della legalità e che la campagna diffamatoria montata contro di me si sarebbe sgretolata davanti alla verità. Era solamente questione di tempo», sono le sue parole.
Nel 2016, quando furono contestati a Rivolta una serie di illeciti, il sindaco, parlando di uno dei vigili non allineati, si sfogò lasciandosi andare ad un «Lo rovino, è un uomo morto, lo metto nella bara». Materia del contendere era un capannone di via Col di Lana che, secondo la Procura, avrebbe fruttato ai fratelli Rivolta una doppia tangente, quella versata dal venditore dell’immobile e quella versata dall’acquirente, a causa della volumetria maggiore di quella prevista, ed un chiosco per il quale era stata promessa una rapida quanto sospetta approvazione dell’ampliamento della sua superficie, oltre a vari illeciti, come lo sversamento di rifiuti inappropriati “autorizzati personalmente dal sindaco”.
«Hanno pisciato fuori dal vaso, domani revoco la responsabilità al comandante», «Li devo far scoppiare tutti», diceva il sindaco al telefono al segretario comunale Maurizio Vietri.
Oggi, che si spera l’incubo sia finito, Maria Cristina Fossati ammette: «Non posso nascondere di aver provato molta amarezza ho passato momenti difficili. Ma se noi che siamo tutori della legalità non facciamo il nostro dovere, che immagine diamo ai cittadini?».
Una storia onesta che passa inosservata a favore di tante storie disoneste che ormai non ci scandalizzano più, ma è proprio delle piccole e significative storie come questa che si nutre la nostra speranza: piccoli esempi che devono diventare grandi, se l’onestà fosse una malattia ci dovremmo augurare una violenta epidemia.
Grazie signora comandante, non cambi mai.

LA SINISTRA È MORTA, VIVA LA SINISTRA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Una giornata in famiglia, dopo la fatica delle primarie del “suo” partito, prima di tornare a Roma e preparare le prossime mosse: la nuova Direzione per epurare le ultime resistenze, la riorganizzazione degli organigrammi interni, la nuova legge elettorale e le priorità del Governo, con Alitalia e tutto il resto da rimediare prima delle nuove elezioni politiche.
Superato lo scoglio delle minoranze interne, per Renzi è ricominciata la campagna elettorale.
Mentre Andrea Orlando e Michele Emiliano, sconfitti alle primarie, non se ne vanno, anzi, rilanciano, partono le prime contestazioni, 68 e non 70% dei suffragi per Renzi, non 2 milioni di votanti ma tra 1,6 e 1,8 ed alla fine vincono tutti. Come al solito.
Qualcuno dice che il risultato era scontato, Emiliano, nonostante la netta sconfitta, giudica il suo 10% «un risultato straordinario», Orlando invece, resta più cauto, ma non meno combattivo e tutti, dico tutti, i miei contatti si dichiarano delusi: chi non è andato a votare per non sostenere un PD morente e chi si è chiamato fuori da tempo e ne contesta l’appartenenza alla sinistra più vera.
Insomma, malcontento generale per una votazione che ha interessato meno del 2% degli italiani che saranno chiamati a rinnovare il parlamento: il PD è morto, evviva il PD.
Un partito che fa parlare perchè ormai colonizzato da un solo soggetto che ne detta le sorti, ma non era così per tutti?
Un partito con un nome ed una tradizione ereditate dalla sinistra storica italiana che ha un leader maximo che dichiara di essere stato «educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini», grande democristiano, ma che di sinistra non ha mai avuto un gran che e che è comunque temuto dagli elettori della “vera” sinistra come se avesse detto di aver avuto come modello Ernesto Rafael Guevara De la Serna, meglio noto come il “Che Guevara”.
Se lo avesse almeno lasciato immaginare mi sarei davvero preoccupato per la possibilità che potesse ancora ingannare qualcuno con proclami socialisti e di sinistra, con la “giustizia sociale” citata ma non praticata, con il lavoro enunciato come diritto e poi reso precario dal jobs act, insomma con un’immagine di lotta e di sinistra si poteva pensare che qualche nostalgico si sarebbe lasciato ancora prendere per il naso, ma con Zaccagnini non si sbaglia, qualsiasi sia il nome del suo partito, tutti sapranno bene come votare.
Ognuno è padrone in casa propria, ma fuori da essa si deve fare i conti con il resto del mondo; il PD ha confermato il suo capo, bene, adesso tocca al resto del mondo guardare alla nuova legislatura, unica vera prova democratica collettiva consentita dal nostro ordinamento e che segnerà i prossimi cinque anni di governi.
Siamo abituati alle promesse elettorali, ma farsi buggerare due volte è davvero perverso e lamentarsi non serve a nulla, votare, qualche volta con coraggio, è l’unica cosa utile.
Il primo maggio, appena trascorso, è stato celebrato con molte passerelle ipocrite di valori celebrati per un giorno e rinnegati per tutto il resto dell’anno, ma una cosa ce l’ha ricordata: i diritti non li regala nessuno, i diritti si conquistano.

ALITALIA, UN KIT DA COSTRUIRE INSIEME

DI PIERLUIGI PENNATI
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È bastato un NO secco ad un accordo sbagliato che i lavoratori sono subito diventati dei “furbetti del cartellino”, equiparati a coloro che, nella pubblica amministrazione, si fanno i fatti loro invece di lavorare: fortunati dipendenti di una compagnia che li strapaga per non fare nulla, o quasi, e che oggi non vogliono rinunciare a nessuno dei loro “privilegi”.
Ieri Il Giornale titolava “I piloti kamikaze fanno saltare Alitalia”, gli altri quotidiani non erano più teneri ed il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha detto “La cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di 6 mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione”.
Tutti contro la scelta del 67% dei lavoratori che hanno respinto un accordo siglato da tutti i sindacati tranne USB, 10.000 lavoratori su circa 12.000 del totale sono andati alle urne esprimendo un voto che è comunque della maggioranza assoluta dei dipendenti, tutti ad affossare un piano capestro che vede lo stato ancora una volta grande assente ed oggi, se possibile, ricattatore.
Nell’era della disinformazione e delle facili cattiverie via social network, però, la realtà è ancora una volta molto differente da come viene dipinta e non si tratta né di dipendenti privilegiati né di guerre tra sindacati di base e “tradizionali”, quello che sta dietro la vicenda è molto più semplice e per certi versi più complesso, tanto da sembrare sfuggire alle normali regole economiche e di mercato.
Già, perché se un’azienda perde denaro ci saranno troppi costi, o troppi sprechi, od ancora pochi clienti, prezzi troppo alti, mercato saturo, … in Alitalia nulla di tutto ciò, se guardiamo i dati comparati tra le compagnie aeree nel mondo ed il costo del loro lavoro, verifichiamo facilmente che  in Alitalia questo non è superiore alla media, anzi, è andato calando negli anni collocandosi oggi tra i più bassi ed anche i costi di esercizio non sono superiori alle media, gli scali hanno costi uguali per tutti e le manutenzioni si fanno nello stesso modo su tutti i velivoli che sono sempre degli stessi modelli per tutte le compagnie. Allora, dov’è il problema, perché Alitalia è in perdita?
Gli economisti ci dicono che principalmente è perché viaggia con aerei troppo vuoti e tutti gli sforzi per contenere i costi e migliorare il servizio sono così vanificati. Io ci credo: da anni non prendo un volo Alitalia, non è competitiva, non certo per il prezzo del biglietto, quello è in linea con gli altri, ma per tutto il resto, dato che da Alitalia non sono disposto ad accettare quello che reputo “normale” per le altre compagnie aeree.
Così, se con Ryanair accetto di essere trattato come una merce qualsiasi, ammassato per ore in anticipo davanti ai cancelli di uscita per poi correre a prendere un posto prima degli altri, litigare per posizionare il mio trolley nella cappelliera, viaggiare scomodo e senza bibita e pagare come extra qualsiasi cosa, compreso il bagaglio in stiva, con Alitalia no: Alitalia “DEVE” farmi sedere comodo, accettare trolley, computer e borsa o borsello, servirmi una bibita molto buona ed avere personale paziente e gentile. Alitalia è una “compagnia di bandiera”, mica una “low cost”!
Proprio così, nell’era in cui ormai tutte le compagnie sono più o meno low cost e la distinzione tra i due servizi non è più così netta, Alitalia DEVE continuare a perdere denaro per mantenere un’immagine ormai non più necessaria e volare con mezzi vuoti perdendo denaro, tutto fa parte del gioco, immagine innanzi tutto.
Alitalia ha bisogno di cambiare, è rimasta troppo indietro, Alitalia non ha mai avuto necessità di “capitani coraggiosi” incompetenti ed antichi, commissari straordinari e nemmeno di ridurre ancora gli stipendi, Alitalia ha bisogno di un sistema di management vero che sappia cambiare con i tempi ed insieme ai lavoratori: Alitalia ha bisogno di se stessa, i nobiluomini e gli affaristi hanno fallito, appartengono ad un passato trapassato da molto tempo.
Oggi Alitalia può ripartire senza fermarsi, servono politiche di sviluppo condivise e compartecipate, con modelli gestionali nuovi per la compagnia ma collaudati altrove: cogestione e supporto pubblico.
La cogestione è possibile, dà i suoi frutti da sempre in Germania: sindacati che partecipano alla gestione aziendale condividendone benefici e responsabilità attraverso una democrazia interna molto stretta.
Il supporto pubblico, pensato almeno per le rotte “necessarie” al mantenimento della continuità del territorio nazionale, come avviene in Francia per i territori d’oltremare che sono collegati con contributi dello stato, è a conti fatti un risparmio, dato che molte città italiane “pagano” le compagnie aeree low cost, in termini di sconti e strutture, per avere un aeroporto vicino, determinando un costo sociale a carico di tutti ed usando, nei fatti, soldi pubblici per sostenere compagnie private. Anche questo è un aiuto di stato, perché non potrebbe essere usato per Alitalia?
Il mercato è ricco ed in espansione, i costi sono nella norma ed il personale ha competenze elevate, i mezzi ci sono tutti, ora serve solo buon senso, buona volontà e grande coesione, insieme ce la si può fare: io sto con i lavoratori Alitalia.

LAVORARE PER VIVERE, NON MORIRE PER LAVORARE

DI PIERLUIGI PENNATI
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L’occasione è la Giornata Mondiale sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro, che si commemora il 28 aprile, la notizia è che il numero dei morti sul lavoro non solo non cala, ma se possibile è persino in aumento percentuale rispetto al numero degli occupati.
A denunciarlo sono tutti i sindacati, che nei giorni scorsi hanno anche sfilato in manifestazioni per la sicurezza in tutta Italia, e le cifre sono davvero impietose: secondo l’INAIL, ogni anno ci sono circa 1.200 vittime del lavoro nel nostro paese. Dato approssimativo, poiché il monitoraggio si riferisce esclusivamente agli assicurati dell’ENTE e non alla totalità dei lavoratori, considerato che per chi lavora in nero non avremo mai una statistica certa.
Agricoltori anziani, lavoratori in nero, sfruttati dal caporalato, stagisti, etc, tutti coloro che per qualche ragione sono invisibili all’INAIL, ma che in qualche modo sbarcano il lunario, sfuggono ad ogni controllo ed il più delle volte i loro infortuni vengono coperti con altre ragioni per evitare il peggio, si lavora per vivere, anzi, per sopravvivere e se si può essere scoperti per non perdere il proprio lavoro.
Di tutti questi soggetti, che non sono pochi, non si sa quasi nulla, ma anche degli assicurati si parla poco, le morti sul lavoro non fanno grande notizia da sole, presi come siamo dalla valanga mediatica che privilegia le notizie stupide, ma incredibili, piuttosto che le informazioni utili, ma noiose, così che ci accorgiamo delle morti sul lavoro solo quando gli incidenti assumono il valore di una tragedia collettiva.
Tra ricatti di licenziamento, precariato, taglio dei fondi per la sicurezza e la tutela della salute, intensificazione di ritmi, aumenti di carichi di lavoro e politiche di profitto sempre più spinte, le misure di protezione per la salvaguardia della vita dei lavoratori, così come le tutele del posto di lavoro, diventano un lusso che pochi si possono permettere e le percentuali di incidenti mortali si incrementano ogni anno di cifre con valore delle decine di percentuale in un sistema sociale quasi indifferente ed ormai diventato disumano del quale ci si ricorda solo quando si celebra una ricorrenza.
Siamo stati tutti Charlie Hebdo per un giorno, possiamo essere disgustati dalle morti sul lavoro per un altro, domani si ricomincia, come sempre.
Così la strage è ormai quasi quotidiana, originata all’interno di un sistema sociale ormai non più retto da regole sociali ma solo da politiche di profitto, che considerano le persone numeri e sacrificano le vite alla redditività del capitale trasformando, in quest’ottica, gli incidenti in veri e propri veri e propri omicidi del capitalismo killer.
Le prove stanno nel dato più eclatante dell’intera statistica, cioè che circa il 95% dei soggetti deceduti sul lavoro era persone che operavano in aziende senza la copertura dell’articolo 18, vulnerabili quindi al licenziamento in caso di rifiuto anche parziale di prestazioni per ragioni di sicurezza, e che nel restante 5% delle morti avvenute all’interno di aziende con l’articolo 18, molti erano comunque lavoratori esterni ad esse che eseguivano lavori al loro interno: artigiani o lavoratori di piccole aziende comunque senza articolo 18.
In quest’ottica diminuire le tutele del posto di lavoro, come per esempio con il Jobs Act, diventa un comportamento potenzialmente killer da parte dello stato che dovrebbe, al contrario, tutelare i lavoratori, ed in questo le strutture sindacali hanno una grande responsabilità e dovrebbero mobilitarsi in modo permanente, e non solo per un giorno, trasformando la loro azione di “concertazione”, che ha caratterizzato almeno l’ultimo ventennio, in azione di “lotta” per tornare a quelle tutele e quei diritti abbandonati da troppo tempo in cambio di valori salariali asettici: non si vende e tantomeno svende la sicurezza e la dignità dei lavoratori.
Da sempre si lavora per vivere, ma se si deve morire per lavorare è tempo di cominciare a fare qualche riflessione.

COLPEVOLE DI ESSERE MALATO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Succede a Cuorgnè, un piccolo centro del Canavese tra Torino ed Ivrea, ma se fossimo stati altrove non sarebbe cambiato nulla, un’operazione al fegato, al cuore, una malattia che limita anche di poco le nostre capacità e si è subito fuori.
Questa volta è toccato a Franco Minutiello, sessanta anni, da tre anni ufficialmente malato di Parkinson ed ora senza lavoro a due anni dalla pensione.
L’azienda rifiuta ogni addebito: «Conosciamo bene la situazione di questo signore e ci dispiace molto per la sua malattia. Ma questa è un’azienda, non un istituto di carità» dice Alberto Garbarini, dirigente Tekonservice dove Franco Minutiello faceva il netturbino, «per noi lavorano già quasi trenta persone inabili. Per un dipendente malato in più non c’erano altre mansioni idonee da svolgere» ed a febbraio lo dichiara inidoneo nonostante avesse chiesto di poter accedere alla legge 104, che prevede una parte dello stipendio versato direttamente dall’Inps, e al part time, «questo per non gravare troppo sul mio datore di lavoro» dice, ma non è stato ascoltato.
Era stato assunto dieci anni fa dalla ditta che raccoglie i rifiuti nel Canavese come operaio e autotrasportatore e tre anni fa ha cominciato ad accusare i primi sintomi della malattia, quando la mano destra ha iniziato a tremare in modo insolito: «Ci spiace, lei ha il Parkinson» gli hanno detto i medici.
«Quell’occupazione non era il massimo, ma almeno mi dava da mangiare» dice l’operaio, ma il 17 marzo, dopo la lunga trafila vissuta tra ospedali, ambulatori, studi medici, arriva il telegramma della Teckonservice: «Inidoneo al lavoro».
«Ho sentito la terra franarmi sotto i piedi, è stata una mazzata», già nel 2015 è stato un continuo entrare e uscire dagli ospedali, «Mi sono dovuto assentare parecchio per le cure, non stavo bene e non potevo più svolgere la mia attività di netturbino come volevo e come pretendeva l’azienda da me» dice rattristato, «non hanno avuto alcun rispetto della mia vicenda e della mia persona».
Il suo avvocato, Silvia Ingegneri, dichiara che impugneranno il licenziamento davanti al giudice del lavoro del Tribunale a Ivrea, «Stiamo studiando il caso, ma c’è da dire che Minutiello è stato particolarmente sfortunato».
Il conflitto è con l’azienda, ma è lo stato il primo colpevole ad abbandonare i cittadini a se stessi: in nome di sprechi e mercato si riformano gli istituti sociali e si abbandonano le persone ai loro destini.
Ancora due anni e qualche mese e Minutiello avrebbe potuto accedere allo scivolo della pensione anticipata, ora la sua battaglia si trasferirà in Tribunale, circoscritta tra un’azienda che impiega altri disabili ed un altro colpevole di essere malato.
Una guerra tra poveri mentre lo stato resta a guardare.

PER PASQUA ALL’OUTLET LA COLOMBA DIVENTA UN LEONE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Due soli giorni di chiusura in un anno, l’anno scorso erano stati ben quattro, e la decisione di far lavorare duemila persone a Pasqua scatena la rivolta all’outlet di Serravalle Scrivia.
Nessun sindacato ad avviare la protesta, arrivano solo dopo ad organizzarla, in quasi venti anni nessuno si era accorto che mentre noi andiamo a fare shopping nel nostro tempo libero ci sono migliaia e migliaia di persone che lavorano per permettercelo e quelle persone sono polverizzate in migliaia di piccole realtà commerciali senza tutele, costrette a saltare tutte le domeniche, ed oggi anche le principali feste, per dare modo a chi è libero di cercare l’occasione, che molto spesso non c’è.
Un outlet center è una realtà complessa, costruito espressamente per generare un finto ambiente tra città campagna dove migliaia di negozi offrono i loro prodotti a prezzi scontati. L’affare non c’è quasi mai, la moda scontata è dell’anno prima ed anche più vecchia ed i prodotti nuovi hanno spesso sconti che anche i supermercati fanno, qualche volta una campagna genera una buona occasione, ma all’outlet ci si va perché, alla fine, è un grande “parco giochi” all’aperto, dove la ricerca dell’illusione di potersi permettere le cose da ricchi è il tema di fondo.
In questo ambiente sfavillante, musica e serenità ostentata i commessi e le commesse devono sorridere per sopravvivere, dal commercio alla ristorazione contratti a termine, anche di pochi giorni, molto precariato, part time e festivi non sempre pagati «E ora ci fanno lavorare anche il giorno di Pasqua. La prossima volta ci chiederanno di lavorare pure a Natale?», dicono i dipendenti, presente Alexander Delnevo, uno dei neo eletti rappresentanti dei lavoratori dice «Anche noi abbiamo famiglia, figli, esigenze personali».
Gli sconti non fanno sconto a nessuno di loro, ai dipendenti viene chiesto quest’anno di lavorare anche a Pasqua e santo Stefano, lasciando fuori solo Natale e Capodanno dai giorni lavorativi, per il momento, dato che i dipendenti erano già costretti a rinunciare a tutti i giorni festivi in nome del profitto e se per i sindacati finalmente attenti al caso il posto di lavoro si è ormai trasformato in un ricatto per il presidente dei commercianti della zona, Massimo Merlano, a ben vedere, è piuttosto una questione culturale: per lui il problema è nato «quando sono state concesse le autorizzazioni dalle amministrazioni che si sono succedute per l’apertura di grandi superfici commerciali, al di fuori del centri storici, con il benestare di tutti», poi è arrivato anche il decreto Salva Italia che ha liberalizzato del tutto le aperture.
Da  McArthurGlen, proprietaria di Centri Outlet in nove paesi del mondo, ribadiscono che «Agiamo nel rispetto della normativa, inoltre la nostra scelta è il linea con quelle di altri centri zona. Il Serravalle Designer Outlet ha dato e continuerà a dare considerevole impulso all’economia del territorio e a favorire l’occupazione».
Ricchezza, dunque, in cambio della vita sociale e famigliare delle persone compromessa dagli orari di apertura che in Germania, Austria Lussemburgo, Francia e Grecia risparmiano almeno la domenica ed i festivi, mentre in Italia, Inghilterra e Canada non danno tregua ai dipendenti che a Serravalle hanno per la prima volta costituito una rappresentanza sindacale e si preparano a non astenersi solamente dal lavoro, ma vogliono manifestare sulle rotatorie che conducono all’Outlet e lungo la provinciale Novi-Serravalle, organizzando picchetti per non far accedere la clientela ai negozi che apriranno comunque dove gli sarà possibile.
Il tentativo è di aumentare l’attenzione sul problema contando sui disagi che si potranno verificare sulla strada che, specialmente nei festivi, è solitamente molto trafficata, sfidando le leggi sull’ordine pubblico e la Commissione di Garanzia per gli Scioperi nei Servizi Pubblici Essenziali che potrebbe ravvisare qualche violazione ai diritti dei cittadini che voglio fare shopping, limitando le proteste per legge, come fa in molti altri settori, e sopprimendo i diritti dei lavoratori in rivolta in modo istituzionale ed indolore nell’unico interesse del profitto aziendale e del consumo.
Le aziende si stanno già organizzando: «Durante le festività, il flusso di visitatori italiani e stranieri nel bacino di Serravalle aumenta sensibilmente, anche grazie al fatto che il centro è diventato una destinazione turistica a tutti gli effetti e offre un’esperienza aggiuntiva oltre a quella culturale, che nei giorni di vacanza è molto apprezzata e fruita. Questo, nel rispetto della normativa», fa sapere la direzione dell’Outlet, «La scelta di rimanere aperti a Pasqua è inoltre assolutamente allineata a quelle di altri centri della zona. Una decisione che hanno condiviso in molti per soddisfare le richieste di clienti locali e turisti. Serravalle Designer Outlet ha dato e continuerà a dare considerevole impulso all’economia del territorio e a favorire l’occupazione. Infatti il centro ha appena completato una nuova fase di sviluppo che ha visto l’investimento di 115 milioni di euro. Non solo, nell’outlet di Serravalle sono impegnate circa 2 mila risorse di cui 400 inserite negli ultimi mesi».
Ma la protesta del Serravalle Outlet ha già contagiato anche il vicino Iper, un centro commerciale classico, costretto ad inseguire a propria volta le aperture domenicali e straordinarie e se sulla rete c’è già chi propone di organizzare una giornata “shopping free” per dare manforte ai lavoratori, dovremmo tutti riflettere davvero sul significato di spendere il nostro tempo libero domenicale e festivo in un outlet od un centro commerciale e se non sia meglio tornare alle vecchie tradizioni, prendendoci almeno una giornata a settimana libera da tutto, anche dallo shopping forzato.
In fondo anche Dio si è riposato il settimo giorno.

QUEI GRILLINI EUROPEISTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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27 capi di stato e di governo ed un sindaco… grillino, che dopo aver incessantemente gridato all’uscita dell’Italia dall’UE, improvvisamente, cambia direzione e davanti alla platea annoiata di politici indifferenti al proprio ospite (l’unica che si è fermata a salutare Virginia Raggi è stata Angela Merkel) non solo non ha parole contrarie, ma addirittura diventa propositiva ed afferma “sono onorata di darvi il benvenuto a nome della città di Roma”.
Cerimoniale? Protocollo? Non si direbbe, nel suo discorso di benvenuto il sindaco di Roma ha parole positive e sincere per l’Unione, per lei l’Europa fu “un progetto visionario con l’obiettivo di garantire pace e benessere agli Europei”, “una scelta condivisa e non imposta da un vincitore, nata da un intento comune e dalla capacità di ascoltare i cittadini”, “Solidarietà”, “interesse dei popoli”, un’Europa, “solidale dei popoli”, che “abbiamo avuto in eredità tutti noi. Una eredità gioiosa e impegnativa da proseguire”.
Nella sala degli Orazi e Curiazi i leader europei sono chiamati a sottoscrivere un testo per rilanciare nei prossimi 10 anni l’integrazione europea davanti al documento originale del ’57, tutti sono ottimisti, Juncker è sicuro che “ci sarà un 100esimo anniversario Ue”, Gentiloni pensa che si debba “restituire fiducia ai concittadini”, per Mattarella “inizia una fase costituente” e Virginia Raggi non si tira indietro, abbandona l’acredine grillina contro questa Unione Europea foriera solo di danni per la nazione e rilancia: “Questa Europa non poteva realizzarsi in un giorno. Dobbiamo realizzarla noi, dobbiamo realizzare una comunità solidale. Stare insieme richiede impegno, soprattutto dopo anni segnati da una violenta crisi finanziaria che ha messo a nudo errori. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscerli e rilanciare la sfida: la finanza non è tutto. E nessuno deve rimanere indietro.”
Il sogno Europeo si fa grande e continua “La nostra generazione è chiamata a portare avanti quel sogno di Europa, ritornando allo spirito di quegli anni che oggi non c’è più e va recuperato.”
Europa, quindi, non da fuori, ma da dentro e con proposte precise “I cittadini devono essere messi al centro del potere decisionale. Le politiche non devono essere imposte dall’alto ma rappresentare la volontà popolare, introducendo strumenti di democrazia diretta e partecipata. Vanno tenute “in conto le attese dei cittadini”. L’Europa o è dei cittadini o non è Europa. Alcuni trattati, come il Regolamento di Dublino, vanno rivisti. Un’Unione soltanto economica non può durare. Lavoriamoci tutti insieme, aprendo porte e cuore ai cittadini. Solo con la partecipazione di tutti l’Europa sarà legittimata. L’unione può essere maggiore della somma delle sue parti. Questo concetto è alla base della cultura europea, all’interno della quale le diversità trovano valorizzazione nel rispetto delle identità nazionali.”
Di 27 capi di stato uno solo si è accorto del sindaco di Roma, quanti di loro si saranno resi conto che anche chi vuole uscire da un’Europa oppressiva si sente partecipe di essa e con essa vorrebbe in fondo crescere?
L’Italia è già un unione di culture che genera ricchezza, chissà se un piccolo sindaco bistrattato dai poteri forti è riuscito a toccare il cuore di quel re ormai nudo che oggi governa l’Europa.

LA MAFIA È ARRIVATA ALLA FRUTTA

DI PIERLUIGI PENNATI
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La mafia fiuta i business molto prima delle aziende e dello stato, questo è certo, e che le lunghe mani della mafia arrivassero in tutti i settori dove circolano soldi, meglio se tanti, tutti lo supponevamo, quindi lo stupore che crea il fatto che i Casalesi si erano messi in affari con i mafiosi in campo agricolo non verte tanto sul prodotto in sé stesso, quando al fatto che l’intera catena agricola, dalla produzione alla tavola, ne sia affetta.
Proprietari terrieri, contadini e manodopera sfruttata e sottomessa dalla mafia è cosa scontata, legata anche a territori difficili, ma che Gaetano Riina, fratello di Totò, avesse stipulato un patto con i camorristi per trasportare frutta e verdura da Roma in Sicilia non sembrava così ovviamente possibile.
Secondo la Coldiretti, che ha presentato un lavoro svolto dall’associazione dei coltivatori insieme a Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il risultato delle loro osservazioni evidenzia che il fenomeno delle agromafie è un affare che coinvolge l’intera filiera e nnon è radicato solo al Sud ma si è esteso in tutta Italia facendo perdere persino il primato alle città tradizionalmente conosciute come mafiose.
Se Reggio Calabria comanda ancora la classifica, Genova e Verona si trovano già al secondo e terzo posto nella “top ten” delle province più interessate dal business malavitoso, mentre Palermo si colloca solo al quarto posto e Caltanissetta, Catania, Agrigento ai piedi della classifica delle prime dieci, con Messina, Enna, Trapani, Ragusa, Siracusa solo oltre il ventesimo, pur restando il Sud comunque protagonista assoluto con due province in Calabria, tre in Sicilia, due in Campania (Caserta e Napoli) e Bari per la Puglia.
È il “Rapporto Agromafie 2017” a parlare chiaro e a collocare ai giusti posti il fenomeno, che avrebbe un giro di affari per quasi 22 miliardi di euro e con prodotti che vanno dal all’olio extra vergine di oliva, prodotto da Matteo Messina Denaro, alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di “Sandokan” dei Casalesi, fino al controllo del commercio ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, alla mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe ed alla proprietà e gestione di ristoranti, mettendo così le mani sull’intera filiera dei prodotti simbolo del Made in Italy, dalla produzione fino al consumo.
Nel corso della presentazione del rapporto, la Coldiretti ha anche allestito la mostra “La Tavola Delle Cosche” esponendo i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti per mostrare praticamente come un prodotto finito sulla nostra tavola al ristorante, come una pizza, per esempio, possa metterci in pratica “A Tavola Con Le Cosche” in un vero e proprio trionfo del “Made in Mafia”.
Il fenomeno, che ormai abbraccia per intero tutta la penisola e non esclude infiltrazioni all’estero, è ormai così esteso da fa dire al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che “Il tema vero è riconoscere la complessità del fenomeno agromafie, al Nord come al Sud dobbiamo presidiare con grande attenzione”, aggiungendo che “Sulle agromafie non si può abbassare la guardia. Il mio ministero nelle attività di controllo ha fatto un salto di qualità enorme negli ultimi anni se penso ai 370mila controlli in tre anni che abbiamo realizzato autonomamente come ministero”.
Coldiretti ha anche commentato come a Genova “il dato emerso è particolarmente elevato a causa di un diffuso sistema di contraffazione ed adulterazione nella filiera olearia nelle fasi di lavorazione industriale ed approvvigionamento dall’estero di oli di minore qualità da spacciare come italiani. A tali aspetti si sono poi aggiunte le operazioni di contrasto delle Forze dell’ordine che hanno comportato il sequestro di prodotti agricoli esteri vietati o adulterati (ad esempio, farine Ogm e oli di palma). In provincia di Verona l’intensità dell’agromafia risulta significativa sia per il fenomeno dell’importazione di suini dal Nord Europa e indebitamente marchiati come nazionali, sia per gli interventi delle Forze dell’ordine a contrasto dell’adulterazione di bevande alcoliche e superalcolici come nel caso della rinomata grappa locale”.
Per Coldiretti, il dato più eclatante è che ormai i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola ed in particolare dei prodotti simbolo del Made in Italy, ricordando che i carabinieri del Ros hanno recentemente smascherato le attività criminali in Calabria della cosca Piromalli, che controllava produzione ed esportazione di agrumi verso gli Stati Uniti, ed hanno confiscato quattro società siciliane del settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello, oltre all’arresto di Walter Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco Schiavone detto “Sandokan”, per le sue imposizioni sulle forniture di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe.
Per il trasporto di frutta e verdura, la DIA, aveva già sequestrato a novembre i beni della “Autofrigo Marsala”, gestita da Carmelo Gagliano un imprenditore siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme a Gaetano Riina, fratello di Totò, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura. Gagliano, sconosciuto alla giustizia per reati di mafia, è stato posto anche sotto sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni, ma il suo sarebbe stato un ruolo di mero prestanome e nella ditta sequestrata ci sarebbero anche gli interessi di Ignazio Miceli, già colpito dal sequestro del patrimonio. Secondo quanto esposto, già nel 2011 erano emersi nel corso di un blitz alcuni contatti fra Francesco Schiavone, leader dei casalesi, e Gaetano Riina, che aveva preso il posto del fratello quale capomafia, ma nella sola Corleone.
“Solo nell’ultimo anno – ha evidenziato Coldiretti – le forze dell’ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro le attività della malavita organizzata, con arresti, sequestri e confische contro personaggi di primissimo piano della mafia che hanno deciso di investire ed appropriarsi di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato è la moltiplicazione dei prezzi che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, ma anche pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero se non rischi per la salute.”, inoltre “ Nel febbraio scorso i Carabinieri del ROS hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative. Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Attraverso la gestione occulta di oleifici e aziende, intestate a prestanome, il boss era in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo. Sempre agli inizi di febbraio i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone. L’accusa è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d’Italia, come in Calabria. A novembre 2016 è la Dia a mettere a segno il sequestro dei beni di un imprenditore dei trasporti siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura da Roma in giù, grazie anche al controllo del grande mercato di Fondi, nell’agro-pontino. A giugno la Guardia di Finanza mette a segno un blitz contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l’imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti domenicali della zona.”
Neppure il centro di Roma è stato risparmiato, dove, da Piazza Navona alle zone considerate della Roma bene”, a maggio 2016 i carabinieri avevano sequestrato beni per 80 milioni di euro in bar, ristoranti e pizzerie ad almeno quattro imprenditori ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana.
“Pochi giorni prima, ad aprile – ha continuato Coldiretti – le fiamme gialle sequestrano beni per 33 milioni alla cosca di ‘ndrangheta Labate. L’organizzazione criminale aveva il controllo del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio della carne”
Per far fronte a questa situazione diffusa, secondo il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo “bisogna, al più presto, portare all’esame del Parlamento o valutare l’ipotesi di una decretazione di urgenza, riguardo al testo della Commissione Caselli di Riforma dei reati agroalimentari per accendere il semaforo rosso alla rete criminale che avvolge da Nord a Sud tutte le filiere agroalimentari”, poiché “Di fronte a questa escalation senza un adeguato apparato di regole penali e di strumenti in grado di rafforzare l’apparato investigativo, l’enorme sforzo messo a punto dalla macchina dei controlli apparirà sempre insufficiente”.

MARTIN SCHULTZ, CHI È IL KAPÒ CHE SFIDA LA MERKEL

DI PIERLUIGI PENNATI
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Che Martin Schultz non avesse paura di nessuno lo avevamo intuito quando Berlusconi inveì contro di lui proponendolo per il ruolo di Kapò in un film sui nazisti, a quel tempo, però, Martin Schulz non era ben chiaro chi fosse e di cosa si occupasse.
Da allora ne ha fatta di strada, fino ad arrivare alla presidenza del suo partito, l’SPD, e candidandosi al non facile compito di diventare il successore di Angel Merkel, che si prepara ad entrare nella leggenda della Germania puntando al quarto mandato consecutivo, eguagliando la permanenza alla cancelleria di Helmut Kohl e guidando l’esecutivo eletto democraticamente più longevo di sempre, anche se i pronostici dicono che due tedeschi su tre non la vorrebbero più al comando.
Martin Schultz, nato 61 anni fa in una frazione di un paesino della Renania Settentrionale-Vestfalia, adiacente alla Aquisgrana che fu di Carlo Magno ed a soli 50 km da Maastricht, abituato così a respirare l’aria di campagna, ma dal sapore intensamente internazionale che insiste in quella zona di confini multipli ed aperti da tempi immemori.
Il più giovane tra cinque fratelli, è figlio di un poliziotto proveniente da una famiglia di minatori della Saarland e di madre borghese che fu cofondatrice della sezione locale della CDU della sua città natale Hehlrath, oggi divenuta parte nel non tanto più grande comune di Eschweiler.
Dopo il ginnasio superiore svolse un apprendistato come libraio, prestando poi attività presso diverse librerie e case editrici diventando persino proprietario di una libreria a Würselen tra il 1982 ed il 1994, quando fu eletto la prima volta deputato al Parlamento europeo.
La sua carriera politica non si è mai scostata dal Partito Socialdemocratico di Germania, a cui si iscrisse a diciannove anni nel 1974, diventando attivo all’interno della Jusos, l’organizzazione giovanile del partito e presiedendone la sezione di Würselen per poi passare alla sezione di Aquisgrana.
Fu anche consigliere comunale diventando sindaco a soli trentun anni nel 1987 e fece parte dell’SPD di Aquisgrana diventandone presidente nel 1996. Nel 2012 fu eletto presidente del Parlamento europeo e riconfermato nel 2014 è rimasto in carica fino al gennaio 2017 quando gli successe Antonio Tajani.
È stato membro del consiglio nazionale, dell’ufficio di presidenza e del direttivo federale dell’SPD, ma la svolta politica più importante nella sua carriera fu certamente l’ingresso nell’Europarlamento dove fu coordinatore del gruppo PSE nella sottocommissione per i diritti dell’uomo e nella commissione per le libertà civili e gli affari interni e dal 2000 al 2004 fu presidente della delegazione dei socialdemocratici tedeschi al Parlamento europeo, aggiungendo a questa carica, nel 2002, quella di primo vicepresidente dell’intero gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo e diventandone presidente dal 2004 al 2012, quando fu elezione alla presidenza del Parlamento Europeo.
Durante la Legislatura europea 2004-2009 risultò tra gli europarlamentari meno presenti ai lavori ed il suo modo, forse troppo deciso ed autoritario, di condurre i lavori dell’aula da Presidente, ha subìto spesso critiche da parte di molti deputati, famosa nella nostra nazione la polemica con Berlusconi, ma non sono state da meno quelle con gli inglesi Nigel Farage e Godfrey Bloom, lo svedese Olle Schmidt, i francesi Jean-Marie Le Pen e Daniel Cohn-Bendit, l’eurodeputato dei Paesi Bassi Barry Madlener e persino un intervento alla Knesset, il parlamento d’Israele, quando provocò la reazione dei ministri del partito The Jewish Home che abbandonano l’aula in segno di protesta per aver messo in evidenza, nel corso del suo intervento, la differenza di accesso all’acqua per i palestinesi e per gli israeliani. Uri Orback, ministro dell’Economia, in quell’occasione affermò che “È insopportabile sentir pronunciare menzogne alla Knesset e per giunta in tedesco”.
A novembre 2016 Schulz aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato per il terzo mandato alla guida del Parlamento Europeo per potersi dedicare meglio alla sua carriera politica in Germania ricevendo la prima investitura del suo partito, che rendeva chiaro come sarebbe potuto pericolosamente diventare l’antagonista per il Partito Social Democratico di Angela Merkel alle prossime elezioni.
Investitura che aveva immediatamente fatto circolare voci di presunti “illeciti” durante i suoi mandati al Parlamento Europeo, secondo le quali avrebbe utilizzato soldi comunitari per la sua carriera nazionale. La risposta di Schultz fu, come al solito, lapidaria: si trattava semplicemente di un’incomprensione per non aver separato in modo sufficientemente chiaro le attività riferite all’Europa rispetto a quelle rivolte al suo partito.
La corsa alla cancelleria è ora più che mai aperta.

OERLIKON SENZA CUORE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dopo il licenziamento di un operaio a seguito di un intervento al fegato nella sede di Torino, ora un secondo licenziamento per un intervento al cuore a Bari, il 15 Marzo l’azienda aveva scritto a Massimo Paparella, operaio, “Con la presente le comunichiamo che a seguito degli accertamenti sanitari cui è stata sottoposta, abbiamo preso atto della sua sopravvenuta e stabile inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni specifiche assegnate. Pertanto nostro malgrado siamo costretti a interrompere il rapporto di lavoro”.
È così evidente che anche la Oerlikon Graziano ha problemi con il cuore, ma quello degli altri, dato che la dirigenza aziendale non sembra averne uno proprio, nemmeno dopo il primo dietro front e la riassunzione del dipendente di Torino a seguito della grande mobilitazione che aveva suscitato la cosa.
Non è nemmeno passato troppo tempo, così che si possa dimenticare, e la stessa azienda fa il bis licenziando un dipendente la cui unica colpa è essersi sottoposto ad un intervento cardiaco a seguito del quale, secondo la direzione aziendale, non sarebbe più in grado di svolgere il suo lavoro.
Come per il caso di Torino la misura ha provocato l’immediata reazione delle associazioni sindacali Bari che hanno subito programmato un primo sciopero di 4 ore per lunedì prossimo di tutti i lavoratori della Oerlikon-Graziano.
Secondo la FIOM il licenziamento sarebbe “l’ennesimo atto unilaterale e di barbarie delle corrette relazioni industriali consumatosi nella Oerlikon-Graziano”, definendo l’episodio “l’epilogo di un corso di azioni e scelte brutali, improntate a fare azienda sulla pelle dei lavoratori” e sempre secondo la FIOM il problema risiederebbe in “carenti piani industriali, deficitari di investimenti e di azioni che a tutt’oggi non vedono il Gruppo capace d’intercettare nuovi clienti e mercati con l’innovazione di processo e di prodotto si risponde con la via bassa del fare azienda che passa sulla carne viva dei lavoratori”.
Nel suo comunicato stampa, la USB di bari, nell’esprimere piena solidarietà al lavoratore licenziato pone l’accento sulle discussioni interne aziendali ricordando “che sempre nello stesso stabilimento, c’era già stata un’aspra polemica relativa alle pause necessarie per espletare i propri bisogni fisiologici.” e che “anni di lotte per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro che per la direzione della Oerlikon-Garaziano non sono servite a nulla.”
Inoltre la USB denuncia la possibilità di contagio aziendale: “Siamo convinti che queste iniziative aziendali saranno replicate da altre aziende. Infatti, i diritti dei lavoratori sono sempre più calpestati, basti vedere l’aumento dei casi di incidenti mortali ed il fatto che, per il padronato e per buona parte dei governanti, i Lavoratori devono tornare ad essere schiavi. Per questi motivi c’è bisogno di sindacati non concertativi che insieme ai lavoratori riprendano la lotta per i diritti e contro tutte le forme di lavoro schiavistico.”
Al momento quello che è chiaro è solo che non si deve mai abbassare la guardia.

AAA LEGGE ELETTORALE CERCASI

DI PIERLUIGI PENNATI
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È uscita un momento dal Parlamento per permettere la discussione di un provvedimento urgente e si è persa, nessuno più ne ha sentito parlare da allora, eppure aveva fatto discutere animatamente di sé senza risparmiare colpi bassi, chi la voleva proporzionale, chi con il premio di maggioranza, chi con lo sbarramento, poi, poi, poi… tra un’urgenza e l’altra è diventata meno importante e probabilmente è scappata lontano.
Al suo posto sono state depositate ben 28 nuove proposte, tutte differenti e tutte senza un “ampio consenso” a loro sostegno.
A questo punto l’unica cosa certa è la confusione, in Commissione Affari Costituzionali con le nuove proposte di Maurizio Lupi (AP) e di Celeste Costantino (SI) sono state illustrate ieri le modifiche suggerite da Toninelli, Giachetti, Pisicchio, Lauricella, Locatelli, Orfini, Speranza, Menorello, Vargiu, Nicoletti, Parisi, Dellai, Lauricella, Cuperlo, Rigoni, Martella, Invernizzi, Valiante, Turco, La Russa, D’Attorre, Quaranta, Menorello e  Brunetta.
Considerato che la Commissione è già sommersa da altri provvedimenti che l’aula attende di discutere, come il decreto sicurezza, il ddl per il contrasto alla radicalizzazione dell’Islam, il ddl sulla candidabilità e eleggibilità dei magistrati alle elezioni politiche, il ddl sui minori non accompagnati, l’istituzione di una Commissione di inchiesta sul caso Shabalayeva, la revisione dei ruoli delle Forze di Polizia e via discorrendo sarà complicato far arrivare in aula una proposta seria per la legge elettorale entro il 27 marzo, data in cui è stato per il momento calendarizzato il dibattito.
Se a questo aggiungiamo che, fatta eccezione per il M5s, nessun partito si è fino ad ora espresso durante la discussione generale, non solo la discussione su di essa, ma anche il percorso per la legge elettorale non si preannuncia per nulla facile.
Nel frattempo il Governo Gentiloni continua la strada iniziata da Renzi e governa senza porsi un limite temporale, se non la naturale scadenza della legislatura, per i prossimi giorni sono attesi avvicendamenti in molti vertici delle aziende dello stato e cambiamenti in continuità.
Come se nulla fosse, il 4 dicembre 2016 è già alle spalle ed il futuro nei pensieri degli stessi attori.
Se vale il detto inglese “nessuna nuova, buone nuove”, allora possiamo stare tranquilli.

BLOWIN'IN THE WIND ED È POLEMICA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Se il cavalcavia è crollato sulla A14 è colpa del vento, o forse si tratta di un errore umano per il quale il vento sarebbe stato determinante a far oscillare e poi crollare il ponte che stava subendo una manutenzione straordinaria. Qualche tecnico specializzato potrebbe aver commesso una leggerezza permettendo al vento, che non si può condannare, di provocare il disastro.
Oggi tutti si prodigano in dettagliatissime spiegazioni tecniche di cosa si stava facendo: sollevare un ponte per la sua manutenzione sostituendo gli appoggi di cemento armato che lo reggevano, probabilmente logori dopo quasi cinquantanni dalla loro messa in opera.
Pagine e pagine di descrizioni per capire la dinamica dell’accaduto, per ricostruire come è potuto capitare che un ponte sollevato ed instabile potesse crollare e le polemiche già imperversano.
Per ora sappiamo che, secondo la Società Autostrade, la società che effettuava i lavori «è una società specializzata con qualifiche di legge per i lavori in oggetto e munita di certificazione delle società Protos, Bureau Vertitas e Accredia. La stessa società aveva eseguito analoghi lavori su altri cavalcavia della stessa tratta. Autostrade per l’Italia ha già messo a disposizione della magistratura tutti gli elementi contrattuali relativi all’affidamento dei lavori».
Sappiamo anche che si stanno acquisendo «tutti gli elementi per ricostruire la dinamica dell’evento, partendo dai documenti progettuali elaborati dalla Delabech stessa».
Sappiamo che il sindaco di Castelfidardo, Roberto Ascani, ha affermato che «Gli operai stavano sollevando la campata del ponte con dei martinetti, quando la struttura ha ceduto: evidentemente qualcosa è andato storto; è, inconcepibile eseguire lavori di questa natura senza chiudere la A14».
Sappiamo che per la procura «Di certo siamo di fronte ad un errore umano e non ad un cedimento strutturale, ma per stabilire chi saranno gli indagati, bisognerà accertare per prima cosa la causa meccanica che ha fatto venir giù il cavalcavia. Soltanto dopo si potrà risalire a che livello è stato commesso l’errore».
Sappiamo che Autostrade per l’Italia, responsabile dell’infrastruttura, afferma trattarsi solo di «un tragico incidente non prevedibile», escludendo un possibile «cedimento strutturale».
Sarebbe, invece, assurdo immaginare che i pedaggi autostradali possano aver avuto un ruolo nella scelta del tipo di intervento, ma se il lato superiore di un ponte stradale può rimanere chiuso per giorni, tagliando e rendendo difficile la circolazione nell’intera area, perché un’autostrada non può fare altrettanto per un tempo più limitato?
Perché non si sono utilizzate grandi gru ed effettuato il lavoro in una sola notte, od al massimo in un giorno, introducendo qualche disagio autostradale ma preservando gli utenti?
Le polemiche imperversano e le ipotesi più accreditate sembrano essere solo errore umano o qualità del calcestruzzo, forse unite al vento forte in quel momento, le risposte, invece, speriamo non siano affidate solo al vento.

LICENZIMENTO OERLIKON, DUE BUONE NOTIZIE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“I rappresentati locali della multinazionale svizzera mi hanno assicurato di voler ritirare la loro decisione che, prima di ogni altra cosa, presentava tratti di disumanità inammissibili”, ha dichiarato Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte, che ha anche fatto gli “auguri ad Antonio Forchione, l’operaio ingiustamente licenziato dalla Oerlikon Graziano di Rivoli”.
È questa la prima buona notizia, Antonio Forchione, l’operaio licenziato perché non poteva più fare i turni e non si poteva trovare un altra posizione per lui, pur accettando un demansionamento, in un’azienda di 700 persone, potrà rientrare al lavoro.
Anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva giudicato la cosa “inconcepibile, inaccettabile, sbagliata”, dicendo che “Se una persona ha una situazione come questa, l’azienda si deve prendere la responsabilità di garantirgli un’opportunità. Se le notizie dei giornali corrispondono alla verità, è un errore molto grave che l’azienda deve immediatamente recuperare”.
L‘ampia solidarietà e la levata di scudi di tutti i sindacati hanno così fatto tornare l’azienda sui propri passi, e questa è la seconda buona notizia: la solidarietà ha vinto ancora una volta.
Secondo i sindacati, quello di Antonio non è una caso isolato, ma solo il terzo simile, dopo quello di due delegati sindacali a Bari e Sommariva Bosco e se oggi la Oerlikon Graziano, circa 700 dipendenti a Rivoli ed oltre 1.500 in tutta Italia, parla di “licenziamento indegno e gesto riprovevole” è certamente perché al contrario di molti altri casi, persino peggiori, l’indifferenza è stata vinta e la solidarietà ha trionfato.
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, ha detto “Auspico che l’azienda ritorni sui suoi passi e si sforzi di trovare una soluzione adeguata alle attuali condizioni fisiche del lavoratore. Bene hanno fatto i sindacati a dichiarare due ore di sciopero. I lavoratori hanno compensato con la loro solidarietà la vergognosa mancanza di umanità di cui si è macchiata la Oerlikon”.
Sta ora a noi comprendere che senza questa solidarietà tutti gli Antonio d’Italia finiranno per fare la fine che avevano previsto per lui.

LA LEGGE È LEGGE, LA DIGNITÀ NON È PREVISTA

DI PIERLUIGI PENNATI
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55 anni di età, 37 di contributi, da 27 è turnista, a seguito di un trapianto di fegato può ancora lavorare, ma non fare i turni, in azienda c’è sicuramente posto per lui e forse i colleghi possono persino dargli solidarietà e trovare una soluzione, ma la legge è legge e non guarda in faccia nessuno.
Dal 4 dicembre la cassazione permette di licenziare per “profitto” e l’azienda ne “approfitta”: si chiama Oerlikon e si trova a Rivoli, ma non è né la prima né, purtroppo, sarà l’ultima a comportarsi così, le aziende da molti anni si organizzano contro i propri dipendenti ed il governo le aiuta.
“L’azienda non ha sentimenti, l’azienda è l’azienda, è fatta di numeri” mi disse una volta un capo del personale, l’azienda reagisce al mercato e si adatta. Iniziava una procedura di mobilità per 150 persone su 1200, oltre il 10% della forza lavoro, tra queste un invalido, si, perché se il numero dei dipendenti diminuisce, diminuiscono anche le quote obbligatorie di invalidi da assumere, così una  persona svantaggiata non era più “protetta” nemmeno dalla legge.
La mobilità è stata la prima vera riforma dell’articolo 18, prima di essa non si poteva licenziare, dopo lo si poteva fare in un tempo lungo e dichiarando lo stato di crisi aziendale, con una distinzione: se la crisi viene riconosciuta dai sindacati il “licenziamento lungo” ottiene la contribuzione dello stato, altrimenti se lo paga per intero l’azienda, che così “investe” sulla riduzione del proprio personale.
I sindacati “negoziano” contributi per il proprio benestare alla procedura, così che un accordo che porta al licenziamento di persone si trasforma in una risorsa per l’azienda e per il sindacato, che ammettendo la crisi aziendale percepisce da questa del denaro.
Non è uno scandalo, è la legge, e la legge è legge.
Successivamente, la nozione di stato di crisi è stata allargata agli “infungibili”, posizioni non più necessarie anche se l’azienda è in attivo, quindi ogni ristrutturazione era già una buona occasione per licenziare.
Oggi tra riforma dell’articolo 18, contratti a tutele crescenti, licenziamenti per profitto e precarietà dilagante, non solo il posto fisso non è più tale, ma anche chi lo aveva ha la valigia pronta sotto la scrivania. E qualcuno ha il coraggio di chiamarlo stato sociale, welfare e persino “concertazione”.
Diciamolo chiaro, i sindacati non servono più a nulla se sono incapaci di difendere i lavoratori con la lotta: per i tribunali sono sufficienti gli avvocati. I sindacati oggi non fanno più i sindacati, tranne gli autonomi, e non sanno fare nemmeno gli avvocati, quindi sono falliti, troppo occupati a mantenere in essere la loro macchina economica fatta di migliaia di funzionari e dipendenti che difendono i loro interessanti salari spesso a discapito dei lavoratori dell’imprenditoria privata ed in qualche caso pubblica.
Se antonio può essere licenziato a 5 anni dalla pensione in un’azienda di 700 persone, perché una disgrazia fisica gli impedisce di riprendere l’esatta posizione che aveva prima, se il nostro posto di lavoro può essere soppresso aumentando il carico di altri che non hanno strumenti per difendersi,  anch’essi affamati di lavoro, se i sindacati sono ormai un’entità fine a se stessa e se la legge è legge e non ha sentimenti, la nostra società è destinata ad estinguersi, molto prima della scomparsa delle api paventata da Einstein.
Le api, però, le rispettiamo, la dignità dell’uomo, invece, segue le regole del mercato, che oggi è ai minimi storici nel nostro paese.
Sono sconfortato, ma non mollo, la soluzione è la presa di coscienza e la ribellione, spegniamo le televisioni, rottamiamo i quiz e Sanremo, usiamo i media solo per informarci correttamente ed uniamoci per cambiare le cose: siamo tanti, siamo onesti e siamo molti di più dei disonesti che ci vogliono controllare: se ne prenderemo coscienza comincerà la nostra riscossa.

QUELLA FRETTA DI BANNARE DEL PRESIDENTE TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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Negli Stati Uniti tutto va molto in fretta, Trump incalza e la giustizia non resta al palo.
Dopo il primo bando per lo stop all’immigrazione da alcuni paesi mussulmani del 27 gennaio ecco ieri il secondo: non sono passati 100 giorni dall’insediamento del nuovo presidente che già ci sono stati corsi e ricorsi, ed ecco che appena preparato il nuovo decreto, un altro giudice spunta dal nulla per fermarlo.
Secondo i procuratori dello Stato delle Hawaii, che ha dato i natali a Barack Obama, «Il provvedimento sui migranti ha gli stessi difetti costituzionali di quello precedente» e ricorrendo ad un giudice federale vogliono ottenere un ordine temporaneo che blocchi l’attuazione del nuovo decreto esecutivo, come ha detto Neal Katyal, uno dei procuratori, alla CNN il bando «sconta ancora gli stessi difetti costituzionali e regolamentari» del precedente.
Secondo il dipartimento di Giustizia il nuovo ordine si trova al di fuori delle ingiunzioni che avevano bloccato il primo chiedendo al giudice di pronunciarsi prima dell’entrata in vigore del provvedimento, fissata per il prossimo 16 marzo.
Così il “muslim ban-bis”, ovvero la nuova versione del primo “travel ban” per mantenere il divieto di ingresso di 90 giorni negli Usa per i cittadini di alcuni Paesi a maggioranza musulmana, pur scendendo da sette a sei escludendo l’Iraq, potrebbe avere vita anche più breve della precedente, meno di una settimana.
La giustizia è veloce negli stati uniti, veloce, ma non “sommaria”.

ARTURO, UNA NUOVA SOCIAL DROGA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Se Arturo è più popolare dei Dem è colpa nostra, ormai i partiti ci hanno rubato tutto e la gente “pensa alla salute”, anzi, nemmeno più a quella, dato che anche il SSN non è più accessibile a molti, e così pensiamo a divertirci in qualche modo.
Non è indifferenza, è droga vera e propria e non bisogna essere sociologi per capire il fenomeno, basta osservare la storia.
Platone già sosteneva nel 300 a.C.  che “Una delle punizioni che ti aspettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori” ed alla fine questi esseri inferiori si sono dimostrati, invece, superiori distraendoci tutti dalla cose importanti, la politica appunto.
Ma Arturo fa anche di più, dimostra che in fondo l’informazione non è morta, è cambiata, se  “il Movimento Arturo ci mette nattimo a superare i follower di @articolo1dempro”, come dicono gli inventori, ovvero una bufala sorpassa in estensione e velocità l’account Twitter di Articolo 1 -l Movimento democratico e progressista fondato dagli scissionisti del PD, è evidente che le comunicazioni corrono ancora veloci, solo che il “popolo” non si fa più influenzare dalle cose reali, ma si “diverte” con le cose irreali che lo distraggano almeno un po’ da questa vita grigia e subordinata.
Il fondatore di Tivoli, Georg Carstensen (1812 – 1857) ottenne un permesso di cinque anni per creare Tivoli, raccontando al re Cristiano VIII che “quando la gente si diverte, non pensa alla politica” (cit.). Il giardino è ancora lì ed è famoso in tutto il mondo, a questo si sono unite le Slot Machine ed i gratta e vinci nostrani, oltre a farci comprendere perchè il Brasile, uno degli stati dove tradizionalmente la popolazione e più povera, ha il carnevale più ricco e fastoso del mondo.
Una stupita Giovanna Botteri, responsabile dei corrispondenti da New York per la Rai, si era lasciata andare in diretta un «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta ed unita CONTRO UN CANDIDATO… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana? Le cose che sono state scritte, le cose che sono state dette evidentemente non hanno influito sull’elettorato e su questo risultato».
Lo scandalo riguarda l’influenza che i giornalisti vorrebbero avere a tutti i costi, ma i giornalisti hanno influenza, solo che anche questa segue le regole di mercato e la bufala “tira” di più della politica, ammettiamolo.
Così un movimento di sinistra inventato da una trasmissione televisiva per prendersi gioco di un partito supera in fretta i 21mila fan su Twitter, mentre i Democratici e Progressisti restano al palo con poco più di 7.700 follower.
Quindi, avanti tutta! Immediatamente il fake si moltiplica in Italia ed all’estero con l’apertura di circoli virtuali del Movimento ed attentamente segnalati su Google Maps e su tutti i social possibili, le associazioni collaterali che danno voce a minoranze e spcificità, come “Artura, “la voce delle donne di Movimento Arturo” che si batte per la giusta rappresentatività interna al nuovo soggetto politico inventato, il “Movimento Arturo Giovani”, “Revolucion Arturo” argentino e chissà dove finiremo.
L’importante è dimenticarsi che il susseguirsi del governi ci ha creato talmente tante occupazioni per rincorrere ICI, IMU , TASI, TARSI, IVA, ICA, etc., oltre a riforme di INPS, ASL, INAIL e tutto ciò che è possibile complicare (e guai a sbagliarsi che ti tagliano il conto in banca!), che il poco tempo lasciato dalle indispensabili incombenze amministrative per sopravvivere, i più lo passano incollati a TV, calcio, social, Slot e “divertimenti” che ci facciano dimenticare.
Un tempo per dimenticare c’era solo l’alcool, oggi ci sono anche i social, sarà davvero meglio?

ILVA: 3.300 IN CIGS E VENDITA ENTRO APRILE MA NON TUTTI SONO D’ACCORDO

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato sottoscritto ieri al MiSE tra ILVA e sindacati l’accordo per il futuro della società e dei suoi dipendenti, al posto della solidarietà, che sarebbe scaduta giovedì, entrerà in funzione la cassa integrazione straordinaria per 3.300 persone delle quali 3.240 a Taranto e 60 a Marghera, riducendo di 1684 persone la richiesta iniziale dell’azienda.
Il provvedimento coinvolgerà in media 2500 lavoratori a Taranto e 35 a Marghera attraverso il sistema della rotazione bisettimanale che ridurrà anche gli esuberi temporanei e di una settimana ogni sei di CIGS per gli 800 operai dei reparti fermi o chiusi dove i lavoratori saranno impegnati in corsi di riqualificazione e formazione.
Per effetto del Decreto Sud, appena convertito in legge e che stanzia 24 milioni di euro nel 2017, il passaggio dalla solidarietà alla CIGS non avrà effetti sui livelli di reddito portando gli assegni CIGS al 70% della retribuzione, oltre alla maturazione dei ratei ai fini della pensione. Nessuna integrazione è prevista a carico della Regione Puglia per il sostegno al reddito, mentre potrebbero essere stanziati fondi per la formazione.
La viceministro Teresa Bellanova si dichiara soddisfatta affermando che la trattativa è stata «complessa» e che sia stato un «risultato importante e per nulla scontato» aggiungendo che il Governo «continuerà a monitorare la situazione con incontri bimestrali dedicati che io stessa presiederò, come ho proposto alle parti».
Anche i sindacati che hanno firmato l’accordo sono soddisfatti: «Abbiamo trovato il modo per alleviare l‘impatto su tutti i lavoratori e in particolare su quelli che in questi anni hanno maggiormente pagato la crisi in prima persona, con la definizione di un sistema di rotazione certo ed esigibile, sostenuto dalla formazione professionale» è il commento della FIM-CISL che ritiene che il documento protegga il reddito dei lavoratori durante tutta la prossima fase di vendita ai privati e del necessario nuovo piano industriale.
Per la UILM-UIL «è necessario non perdere altro tempo per il rilancio dell’azienda e verificare le prospettive del più grande gruppo siderurgico italiano».
Ma non tutti i sindacati sono d’accordo, USB non ha firmato ritenendo che «Serve una grande mobilitazione dei lavoratori delle aziende in crisi.» e critica anche i contenuti sociali dell’intesa affermando che «Sebbene sia stata confermata l’integrazione salariale al trattamento di Cigs, non è stato definito nessun percorso che salvaguardi davvero i livelli occupazionali.  Le pressanti rassicurazioni da parte del viceministro e dell’azienda sul fatto che non vi sono esuberi è contraddetta da un accordo che identifica aree e lavoratori in eccesso. La stessa volontà di ricorrere alla formazione, anche con il finanziamento della Regione Puglia, non rappresenta in alcun modo una garanzia di ricollocazione per i lavoratori interessati.»
Per il sindacato autonomo, maggioritario in azienda, la soluzione sarebbe quindi «Nazionalizzare l’ILVA» perché «i lavoratori, i tarantini e la città rischiano di tornare ad essere oggetto di nuovi profitti privati e di nuove speculazioni. Come insegna la vicenda di Piombino» ed annunciano nuove mobilitazioni.

GLI SVIZZERI DICONO NO AI GIOCHI OLIMPICI INVERNALI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Nonostante le molte montagne, fino ad oggi ci sono state solo due edizioni dei Giochi Olimpici Invernali in Svizzera e sempre a St. Moritz, la prima volta nel 1928 e èpoi nel 1948. Sion ha presentato due volte la candidatura senza spuntarla ed a Losanna nel 1988 la popolazione Svizzera chiamata ad esprimersi sulla candidatura aveva detto NO con una maggioranza del 62% e nel 2013 la cosa si era ripetuta.
Ieri, durante una delle numerose giornate elettorali tipiche della democrazia diretta Svizzera anche il Cantone dei Grigioni ha rifiutato ancora l’ipotesi.
Nessuno scandalo, nessun imprenditore deluso e nessuna occasione mancata, come si era detto di Roma, i cittadini Svizzeri, a differenza degli italiani, scelgono direttamente ed hanno deciso che stanziare 25 milioni di Franchi per sostenere una candidatura non è un investimento utile.
Forse non sapremo mai se l’occasione è stata persa dalla città di Davos e St. Moritz o se, invece, si è trattato di un pericolo scampato, certo è che se il popolo, questo sì sovrano, di un cantone a vocazione alpina teme la bancarotta a causa dei giochi, facendoci pensare di dover seriamente riflettere sugli investimenti di casa nostra, anche perché non siamo mai noi a decidere di farli, ma qualche amministratore che decide “per il nostro bene”.
La percentuale di no è stata il 59,5% e solo un piccolo distretto, quello della Surselva, ha detto sì in maggioranza, Davos e St Moritz hanno detto no senza speranza.
A capitanare l’opposizione un “Comitato del No”, che ha sostenuto che per le Olimpiadi c’erano “troppi rischi”, legati a “costi per lo Stato Svizzero ed entrate per il Comitato Olimpico. Basta sprecare soldi”.
In questione, quindi, anche il Comitato Internazionale Olimpico del quale la deputata PS Silva Semadeni ha detto “Bisogna mettere il CIO di fronte a questa realtà; che solo le dittature sono pronte a fare quello che vuole e che per i Paesi democratici questo modo di organizzare i Giochi (i costi per lo Stato, le entrate per il CIO ndr) non va”.
“Con tutti questi soldi si potrebbero realizzare tanti altri progetti”, “dobbiamo puntare sul turismo di tutto l’anno”, ha aggiunto Nicolas Zogg, pensando ad “investire nelle regioni strutturalmente deboli, dimenticate dai Giochi olimpici”.
Addio giochi olimpici invernali per Davos, addio cantieri e nuove infrastrutture, addio stagione di gloria in cambio di maggiore stabilità, tutela delle minoranze e programmazione per il futuro, argomenti davvero seri di riflessione.

L’ISTITUTO LUCE ED I RISULTATI 2016 SULL’EVASIONE FISCALE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Entusiasmo del Ministro Padoan e del Direttore dell’Agenzia delle Entrate per la presentazione dei risultati raggiunti nel 2016 dall’Agenzia che attraverso le linee operative del Governo ha ottenuto  19 miliardi di incasso per il 2016 attraverso la Tax Compliance, vale a dire l’adesione spontanea dei contribuenti a pagamenti e adempimenti di natura tributaria attraverso deterrenti quali controlli e maggiori sanzioni.
Il sistema intende premiare i contribuenti virtuosi e/o coloro che intendono condonare una propria posizione, con riferimento più specifico ai grandi contribuenti, e contemporaneamente generare una stretta di vite sugli evasori producendo l’effetto di riuscire a colpire molto più pesantemente chi già non ce la fa a finire il mese a vantaggio dei grandi gruppi industriali e bancari, mentre per mantenere le produzioni in patria ed attrarre investimenti dall’estero si dovrebbe invece pensare ad una riduzione del carico fiscale e non solo punire il piccolo contribuente.
È persino lo stesso Ministero degli Esteri che nei suoi siti web spiega come in altre nazioni europee sia più vantaggioso aprire un’impresa, fino a spingersi a descrivere nel dettaglio come fare e dove rivolgersi.
In Estonia, per esempio, il sito della Farnesina spiega come sia economicamente conveniente fare affari in quella nazione, diffondendo un documento ufficiale che spiega i cinque punti di forza Estoni: 1. Ottime tecnologie dell’informazione e diffusione (ampia) della lingua inglese e (piu’ ridotta) di quella italiana; 2. Buona posizione geografica; 3.  Sistema impositivo vantaggioso (aliquota impositiva unica del 20% per tutti ndr); 4. Stabilità politica; 5. Positivi indici su libertà economica, competitività e regolamentazione d’impresa. Il tutto seguito da indirizzi e numeri di telefono per aiutare gli italiani a migrare le loro imprese in quello stato.
Mentre il ministero degli esteri non lesina informazioni per incentivare la migrazione commerciale, nella nostra nazione per il Ministero delle Finanze non sembra essere molto importante se i deficit di entrate vengano ripianate nei bilanci esasperando la tassazione sui redditi da lavoro dipendenti e da pensione e tagliando i servizi sociali, facendo orientare il sistema fiscale italiano, al di là della propaganda governativa, non tanto a contrastare la piaga dell’evasione fiscale, ma trasformandosi in consulente di banche e grandi imprese che finiscono per produrre profitti eludendo ed evadendo il fisco, od almeno avendone vantaggi maggiori.
In questa precisa ottica non c’è gran che da essere allegri per 19 miliardi di introiti fiscali, quando l’evasione annua è valutata in almeno 180 miliardi, se i controlli fiscali sulle grandi imprese diminuiscono e se almeno 4 di quei 19 miliardi provengono da un condono fiscale, chiamato elegantemente Voluntary Disclosure, che  consentendo a chi ha illegalmente esportato all’estero capitali, di farli rientrare godendo di impunità penale e sconti sulle sanzioni.
Non è nemmeno tanto divertente pensare che nella delega fiscale e nel decreto “Cambia Verso” sono contenute norme che, mentre condonano gli evasori, aumentano la tassazione IRPEF sui redditi da lavoro dipendente e da pensione e non fa sorridere neppure il fatto che il nostro fisco da strumento di equità contributiva stia diventando una leva per aumentare le diseguaglianze sociali.
Nemmeno il primo Istituto Luce avrebbe potuto distorcere fino a questo punto la realtà per una propaganda che sa molto di regime, celebrando successi ottenuti a discapito della “pari dignità sociale” indicata dall’articolo 3 della costituzione, mentre dovremmo considerare il recupero dell’originale concetto espresso nel successivo articolo 53 dove “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, riequilibrando la pressione fiscale oggi tutta sbilanciata sui redditi da lavoro dipendente e da pensione e colpire, finalmente, quel 20% della popolazione che detiene il 70% della ricchezza nazionale.

CON STEINMEIER LA GERMANIA SCEGLIE LA STABILITÀ

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal dopoguerra ad oggi la Germania ha sempre inseguito stabilità e certezza, privilegiando la previdenza e la moderazione, per questo cinque anni fa il presidente Christian Wulff fu costretto a dimettersi per aver ottenuto un mutuo di 500.000 euro ad un tasso agevolato del 4% che aveva indotto dubbi sulla sua moralità, gli era succeduto Joachim Gauck, pastore protestante ed attivista per i diritti umani ai tempi della Germania Est, simbolo di moderazione, impegno sociale e stabilità, per il quale, però erano occorse tre votazioni.
Oggi l’Assemblea Federale ha eletto al primo scrutinio Frank-Walter Steinmeier a presidente della Repubblica con 931 voti a fovore su 1243 votanti, con 1229 voti validi, 14 non validi e 103 astenuti, il quorum era di 631 voti.
Con ben 300 voti oltre il quorum più che un’elezione è stato un plebiscito e non poteva essere altrimenti, infatti di Steinmeier molti tedeschi dicono che parla come un sacerdote, quindi per succedere ad un sacerdote vero serviva almeno uno pseudo sacerdote.
Scherzi a parte le previsioni davano Steinmeier eletto già alla prima votazione, a maggioranza assoluta, grazie all’appoggio della coalizione al governo e gradito a Verdi e Partito liberale (FDP), ma va ricordato anche che le funzioni del presidente in Germania sono simili a quelle nostrane, per lo più si tratta di rappresentanza, ruolo necessario per evitare un presidenzialismo che possa compromettere la democrazia parlamentare, come avvenuto durante la Repubblica di Weimar.
Il voto è espresso dall’Assemblea Federale, con i suoi 620 deputati, e da altri 620 delegati, con ruolo paritetico, inviati dai gruppi parlamentari dei singoli parlamenti regionali che compongono la Federazione Tedesca e che possono essere personalità non politiche ma provenienti dalla vita comune, come scienziati, sportivi, filosofi e persino attori.
Steinmeier era stato candidato alla cancelleria nel 2009 finendo sconfitto dalla Merkel e dall’attuale governo e fino al 2013 era stato a capo dell’opposizione in Parlamento per poi tornare a ricoprire la posizione di ministro degli Esteri che aveva avuto già in precedenza.
Il Frankfurter Allgemeine dipinge Frank-Walter Steinmeier come “meccanico delle dinamiche del potere”, grande mediatore ed uomo dell’unità, quindi non è una grande sorpresa che molti partiti abbiano hanno trovato una convergenza sul suo nome, Angela Merkel ha immediatamente commentato l’elezione dicendo che “Frank-Walter Steinmeier sarà presidente della Germania in tempi difficili e io sono certa che, nella sua funzione, potrà accompagnare molto bene il Paese in questi tempi”.
Le sue prime parole da presidente direttamente all’Assemblea plenaria sono state un elogio della Germania diventata simbolo di speranza nel mondo: “Non è meraviglioso che il nostro Paese, questa patria difficile, sia diventato per molti nel mondo un’ancora di speranza? Anche dopo la riunificazione c’era un po’ di risentimento contro gli stranieri, ed è stata superata. Sono sicuro che ci riusciremo anche oggi”.
Le elezioni federali del prossimo 24 settembre aspettano ora la Germania e sia che vinca ancora Angela Merkel che Martin Schulz, con Steinmeier alla presidenza, convinto ciecamente dello stretto legame tra gli interessi UE e quelli tedeschi, allergico ai facili populismi, e considerato da molti un presidente “anti-Trump”, la Germania potrebbe diventare il baluardo europeo contro il populismo dilagante.
Nel suo discorso ha ha esortato ad «avere coraggio» e aggiungendo che «quando il fondamento della democrazia altrove vacilla, allora noi dobbiamo restare saldi di fronte a questo fondamento».

IL LUSSO SENZA PIETÀ

DI PIERLUIGI PENNATI
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È passato poco più di un mese da quando un rogo ha distrutto parte dell’aeroporto di Fiumicino e Dolce & Gabbana, nell’ambito di una ristrutturazione conseguente ai fatti, licenzia senza riguardo le lavoratrici intossicate nel rogo di Fiumicino, tra cui alcune giovani mamme.
La comunicazione durante colloqui personali nei quali veniva letta una «fredda lettera che comunica il recesso del rapporto di lavoro dal prossimo 1 aprile. – precisa Francesco Iacovone dell’Esecutivo Nazionale USB – Le stesse lavoratrici che sono state costrette a prestare servizio all’indomani del terribile rogo di Fiumicino nell’aerea compromessa dall’incendio»
Secondo i sindacati si tratta di «Un licenziamento assurdo che non ha alcuna motivazione plausibile, visto l’alto numero di lavoratori a termine delle altre boutique, una delle quali proprio nello stesso sedime aeroportuale e le altre a Roma, che potrebbero assorbire senza traumi i licenziamenti.»
Dolce & gabbana studia le collezioni di moda facendo campagne pubblicitarie a favore della famiglia, ha lanciato l’hashtag #DGFAMILY ed aperto una apposita sezione dei propri siti web e delle linee stilistiche, «ma non si cura delle famiglie che lavorano alle proprie dipendenze.»
Dalla prossima settimana sono previsti scioperi ad oltranza e presidi alla boutique di via dei Condotti a Roma per sensibilizzare il pubblico, viene inoltre inoltrato un appello agli altri stilisti famosi «affinché intervengano per fermare questo scempio, togliendo la firma della propria griffe da un simile attacco alle lavoratrici, alle donne e alle mamme che si ritroverebbero senza reddito e nella disperazione.»
Secondo Iacovone «In questa triste storia vengono meno il diritto alla salute e quello al lavoro, senza neanche la terribile condizione di scelta tra l’uno e l’altro» e conclude affermando che «Lavoro e salute sono due beni che non sono in vendita e, quelli sì, sono beni di lusso».

MICHELE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Michele non era il primo
da anni sento di giovani e vecchi che si suicidano per il lavoro, persino un imprenditore che non voleva licenziare i suoi dipendenti, suicida perché non riusciva più a sostenere il rimorso di non riuscire a dare da lavorare per il pane alle famiglie dei propri dipendenti, un Marchionne al contrario.
Michele non era il primo
ed ogni volta che sento una notizia del genere mi viene un nodo allo stomaco, penso a chi ha troppo e non si vergogna ed allora mi viene da vomitare.
Michele non era il primo
ed io faccio quello che posso, anche se non abbastanza, lo ammetto.
Michele non era il primo
per dare a Michele ed agli altri come lui ragioni di autoeliminarsi, andando all’estero o suicidandosi, si fa molto, si aumenta il precariato ed abbassa il costo della manodopera, così si rilancia l’economia  (forse), ma si spinge la gente alla disperazione (certamente).
Michele non era il primo
e mentre si struggeva per il lavoro qualcuno pensava ad obbligarci a salvare una banca e garantire una gara di golf stanziando miliardi delle nostre tasse e nascondendo i nomi degli insolventi invece di sostenere l’occupazione stabile.
Michele non era il primo
ma si è suicidato mentre governava la sinistra da anni… qualcuno a sinistra dovrebbe riflettere.
Michele non era il primo… io vorrei che fosse l’ultimo!
Non si può morire per il lavoro in uno stato che si vanta di essere una potenza industriale, ma abbandona le persone a se stesse, utili a pagare tasse, inutili quando manifestano disagio.
Michele non era il primo, non scordiamocelo in favore di Sanremo.

LAVORATORI ATAC SENZA STIPENDIO DA DUE MESI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Il problema delle manutenzioni ATAC era stato dichiarato dall’azienda romana risolto a giugno dello scorso anno, ma il comunicato diramato ieri dal sindacato USB sembra smentire:
«TRASPORTI: APPALTI MANUTENZIONE ATAC LAVORATORI SENZA STIPENDIO DA DUE MESI – USB: SITUAZIONE NON PIU’ SOSTENIBILE
Questa mattina i lavoratori addetti alla manutenzione delle vetture Atac, hanno manifestato tutta la loro indignazione sotto la sede di Via Prenestina.
Dallo scorso Ottobre i 140 dipendenti dell’azienda Corpa, alla quale Atac ha affidato il servizio, ricevono con ritardi inaccettabili gli stipendi.
“Attualmente l’azienda Corpa non paga i suoi dipendenti da due mesi” denuncia Fabiola Bravi dell’Unione Sindacale di Base.
“Stiamo assistendo ad un continuo rimpallo di responsabilità tra Atac e Corpa. Il Comune dal suo canto non interviene per sanare le criticità e nel frattempo i lavoratori affogano nei debiti e nella diperazione” prosegue Bravi.
Durante il presidio una delegazione è stata ricevuta dai vertici Atac.
Alla richiesta dell’USB del pagamento diretto degli stipendi da parte di Atac, come previsto dal codice degli appalti, i rappresentanti aziendali hanno risposto con proposte del tutto insoddisfacenti.
Per questo i lavoratori hanno deciso di proseguire la mobilitazione fino a quando non verrà riconosciuto loro il diritto ad una retribuzione puntuale.»

VIETATO ANDARE IN BAGNO ALLA FIAT CHRYSLER

DI PIERLUIGI PENNATI
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La Sevel di Atessa è in provincia di Chieti, non in India o Cina, in Italia, dove democrazia e rispetto dei diritti umani sono scritti nella costituzione e sono una bandiera da sventolare con orgoglio ai quattro venti, eppure in un’azienda che dovrebbe essere “nostrana”, dato che fa parte del gruppo Fiat Chrysler nato proprio nella nostra nazione, un operaio è stato costretto ad orinarsi addosso per il divieto persino di andare in bagno.
Inutile dire che il diritto di andare in bagno non è scritto così nella legge, però la Cassazione lo aveva più volte sancito, anzi, la Cassazione ha persino autorizzato la “pausa caffè”, purchè durasse non più di cinque minuti.
Ma la legge italiana è una cosa meravigliosa, perché è “interpretata” e non applicata dai giudici, che piano, piano, possono stravolgerla.
Adesso l’azienda dirà che l’operaio doveva imporsi e che il fatto ha creato un danno di immagine per l’azienda, il che rompe il rapporto fiduciario con lo stesso, risultato: potrebbe essere licenziato.
Alla fine sarà colpa sua.
L’episodio, sembra cronaca di oltre un secolo fa, di quando si moriva nelle fabbriche ed i lavoratori erano quasi degli schiavi, invece il fatto è avvenuto in un moderno stabilimento, il  più grande d’Italia e tra i primi in Europa per dimensioni, ed è stato denunciato dal sindacato USB, ma anche le altre sigle sindacali hanno chiesto chiarimenti all’azienda coinvolgendo tutto il gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles).
La risposta aziendale arriverà dopo le verifiche, ma l’episodio è già stato confermato da alcuni colleghi presenti al fatto.
Dalle testimonianze, l’operaio avrebbe chiesto più volte di poter andare in bagno senza ottenerne il permesso ed alla fine non ha potuto trattenersi più facendosela addosso.
Il comunicato stampa diramato dal sindacato USB di Chieti dice che “inascoltato, non gli è rimasto che urinarsi dentro i pantaloni. L’episodio varca ogni limite della decenza. Un fatto gravissimo che lede la dignità del lavoratore vittima dell’episodio e quella di tutti i lavoratori in generale. Pretendiamo che situazioni simili non si ripetano mai più”.
Gli fa eco Rifondazione Comunista,  Marco Fars, segretario abruzzese, e Maurizio Acerbo, della segreteria nazionale fanno sapere: “Spremere i lavoratori fino al divieto, ripetuto e continuato, di poter andare in bagno, è un fatto di una gravità inaudita, da condannare senza mezzi termini. Da molti anni nel gruppo FCA si assiste all’incremento di ritmi e carichi di lavoro al limite del sostenibile. Troppo spesso gli aumenti di produttività sono stati salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come fossero possibili, ogni anno, aumenti produttivi da record. Nei giorni scorsi la risposta è arrivata, di nuovo, dalla palese manifestazione delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti a subire. L’arroganza aziendale si è spinta fino a costringere un lavoratore ad urinarsi addosso, dopo che per troppo tempo gli è stato vietato di recarsi in bagno. La produzione viene prima di tutto e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il “lusso” di espletare bisogni fisiologici normali per qualsiasi essere umano. Ai lavoratori, costretti a carichi e ritmi di lavoro insostenibili, non viene riconosciuta nemmeno la dignità umana”. I due esponenti politici chiamano in causa anche le recenti riforme del lavoro e le ristrutturazioni aziendali frutto della globalizzazione post-crisi: “La vicenda Sevel ci ricorda l’importanza e la necessità di riportare la democrazia reale dentro e fuori le fabbriche. Questo totalitarismo aziendale è il prodotto di anni di “riforme” del lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti e tutele e accordi sindacali capestro accettati da sindacati “firma tutto”. Questi sono i risultati della cancellazione dell’art.18”.

I GIUDICI BANNANO ANCORA TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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Quello che più stupisce nella vicenda tra Trump ed i giudici sul Muslim Ban, il provvedimento che vieta l’ingresso negli Stati Uniti di rifugiati e cittadini provenienti da sette paesi islamici, non è tanto che i giudici siano contro di esso, quanto che la giustizia sia così rapida: due gradi di giudizio in meno di venti giorni.
Il primo stop, arrivato da un giudice federale di Seattle, James Robart, aveva bloccato temporaneamente e su base nazionale il decreto di Trump in una sola settimana, ora, a distanza di un’altra settimana la conferma all’unanimità dei tre giudici della La Corte d’appello federale di San Francisco.
Di questo passo si arriverà ad una decisione della Corte Suprema in meno di un altro mese, forse prima.
“SEE YOU IN COURT, THE SECURITY OF OUR NATION IS AT STAKE!” Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 9 febbraio 2017, “Ci vediamo alla Corte, è in gioco la sicurezza della nazione”, ha twittato immediatamente il presidente statunitense appena appreso della decisione della Corte, la Corte, ovviamente, è quella Suprema, ultima possibilità per Trump di revisione della decisione.
Il decreto era stato presentato da Trump come provvedimento di “buon senso”, preoccupato per la sicurezza nazionale e come prevenzione contro il terrorismo, ma ora che i giudici gli danno contro il pericolo per lui sembra essersi spostato sulla magistratura. Aveva già insultato il giudice di Seattle per il ban al suo ban, definendolo “pseudo-giudice” e accusando la giustizia di essere “politicizzata”, ora attacca anche la Corte d’Appello.
In questo Trump ricorda molto un miliardario nostrano che fu a capo del governo, a dire il vero lo ricordava anche in campagna elettorale e, tutto sommato, anche per il comportamento con le donne ed i modi decisi, fin troppo decisi, al punto da compiere errori che però, dalla posizione di capo del governo, non si pagano di persona, ma si fanno pagare ai cittadini.
Negli USA tutto appare più veloce e se l’escalation di tensione interna non si fermerà, anche la carriera del presidente Trump potrebbe concludersi prima del previsto.

RICERCA: APPROVATO EMENDAMENTO STABILIZZAZIONE PRECARI ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA'

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato appena approvato al Senato un emendamento al Decreto Mille Proroghe che stanzia circa 12 milioni per la stabilizzazione di circa 230 precari dell’ISS.
Cristiano Fiorentini dell’Esecutivo Nazionale USB che ha sostenuto la lotta dei precari, in un comunicato stampa scrive che è stata “Una grande vittoria arrivata dopo 81 giorni di occupazione”, “una lotta dura e lunghissima che ha visto la partecipazione di centinaia di lavoratori di ruolo e precari, i quali con grandissima determinazione hanno superato i tanti momenti difficili che in questi 81 giorni abbiamo incontrato.”
Non tutte le note sono negative, infatti “Diamo atto al Ministro Lorenzin che ha mantenuto l’impegno assunto pubblicamente, – continua – realizzando un investimento sull’Istituto Superiore di Sanità dopo anni di tagli. Un investimento” continua Fiorentini “che garantirà la stabilizzazione dei precari e il rilancio dell’Ente, a tutto favore dei cittadini”.
“Il percorso accidentato che abbiamo dovuto affrontare, durante il quale è stato fondamentale l’impegno dei parlamentari impegnati, in particolare la Sen. De Biasi presentatrice dell’emendamento, è sintomatico della difficoltà di chi lotta per valorizzare il settore pubblico in generale e la ricerca pubblica in particolare.” Le difficoltà incontrate danno  un valore maggiore alla nostra vittoria e lancia a tutti i lavoratori il messaggio che quando c’è organizzazione, determinazione e disponibilità al conflitto, si vince!”
“Domani si riunirà l’assemblea per decidere la fine dell’occupazione” conclude il dirigente USB.
Per una volta ogni ulteriore parola sembra superflua.

CHIUDE CRISITALY NEMMENO LA CRISI FA PIÙ NOTIZIA

DI PIERLUIGI PENNATI
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L’idea era venuta nl 2013 ad un informatico romano, “Non c’è nessun fine speculativo – diceva – L’idea è nata per un motivo banale: trovavo parecchia difficoltà nell’aggiornarmi sulle news, nei temi citati, e ho pensato che visualizzare la crisi potesse avere un impatto emotivo ancora maggiore, rispetto alla lettura. Mi auguro che questo possa risvegliare qualche coscienza e sollecitare la partecipazione volontaria al progetto”.
Nasceva così un sito web specializzato in notizie sulla crisi, una sorta di mappa della recessione nel nostro paese, aziende che chiudono, delocalizzano, suicidi di disoccupati, casi di usura.
Persino L’Espresso aveva riportato notizia, vera curiosità ma anche fatto di costume così diffusa che rendeva interessante persino creare, utilizzando gli strumenti della rete, una sorta di mappa sulla “geografia della crisi” che aveva investito il nostro paese già da qualche anno, un flusso ininterrotto di notizie specializzato in aziende che chiudono, posti di lavoro polverizzati, suicidi.
Credito, tasse, usura, degrado sociale, nuova povertà, malaffare, disservizi per la cattiva gestione politica, manifestazioni e proteste, perdita di posti di lavoro, case che non si hanno e suicidi, le più grandi vittime della crisi, erano le sezioni tematiche.
L’icona della morte, il teschio, caratterizzava la categoria suicidi provocando un colpo d’occhio sinistro e dirompente, e la materia prima non mancava, nel solo primo anno 6 suicidi a Caserta, 4 in Toscana, 1 a Milano ed altri un po’ dappertutto, tutti perché stanchi di non riuscire più a sopravvivere in modo dignitoso.
L’ultimo suicidio alle cronache pochi giorni fa, Michele, trentenne di Udine, si suicida lasciando una toccante lettera che tutti noi speriamo l’ultima.
Nel frattempo, però, persino la crisi non è più quella di prima, non sono le notizie a mancare, ora manca l’interesse e la speranza, e nemmeno i suicidi fanno più tanta audience, ci siamo abituati prima alle morti “sul” lavoro oggi non ci impressionano quasi più nemmeno le morti “per” il lavoro.
Così da qualche settimana persino Crisitaly, che raccoglieva le notizie sulla crisi, chiude: mancano i fondi. Nel sito web appare la scritta: “Crisitaly.org ha bisogno di voi. Fai una donazione via Paypal per contribuire alle spese di gestione e mantenimento del server e far tornare online Crisitaly.”
Non farò una donazione e spero non la faccia nessuno, non mi interessa finanziare un sito che diffonde notizie sulla crisi, voglio che la crisi finisca ed il sito sparisca per carenza di materia prima, continuerò, invece, non solo a denunciare la situazione, ma ad agire affinchè le cose cambino.
Solo con la partecipazione alla vita sociale del nostro paese possiamo cambiare le cose, votando non solo le promesse, ma anche e soprattutto l’onestà e togliendo il voto a chi non solo non mantiene le promesse, ma fa ed è disonesto.
Il cambiamento comincia sempre da noi, se siamo onesti noi lo saranno anche gli altri.

ONU ED UE CONDANNANO LA LEGGE ISRAELIANA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A dicembre le Nazioni Unite avevano approvato una risoluzione contro gli insediamenti Israeliani in Palestina, passata con 14 voti favorevoli, 0 contrari ed una storica astensione degli USA, voluta dal presidente uscente Barack Obama, e Donald Trump non si era fatto attendere twittando “As to the U.N., things will be different after Jan. 20th. — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 23 dicembre 2016”, “alle Nazioni Unite le cose saranno differenti dopo il 20 gennaio”, e lo sono state.
Tra Trump e Netanyahu era stata subito intesa ed alla Kessnet, il parlamento monocamerale di Israele, i provvedimenti allo studio per la Cisgiordania erano tornati di stretta attualità e due giorni fa  è arrivata l’approvazione della controversa legge per la “regolarizzazione” degli insediamenti israeliani costruiti su terreni privati palestinesi in Cisgiordania con 60 voti a favore e 52 contrari.
Secondo fonti del Likud, l’approvazione era legata al coordinamento necessario in vista dell’incontro che si terrà con Donald Trump il 15 febbraio alla Casa Bianca ed il premier Benyamin Netanyahu ha dato la propria approvazione al voto da Londra senza poter partecipare al voto perché ancora in viaggio per rientrare a Gerusalemme.
La risposta dell’ONU non ha tardato, per l’inviato per il processo di pace in Medio Oriente, Nicolay Mladenov, la legge israeliana sulla “regolarizzazione” degli insediamenti e delle case costruite su terreni privati palestinesi ha superato “una grossa linea rossa” verso “l’annessione dei Territori Occupati”, aggiungendo che questa legge stabilisce un “precedente molto pericoloso”.
Questa è la prima volta che Israele legifera in tema di proprietà delle terre occupate ai palestinesi e che la legge venisse approvata non era dato per scontato. Benjamin Netanyahu non aveva mai cessato di dire che il provvedimento sarebbe stato esaminato secondo programma e che dei contenuti della legge era stata informata la nuova amministrazione statunitense, ma la tensione in aula è stata altissima.
Il leader dell’opposizione, il laburista Isaac Herzog, ha più volte avvertito durante i lavori che l’approvazione del provvedimento avrebbe portato Israele di fronte alla Corte Internazionale Penale dell’Aja, addossando la responsabilità all’assente Netanyahu, mentre dal fronte dei propositori della legge, Naftali Bennet, Leader di Focolare ebraico molto vicino al movimento dei coloni, ha osservato che “la determinazione paga”, anche se all’interno del Likud non tutti erano d’accordo e tra le file dei critici vi fosse anche il Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit.
Legge che sana anche la situazione della colonia di Amona, sgomberata solo il 1 febbraio u.s. tra lo scalpore e le proteste degli occupanti, con l’obiettivo dichiarato di “regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria e consentire il loro continuo stabilirsi e sviluppo” e concede, in forma retroattiva, un meccanismo di compensazione per i proprietari palestinesi dei terreni degli insediamenti che riceveranno in cambio dei terreni espropriati un pagamento annuale pari al 125% del loro valore per un periodo di 20 anni o, in alternativa, altri terreni a loro scelta, ove questo fosse possibile.
Con il provvedimento vengono resi legali 3.800 alloggi già esistenti ed i proprietari palestinesi dei terreni su cui insistono non potranno più opporsi all’insediamento dei coloni ebraici, che vivranno in case di loro proprietà, ma su terreni che non posseggono, ottenendo al massino un risarcimento.
A detta del promotore del provvedimento, Naftali Bennet, però si tratta solo di rispetto delle regole ed ha dichiarato “Ai nostri amici dell’opposizione che si sono mostrati sorpresi che un governo nazionalista abbia passato una legge a beneficio degli insediamenti vogliamo dire che questa è la democrazia”.
La “sanatoria” approvata da Israele va però in senso diametralmente opposto alla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dello scorso 23 dicembre, che chiedeva lo stop agli insediamenti nei Territori occupati, ed ha provocato la reazione secca non solo di Nicolay Mladenov, man anche del Segretario Generale Antonio Guterres che lo ha sostenuto.
Secondo Guterres la legge costituisce una  “violazione” che porterà a “conseguenze legali di vasta portata” ed ha quindi rivolto un invito ad Israele per “evitare qualsiasi azione che possa far deragliare la soluzione dei due Stati”.
Anche l’Unione europea non è rimasta a guardare e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, ha subito “esortato” Israele a “non mettere in pratica” la norma votata ieri ed ha dichiarato in un comunicato “L’Unione europea condanna la recente adozione dei questa legge da parte della Knesset, che permette a Israele di appropriarsi di nuove terre palestinesi in Cisgiordania”.

CANDIDATI “A LORO INSAPUTA”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ormai la catena dei soggetti che operano a propria insaputa sta diventando infinita, qualcuno era finito nel mirino della ‘ndrangheta in tempi remoti, quasi sempre ignari pensionati a cui intestavano la proprietà di decine di autovetture usate dalla malavita e cose simili, ma venivano definiti “inconsapevoli”, poi, nel 2010, al Ministro Scajola comprano un appartamento vista Colosseo “a sua insaputa”, coniando e sdoganando un modo di dire divenuto ormai di uso corrente ed un uso apparentemente così diffuso che persino Viginia Raggi, nota esponente del movimento che predica onestà assoluta e coerenza, nonché primo cittadino di Roma, scopre di avere una polizza assicurativa a propria insaputa.
Oggi, una nuova svolta: a Napoli, indagando sulle elezioni comunali del 2016, i giudici scoprono persone candidate “a propria insaputa”.
Questa mancava ancora, il reato ipotizzato è violazione della legge elettorale e non per i candidati inconsapevoli, ma per la persona indagata che avrebbe certificato le loro candidature all’insaputa, appunto, degli interessati.
Nell’inchiesta condotta dal PM Stefania Buda e coordinata dal Procuratore aggiunto Alfonso D’Avino sulla lista Napoli Vale, formazione civica a sostegno della candidata sindaco PD Valeria Valente, al momento, risulterebbe una sola iscrizione nel registro degli indagati, la Valente sarà sentita domani per essere ascoltata in qualità di persona in formata dei fatti circa nove casi di presunte candidature irregolari che sarebbero finora emersi.
Come tutte le inchieste, anche questa potrebbe rivelare altre sorprese, dopo i candidati mancano solo gli elettori “a propria insaputa”. Speriamo bene.

AFGHANISTAN ESCALATION DI VITTIME SENZA FINE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Secondo quanto riportato oggi dall’ANSA, un rapporto UNAMA, la Missione delle Nazioni Unite di Assistenza all’Afghanistan, sostiene che nel 2016 il conflitto in corso in Afghanistan ha causato 11.418 vittime civili (3.498 morti e 7.920 feriti), con un incremento del 3% rispetto al 2015.
Il rapporto specifica  che lo scorso anno in Afghanistan è stato registrato “un complessivo deterioramento nella protezione dei civili” e che l’aumento complessivo di vittime è dovuto ad un calo delle morti del 2%, ma con un aumento dei feriti del 6%, concludendo che dal 2009, anno del primo rapporto statistico, il 2016 ha registrato il maggior numero di vittime frutto di operazioni aeree.
Nel 2014 il numero dei civili morti nel conflitto afghano aveva visto un aumento del 25% rispetto all’anno precedente che era stato a sua volta in aumento del 4% rispetto a prima, confermando un’escalation che non accenna fermarsi.
Anche se negli ultimi anni l’andamento degli incrementi ha una tendenza a diminuire, quando parliamo di queste cifre parliamo di vite umane civili perse in un conflitto che viene a sua volta definito “civile”, nato dopo la rivoluzione di Saur del 1978 tra il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, Marxista-Leninista, ed il movimento guerrigliero dei mujaheddin, fedele ai principi tradizionali afghani ed islamici, e che da allora non si è mai fermato, vedendo, dopo il primo intervento russo del 1979, anche la partecipazione di molti paesi stranieri come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, la Cina e l’Arabia Saudita.
Dagli attentati dell’11 settembre 2001 in poi, compiuti da al-Qāʿida, ed a seguito un nuovo più massiccio intervento americano che portò all’istituzione della nuova “Repubblica Islamica dell’Afghanistan”, si parla di “Guerra Civile”, dato che le residue forze talebane ancora oggi resistono in una lunga guerriglia e, secondo fonti ufficiali NATO, a fine dicembre 2016 “Almeno 13 gruppi terroristici internazionali sono presenti in Afghanistan”, aggiungendo che i talebani “Hanno già cominciato a preparare la loro offensiva di primavera”.
Ma mentre sul confine afgano sembrano essere stipati molti gruppi Jihadisti, 20 su 98 classificati come attivi nel mondo, L’ONU denuncia che almeno un terzo popolazione è oggi senza aiuti, si tratta di circa 9,3 milioni di persone che avrà bisogno nell’anno di assistenza umanitaria.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’aiuto umanitario (OCHA) le persone che hanno bisogno di aiuto sono in aumento del 13% “per l’estensione del conflitto”.
Nel frattempo in giro per il mondo costruiamo muri.

UN KAPÒ FA PAURA ALLA MERKEL

DI PIERLUIGI PENNATI
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Martin Schulz non è nuovo alle polemiche e non le ha mai mandate a dire a nessuno, la più famosa nel nostro paese è quella del 2003 con Berlusconi, che disse all’uomo politico tedesco, in risposta alle sue affermazioni suo proprio conflitto di interessi, al quoziente intellettivo del suo ministro Bossi e alla sua immunità parlamentare, «signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapo. Lei è perfetto!».
Ma anche nel 2009 Jean-Marie Le Pen fu duro con Schulz dicendo «M. Schulz, che è il Presidente del Gruppo Socialista all’Europarlamento, è un signore che ha l’aspetto di Lenin e parla come Hitler» e nel 2010, per ben due volte, prima con Daniel Cohn-Bendit, del quale doveva però essere alleato, e poi con Godfrey Bloom, eurodeputato britannico, che lo interruppe durante un intervento all’Europarlamento apostrofandolo con lo slogan nazista Ein Volk, ein Reich, ein Führer (“un Popolo, Un Impero, un Führer”), vi furono discussioni.
Nonostante i modi, però, Martin Schulz convince da sempre e con la Germania nazista sembra avere poco a che fare, appartiene infatti all’SPD, il più vecchio partito politico della Germania, membro dell’Internazionale Socialista, radicato profondamente nel mondo sindacale e dei lavoratori e considerato il partito che meglio ha incarnato nella storia l’identità socialista democratica. Partito che una settimana fa lo ha scelto come candidato per la cancelleria alle prossime elezioni politiche federali del 24 settembre.
La scelta, per ora, sembra essere stata davvero felice, infatti secondo un sondaggio dell’istituto ENMID realizzato per Bild, in soli sette giorni il gradimento SPD è aumentato di sei punti percentuali attestandosi al 29% e riducendo il distacco con Angela Merkel a soli 4 punti percentuali.
Anche per questo ieri, in Bavaria, Angela Merkel ed Horst Seehofer hanno riunito i vertici dei loro partiti tentando di serrare i ranghi tra CDU e CSU, i due partiti cristiano democratici che sostengono la quarta candidatura della cancelliera uscente e che oggi insieme possono contare sul 33% dei gradimenti.
Le due formazioni, però, sono fortemente divise sul tema dell’immigrazione che è stato quindi stralciato dal programma elettorale per essere ripreso al più presto dopo le elezioni di settembre nelle eventuali trattative per la formazione di un nuovo governo.
Per il partito di Angela Merkel e quello di arese Horst Seehofer si tratta di trovare un punto di intesa rispettando le differenze, infatti il leader della CSU avrebbe voluto fissare già nel programma elettorale comune un tetto massimo di 200.000 di ingressi di nuovi profughi in Germania, mentre la cancelliera era stata assoluta nel rifiutare ogni quantificazione.
“Sono più i punti che ci uniscono che non quelli che ci dividono” ha dichiarato ieri Angela Merkel, all’avvio della riunione che si concluderà oggi, dimostrando ottimismo per l’andamento dei lavori, Martin Schulz, dal canto suo, è già diventato un fenomeno mediatico con una candidatura sostenuta da tifoserie riunite in Gruppi Facebook, ritratti blu-rosso o travestimenti da Robin Hood e la copertina dello Spiegel con la scritta “San Martin”.
La rete lo chiama “The Schulz”, scimmiottando quel “The Donald” che era stato di Trump, ma che non è solo un fenomeno virtuale, oltre ai sondaggi, i 2000 nuovi iscritti alla SPD in una sola settimana pesano molto ed anche un altro sondaggio pubblicato dalla rivista “Bento”, dedicaa ai giovani, sottolinea come anche tra gli elettori tra i 18 e i 30 anni Schulz sia già in vantaggio su “Mutti”, soprannome assegnato da più di dieci anni ad Angela Merkel.
Secondo ENMID, Verdi e Die Linke perdono due punti attestandosi all’8%, mentre AFD, la destra di Alternativa per la Germania, resta stabile all’11% ed al 6% i liberali della FDP e se SPD, Linke e Verdi decidessero di formare una coalizione potrebbero avere il 45% delle preferenze secondo il sondaggio.
Infine, alla domanda su quale cancelliere preferirebbero avere, il 41% ha risposto Merkel ed il 38% Schulz.
La campagna elettorale in Germania è più che mai aperta e la cautela espressa dalla cancelliera uscente sul tema dell’immigrazione, sempre più attuale ed in evoluzione, fa pensare che non sarà facile per nessuno dei candidati convincere i tedeschi a farsi votare.

MARIA ELENA BOSCHI NON È ABBASTANZA “NORMALE”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Vincenzo Barone, oggi direttore della Normale di Pisa nella quale fu respinto all’esame da “normalista” trent’anni fa e poi chiamato a dirigerla poco prima del referendum costituzionale, a novembre non strinse la mano a Massimo D’Alema che durante la campagna referendaria aveva provato a bacchettare i docenti.
Quel D’Alema che dalla Normale fu espulso perché con una media troppo bassa a causa del suo impegno in politica non poteva giudicarne il parere dei docenti, mentre il curriculum di Maria Elena Boschi, madrina di una riforma respinta dagli italiani chiamati a votarla, pare sia adatto per parlare di “La nuova frontiera dei diritti”.
Questo il titolo della conferenza pubblica che la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi è stata invitata a tenere Scuola Normale Superiore, lunedì 6 febbraio, alle 17.30, presso la Sala Azzurra del Palazzo della Carovana a Pisa.
Il curriculum della Boschi, però, non è sembrato “normale” a molti studenti e docenti dell’ateneo e del resto d’Italia, tanto da far immediatamente scoppiare una polemica in rete dove sulla pagina Facebook della Scuola alcuni internauti hanno scritto, appunto, che «Non ha un curriculum da Normale», o «Facciamo finta che sia uno scherzo», «Mi chiedo quanto sia opportuna la presenza di un personaggio dalla levatura morale e culturale di costei nell’ambito dei Venerdí del Direttore», «Con l’occasione verrà proiettato il film “Mio Dio come sono caduta in basso “ Buona visione!» e persino «Degna persona per far da portavoce ai diritti! Diritti dei risparmiatori?».
Mentre qualcuno suggerisce all’ex ministra di ripensarci, Francesco Panaro, docente di sociologia all’università di Firenze, citando la Dialettica dell’Illuminismo di Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer, non ha pietà per i suoi colleghi pisani affermando che «Un tempo essi firmavano le loro lettere, come Kant e Hume, `servo umilissimo´, e intanto minavano le basi del trono e dell’altare. Oggi danno del tu ai capi di governo e sono sottomessi, in tutti i loro impulsi artistici, al giudizio dei loro principali illetterati».
Nel silenzio del loro direttore dalla normale di Pisa, con una nota ufficiale, tentano di stemperare la polemica e dichiarano che si tratta di una manifestazione legata a “I venerdì della Normale”, “pensati per dare occasione a un vasto pubblico di approfondire temi di interesse generale» e siccome il caso specifico tratta i diritti della persona nella società contemporanea, in particolare della donna, l’edizione speciale è stata indetta in concomitanza con la giornata internazionale sull’infibulazione femminile del 6 febbraio e per questa ragione Maria Elea Boschi, che è Sottosegretaria di Stato con delega alle Pari opportunità, «Riveste quindi un ruolo specifico, istituzionale, pertinente all’argomento» ed affronterà il tema dei diritti della persona in una prospettiva contemporanea e con uno sguardo al futuro.
Ma se alla Normale il curriculum conta, purché non sia troppo normale, a questo punto sapremo solo lunedì se si si è trattato di critiche isolate o se la ministra sarà travolta dai fischi e dalle polemiche.

SI TEME UN NUOVO AVVELENAMENTO PER OPPOSITORE DI PUTIN

DI PIERLUIGI PENNATI
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Vladimir Kara-Murza, coordinatore del movimento che fa capo a Khodorkovsky, l’arcinemico di Putin, è stato ricoverato ieri d’urgenza in terapia intensiva, dopo aver accusato un blocco degli organi interni.
Ne dà la notizia l’agenzia Interfax secondo la quale il suo avvocato, Vadim Prokhorov,  che ricordando l’episodio di presunto avvelenamento del maggio del 2015, quando il giornalista aveva avuto un blocco renale e le analisi aveva rivelato tracce di metalli pesanti, in particolar modo manganese, ha detto che “i sintomi sono apparentemente simili a quelli che erano allora”.
La moglie Evgenia ha dichiarato a Radio Free Europe (RFE) “Il suo medico ha detto che le sue condizioni sono critiche” “presenta bassa pressione ed insufficienza respiratoria e le ragioni della cosa sono ancora una volta poco chiare” ed alla BBC ha aggiunto che è collegato al supporto vitale e si trova in “coma farmacologico”.
Il caso riporta alla memoria anche quello di Alexander Litvinenko, l’ex agente del Kgb morto a Londra nel 2007 a seguito di avvelenamento per aver ingerito una dose fatale di polonio.
Al momento non vi sono notizie di connessioni con il caso del 2015 quando i test clinici avevano confermato l’ingestione di sostanze velenose ed era stata chiesta dai suoi legali una commissione d’inchiesta per accertare se si fosse trattato di avvelenamento intenzionale, ma nessun procedimento penale era stato aperto.
Il 34enne giornalista Kara-Murza aveva recentemente viaggiato per tutta la Russia per promuovere un documentario sul suo amico Boris Nemtsov, ex vice premier russo diventato oppositore del presidente Vladimir Putin, ucciso nel febbraio del 2015 a due passi dal Cremlino e due giorni fa gli aveva rivolto un tributo su FaceBook.
Kara-Murza è stato vice presidente del partito liberale Parnas ed ha partecipato attivamente alla stesura del ‘Magnitsky Act’, la legge varata da Barack Obama che colpisce alti funzionari russi, per la quale si dice possa essere finito sulla “lista nera” dei servizi segreti russi, oltre a lavorare come coordinatore federale per la fondazione Open Russia di Mikhail Khodorkovsky, ex magnate del petrolio che ha passato dieci anni in prigione per essersi opposto apertamente al presidente russo, Vladimir Putin.
Il padre di Kara-Murza, che si chiama anch’esso Vladimir, ha dichiarato che “l’avvelenamento di due anni fa, non è stato superato senza lasciare traccia. La salute di mio figlio si è indebolita”, facendo temere per la sua vita.
Khodorkovsky ha scritto su Twitter che Kara-Murza è ” nelle mani di un buon medico”, aggiungendo “Lasciatelo lavorare”.
Nel 2016 aveva provocato indignazione un video apparso su Instagram con Kara-Murza ed un altro ativista  nel mirino di un fucile di precisione.

SPARI AL LOUVRE, FRANCIA SENZA PACE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Allah Akhbar” questa volta riecheggiato al Louvre, un’aggressore armato di machete e un coltello si avventa contro un militare che apre il fuoco .
È successo verso le dieci di questa mattina, la stampa francese online riferisce che il prefetto di Parigi, Michel Cadot, ha affermato che il militare ha riportato una ferita leggera alla testa mentre l’aggressore è stato ferito allo “stomaco” ed è cosciente.
Secondo i giornali l’uomo avrebbe voluto accedere al corridoio delle boutique del Carrousel du Louvre trasportando due zaini, fermato dalla sicurezza avrebbe insistito per entrare e quando il militare si è avvicinato all’uomo, attirato dalla scena, questi avrebbe tentato di aggredirlo armato di coltello.
Il piano denominato “sentinelle”, instaurato dopo agli attentati del 13 novembre, ha prodotto l’immediata chiusura del museo, del vicino Palais Royal, il transennamento dell’intero quartiere del Louvre ed il fermo di un’altra persona in “atteggiamento sospetto”.
Il ministero degli interni ha definito quanto successo “un grave evento di pubblica sicurezza”.

IL MURO INVISIBILE DI MARINE LE PEN

DI PIERLUIGI PENNATI
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Marine Le Pen è già in piena campagna elettorale, difende Trump, modifica le proprie posizioni sulla pena di morte e vuole costruire una barriera finanziaria come deterrente per l’immigrazione in Francia.
Secondo la Le Pen chi critica il decreto di Donald Tump, che bandisce l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette Paesi musulmani, è in “malafede” ed alla CNN che l’intervista risponde:  “E’ una misura temporanea. Riguarda sei o sette Paesi, Paesi che certamente sono responsabili di minacce terroristiche”.
Nella trasmissione “Questions d’Info” di ieri, la candidata dell’estrema destra che in passato si era dichiarata favorevole “a titolo personale” alla pena capitale, modera la propria posizione e dichiara “Nel mio programma è previsto l’ergastolo”.
Sul programma per le presidenziali, che sarà presentato nel dettaglio sabato a Lione, ha specificato: “Mi impegno presso i francesi a mettere in atto l’ergastolo ma creo il referendum di iniziativa popolare. Con 500.000 firme i francesi possono esprimersi su qualunque argomento, allargherò il possibile campo d’azione del referendum”.
Ma la vera chicca programmatica è costituita da una sorta di muro virtuale che Marine Le Pen vorrebbe introdurre in Francia per contenere l’immigrazione e finanziare le casse dello stato: un dazio sugli stranieri.
Intervistata questa volta da “Le Monde”, la leader del FN spiega di vedere una priorità nazionale nell’occupazione e nell’aiuto di 80 euro al mese per le fasce più deboli, per far fronte a questo spiega di voler “applicare la priorità nazionale all’occupazione attraverso una tassa addizionale su qualsiasi nuovo contratto fatto a dipendenti stranieri. Il ricavo sarà versato nelle casse per il sussidio ai disoccupati”.
In questo modo “un certo numero di persone vorrà ripartire perché la Francia smetterà di incitare all’immigrazione. E per il resto, si farà in modo che le persone che accettiamo rispondano ad alcuni criteri e non pesino sulle finanze pubbliche”.
Una barriera fatta di tasse e requisiti, un marchio DOC per i lavoratori francesi che verrebbero favoriti economicamente rispetto ai loro colleghi stranieri, un muro fatto di difficoltà a sopravvivere e discriminazione razziale al posto di uno in muratura, ma pur sempre un muro.
“La base di tutto questo – afferma la Le Pena – è il patriottismo, ogni misura adottata e ogni euro speso deve difendere l’interesse dei francesi. In particolare consacrandosi a risolvere il problema del potere d’acquisto.”
Il primo etereo mattone è posato, le elezioni presidenziali di aprile diranno se la sua costruzione in Francia potrà continuare o meno.

PADOAN A BRUXELLES: “NIENTE MANOVRA, RISPETTATO IL PATTO DI STABILITÀ”

DI PIERLUIGI PENNATI
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 “Nessuna #manovra estemporanea: riduciamo il debito nel nostro interesse con una strategia che protegge la crescita https://t.co/CkVKqJfJTs” (@PCPadoan) 2 febbraio 2017, con questo Tweet il ministro Padoan annuncia al web che non ci sarà alcuna nuova manovra perché a suo avviso il Patto di Stabilità è stato “pienamente rispettato” e il debito è “soddisfacente”.
Nella lunga lettera trasmessa alla Commissione europea contenente il “Rapporto sui fattori rilevanti” che influenzano la dinamica del debito pubblico italiano, Padoan è convinto che i risultati raggiunti possono essere considerati più che soddisfacenti.
L’esecutivo, quindi, non si muove dalle sue posizioni e continua a difendere la politica finanziaria portata avanti fino ad ora.
“In merito al presunto scarto tra il saldo di bilancio previsto per il 2017 dal Governo e il margine ritenuto necessario dalla Commissione onde ridurre progressivamente il debito pubblico, con la lettera di accompagnamento al Rapporto il Ministro indica le iniziative di politica economica capaci di colmare questa eventuale differenza. – cita il comunicato ufficiale del Ministero delle Finanze – Nell’ambito del lavoro di definizione della politica economica di medio periodo, e quindi in vista del DEF, il Governo prenderà tra l’altro provvedimenti di contrasto all’evasione fiscale in continuità con quelli già adottati nel recente passato, estendendone la portata, e di riduzione della spesa, anche grazie alla nuova modalità di costruzione del bilancio dello Stato entrata in vigore con la riforma completata nel 2016.”
La replica di Padoan al commissario Pierre Moscovici e al vicepresidente Valdis Dombrovskis fornisce un quadro dettagliato nel quale, a parere del Governo, i risultati di contenimento del debito e la traiettoria di discesa indicata per il futuro sono “più che soddisfacenti” per il nostro Paese  ed a dispetto dei recenti rilievi effettuati dalla Commissione.
Quindi, no all’aggiustamento, di circa 3,4 miliardi di euro (pari allo 0,2% del Pil) richiesto da Bruxelles per rispettare le tappe di avvicinamento all’obiettivo di medio termine di deficit strutturale che viene considerato eccessivo anche perché, secondo il ministro, una correzione troppo rapida dei conti potrebbe danneggiare la ripresa nel momento in cui l’economia italiana sembra avere risultati migliori che nelle aspettative.
Ciò nonostante la lettera non è un semplice duro rifiuto alla Comunità Europea, il governo promette di continuare nel progetto di riforma strutturale già avviato dal precedente esecutivo per rilanciare le privatizzazioni nonostante la pausa dovuta alle condizioni di mercato sfavorevoli e di voler migliorare la strategia dei tagli alla spesa, il potenziamento della lotta all’evasione e l’aumento delle entrate fiscali: “L’ammontare generale dello sforzo strutturale per riprendere il percorso verso l’obiettivo di medio termine sarà composto per circa un quarto da tagli di spesa e per la parte restante da aumenti di entrate”, risparmi che “arriveranno per circa il 90% dai consumi intermedi e dalle agevolazioni fiscali”.
Le misure sul fronte della spesa, spiega il governo, “seguono i significativi progressi nel controllo della spesa negli ultimi anni e saranno ulteriormente inseriti in una più completa strategia di spending review nella prossima sessione di bilancio, grazie alla riforma del bilancio recentemente approvata”.
Nel documento Padoan fa cenno a possibili a ritocchi di accise e tassazione indiretta, che, data l’avversità anche di Renzi ad aumentare ulteriormente l’IVA, potrebbero vedere l’aumento delle imposte di bollo o di registro, che hanno un mediatico più contenuto.
In ogni caso l’obiettivo sembra essere ancora una volta la crescita attraverso il DEF che sarà preparato per aprile e che avrà la necessita di provvedimenti di legge per essere attuato.
Infine, per quanto riguarda il terremoto del centro Italia, Padoan ritiene che “non può stimare con esattezza l’impatto del terremoto sulle finanze pubbliche, ma sarà probabilmente molto superiore a 1 miliardo già nel 2017. Per mobilitare risorse a questo fine sarà creato un apposito Fondo”.

I COLONI ISRAELIANI RESISTONO ALLO SGOMBERO DI AMONA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Questa volta era toccato a loro, invece dei Palestinesi erano gli Israeliani a dover lasciare i territori e mentre da Gerusalemme giunge l’annuncio della creazione di nuovi alloggi in Cisgiordania le forze dell’ordine israeliane sono dovute intervenire ieri per obbligare i quasi 300 coloni di Amona, in Cisgiordania, a lasciare le loro case, che la corte Corte Suprema Israeliana ha stabilito essere state costruite su terreni di proprietà palestinese.
L’insediamento risale ad una ventina d’anni fa ed oggi la decisione di procedere alla sua evacuazione ha messo a dura prova la coesione del Governo nel quale non mancano radicali difensori dell’occupazione dell’area in base a quanto affermato nella Bibbia.
L’agenzia France Presse riferisce che la responsabile della diplomazia europea, Federica Mogherini, reagendo al quasi contemporaneo annuncio del via libera alla realizzazione di altri 3.000 alloggi nella stessa regione, ha affermato, nel quarto comunicato sull’argomento del genere in meno di due settimane da quando Donald Trump ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti,  che dando ascolto a coloro che sostengono queste teorie, l’Esecutivo di Benjamin Netanhyahu mette a repentaglio anche solo la prospettiva di un regolamento del conflitto.
Questa mattina la situazione non era ancora migliorata e Micky Rosenfeld, portavoce della polizia, ha dichiarato che le forze dell’ordine sono dovute intervenire per obbligare alla evacuazione dall’insediamento circa 200 persone, rintanate in una sinagoga e in un’altra struttura.
Rosenfeld ha detto che l’intenzione della polizia, intervenuta ieri, era quella di completare l’operazione nel corso della giornata di oggi per evitare il Shabbat del Venerdì senza “gravi incidenti”, ma 24 poliziotti sono stati leggermente feriti, 800 persone, tra le quali molte giunte per aiutare gli insediati, sono state evacuate e 13 arrestate.
Al di fuori della risse, un paio di colpi, qualche lancio di pietre e gli arresti, gli scontri, nonostante le loro dimensioni, non hanno portato ad una recrudescenza della violenza nell’area, ma il prezzo politico potrebbe essere elevato per il governo destra Benjamin Netanyahu.
Amona è una colonia definita “selvaggia”, cioè illegale secondo la legge israeliana applicata alla maggior parte della territorio della Cisgiordania, e per questo la Corte Suprema israeliana ne aveva ordinato la demolizione entro l’8 febbraio perché era stata costruita su terreni privati palestinesi, le Nazioni Unite e gran parte della comunità internazionale non fanno questa distinzione e considerano illegali tutti gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati.

 

BENVENUTO BEBÉ, A MILANO COME IN FINLANDIA

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato consegnato ieri a Milano il primo “pacco dono” di benvenuto per tutti i bebè nati dal 15 dicembre scorso e che fa parte insieme ad una card di maternità per i genitori dei nuovi nati a Milano del primo provvedimento nel campo delle Politiche sociali della giunta Sala, progettato come una misura di sostegno al reddito e sostenuta anche da sponsor privati che offrono i prodotti.
L’iniziativa è destinata a tutte le famiglie residenti a Milano, senza limiti di reddito per il pacco dono, mentre il cosiddetto “reddito di maternità”, contenuto nel provvedimento, è riservato alle famiglie con ISEE inferiore ai 17.000 euro, e già assegnatarie di assegno di maternità Inps, e consiste in 1.800 euro nell’arco dell’anno da utilizzare per l’acquisto di beni e servizi per l’infanzia.
L’iniziativa doveva partire solo a marzo, ma l’assessore Pierfrancesco Majorino aveva forse fretta di partire e la prima scatola contenente una tutina, pannolini, alcuni prodotti per l’igiene del bambino e della mamma che allatta, due libri di fiabe e un manuale di consigli e di indirizzi utili per i servizi dedicati all’infanzia è stata consegnata ieri presso la farmacia Lloyds di via Imbonati 24 ad Annalisa e Massimiliano, genitori del neonato Riccardo.
“Iniziamo il mandato presentando una nuova misura di sostegno al reddito destinata alle mamme e famiglie milanesi che avranno un bambino”, aveva detto lo scorso anno Majorino, “Si partirà subito a settembre con i primi contributi per poi proseguire e consolidare l’intervento con l’inizio del 2017. Negli ultimi cinque anni Milano ha investito circa 154 milioni di euro in azioni di sostegno al reddito risultando prima in Italia per questo tipo di politiche. Contiamo di proseguire con lo stesso passo, le politiche per le famiglie, tutte, saranno la nostra ossessione”.
Così le famiglie dei primi 600 bimbi nati dal 15 dicembre scorso stanno ricevendo le lettere in cui è indicato il luogo in cui ritirare il proprio pacco dono.
Se l’iniziativa è una encomiabile novità in Italia ed il Comune di Milano un pioniere, il governo finlandese, invece, da quasi ottant’anni dona una scatola di cartone alle donne in attesa di un bambino.
La “scatola di cartone” è una tradizione iniziata nel lontano 1938 dall’idea di fornire a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro condizione sociale, un uguale inizio nella vita, ed è stata pensata per contenere il necessario per l’arrivo del bambino potendo persino essere utilizzata come letto. Oggi è convinzione diffusa che abbia contribuito a far raggiungere alla Finlandia uno dei tassi di mortalità infantile più bassi del mondo.
Il pacco maternità finlandese, regalo governativo, è fornito a tutte le donne incinte e la scatola/lettino contiene materassino, coprimaterasso, sottolenzuolo, copripiumino, coperta, sacca / trapunta con imbottitura in pelo naturale (pelo di cammello o lana di pecora naturale), tutina, cappello, guanti e stivaletti coibentati, abito con cappuccio e una tuta leggera lavorata a maglia, calze e guanti, cappello lavorato a maglia e passamontagna, body, tutine, calzini in modelli e colori unisex, accappatoio, asciugamani, forbicine per le unghie, spazzola per capelli, spazzolino da denti, termometro da bagno, tubetto di crema, salviette,  libro illustrato e giocattoli per la dentizione.
Heidi Liesivesi, del Kela – l’Istituto delle assicurazioni sociali della Finlandia che proprio questo mese sta introducendo in quello stato il “Reddito di base”, una sorta di sussidio di disoccupazione di 560 euro al mese per un periodo di due anni, ha detto che «La tradizione della scatola di cartone risale al 1938, all’inizio era disponibile solo per le famiglie a basso reddito, dal 1949 è stata cambiata con la nuova legislazione, ora le future mamme per ottenere la sovvenzione in denaro o il pacco maternità prima del quarto mese di gravidanza devono sottoporsi a visita prenatale presso una struttura medica. La scatola con il materassino diventa il primo letto di un bambino”.
Ha inoltre aggiunto che “le mamme possono scegliere tra il pacco maternità, o una sovvenzione diretta in denaro, ora fissata a 140 euro, ma il 95% preferisce la scatola di cartone, che vale molto di più. La scatola di cartone ha avuto il merito non solo di fornire alle mamme il necessario per prendersi cura del loro bambino ma anche a contribuire a orientare le donne in gravidanza a prendere contatti con medici e infermieri al servizio del nascente stato sociale. La Finlandia nel 1930 era un paese povero con un alto tasso di mortalità infantile (65 su 1.000 bambini morti). Le cifre sono migliorate rapidamente nei decenni successivi».
In Finlandia la scatola di cartone, dopo settantacinque anni, fa oggi parte del rito che segna il passaggio verso la maternità e l’unione delle generazioni delle donne finlandesi, Panu Pulma, docente di Storia finlandese presso l’Università di Helsinki, ha dichiarato che «Ai genitori si raccomandava di non far dormire i bambini nel loro letto. L’introduzione della scatola di cartone utilizzata come letto, ha aiutato molti genitori a lasciare i loro bambini a dormire separati da loro. Uno degli obiettivi principali di tutto il programma è stato anche quello di far allattare di più le donne. A un certo punto, biberon e ciucci sono stati rimossi per promuovere l’allattamento al seno. E’ stato un successo. Tra gli oggetti inseriti nella scatola, ha avuto un effetto positivo anche quello del libro illustrato, ha incoraggiato i bambini a maneggiare i libri e un giorno a leggerli. In Finlandia la scatola di cartone è un simbolo, un simbolo dell’idea di uguaglianza, e dell’importanza dei bambini».
L’idea del “pacco dono per neonati” sembra quindi essere una buona idea che unita al sostegno per le famiglie meno abbienti speriamo possa contribuire, a Milano come in Finlandia ad accrescere il benessere e la salute dei bambini. Il primo passo è fatto e la direzione è giusta, guardiamo al futuro.

LA PIANURA PADANA NELLO SMOG

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ci risiamo, alta pressione, freddo e zero precipitazioni, anche quest’anno le polveri fini non danno tregua con Como e Cremona in testa per i valori massimi nei primi 25 giorni di gennaio.
I valori rilevati dalle centraline sono almeno tre volte superiori al massimo consentito in tutte le province, con la sola esclusione della provincia di Sondrio, a Como sono stati misurati 213 microgrammi al metro cubo, 50 sopra il limite, e nel centro di Milano si è arrivati 159, mentre a Cremona, in gennaio sono stati già registrati 20 sforamenti sui 35 annui permessi dalla legge e la qualità dell’aria, non è un gran che migliore nemmeno in Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
Le piogge sono previste dalla mattina di giovedì, almeno a ridosso delle Alpi e, secondo Fosco Spinedi di MeteoSvizzera, molto attenta alla analoga situazione di smog nell’adiacente Canton Ticino, dovrebbero servire “per far tornare la situazione dell’inquinamento entro valori accettabili” e “far tornare nella norma la situazione”, almeno temporaneamente.
Nonostante la situazione nessuna amministrazione italiana ha ancora adottato alcun provvedimento per contrastare lo smog, mentre la vicina Svizzera ha abbassato i limiti di velocità in autostrada, nelle zone interessate alle alte concentrazioni, a soli 80km/h, bloccato la circolazione dei veicoli diesel più inquinanti, Euro3 e inferiori, ed introdotto il trasporto pubblico gratuito per indurre il maggior numero possibile di automobilisti a lasciare l’auto casa, oltre ad aver diramato l’invito ad abbassare a 18 gradi nelle stanze ed a 21 negli altri locali la temperatura nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro.

PALERMO CAPITALE DELLA CULTURA 2018

DI PIERLUIGI PENNATI
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Panormos (παν-όρμος) era l’antico nome greco, ovvero “tutto-porto”, a causa  dei due fiumi, oggi non più visibili, Kemonia e Papireto che creavano un unico enorme approdo naturale intorno alla città, i Romani modificarono solo di poco il suo nome in Panormus, diventato poi Balarm in arabo e Balermus a seguito della conquista normanna.
Già l’etimologia del nome ne denuncia l’intensa storia, dominazioni e conquiste che hanno lasciato un segno indelebile e profondo nella città e che anche senza l’investitura ufficiale del Ministero dei Beni Culturali la collocavano tra le città più attraenti d’Italia sotto il profilo culturale, architettonico, artistico e persino scientifico dell’età antica e moderna.
Oggi l’investitura ufficiale, per tutto il 2018 Palermo sarà sotto i riflettori ed avrà la possibilità di mostrare ancora di più all’Italia ed al mondo tutta la sua bellezza, la sua storia e la sua magia cittadina e culturale.
“La candidatura è sostenuta da un progetto originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, fortemente e generosamente orientato all’inclusione alla formazione permanente, alla creazione di capacità e di cittadinanza, senza trascurare la valorizzazione del patrimonio e delle produzioni artistiche contemporanee. Il progetto è supportato dai principali attori istituzionali e culturali del territorio e prefigura a che interventi infrastrutturali in grado di lasciare un segno duraturo e positivo. Gli elementi di governance, di sinergia pubblico-privato e di contesto economico, poi, contribuiscono a rafforzarne la sostenibilità e la credibilità”.
Questa la motivazione ufficiale letta dal Presidente della Commissione, Stefano Baia Curioni, dopo l’annuncio del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, nel corso della cerimonia di investitura.
Palermo gareggiava, nemmeno a dirlo, con eccellenza italiane di tutto rispetto, ma quest’anno l’ha spuntata Palermo e con tutta probabilità anche per la sua spiccata vocazione multiculturale, colta anche dal Sindaco Leoluca Orlando che  ha dichiarato: “C’è una profonda emozione, ma devo riconoscere che è stata una vittoria di tutti perché siamo stati capaci ognuno di narrare le bellezze dei nostri territori, la cifra culturale più  significativa e che rivendichiamo è la cultura dell’accoglienza. Rivendichiamo il diritto di ogni essere umano di essere e restare diverso ed essere e restare uguale”.
Un milione di euro e esclusione dal patto di stabilità accompagnano il titolo, dando a Palermo l’opportunità di sviluppare programmi di sviluppo della conoscenza del territorio e del turismo per un sempre maggiore rilancio della città all’insegna dell’arte e della cultura, che a Palermo certo non sono mai mancate.
Ma per chi Palermo non la conoscesse bene va detto che oggi è il principale centro urbano della Sicilia e dell’Italia insulare ed è il quinto comune italiano per popolazione e venticinquesimo a livello europeo.
Palermo ha una storia millenaria ed ha avuto sempre un ruolo centrale nel Mediterraneo. Fu fondata dai Fenici tra il VII e il VI secolo a.C., poi conquista dai Saraceni nell’831 e da questi ampliata fino a diventare sotto la dinastia dei Kalbiti la capitale dell’Emirato di Sicilia e poi, con i Normanni, Palermo vide l’incoronazione di numerosi re di Sicilia cha attribuirono alla città il titolo di «Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput».
Fu teatro dei Vespri siciliani nel 1282 contro gli Angioini, dominatori francesi dell’isola, che erano visti come oppressori stranieri, facendo dilagare i moti per tutta l’isola finendo per espellerne la presenza e farla diventare la capitale del Regno delle Due Sicilie. Anche Dante Alighieri cita i Vespri e Palermo nella sua Divina commedia, al canto VIII del Paradiso, «Se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”»
Ma la sua lunga storia e l’avvicendarsi di tante civiltà e popoli hanno lasciato a Palermo un grande ed importante patrimonio artistico ed architettonico riconosciuto anche dall’UNESCO che ha già inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità ben sette complessi monumentali: il Palazzo dei Normanni con la Cappella Palatina, la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, la Chiesa della Martorana, la Chiesa di San Cataldo, la Cattedrale, la Zisa ed il Ponte dell’Ammiraglio.
Altri sei sono candidati: il Castello a Mare, la Cuba, la Cubula, il Castello di Maredolce con il Parco della Favara, la Chiesa di Santa Maria della Maddalena e la Chiesa della Magione.
Partendo dall’inizio la presenza umana a Palermo è radicata fin dalla preistoria, all’interno dell’Addaura, sul Monte Pellegrino, sono state scoperte grotte abitate nei periodi paleolitico e mesolitico con ritrovamenti di ossa e strumenti di caccia, oltre a molte incisioni, databili tra l’epigravettiano finale e il mesolitico, raffiguranti figure umane ed animali.
La città vera è propria, però, venne fondata dai Fenici probabilmente con il nome di Zyz, che significa fiore, come porto commerciale d’appoggio per raggiungere la Sicilia nord-occidentale, favorita dalla presenza dei due fiumi, il Kemonia e il Papireto, che, come detto, realizzavano un grande porto naturale.
Solo i greci, maggiormente presenti nella parte orientale sicula, non lasciarono tracce importanti, aggredendo la città solo poche volte e per saccheggiarla.
Verso il 500, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e la distruzione dell’isola da parte delle popolazioni dei Vandali nella sua parte occidentale, Palermo fu ricostruita dai Bizantini, che furono presenti per circa trecento anni.
Nel IX secolo la Sicilia fu invasa dagli arabi dal Nordafrica e nell’831 fu presa anche Palermo, convincendo i governatori musulmani a spostare la capitale della Sicilia da Siracusa a Palermo che fu così dotata di tutte le strutture burocratiche di una capitale. Secondo lo storico Teodosio, a Palermo, durante la dominazione araba più di trecento chiese furono trasformate in moschee. Fu questo il periodo in cui il territorio cominciò ad essere intensamente sfruttato ad agrumeti, formando la Conca d’oro, giunta fino a noi, ed aprendo nuove possibilità di sviluppo economico per la città.
Intorno all’anno mille fu la volta dei Normanni, mescolando gli stili islamici in molti edifici religiosi e civili, tra i quali certamente spicca il Ponte dell’Ammiraglio, con le sue dodici arcate nelle vicinanze della stazione centrale della città.
Dopo i normanni, i regnanti siciliani furono gli Svevi, che fecero di Palermo una sede imperiale, gli Angioini, che però spostarono la capitale da Palermo a Napoli e dopo i Vespri, Palermo divenne la capitale del regno cadetto degli aragonesi, per poi perderà l’indipendenza nel XV secolo e diventare un vicereame iberico e sede del Viceré.
Gli spagnoli rivalutarono territorio per il suo valore strategico contro gli Ottomani, rimanendo per circa duecento anni fino al termine della guerra di successione spagnola, dopo di che divenne dominio dei Borboni che mantennero il Regno di Sicilia e di Napoli separati fino al 1816 quando fondarono il Regno delle Due Sicilie e Palermo diventò solo il secondo centro amministrativo dopo Napoli.
Palermo, però, non è mai stata in discussione come capitale siciliana, diventando luogo di incontro e di scontro persino dopo lo sbarco di Garibaldi nel 1860 a seguito del quale, a causa delle rivolte ad esso seguite, avvennero anche alcuni bombardamenti che distrussero molte strutture architettoniche.
La storia artistica ed urbanistica di Palermo, però, ancora una volta non si fermò ed in seguito all’Unità d’Italia, furono realizzate altre importanti opere architettoniche, come il taglio di via Roma e la costruzione del teatro Massimo e del Politeama, i teatri più rappresentativi della città e dell’intera sicilia.
Anche la contaminazione Liberty non risparmiò Palermo all’inizio del secolo scorso, lasciando alcune testimonianze di gusto eclettico e durante la seconda guerra mondiale subì molti bombardamenti finiti con la sua occupata nel luglio 1943 dalle truppe statunitensi del generale George Smith Patton.
Una nota certo non piacevole, ma comunque culturale, fu lo sviluppo, prevalentemente nel secondo Novecento, del fenomeno della mafia che fece molte vittime, il poliziotto Boris Giuliano, il capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo, il prefetto di Palermo generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il presidente della Regione Siciliana Pier Santi Mattarella, i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gaetano Costa e Rocco Chinnici, il parroco del quartiere di Brancaccio, don Pino Puglisi e giornalisti come Mauro De Mauro e Mario Francese e molti altri meno conosciuti che avevano il solo difetto comune di opporsi alla malavita organizzata.
Dal 2015 Palermo è co-presidente mondiale del programma Safer Cities, lanciato ‘96 dalle Nazioni Unite, ed il suo sindaco, Leoluca Orlando è responsabile del progetto per l’Europa e l’Africa.
Ma Palermo è anche capitale mondiale dell’accoglienza, non a caso citata nel discorso di ringraziamento per il riconoscimento ministeriale a capitale della cultura 2018, la “Carta di Palermo” è un documento sottoscritto nel marzo 2015 da giuristi, attivisti dei diritti umani, amministratori pubblici ed organizzazioni non governative per sollecitare la comunità mondiale ad una revisione della legislazione sul permesso di soggiorno e delle politiche legate ai fenomeni migratori, sostenendo la mobilità umana internazionale come diritto inalienabile della persona.
Se qualcuno pensava potesse essere finita qui, si sbaglia di grosso, il catalogo della cultura di Palermo è pressoché illimitato, se la storia ci dà un’indicazione di quali e quante culture si sono qui incrociate bisogna guardare alla città attuale per scoprire che non è possibile solo visitarla, Palermo è da vivere intensamente ed a lungo, scoprendo aspetti così numerosi ed interessanti da non poterla lasciare senza aver arricchito il nostro bagaglio culturale in modo altrimenti improponibile.
A Palermo ci sono molti monumenti nazionali, edifici religiosi, chiese e moschee, palazzi storici e persino opere imponenti di ingegneria idraulica, come i Qanat, un sistema di canali sotterranei, parzialmente visitabile, per l’intercettazione delle acque sorgive nel sottosuolo della città, costruiti a cavallo tra la dominazione araba e il periodo normanno.
Poi la natura, parchi e giardini, l’antico stabilimento balneare di Mondello, piazze dalla storia intensa ed interessante, numerosi teatri, tra cui il Teatro Massimo Vittorio Emanuele che è il più grande teatro d’Italia ed il terzo tra i teatri lirici d’Europa, dopo l’Opéra National de Paris e la Staatsoper di Vienna, che vanta un’acustica perfetta nella sua sala a ferro di cavallo.
La numerose porte cittadine non sono meno attrattive, così come i mercati storici, quali il Ballarò, reso famoso anche dall’omonima trasmissione televisiva, i parchi archeologici, le catacombe ed le riserve naturali che circondano la città.
Ma non solo turismo, le università a Palermo sono molte ed illustri, come le biblioteche e gli archivi storici, di stato e privati, gli istituti clinici e di ricerca e le scuole: a Palermo sono presenti più di 450 plessi scolastici tra scuole materne, elementari, medie e superiori.
Persino alcune parole fondamentali per la nostra cultura sono nate qui, Philippe Daverio afferma che «La parola algebra proviene da al-ğabr wa’l-muqābala, un libro scritto nell’825 d.C. da Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī. Al-Khwarizmi diventerà la parola algoritmo e ci apre la strada verso il curioso rapporto tra il mondo arabo e il mondo occidentale, per il qual rapporto è fondamentale la città di Palermo.»
E poi filosofi, artisti, musicisti, matematici, scienziati, storici, scrittori, sono nati in questa città, dove i musei non mancano e le tracce da questi lasciate sono evidenti.
Che dire, poi, della cucina, a Palermo non mancano anche le prelibatezze, soprattutto dolci, cannoli e cassate, e vanta persino l’inventore del gelato in Francesco Procopio dei Coltelli e la cucina locale, come tutta la cucina siciliana in generale, rientra a pieno nel modello nutrizionale della dieta mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO bene protetto nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità nel 2010.
Siamo quello che mangiamo e mangiamo quello che siamo, l’influenza del susseguirsi delle cultura ha lasciato a Palermo anche una varietà gastronomica d’eccezione producendo un risultato finale che è una mescolanza di sapori e profumi unici, con abbondante utilizzo di vegetali, frutta, verdura, ortaggi, pasta, pane, patate e legumi; carni rosse, bovine, ovine e suine; carni bianche e, ovviamente, pesce a volontà, ma anche numerose varietà di formaggi locali ed olio d’oliva, principale condimento e fonte di grassi e gli aromi, basilico, menta, origano, rosmarino, zafferano, alloro, semi di finocchio, che assumono un ruolo decisivo nella caratterizzazione delle preparazioni gastronomiche tipiche di Palermo.
Per finire le minoranze e l’informazione, che a dispetto del fenomeno dell’omertà, a Palermo è invece fiorente, con numerosi giornali locali e radio private che formano il tessuto sociale della città ancora oggi, un tessuto sociale dove le tradizioni hanno ancora il loro posto d’onore ed inorgogliscono la popolazione che non rinuncia ad esse ed al clima di grande abbraccio e fratellanza tra le persone che si genera durante le feste e le ricorrenze locali.
Palermo è tanto ed ancora di più ed il riconoscimento di Capitale della Cultura Italiana è certamente meritato, non solo per il 2018, ma sempre, patrimonio culturale, sociale, architettonico, artistico, etc., italiano e del mondo intero.
La prossima volta che pensate a Palermo non limitatevi ai luoghi comuni.

BELLO FIGO RESTA SENZA MUSICA


DI PIERLUIGI PENNATI
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Alla fine hanno vinto loro ed il concerto romano di Bello FiGo non si terrà.
Gli organizzatori parlano di “minacce inaccettabili” nei confronti di Paul Yeboah, 21 anni, in Italia da 10 e residente a Parma dove paga regolarmente le tasse e produce milioni di visualizzazioni sul web, ma niente da fare se sei ghanese non puoi esibirti.
Responsabile della cancellazione sembra essere la piccola sigla di estrema destra “Azione Frontale” che già qualche giorno fa aveva contestato Bello FiGo con uno striscione appeso all’esterno del locale dove avrebbe dovuto esibirsi con la scritta “Roma non ti vuole” in caratteri gotici, poi una fitta campagna di insulti sul web contro il giovane che gioca spesso sui luoghi comuni della destra che vedono profughi “ricchi” “negli alberghi a 4 stelle” e pretendono cibo speciale e il wi-fi gratuito.
C’erano già stati annullamenti a Brescia, Borgo Virgilio (MN) e Legnano e questo doveva essere il concerto del rilancio, invece, Bello FiGo non si esibirà nemmeno a Roma e gli ex Magazzini generali a Ostiense che dovevano ospitarlo sabato prossimo, 4 febbraio, resteranno vuoti.
Pomo della discordia sarebbe in particolare la hit, “No pago affitto”, che ha già avuto oltre 9 milioni di visualizzazioni su YouTube dopo l’arrivo della notorietà seguita alla partecipazione alla trasmissione di Rete 4 “Dalla vostra parte” di fronte ad Alessandra Mussolini.

UN ATTENTATORE QUASI “NORMALE”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Si chiama Alexandre Bissonnette, ha 27 anni, studia scienze politiche all’Università di Laval, apprezza Trump, Marine Le Pen, le forze israeliane ed è apparentemente figlio dell’odio razziale contro il diverso, alimentato dai media e dai populisti.
Un ragazzo quasi normale, che però prendeva informazioni sul terrorismo jihadista finendo per diventare un esperto di attentati islamici e che non lesinava pareri e commenti sul suo profilo FaceBook.
La polizia canadese lo ha arrestato perché è il presunto attentatore della moschea di Quebec City, mentre ha rilasciato l’altro fermato, Mohamed Khadir, 20 anni dI origini marocchine, che, invece, è stato solo sentito e classificato come testimone dell’attacco.
Bissonette, che non era noto alle forze dell’ordine, è stato fermato poco dopo la sparatoria e verificato il suo profilo: vive a Quebec City, nell’area di Cap-Rouge, e studia proprio vicino alla moschea, nella più antica università in lingua francese del Nord America, con circa 42 mila studenti.
L’attenzione delle prime ore, però, era caduta maggiormente sul marocchino, del quale i media locali avevano inizialmente scritto che dopo l’assalto alla moschea aveva chiamato la polizia per arrendersi perché pentito. Nella sua auto gli investigatori hanno trovato un’arma e la macchina è stata bonificata dagli artificieri per timore di una trappola.
L’errore è stato forse indotto dal fatto che i testimoni avevano detto che durante l’assalto due aggressori vestiti di nero avevano gridato “Allah Akbar“, ma questa volta non si trattava di un grido di aggressione, ma di speranza dei fedeli.
Il movente dell’attentato non è ancora dichiarato, ma a questo punto sembra certo trattarsi di un episodio di intolleranza. In attesa di sviluppi i profili e le pagine personali sui social network di entrambi i fermati sono state bloccate dagli inquirenti.

BASTA (CON) LA SALUTE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Questo il testo integrale dell’articolo 32 della nostra Costituzione, ma che nella sanità italiana ci fosse qualcosa che non andava non è certo una scoperta di oggi, l’Albertone nazionale ci aveva ricamato sopra già a fine anni ‘60, prima con “il medico della mutua” e poi con il forse più famoso “prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue”, per finire addirittura con “Il ginecologo della mutua” dieci anni dopo.
La mutua, ovvero l’assistenza sanitaria fornita dallo stato, non è mai stata sinonimo di qualità, ma almeno era sinonimo di gratuità, oggi, invece, sembra non essere più ne l’uno ne l’altro, al punto che secondo il rapporto 2016 sulla povertà sanitaria sono 557mila gli italiani che non riescono a comprare i farmaci e gli italiani poveri sono 4,6 milioni, in crescita del 25% rispetto allo scorso anno, ed i costi dei farmaci per questi soggetti costituiscono una voce particolarmente pesante: tra i poveri quasi 6 euro su 10 finiscono in farmaci, contro una media di meno di 4 euro.
Ma non è tutto qui, le difficoltà non riguardano solo i meno abbienti, oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico ed è stata registrato un aumento della richiesta di farmaci in tre anni del 16%, in conseguenza di un costante aumento di indigenti assistiti.
Il fenomeno ha fatto crescere la necessità di assistenza alternativa tramite il volontariato sviluppando le attività del Banco Farmaceutico che offre il suo aiuto soprattutto attraverso i medicinali raccolti nella Giornata di Raccolta del Farmaco, il 13 febbraio, senza l’aiuto del quale moltissimi non avrebbero avuto la possibilità di curarsi del tutto.
Eppure, come nei film di quaranta anni fa, non tutte le strutture sono al collasso, se negli ospedali pubblici le liste d’attesa sono infinite e l’accesso ai servizi difficile, in molte strutture private le attività sanitarie fioriscono, in ambienti raffinati, con personale cortese e premuroso, quasi sempre in convenzione con il SSN o con costi ormai non troppo distanti a quelli pagati per un ticket presso una struttura pubblica.
Ma non è tutto, a molti sarà capitato il caso, quello degli antibiotici e di alcuni tipi di radiografia ed esami del sangue per esempio, per i quali il costo del ticket, fissato allo stesso modo per tutte le prestazioni, è persino più oneroso del costo del medicinale o dell’esame.
“Vuole il generico?” è la domanda classica del farmacista che propone di pagare meno una medicina, “Preferisce il ticket o pagare la prestazione?” Per una panoramica od un esame del sangue in un centro convenzionato.
Così la sanità che dovrebbe curare i pazienti è la prima a dimostrare di essere ammalata e di una malattia profonda e radicata: l’indifferenza verso il malato. Per far quadrare i conti si aumentano i contributi del paziente fino a rendere non più conveniente la prestazione e “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, in contrasto con la norma costituzionale.
Specialisti ed economisti si sono alternati da sempre al capezzale della sanità pubblica per trovare un rimedio al suo cattivo stato di salute, persone spesso in conflitto di interesse e che non sono utenti delle strutture che amministrano, finendo con il trattare il caso solo come un problema economico e non umano.
Quante volte abbiamo sentito dire “basta la salute”, “pensa alla salute” o “se c’è la salute c’è tutto”?
Se davvero “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” allora dovremmo cominciare  a ripensare la sanità mettendo il paziente al centro e non solo l’interesse economico.
La sanità in altri stati funziona benissimo e costa meno, da italiani spesso esportiamo tecnologie e stili di vita, nell’era di internet e della globalizzazione non dovrebbe essere tanto difficile cercare di importare buona gestione ed assistenza, così che un giorno si eviti di dover dire che “l’operazione è riuscita, ma il paziente (la sanità) è morto”.

TRUMP CONTRO TUTTI, TUTTI CONTRO TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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È ormai chiaro che Trump non passerà alla storia per essere stato il presidente più amato dagli americani e dal resto del mondo, ma che a pochissimi giorni dal suo insediamento potesse esserci già un così alto numero di contestazioni non era completamente prevedibile.
Trump mette d’accordo tutti contro di lui, al punto che manifestazioni e proteste contro l’ordine esecutivo sull’immigrazione non sembravano bastare,  così persino in Silicon Valley è stata immediata la reazione: Google ha fatto sapere di aver stanziato 4 milioni di dollari, due donati dalla società ed altrettanti dagli impiegati, a favore degli immigrati ed i rifugiati colpiti dalla misura di bando dal territorio americano.
Ma non è la sola grande azienda a reagire contro Trump, un portavoce della catena di caffetterie Starbucks ha dichiarato che assumerà 10.000 rifugiati in tutto il mondo nei prossimi 5 anni e la società degli affitti brevi Airbnb sostiene che metterà a disposizione alloggi gratuiti.
Uber, la contestata società  che attraverso un’applicazione offre un servizio alternativo al taxi, sta creando un fondo di difesa legale da 3 milioni di dollari e la sua rivale Lyft, che durante il week end ha già raccolto una cifra record di oltre 24 milioni di dollari in donazioni, ha annunciato ai suoi iscritti che donerà un milione di dollari all’American Civil Liberties Union (ACLU) per i prossimi 4 anni ed in Gran Bretagna, dove il primo ministro Theresa May ha già confermato l’invito a Trump nonostante il divieto di entrata negli USA imposto ai cittadini di sette paesi musulmani, una petizione contro la visita del presidente americano ha già superato il milione di firme.
Forse Trump non riuscirà a portare a termine il suo mandato, però un risultato certo lo ha già ottenuto: è riuscito a mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, contro di lui. Buongiorno presidente Trump.

I SOCIALISTI FRANCESI SCELGONO IL CANDIDATO PERDENTE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Partita finisce quando arbitro fischia”. È al celebre aforisma di Vujadin Boškov che devono essersi ispirati i quasi due milioni di francesi che ieri hanno votato per il ballottaggio alle primarie della sinistra, preferendo, con oltre un milione di suffragi, il candidato Benoît Hamon al primo ministro uscente Manuel Valls e designando così il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali di aprile.
La corsa all’Eliseo, però, si annuncia difficile: secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto francese IPSOS Sopra Steria, al primo turno di elezioni Marine LE PEN potrebbe arrivare al 25%, François FILLON al 23%, Emmanuel MACRON al 17%, Jean-Luc MÉLENCHON al 14% e Benoît HAMON solo al 7%, seguito da François BAYROU al 5%, Nicolas DUPONT-AIGNAN e Yannick JADOT al 2,5%, per finire con Nathalie ARTHAUD e Philippe POUTOU all’ 1%, mentre Jacques CHEMINADE con un risultato inferiore allo 0,5 % non è considerato.
Secondo lo studio, il candidato della sinistra non andrebbe comunque oltre il quinto posto e non avrebbe possibilità di arrivare al ballottaggio finale, ma per citare ancora Boškov “chi non tira in porta non segna”, ed ai socialisti francesi non restava altra prospettiva che scegliere il candidato migliore e, sempre secondo IPSOS Sopra Steria, tra Valls ed Hamon vi era una seppur lieve differenza che porterebbe il voto dei francesi dal 6/7% del secondo al 9/10% del primo, quindi la scelta migliore sarebbe stata all’opposto.
In ogni caso per Hamon, non c’è tempo per esultare, il lavoro per convincere l’elettorato francese a votarlo non sarà semplice, soprattutto non sarà facile sedare l’ondata populista che sta vedendo la Le Pen favorita su Fillon, con i due che dovrebbero essere i veri protagonisti della delicata campagna elettorale che vedrà al suo termine in gioco il futuro dell’Eurozona alle elezioni europee di quest’anno, nelle quali la Francia è una delle protagoniste indiscusse.
Per lo scontro Fillon – Le Pen, IPSOS aveva inizialmente previsto la vittoria del primo, oggi ribalta leggermente i pronostici, ma dopo l’insediamento di Trump e l’inasprirsi delle polemiche populiste in campo internazionale, nel momento del voto reale per il loro presidente, i francesi potrebbero avere un istinto alla prudenza e ribaltare la situazione e quindi anche il candidato socialista, che oggi sembra perdente, potrebbe tentare il recupero.
“Elezioni vince chi prende più voti”, buon lavoro Benoît Hamon.

 

ATTENTATO IN UNA MOSCHEA IN QUEBEC

Sei morti e otto feriti a causa dell’irruzione di tre uomini armati in una moschea di Quebec City durante la preghiera della sera. L’attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, l’una di notte in Italia, secondo un testimone tre individui armati hanno aperto il fuoco su una quarantina di fedeli presenti nel luogo di culto.
L’azione è stata confermata anche dal primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha definito il gesto “un attacco terroristico contro i musulmani in un centro di preghiera e accoglienza”, mentre la polizia ha reso noto che due persone sono state arrestate e che non ritengono possano esservi altri soggetti in fuga.
Il premier canadese ha anche dichiarato che i “canadesi di fede musulmana sono un importante parte della nostra società”. Ed ha twittato “Tonight, Canadians grieve for those killed in a cowardly attack on a mosque in Quebec City. My thoughts are with victims & their families. – Justin Trudeau (@JustinTrudeau) 30 gennaio 2017 (stasera i canadesi piangono per le persone uccise in un attacco codardo in una moschea a Quebec City. I miei pensieri sono per le vittime e le loro famiglie).
Il presidente del centro islamico, Mohamed Yangui, che al momento dei fatti non era nella moschea, si è dichiarato colto di sorpresa ed ha detto: “Perché sta accadendo qui? È una barbarie”. Yagui ha poi precisato che la zona della moschea attaccata è la sezione maschile, dove oltre agli uomini rimasti uccisi è anche possibile siano stati coinvolti dei bambini. Secondo altri testimoni all’interno del centro durante l’attacco potevano esserci tra le 60 e le 100 persone.
Anche il premier del Quebec, Philippe Coutillard, ha espresso il proprio cordoglio per le vittime e la piena solidarietà ai musulmani presenti in Canada. Il Centro Culturale Islamico era già stato al centro di episodi di intolleranza e lo scorso anno era stata recapitata all’imām una testa di maiale, animale che il Corano definisce impuro, con la scritta “Buon appetito”.