Rime

Indice

[parte prima]

I A Dante da Maiano in risposta al sonetto Provedi, saggio, a esta visione, inviato a più poeti, con preghiera di trattate una visione nella quale, insieme con una donna di bella fazone compaiono una ghirlanda, una camicia e la madre morta.
II A Dante da Maiano, in risposta al sonetto Per pruova di saver com vale e quanto, che questi gli aveva mandato per chiedergli quale sia il maggior dolore provocato dall’amore
III A Dante da Maiano in risposta al sonetto Lo vostro fermo dir ed orrato, col quale loda Dante Alighieri per quel che aveva scritto in Qual che voi siate, amico, vostro manto.
IV A Dante da Maiano in risposta al sonetto Amor mi fa sì fedelmente amare, in cui l’autore ha riconosciuto la grande potenza dell’Amore, contro il quale a nulla valgono forza o arte o le stesse regole dettate da Ovidio.
V [Se Lippo amico se’ tu che mi leggi]
Si tratta forse di Lippo (Filippo) Paschi de’ Bardi; la pulcella nuda è la canzone che segue, ed è definita nuda perché costituita una sola strofa (tutte la canzoni costituite da una sola strofa erano definite canzoni nude); questo è un sonetto rinterzato, caratterizzato dalla presenza di settenari.
VI [Lo meo servente core]
Epistola indirizzata alla donna amata dalla quale il poeta è temporaneamente lontano (unico esempio di poesia in Dante che comincia con un settenario).
VII [La dispietata mente, che pur mira]
Dante compone questa canzone fuori di Firenze, forse a Bologna, ed esprime la contrapposizione fra due sentimenti: verso Beatrice e verso la donna dello schermo (vedi la Vita nova)
VIII [Non mi poriano già mai fare ammenda]
In questo sonetto (v. 3) troviamo l’accenno alla torre della Garisenda di Bologna, prova del soggiorno di Dante nella città felsinea.
IX [Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io]
Guido Cavalcanti, il poeta fiorentino nato verso il 1259 e morto nel 1300, grande amico di Dante; Lapo Gianni, poeta, da identificarsi forse col notaio Ser Lapo figlio di Giovanni Ricevuti; al v. 9 troviamo Monna Giovann, amata da Guido Cavalcanti, e Monna Lagia (Pelagia) amata da Lapo Gianni
X [Per una ghirlandetta]
XI [Madonna, quel signor che voi portate]
XII [Deh, Vïoletta, che in ombra d’Amore]
XIII [Volgete li occhi a veder chi mi tira]
XIV [Deh, ragioniamo insieme un poco, Amore]
XV [Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare]

 

[parte seconda]

XVI [Com più vi fere Amor co’ suoi vincastri]
Ad autore ignoto in risposta ad un componimento sconosciuto, sul mal d’amore che non pesa la sesta parte della dolcezza e del bene che l’amore stesso può dare all’uomo.
XVII [Sonetto, se Meuccio t’è mostrato]
Si pensa a Meo de’ Tolomei da Siena, di cui si possiedono violente invettive contro la madre e il fratello; anche Cino da Pistoia gli ha indirizzato un sonetto
XVIII [De gli occhi de la mia donna si move]
XIX [Ne le man vostre, gentil donna mia]
XX [E’ m’incresce di me sì duramente]
XXI [Lo doloroso amor che mi conduce]
Questa canzone è l’unica poesia in cui Dante fa esplicitamente il nome di Batrice (v. 14: “Per quella moro c’ha nome Beatrice”.); la morte di Beatrice ha tolto e continua tuttora a togliere agli occhi la vera luce degli occhi.
XXII [Di donne io vidi una gentile schiera]
XXIII [Onde venite voi così pensose?]
XXIV [«Voi, donne, che pietoso atto mostrate]
XXV [Un dì si venne a me Malinconia]
XXVI [A Forese Donati]
Il sonetto è dedicato a Forese Donati, fratello di Corso e Piccarda ed è il primo della famosa tenzone tra Dante e Forese. I sonetti, scritti tra il 1283, anno della morte del padre di Dante cui lo stesso Donati si riferisce, e il 1296, anno della morte dello stesso Forese. Il sonetto è imperniato sul tema della povertà e dell’impotenza sessuale.
XXVII [A Forese Donati]
Risposta al sonetto L’altra notte mi venne una gran tosse, con cui forse Forese Donati (Bicci) ha risposto al sonetto precedente (n. XXVI), toccando i temi dell’ingordigia (per cui Dante lo condanna all’Inferno nel III cerchio, dove si trovano i golosi) e della ladroneria.
XXVIII [A Forese Donati]
Risposta al sonetto Vai rivesti San Gal prima che dichi, con cui forse Forese Donati ha replicato al precedente sonetto di Dante (n. XXXVII). Al verso due compare Monna Tessa, o Contessa, madre di “Bicci” Forese Donati. Forese risponderà col sonetto Ben so che fosti figliuol d’Alaghieri, col quale termina la tenzone.

 

 

[parte terza]

XXIX [Voi che savete ragionar d’Amore]
Ballata: la “donna disdegnosa” è la Filosofia, generosa con chi non l’abbandona
XXX [Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato]
XXXI [Parole mie che per lo mondo siete]
XXXII [O dolci rime che parlando andate]
XXXIII [Due donne in cima de la mente mia]
Le due donne sono metaforicamente la Virtù e la Bellezza: la Virtù si pratica, la Bellezza si contempla, mentre Amore è sorgente di nobili parole.
XXXIV [I’ mi son pargoletta bella e nova]
Ballata, di scuola stilnovistica, indirizzata a una donna, la “pargoletta” amata da Dante fra il 1290 e il 1300, probabilmente verso la metà del decennio, fra il periodo dell’amore per Beatrice e l’amore per la donna-pietra
XXXV [Perché ti vedi giovinetta e bella]
Ancora una ballata per la “pargoletta”, che non ha mai provato l’amore, ed è così dura di cuore, perché sa di essere giovinetta e bella, che la sua durezza avrebbe potuto perfino uccidere Dante
XXXVI [Chi guarderà già mai sanza paura]
Sonetto ancora sulla crudeltà della «pargoletta»: Dante, che aspetta la morte per la durezza della donna, è ormai un esempio per gli altri che non si arrischino a guardare la «pargoletta» negli occhi per preservare la propria salute.
XXXVII [Amor, che movi tua vertù da cielo]
XXXVIII [Io sento sì d’Amor la gran possanza ]
XXXIX Dante all’ignoto
[Io Dante a te, che m’hai così chiamato]
Risposta al sonetto Dante Alleghier, d’ogni senno pregiato, d’autore ignoto, che dopo averlo lodato, l’ha esortato a vendicarlo di una donna che l’ha maltrattato, nonostante che lui avesse usato verso di lei toni lusinghieri usando toni ed immagini dantesche.
XL A Cino da Pistoia
[I’ ho veduto già senza radice]
Risposta al sonetto di Cino da Pistoia Novellamente Amor mi giura e dice, in cui Cino pone il problema se ci si debba riaffidare a un nuovo amore, evidenziando qualche timore nel cedere alle lusinghe dell’amore a proposito di una donna assai giovane: Dante ammonisce l’amico sui rischi che si potrebbero correre nel corso della nuova esperienza amorosa, evitando di avere mire su una donna le cui grazie sono ancora immature.
XLI A Cino da Pistoia
[Perch’io non trovo chi meco ragioni]
Forse è una risposta al sonetto attribuito a Cino da Pistoia Se tu sapessi ben com’io m’aspetto; Dante discorre sulla decadenza dei tempi in cui la signoria d’Amore non ha più molti fedeli. Cino risponde col sonetto Dante, i’ non so in qual albergo soni.
XLII [Messer Brunetto, questa pulzelletta]
È un sonetto di accompagnamento per un’altra lirica dantesca (indicata qui con il termine “pulzelletta” al v. 1. Non si sa con certezza chi sia messer Brunetto: si esclude con relativa certezza che possa essere Brunetto Latini, forse un certo Betto Brunelleschi o altro membro della stessa famiglia.
XLIII [Io son venuto al punto de la rota]
Canzone composta presumibilmente nel periodo di Natale del 1296 (desumibile attraverso la lettura dei vv. 1-9 che contiene una accurata descrizione astronomica del momento – Davico Bonino); è la prima delle rime petrose, e al verso 72 si può con buona approssimazione l’identificazione tra la donna Petra e la “pargoletta” dal cuore di marmo. Il tema della canzone è l’amore difficile in una donna dal cuore aspro e duro.
XLIV [Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra]
Sestine che rivelano il grado di “sperimentalismo” dell’arte dantesca, costruite attraverso un cantilenante ripetersi delle parole chiave che sono anche le rime: “ombra > colli > erba > verde > petra > donna” (l’ultima parola della sestina è anche la prima della sestina seguente, che presenta pertanto un ordine diverso di successione; le parole chiave presentano una singolare contrapposizione tra le prime quattro e le ultime due petra-donna. Torna la primavera, si riscalda l’aria e diventa bella e verde la natura, ma la donna resta sempre di gelo e dal cuore di pietra.

[Rime dubbie]

LV [Visto aggio scritto e odito cantare]
LVI Indirizzato a Chiaro Davanzati, che risponderà col sonetto Per vera esperïenza di parlare.
LVII Indirizzato a Chiaro Davanzati, che risponderà col sonetto Se credi per beltate o per sapere.
LVIII [Saper vorria da voi, nobile e saggio]
Indirizzato a Puccio Bellundi, che risponderà col sonetto Così com ne l’oscuro alluma il raggio.
LVIX [Guido Cavalcanti e Monna Lagia, amata da Lapo Gianni]
LX Leggi il sonetto di Guido Cavalcanti: Perch’i’ no spero di tornar giammai
LXI [Donne, i’ non so di ch’i’ mi prieghi Amore,]
LXII Dante si rivolge alla pietra tombale: in memoria di Pietra che ha attraversato una porta così crudele. Cioè, è morta.
LXIII [Aï faux ris, pour quoi traï avés]
LXIV [Bernardo, io veggio ch’ima donna vene]
LXV [Se ‘1 viso mio a la terra si china]
LXVI [Io sento pianger l’anima nel core]
LXVII [Non v’accorgete voi d’un che si smore]
LXVIII [Questa donna che andar mi fa pensoso]
LXIX [Poi che sguardando il cor feriste in tanto]
LXX [Io non domando, Amore,]
LXXI [Lo sottil ladro che ne gli occhi porti]
LXXII [Iacopo, i’ fui, ne le nevicate alpi,]
LXXIII Forse Sennuccio Del Bene, poeta fiorentino di parte bianca, morto nel 1349.
LXXIV [Nulla mi parve mai più crudel cosa]
LXXV [La gran virtù d’Amore e ‘l bel piacire]
LXXVI [De gli occhi di quella gentil mia dama]
LXXVII [De’ tuoi begli occhi un molto acuto strale]
LXXVIII [Non piango tanto il non poter vedere]
LXXIX [Molti, volendo dir che fosse Amore,]
LXXX [Quando il consiglio tra gli uccei si tenne,]