Argomento del secondo dialogo e Dialogo Secondo

De l’Infinito, Universo e Mondi

Argomento del secondo dialogo e Dialogo Secondo

ARGOMENTO DEL SECONDO DIALOGO

Séguita la medesima conclusione il secondo dialogo. Ove primo apporta quattro raggioni, de quali la prima si prende da quel che tutti gli attributi de la divinità sono come ciascuno. La seconda, da che la nostra imagina­zione non deve posser stendersi più che la divina azzio­ne. La terza, da l’indifferenza de l’intelletto et azzion divina; e da che non meno intende infinito, che finito. La quarta, da che se la qualità corporale ha potenza infi­nita attiva, la qualità dico sensibile a noi, or che sarà di tutta che è in tutta la potenza attiva e passiva absoluta? Secondo, mostra da che cosa corporea non può esser fi­nita da cosa incorporea: ma o da vacuo, o da pieno; et in ogni modo estra il mondo è spacio il quale al fine non è altro che materia e l’istessa potenza passiva, dove la non invida et ociosa potenza attiva deve farsi in atto. E si mostra la vanità dell’argomento d’Aristotele dalla in­compossibilità delle dimensioni. Terzo, se insegna la differenza che è tra il mondo e l’universo, perché chi di­ce l’universo “infinito uno”, necessariamente distingue tra questi dui nomi. Quarto, si apportano le raggioni contrarie per le quali si stima l’universo finito: dove El­pino referisce le sentenze tutte di Aristotele, e Fioteo le va essaminando. Quelle sono tolte altre dalla natura di corpi semplici, altre da la natura di corpi composti; e si mostra la vanità di sei argumenti, presi dalla definizione de gli moti che non possono essere in infinito, e da altre simili proposizioni, le quali son senza proposito e sup­posito: come si vede per le nostre raggioni, le quali più naturalmente faran vedere la raggione de le differenze e termino di moto; e per quanto comporta l’occasione e loco, mostrano la più reale cognizione dell’appulso grave e lieve: perché per esse mostramo come il corpo infinito non è grave né lieve, e come il corpo finito rice­ve differenze tali, e come non. Et indi si fa aperta la va­nità de gli argomenti di Aristotele il quale argumentan­do contra quei che poneno il mondo infinito, suppone il mezzo e la circonferenza, e vuole che nel finito o infinito la terra ottegna il centro. In conclusione non è proposito grande o picciolo che abbia amenato questo filosofo per destruggere l’infinità del mondo, tanto dal primo libro Del cielo e mondo, quanto dal terzo De la fisica ascolta­zione, circa il quale non si discorra assai più che a ba­stanza.

DIALOGO SECONDO

FILOTEO Per che il primo principio è simplicissimo, però se secondo uno attributo fusse finito, sarebe finito secondo tutti gli attributi; o pure secondo certa raggione intrinseca essendo finito e secondo certa infinito, neces­sariamente in lui si intenderebe essere composizione. Se dumque lui è operatore de l’universo, certo è operatore infinito, e riguarda effetto infinito: effetto dico, in quanto che tutto ha dependenza da lui. Oltre sicome la nostra imaginazione è potente di procedere in infinito imagi­nando sempre grandezza dimensionale oltra grandezza, e numero oltra numero, secondo certa successione e (come se dice) in potenzia, cossì si deve intendere che Dio at­tualmente intende infinita dimensione et infinito nume­ro. E da questo intendere séguita la possibilità con la convenienza et oportunità che ponemo essere: dove, co­me la potenza attiva è infinita, cossì (per necessaria con­seguenza) il soggetto di tal potenza è infinito; perché (co­me altre volte abbiamo dimostrato) il posser fare pone il posser esser fatto, il dimensionativo pone il dimensiona­bile, il dimensionante pone il dimensionato. Giongi a questo che come realmente si trovano corpi dimensionati finiti, cossì l’intelletto primo intende corpo e dimensio­ne. Se lo intende, non meno lo intende infinito; se lo in­tende infinito, et il corpo è inteso infinito, necessaria­mente tal specie intelligibile è; e per esser produtta da tale intelletto, quale è il divino, è realissima: e talmente reale, che ha più necessario essere che quello che attual­mente è avanti gli nostri occhi sensitivi. Quando (se ben consideri) aviene, che come veramente è uno individuo infinito simplicissimo, cossì sia uno amplissimo dimen­sionale infinito il quale sia in quello, e nel quale sia quello, al modo con cui lui è nel tutto, et il tutto è in lui. Appres­so se per la qualità corporale veggiamo che un corpo ha potenza di aumentarsi in infinito; come si vede nel fuoco il quale (come ognun concede) si amplificarebe in infini­to, se si gli avicinasse materia et esca: qual raggion vuole che il fuoco, che può essere infinito e può esser per con­seguenza fatto infinito, non possa attualmente trovarsi infinito? Certo non so come possiamo fengere nella ma­teria essere qualche cosa in potenza passiva, che non sia in potenza attiva nell’efficiente: e per conseguenza in at­to, anzi l’istesso atto. Certo il dire che lo infinito è in po­tenza, et in certa successione e non in atto, necessaria­mente apporta seco che la potenza attiva possa ponere questo in atto successivo e non in atto compito: perché l’infinito non può essere compito; onde seguitarebe an­cora che la prima causa non ha potenza attiva semplice, absoluta et una: ma una potenza attiva a cui risponde la possibilità infinita successiva, et un’altra a cui responde la possibilità indistinta da l’atto. Lascio che essendo ter­minato il mondo, e non essendo modo di imaginare come una cosa corporea venga circonferenzialmente a finirsi ad una cosa incorporea, sarebe questo mondo in potenza e facultà di svanirsi et annullarsi: perché (per quanto comprendemo) tutti corpi sono dissolubili. Lascio dico che non sarebe raggion che tolga che tal volta l’inane infi­nito (benché non si possa capire di potenza attiva) debba assorbire questo mondo come un nulla. Lascio che il luogo, spacio et inane ha similitudine con la materia, se pur non è la materia istessa: come forse non senza caggio­ne tal volta par che voglia Platone, e tutti quelli che defi­niscono il luogo come certo spacio. Ora se la materia ha il suo appetito, il quale non deve essere in vano, perché tale appetito è della natura e procede da l’ordine della prima natura, bisogna che il loco, il spacio, l’inane abbiano cotale appetito. Lascio che (come è stato di sopra ac­cennato) nessun di questi che dice il mondo terminato, dopo aver affirmato il termine, sa in modo alcuno fingere come quello sia; et insieme insieme alcun di questi negan­do il vacuo et inane con le proposte e paroli, con l’esecu­zione poi et effetto viene a ponerlo necessariamente. Se è vacuo et inane, è certo capace di ricevere; e questo non si può in modo alcuno negare: atteso che per tal raggione medesima per la quale è stimato impossibile che nel spa­cio dove è questo mondo, insieme insieme si trove conte­nuto un altro mondo, deve esser detto possibile che nel spacio fuor di questo mondo, o in quel niente (se cossì dir vuole Aristotele quello che non vuoi dir vacuo), possa es­sere contenuto. La raggione per la quale lui dice dui corpi non possere essere insieme, è la incompossibilità delle dimensioni di uno et un altro corpo: resta dumque (per quanto richiede tal raggione) che dove non sono le dimensioni de l’uno, possono essere le dimensioni de l’al­tro. Se questa potenza vi è, dumque il spacio in certo modo è materia: se è materia, ha l’aptitudine; se ha l’apti­tudine, per qual raggione doviamo negargli l’atto?

ELPINO Molto bene. Ma di grazia procediate in al­tro; fatemi intendere come differenza fate tra il mondo e l’universo.

FILOTEO La differenza è molto divolgata fuor della scola peripatetica. Gli Stoici fanno differenza tra i mon­do e l’universo: perché il mondo è tutto quello che è pie­no e costa di corpo solido; l’universo è non solamente il mondo, ma oltre il vacuo, inane e spacio extra di quello: e però dicono il mondo essere finito, ma l’universo infi­nito. Epicuro similmente il tutto et universo chiama una mescuglia di corpi et inane; et in questo dice con­sistere la natura del mondo, il quale è infinito, e nella ca­pacità dell’inane e vacuo; et oltre nella moltitudine di corpi che sono in quello. Noi non diciamo vacuo alcu­no, come quello che sia semplicemente nulla; ma secon­do quella raggione con la quale ciò che non è corpo che resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato (se ha dimensione) vacuo: atteso che comunmente non apprendeno l’esser corpo se non con la proprietà di resi­stenza; onde dicono che sì come non è carne quello che non è vulnerabile, cossì non è corpo quello che non resi­ste. In questo modo diciamo esser un infinito, ciò è una eterea regione inmensa, nella quale sono innumera­bili et infiniti corpi come la terra, la luna et il sole; li qua­li da noi son chiamati mondi composti di pieno e vacuo: perché questo spirito, questo aria, questo etere non sola­mente è circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti, e viene insito in ogni cosa. Diciamo ancora “va­cuo” secondo quella raggione per la quale rispondemo alla questione che dimandasse dove è l’etere infinito e gli mondi; e noi rispondessimo: in un spacio infinito, in certo seno nel quale et è e s’intende il tutto; et il quale non si può intendere, né essere in altro. Or qua Aristo­tele confusamente prendendo il vacuo secondo queste due significazioni, et un’altra terza che lui fenge e lui medesimo non sa nominare né diffinire, si va dibattendo per togliere il vacuo: e pensa con il medesimo modo di argumentare destruggere a fatto tutte le opinioni del va­cuo. Le quali però non tocca più che se, per aver tolto il nome di qualche cosa, alcuno pensasse di aver tolta la cosa; perché destrugge (se pur destrugge) il vacuo se­condo quella raggione la quale forse non è stata presa da alcuno: atteso che gli antichi e noi prendiamo il vacuo per quello in cui può esser corpo, e che può contener qualche cosa, et in cui sono gli atomi e gli corpi; e lui so­lo diffinisce il vacuo per quello che è nulla, in cui è nulla e non può esser nulla. Là onde prendendo il vacuo per nome et intenzione secondo la quale nessuno lo intese, vien a far castelli in aria e destruggere il suo vacuo, e non quello di tutti gli altri che han parlato di vacuo e si son serviti di questo nome “vacuo”. Non altrimenti fa questo sofista in tutti gli altri propositi, come dei mo­to, infinito, materia, forma, demostrazione, ente; dove sempre edifica sopra la fede della sua definizion propria e nome preso secondo nova significazione. Onde cia­scun che non è a fatto privo di giudizio può facilmente accorgersi quanto quest’uomo sia superficiale circa la considerazion della natura de le cose, e quanto sia atta­cato alle sue (non concedute, né degne di esserno conce­dute) supposizioni: più vane nella sua natural filosofia, che già mai si possano fingere nella matematica. E vede­te che di questa vanità tanto si gloriò e si compiacque, che in proposito della considerazion di cose naturali am­bisce tanto di esser stimato raziocinaie o (come vogliam dire) logico, che per modo di improperio, quelli che son stati più solleciti della natura, realità e verità, le chiama “fisici”. Or per venire a noi: ateso che nel suo libro Del vacuo né diretta né indirettamente dice cosa che possa degnamente militare contra la nostra intenzione, lo la­sciamo star cossì, rimettendolo forse a più ociosa occa­sione. Dumque se ti piace, Elpino, forma et ordina quelle raggioni, per le quali l’infinito corpo non viene admesso da gli nostri adversarii, et appresso quelle per le quali non possono comprendere essere mondi innu­merabili.

ELPINO Cossì farò. Io referirò le sentenze d’Aristo­tele per ordine, e voi direte circa quelle ciò che vi occor­re. «È da considerare» dice egli, «se si trova corpo infi­nito, come alcuni antichi filosofi dicono, o pur questo sia una cosa impossibile; et appresso è da vedere se sia uno over più mondi. La risoluzion de le quali questioni è importantissima: perché l’una e l’altra parte della con­tradizzione son di tanto momento, che son principio di due sorte di fiosofare molto diverso e contrario: come per essempio veggiamo che da quel primo error di coloro che hanno poste le parti individue, hanno chiuso il camino di tal sorte, che vegnono ad errare in gran parte della matematica. Snodaremo dumque proposito di gran momento per le passate, presenti e future difficul­tadi; perché quantumque poco di trasgressione che si fa nel principio viene per diecemila volte a farsi maggiore nel progresso: come per similitudine nell’errore che si fa nel principio di qualche camino, il quale tanto più si va aumentando e crescendo, quanto maggior progresso si fa allontanandosi dal principio, di sorte che al fine si vie­ne ad giongere a termine contrario a quello che era pro­posto; e la raggion di questo è che gli principii son pic­cioli in grandezza e grandissimi in efficacia. Questa è la raggione della determinazione di questo dubio.»

FILOTEO Tutto lo che dice è necessarissimo, e non meno degno di esser detto da gli altri che da lui; perché, sicome lui crede che da questo principio mal inteso gli aversarii sono trascorsi in grandi errori, cossì a l’opposi­to noi credemo e veggiamo aperto, che dal contrario di questo principio lui ha pervertita tutta la considerazion naturale.

ELPINO Soggionge: «Bisogna dumque che veggiamo se è possibile che sia corpo semplice di grandezza infini­ta: il che primeramente deve esser mostrato impossibile in quel primo corpo che si muove circularmente; ap­presso ne gli altri corpi, per che essendo ogni corpo o semplice o composto, questo che è composto siegue la disposizion di quello che è semplice. Se dumque gli cor­pi semplici non sono infiniti né di numero né di gran­dezza, necessariamente non potrà esser tale corpo com­posto».

FILOTEO Promette molto bene: per che se lui pro­varà che il corpo il quale è chiamato continente e primo, sia continente, primo e finito, sarà anco soverchio e va­no di provarlo appresso di corpi contenuti.

ELPINO Or prova che il corpo rotondo non è infini­to: «Se i corpo rotondo è infinito, le linee che si partono dal mezzo saranno infinite, e la distanza d’un semidia­metro da l’altro (gli quali quanto più si discostano dai centro tanto maggior distanza acquistano) sarà infinita; perché dalla addizione delle linee secondo la longitudi­ne, è necessario che siegua maggior distanza; e però se le linee sono infinite, la distanza ancora sarà infinita. Or è cosa impossibile che il mobile possa trascorrere distanza infinita: e nel moto circulare è bisogno che una linea se­midiametrale del mobile venga al luogo dell’altro et al­tro semidiametro».

FILOTEO Questa raggione è buona: ma non è a pro­posito contra l’intenzione de gli aversarii; perché giamai s’è ritrovato sì rozzo, e d’ingegno sì grosso, che abbia po­sto il mondo infinito e magnitudine infinita, e quella mo­bile. E mostra lui medesimo essersi dismenticato di quel che riferisce nella sua Fisica: che quei che hanno posto uno ente et uno principio infinito, hanno posto similmen­te inmobile; e né lui ancora, né altro per lui, potrà nomi­nar mai alcun filosofo, o pur uomo ordinario, che abbia detto magnitudine infinita mobile. Ma costui come sofista prende una parte della sua argumentazione dalla conclu­sione dell’aversario: supponendo il proprio principio che l’universo è mobile, anzi che si muove, e che è di figura sferica.38 Or vedete se de quante raggioni produce questo mendico, se ne ritrove pur una che argumente contra l’in­tenzione di quei che dicono uno infinito, inmoble, infigu­rato, spaciosissimo continente de innumerabii mobili che son gli mondi, che son chiamati astri da altri, e da altri sfere; vedete un poco in questa et altre raggioni se mena presuppositi conceduti da alcuno.

ELPINO Certo tutte le sei raggioni son fondate sopra quel presupposito, cioè che l’aversario dica che l’univer­so sia infinito, e che gli admetta che quello infinito sia mobile: il che certo è una sciocchezza, anzi una irrazio­nalità, se pur per sorte non vogliamo far concorrere in uno l’infinito moto e l’infinita quiete, come mi verifica­ste ieri in proposito di mondi particolari.

FILOTEO Questo non voglio dire in proposito de l’universo, al quale per raggion veruna gli deve essere at­tribuito il moto; perché questo non può, né deve conve­nire né richiedersi a l’infinito: e giamai, come è detto, si trovò chi io imaginasse. Ma questo filosofo, come quello che avea caristia di terreno, edifica tai castelli in aria.

ELPINO Certo desiderarei un argumento che impu­gnasse questo che dite; perché cinque altre raggioni che apporta questo filosofo tutte fanno il medesimo camino, e vanno con gli medesimi piedi. Però mi par cosa sover­chia di apportarle. Or dopo che ebbe prodotte queste che versano circa il moto mondano e circolare, procede a proponer quelle che son fondate sopra il moto retto; e dice parimente «essere impossibile che qualche cosa sia mobile di infinito moto verso il mezzo, o al basso, oltre verso ad alto dal mezzo»; et il prova prima dal canto di moti proprii di tai corpi, e questo sì quanto a gli corpi estremi, sì quanto a gli tramezzanti. «Il moto ad alto» di­ce egli, «et il moto al basso son contrarii: et il luogo del uno moto è contrario al luogo de l’altro moto. De gli contrarii ancora, se l’uno è determinato, bisogna che sia determinato ancor l’altro; et il tramezzante che è parte­cipe de l’uno e determinato, convien che sia tale ancor lui; perché non da qualsivoglia, ma da certa parte bisogna che si parta quello che deve passar oltre il mez­zo, perché è un certo termine onde cominciano, et è un altro termine ove si finisceno i limiti del mezzo: essendo dumque determinato i mezzo, bisogna che sieno deter­minati gli estremi; e se gli estremi son determinati, bi­sogna che sia determinato il mezzo; e se gli luoghi son determinati, bisogna che gli corpi collocati sieno tali an­cora: perché altrimente il moto sarà infinito. Oltre, quanto alla gravità e levità, il corpo che va verso alto, può devenire a questo che sia in tal luogo: per che nes­suna inclinazion naturale è in vano. Dumque non essen­do spacio del mondo infinito, non è luogo né corpo infi­nito. Quanto al peso ancora, non è grave e leve infinito; dumque non è corpo infinito: come è necessario che, se il corpo grave è infinito, la sua gravità sia infinita; e que­sto non si può fuggire: per che se tu volessi dire che il corpo infinito ha gravità infinita, seguitarebono tre in­convenienti. Primo, che medesima sarebe la gravità o le­vità di corpo finito et infinito; perché al corpo finito gra­ve, per quanto è sopraavanzato dal corpo infinito, io farrò addizione o suttrazzione di altro et altro tanto, sin che possa aggiungere a quella medesima quantità di gra­vità e levità. Secondo, che la gravità della grandezza fini­ta potrebe esser maggiore che quella de l’infinita: perché con tal raggione per la quale gli può essere equale, gli può ancora essere superiore, con aggiungere quanto ti piace più di corpo grave, o suttrarre di questo, o pur ag­giongere di corpo lieve. Terzo, che la gravità della gran­dezza finita et infinita sarebbe equale; e perché quella proporzione che ha la gravità alla gravità, la medesima ha la velocità alla velocità, seguitarebe similmente che la medesima velocità e tardità si potrebero trovare in cor­po finito et infinito. Quarto, che la velocità del corpo fi­nito potrebe esser maggiore di quella del infinito. Quin­to, che potrebe essere equale; o pur sì come il grave eccede il grave, cossì la velocità excede la velocità: tro­vandosi gravità infinita, sarà necessario che si muova per alcun spacio in manco tempo che la gravità finita; o vero non si muova, perché la velocità e tardità séguita la grandezza del corpo. Onde non essendo proporzione tra il finito et infinito, bisognarà al fine che il grave infi­nito non si muova: perché s’egli si muove, non si muove tanto velocemente che non si trove gravità finita, che nel medesimo tempo, per il medesimo spacio, faccia il me­desimo progresso.»

FILOTEO È impossibile di trovare un altro che sotto titolo di filosofo fengesse più vane supposizioni e si fabri­casse sì stolte posizioni al contrario, per dar luogo a tanta levità, quanta si vede nelle raggioni di costui. Or per quanto appartiene a quel che dice de luoghi proprii di corpi e del determinato alto, basso et infra, vorei sapere contra qual posizione argumente costui. Perché tutti quelli che poneno corpo e grandezza infinita, non pone-no mezzo né estremo in quella. Perché chi dice l’inane, il vacuo, l’etere infinito, non gli attribuisce gravità, né le­vità, né moto, né regione superiore, né inferiore, né mez­zana; e ponendo poi quelli in cotal spacio infiniti corpi, come è questa terra, quella e quell’altra terra, questo sole, quello e quell’altro sole, tutti fanno gli lor circuiti dentro questo spacio infinito, per spacii finiti e determinati, o pur circa gli proprii centri. Cossì noi che siamo in terra, diciamo la terra essere al mezzo, e tutti gli filosofi moder­ni et antichi, sieno di qualsivoglia setta, diranno questa essere in mezzo, senza pregiudicare a suoi principii; come noi diciamo al riguardo dell’orizonte magiore di questa eterea regione, che ne sta in circa, terminata da quello equidistante circolo, al riguardo di cui noi siamo come al centro. Come niente manco coloro che sono nella luna s’intendeno aver circa questa terra, il sole et altre et altre stelle, che sono circa il mezzo et il termine de gli proprii semidiametri del proprio orizonte. Cossì non è più cen­tro la terra, che qualsivoglia altro corpo mondano; e non son più certi determinati poli alla terra, che la terra sia un certo e determinato polo a qualch’altro punto dell’etere e spacio mondano; e similmente de tutti gli altri corpi; li quali medesimi per diversi riguardi, tutti sono e centri e punti di circunferenza e poli e zenithi, et altre differen­ze. La terra dumque non è absolutamente in mezzo de l’universo, ma al riguardo di questa nostra reggione. Procede dumque questo disputante con petizione di principio e presupposizione di quello che deve provare: prende dico per principio l’equivalente a l’opposito della contraria posizione; presupponendo mezzo et estremo contra quelli che dicendo il mondo infinito, insieme in­sieme negano questo estremo e mezzo necessariamente: e per consequenza il moto ad alto e supremo luogo, et al basso et infimo. Vederno dumque gli antichi, e veggia­mo ancor noi, che qualche cosa viene alla terra ove siamo, e qualche cosa par che si parta della terra, o pur dal luogo dove siamo. Dove se diciamo e vogliam dire che il moto di tai cose è ad alto et al basso, se intende in certa regione, in certi rispetti; di sorte che se qualche cosa allontanan­dosi da noi procede verso la luna, come noi diciamo che quella ascende, color che sono nella luna nostri anticefi diranno che descende. Que moti dumque che sono nel­l’universo non hanno differenza alcuna di su, di giù, di qua, di là al rispetto dell’infinito universo, ma di finiti mondi che sono in quello, o presi secondo le amplitudini di innumerabili orizonti mondani, o secondo il numero di innumerabii astri. Dove ancora la medesima cosa, secondo i medesimo moto, al riguardo de diversi, si dice andar da alto e da basso. Determinati corpi dumque non hanno moto infinito, ma finito e determinato circa gli proprii termini; ma de l’indeterminato et infinito, non è finito né infinito moto, e non è differenza di loco né di tempo. Quanto poi all’argomento che fa dalla gravità e levità, diciamo che questo è un de più bei frutti che potes­se produre l’arbore de la stolida ignoranza: perché gra­vità (come dimostraremo nel luogo di questa considera­zione) non si trova in corpo alcuno intiero e naturalmente disposto e collocato; e però non sono differenze che den­no distinguere la natura di luoghi e raggion di moto. Ol­tre che mostraremo che grave e lieve viene ad esser detta medesima cosa secondo il medesimo appulso e moto al riguardo di diversi mezzi; come anco al rispetto di diver­si, medesima cosa se dice essere alta e bassa, muoversi su e giù. E questo dico quanto a gli corpi particulari e mondi particulari; de quali nessuno è grave o lieve: e ne gli quali le parti, allontanandosi e diffondendosi da quelli, si chia­mano lievi; e ritornando a gli medesimi, si chiamano gra­vi; come le particole de la terra o di cose terrestri verso la circonferenza de l’etere se dicono salire, e verso il suo tut­to se dicono descendere. Ma quanto all’universo e cor­po infinito, chi si ritrovò giamai che dicesse grave o lieve? o pur chi puose tai principii e delirò talmente che per conseguenza possa inferirse dal suo dire che l’infinito sia grave o lieve, debbia ascendere, montare o poggiare? Noi mostraremo come de infiniti corpi che sono, nessuno ègrave né lieve. Perché queste qualitadi accadeno alle par­ti per quanto tendeno al suo tutto e luogo della sua con­servazione, e però non hanno riguardo all’universo, ma a gli proprii mondi continenti et intieri. Come ne la terra, volendo le parti del fuoco liberarsi e poggiar verso il sole, menano sempre seco qualche porzione de l’arida e de l’acqua a cui son congionte; le quali essendono moltipli­cate sopra o in alto, cossì con proprio e naturalissimo ap­pulso ritornano al suo luogo. Oltre e per conseguenza rinforzate, che gli gran corpi sieno gravi o lievi non è pos­sibile, essendo l’universo infinito; e per tanto non hanno raggione di lontananza o propinquità dalla o alla cir­conferenza o centro; indi non è più grave la terra nel suo luogo che il Sole nel suo, Saturno nel suo, la tramontana nel suo.Potremo però dire che come sono le parti della terra che ritornano alla terra per la loro gravità (che cossì vogliamo dire l’appulso de le parti al tutto, e del pere­grino al proprio loco), cossì sono le parti de li altri cor­pi, come possono esser infinite altre terre o di simile con­dizione, infiniti altri soli o fuochi, odi simile natura. Tutti si moveno dalli luoghi circonferenziali al proprio conti­nente come al mezzo: onde seguitarebe che sieno infiniti corpi gravi secondo il numero. Non però verrà ad essere gravità infinita come in un soggetto et intensivamente, ma come in innumerabii soggetti et estensivamente. E questo è quello che séguita dal dire di tutti gli antichi e nostro; e contra questo non ebbe argumento alcuno que­sto disputante. Quel dumque che lui dice dell’impossibi­lità dell’infinito grave, è tanto vero et aperto che è vergo­gna a farne menzione; et in modo alcuno non appartiene a destruggere l’altrui e confirmar la propria filosofia: ma son propositi tutti e paroli gittati al vento.

ELPINO La vanità di costui nelle predette raggioni èpiù che manifesta; di sorte che non bastarebbe tutta l’ar­te persuasiva di escusarla. Or udite le raggioni che sog­gionge, per conchiudere universalmente che non sia cor­po infinito. «Or» dice lui, «essendo manifesto a quelli che rimirano alle cose particolari, che non è corpo infi­nito, resta di vedere al generale se sia questo possibile: perché potrebe alcuno dire che sì come il mondo è cossì disposto circa di noi, cossì non sia impossibile che sieno altri più cieli. Ma prima che vengamo a questo raggio­niamo generalmente dell’infinito. E dumque necessario che ogni corpo [o sia finito] o sia infinito; e questo o sia tutto di parte similari, o di parte dissimilari; e queste o costano di specie finite, o pur di specie infinite. Non èpossibile che coste de infinite specie, se vogliamo pre­supponere quel ch’abbiamo detto, cioè che sieno più mondi simili a questo: perché sì come è disposto questo mondo circa noi, cossì sia disposto circa altri, e sieno al­tri cieli. Perché se son determinati gli primi moti che so­no circa il mezzo, bisogna che sieno determinati li moti secondi: e per tanto come già distinguemo cinque sorte di corpi, de quali dui son semplicemente gravi o lievi, e dui mediocremente gravi o lievi, et uno né grave né lie­ve, ma agile circa il centro, cossì deve essere ne gli altri mondi. Non è dumque possibile che coste di infinite specie. Non è ancora possibile che coste di specie fini­te»; e primieramente prova che non costa di specie fi­nite dissimilari, per quattro raggioni de quali la prima èche ciascuna di queste parti infinite sarà acqua o fuoco, e per consequenza cosa grave o lieve: e questo è stato di­mostrato impossibile, quando si è visto che non è gravità né levità infinita.

FILOTEO Noi abbiamo assai detto quando risponde­vamo a quello.

ELPINO Io lo so. Soggionge la seconda raggione di­cendo che bisogna che di queste specie ciascuna sia infi­nita, e per consequenza il luoco di ciascuna deve essere infinito: onde seguitarà che il moto di ciascuna sia infini­to; il che è impossibile: perché non può essere che un cor­po che va giù, corra per infinito al basso; il che è manife­sto da quel che si trova in tutti moti e trasmutazioni. Come nella generazione non si cerca di fare quel che non può esser fatto, cossì nel moto locale non si cerca il luogo ove non si possa giunger mai; e quello che non è possibile che sia in Egitto, è impossibile che si muova in verso Egit­to: per che la natura nessuna cosa opra in vano. Impos­sibile è dumque che cosa si muova verso là dove non può pervenire.

FILOTEO A questo si è risposto assai; e diciamo che son terre infinite, son soli infiniti, è etere infinito; o se­condo il dir di Democrito et Epicuro, è pieno e vacuo in-finito: l’uno insito nel altro. E son diverse specie finite, le une comprese da le altre, e le une ordinate a le altre: le quali specie diverse tutte se hanno come concorrenti a fa­re uno intiero universo infinito; e come ancora infinite parti de l’infinito, in quanto che da infinite terre simili a questa proviene in atto terra infinita, non come un solo continuo, ma come un compreso dalla innumerabile moltitudine di quelle. Similmente se intende de le altre specie di corpi, o sieno quattro, o sieno due, o sieno tre, o quante si voglia (non determino al presente); le quali co­me che sono parte (in modo che si possono dir parte) de l’infinito, bisogna che sieno infinite, secondo la mole che resulta da tal moltitudine. Or qui non bisogna che il grave vada in infinito al basso. Ma come questo grave va al suo prossimo e connatural corpo, cossì quello al suo, quell’altro al suo. Ha questa terra le parti che apparten­gono a lei; ha quella terra le parti sue appartenenti a sé: cossì ha quel sole le sue parti che si diffondeno da lui e cercano di ritornare a lui; et altri corpi similmente riacco­glieno naturalmente le sue parti. Onde sicome le margini e le distanze de gli uni corpi a gli altri corpi son finite, cos­sì gli moti son finiti; e sicome nessuno si parte da Grecia per andare in infinito, ma per andar in Italia o in Egitto, cossì quando parte di terra o di sole si move, non si pro­pone infinito, ma finito e termine. Tutta volta essendo l’universo infinito, e gli corpi suoi tutti trasmutabii, tutti per conseguenza diffondeno sempre da sé e sempre in sé accoglieno, mandano del proprio fuora et accogliono dentro del peregrino. Non stimo che sia cosa assorda et inconveniente, anzi convenientissima e naturale, che sie­no transmutazion finite possibili ad accadere ad un sog­getto; e però de particole de la terra vagar l’eterea regione et occorrere per l’inmenso spacio ora ad un corpo ora ad un altro: non meno che veggiamo le medesime particole cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendono ancora appresso di noi. Onde questa terra, se è eterna et è perpetua, non è tale per la consistenza di sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vicissitudine de altri che diffonde et altri che gli succedeno in luogo di quelli; in modo che, di medesima anima et intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando e rinovan­do. Come appare anco ne gli animali, li quali non si con­tinuano altrimente se non con gli nutrimenti che riceve­no, et escrementi che sempre mandano; onde chi ben considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo fanciulli, e vecchi non abbiamo quella medesima che quando eravamo giovani: perché siamo in continua trasmutazione, la qual porta seco che in noi continuamente influiscano nuovi atomi, e da noi se di­partano li già altre volte accolti. Come circa il sperma, giongendosi atomi ad atomi per la virtù dell’intelletto ge­nerale et anima (mediante la fabrica in cui come materia concorreno), se viene a formare e crescere il corpo: quan­do l’influsso de gli atomi è maggior che l’efflusso; e poi il medesimo corpo è in certa consistenza quando l’efflusso è equale a l’influsso; et al fine va in declinazione, essendo l’efflusso maggior che l’influsso (non dico l’efflusso et in­flusso assolutamente, ma l’efflusso del conveniente e na­tio, e l’influsso del peregrino e sconveniente; il quale non può esser vinto dal debilitato principio per l’efflusso, il quale è pur continuo del vitale come del non vitale). Per venir dumque al punto, dico che per cotal vicissitudine non è inconveniente, ma raggionevolissimo dire che le parti et atomi abbiano corso e moto infinito per le infinite vicissitudini e transmutazioni, tanto di forme quanto di luoghi. Inconveniente sarebbe se, come a prossimo ter­mine prescritto di transmutazion locale, over di alterazio­ne, si trovasse cosa che tendesse in infinito; il che non può essere: atteso che non sì tosto una cosa è mossa da uno, che si trove in un altro luogo; è spogliata di una, che non sia investita di un’altra disposizione; e lasciato uno, che non abbia preso un altro essere: il quale necessariamente séguita dalla alterazione, la quale necessariamente ségui­ta dalla mutazion locale. Tanto che il soggetto prossimo e formato non può muoversi se non finitamente; perché facilmente accoglie un’altra forma, se muta loco. Il sog­getto primo e formabile se muove infinitamente, e secon­do il spacio e secondo il numero delle figurazioni; mentre le parti della materia s’intrudeno et extrudeno da questo in quello et in quell’altro loco, parte e tutto.

ELPINO Io intendo molto bene. Soggionge per terza raggione, che «se si dicesse l’infinito discreto e disgion­to, onde debbano essere individui e particolari fuochi infiniti, e ciascun di quelli poi essere finito, nientemanco accaderà che quel fuoco che resulta da tutti gl’individui debba essere infinito».

FILOTEO Questo già ho conceduto; e per sapersi questo, lui non dovea forzarsi contra di ciò, da che non séguita inconveniente alcuno. Perché, se il corpo vien disgiunto o diviso in parti localmente distinte, de le qua­li l’una pondere cento, l’altra mille, l’altra diece, segui­tarà che il tutto pondere mille cento e diece. Ma ciò sarà secondo più pesi discreti, e non secondo un peso conti­nuo. Or noi e gli antichi non abbiamo per inconveniente che in parti discrete se ritrove peso infinito; perché da quelle resulta un peso logicamente, o pur aritmetrica, o geometricamente, che vera e naturalmente non fanno un peso, come non fanno una mole infinita; ma fanno infi­nite mole e pesi finiti: il che dire, imaginare et essere, non è il medesimo, ma molto diverso; perché da questo non séguita che sia un corpo infinito di una specie, ma una specie di corpo in infiniti finiti; né è però un pondo infinito, infiniti pondi finiti, atteso che questa infinitudi­ne non è come di continuo, ma come di discreti: li quali sono in un continuo infinito, che è il spacio, il loco e di­mensione capace di quelli tutti. Non è dumque incon­veniente che sieno infiniti discreti gravi, i quali non fan­no un grave; come infinite acqui le quali non fanno una acqua infinita, infinite parti di terra che non fanno una terra infinita: di sorte che sono infiniti corpi in moltitu­dine, li quali fisicamente non componeno un corpo infi­nito di grandezza. E questo fa grandissima differenza; come proporzionalmente si vede nel tratto della nave, la quale viene tratta da diece uniti: e non sarà mai tirata da migliaia de migliaia disuniti, e per ciascuno.

ELPINO Con questo et altro dire mille volte avete ri­soluto lo che pone per quarta raggione: la qual dice che se s’intende corpo infinito, è necessario che sia inteso in­finito secondo tutte le dimensioni; onde da nessuna par­te può essere qualche cosa extra di quello: dumque non è possibile che in corpo infinito sieno più dissimili, de quali ciascuno sia infinito.

FILOTEO Tutto questo è vero e non contradice a noi, che abbiamo. tante volte detto che son più dissimili finiti in uno infinito, et abbiamo considerato come que­sto sia. Forse proporzionalmente, come se alcun dicesse esser più continui insieme, come per essempio e simili­tudine in un liquido luto, dove sempre et in ogni parte l’acqua è continuata a l’acqua, e la terra a la terra; dove per la insensibilità del concorso de le minime parti di terra e minime parti di acqua, non si diranno discreti né più continui, ma uno continuo: il quale non è aqua, non è terra, ma è luta. Dove indifferentemente ad un altro può piacere di dire che non propriamente l’acqua è con­tinuata a l’acqua, e la terra a la terra, ma l’acqua a la ter­ra, e la terra a l’acqua; e può similmente venire un terzo che negando l’uno e l’altro modo di dire, dica il luto es­ser continuato al luto. E secondo queste raggioni può esser preso l’universo infinito come un continuo, nel quale non faccia più discrezione l’etere interposto tra sì gran corpi, che far possa nella luta quello aria che è tra­posto et interposto tra le parti de l’acqua e de l’arida, es­sendo differenza solo per la pocagine de le parti, e mi­norità et insensibilità che è nella luta, e la grandezza, maggiorità e sensibilità delle parti che sono nell’univer­so: sì che gli contrarii e gli diversi mobili concorreno nella constituzione di uno continuo immobile, nel quale gli contrarii concorreno alla constituzion d’uno, et ap­partengono ad uno ordine, e finalmente sono uno. In­conveniente certo et impossibile sarrebe ponere dui infi­niti distinti l’uno da l’altro; atteso non sarebe modo de imaginare come, dove finisce l’uno, cominci l’altro: on­de ambi doi venessero ad aver termine l’uno per l’altro. Et è oltre difficilissimo trovar dui corpi finiti in uno estremo, et infiniti ne l’altro.

ELPINO Pone due altre raggioni per provar che non sia infinito di simili parte. «La prima è, perché bisogna­rebe che a quello convenesse una di queste specie di moto locale; e però o sarebe una gravità, o levità infinita, overo una circulazione infinita: il che tutto, quanto sia impossibile, abbiamo demostrato.»

FILOTEO E noi ancora abbiamo chiarito quanto questi discorsi e raggioni sieno vani: e che l’infinito in tutto non si muove; e che non è grave né lieve, tanto es­so quanto ogn’altro corpo nel suo luogo naturale: né pu­re le parti separate, quando saranno allontanate oltre certi gradi dal proprio loco. Il corpo dumque infinito, secondo noi, non è mòbile né in potenza né in atto; e non è grave né lieve in potenza né in atto: tanto manca ch’aver possa gravità o levità infinita secondo gli princi­pii nostri o di altri, contra gli quali costui edifica sì belle castella.

ELPINO La seconda raggione per questo è similmen­te vana; perché vanamente dimanda «se si muove l’infi­nito naturale o violentemente» a chi mai disse che lo si mova, tanto in potenzia quanto in atto. Appresso prova che non sia corpo infinito per le raggioni tolte dal moto in generale, dopo che ha proceduto per raggion tolta dal moto in comune. Dice dumque che il corpo infinito non può aver azzione nel corpo finito, né tampoco patir da quello; et apporta tre proposizioni. Prima, che «l’infini­to non patisce dal finito»; perché ogni moto, e per conseguenza ogni passione, è in tempo: e se è cossì, po­trà avenire che un corpo di minor grandezza potrà aver proporzionale passione a quella; però, sicome è propor­zione del paziente finito all’agente finito, verrà ad esser simile del paziente finito allo agente infinito. Questo si vede si poniamo per corpo infinito A, per corpo finito e per che ogni moto è in tempo, sia il tempo G, nel qual tempo A o muove o è mosso. Prendiamo appresso un corpo di minor grandezza, il quale è B; e sia la linea D agente circa un altro corpo (il qual corpo sia H) com­pitamente, nel medesimo tempo G: da questo veramen­te si vedrà che sarà proporzione di D agente minore a B agente maggiore, sì come è proporzione del paziente fi­nito H alla parte finita A, la qual parte sia AZ. Or quan­do mutaremo la proporzione del primo agente al terzo paziente, come è proporzione del secondo agente al quarto paziente, cioè sarà proporzione di D ad H, come è la proporzione di B ad AZ; B veramente, nel medesimo tempo G, sarà agente perfetto in cosa finita e cosa infini­ta, ciò è in AZ parte de l’infinito et A infinito. Questo è impossibile; dumque il corpo infinito non può essere agente né paziente: perché doi pazienti equali patiscono equalmente nel medesimo tempo dal medesimo agente, et il paziente minore patisce dal medesimo agente in tempo minore, il maggiore paziente in maggior tempo. Oltre, quando sono agenti diversi in tempo equale, e si complisce la lor azzione, verrà ad essere proporzione dell’agente all’agente, come è proporzione del paziente al paziente. Oltre, ogni agente opra nel paziente in tem­po finito (parlo di quello agente che viene a fine della sua azzione, non di quello di cui il moto è continuo, co­me può esser solo il moto della translazione), perché è impossibile che sia azzion finita in tempo infinito. Ecco dumque primieramente manifesto come il finito non può aver azzion compita nell’infinito.

G tempo
A agente infinito
H agente finito B paziente finito
D agente finito B (parte del finito paziente) Z

Secondo, si mostra medesimamente che «l’infinito non può essere agente in cosa finita». Sia l’agente infinito A, et il paziente finito B, e ponemo che A infinito è agente in B finito, in tempo finito G. Appresso sia il corpo finito D agente nella parte di B, ciò è BZ, in medesimo tempo G. Certamente sarà proporzione del paziente BZ a tutto B paziente, come è proporzione di D agente all’altro agente finito H; et essendo mutata proporzione di D agente a BZ paziente, sì come la proporzione di H agente a tutto B, per conseguenza B sarà mosso da H in medesimo tempo in cui BZ vien mosso da D, cioè in tempo G, nel qual tempo B è mosso dal infinito agente A: il che è impossibile. La quale impossibilità séguita da quel ch’abbiamo detto: cioè che, si cosa infinita opra in tempo finito, bisogna che l’azzione non sia in tempo, perché tra il finito e l’infinito non è pro­porzione. Dumque ponendo noi doi agenti diversi, li qua­li abbiano medesima azzione in medesimo paziente, ne­cessariamente l’azzion di quelli sarà in doi tempi diversi; e sarà proporzion di tempo a tempo: come di agente ad agente. Ma se ponemo doi agenti, de quali l’uno è infinito, l’altro finito, aver medesima azzione in un medesimo pa­ziente, sarà necessario dire l’un di doi, o che l’azzion de l’infinito sia in uno istante, over che l’azzione dell’agente finito sia in tempo infinito: l’uno e l’altro è impossibile.

Tempo finito
 G Z
A infinito agente
Infinito paziente
B D H

 

Terzo, si fa manifesto, come «il corpo infinito non può oprare in corpo infinito». Perché, come è stato detto nella Fisica ascoltazione, è impossibile che l’azzione o passione sia senza compimento: essendo dumque dimo­strato che mai può esser compita l’azzion dell’infinito in uno infinito, si potrà conchiudere che tra essi non può essere azzione. Poniamo dumque doi infiniti, de quali l’uno sia B, il il quale sia paziente da A in tempo finito G, perché l’azzion finita necessariamente è in tempo fi­nito. Poniamo appresso che la parte del paziente BD pa­tisce da A: certo sarà manifesto che la passion di questo viene ad essere in tempo minore che il tempo G; e sia questa parte significata per Z. Sarà dumque proporzione del tempo Z al tempo G, sì come è proporzione di BD, parte del paziente infinito, alla parte maggiore dell’infi­nito, ciò è a B; e questa parte sia significata per BDH, la quale è paziente da A nel tempo finito G; e nel medesi­mo tempo già da quello è stato paziente tutto l’infinito B: il che è falso, perché è impossibile che sieno doi pa­zienti, de quali l’uno sia infinito e l’altro finito, che pati­scano da medesimo agente, per medesima azzione, nel medesimo tempo; sia pur finito o (come abbiamo posto) infinito l’efficiente.

Tempo finito
 G Z
A infinito agente
Infinito paziente
B D H

FILOTEO Tutto quel che dice Aristotele, voglio che sia ben detto quando sarà bene applicato e quando con­cluderà a proposito: ma (come abbiamo detto) non è fi­losofo ch’abbia parlato de l’infinito, dal cui modo di ponere ne possano seguitare cotali inconvenienti. Tuttavia, non per rispondere a quel che dice, perché non è con­trario a noi, ma solo per contemplare l’importanza de le sue sentenze, essaminiamo il suo modo di raggionare. Prima dumque nel suo supponere procede per non na­turali fondamenti, volendo prendere questa e quella parte de l’infinito; essendo che l’infinito non può aver parte, se non vogliamo dir pure che quella parte è infini­ta: essendo che implica contradizzione che ne l’infinito sia parte maggiore e parte minore e parte che abbia maggiore e minore proporzione a quello; essendo che all’infinito non più ti avicini per il centinaio che per il temano: perché non meno de infiniti ternarii che de in­finiti centenarii costa il numero infinito. La dimensio­ne infinita non è meno de infiniti piedi che de infinite miglia: però quando vogliamo dir le parti dell’infinita dimensione, non diciamo cento miglia, mille parasan­ghe; perché queste nientemanco posson esser dette parti del finito, e veramente son parti del finito solamen­te al cui tutto hanno proporzione, e non possono essere e non denno esser stimate parti de quello a cui non hanno proporzione. Cossì mille anni non son parte dell’eternità, perché non hanno proporzione al tutto: ma sì bene son parti di qualche misura di tempo, come di diece mille anni, di cento mila secoli.

ELPINO Or dumque fatemi intendere: quali direte che son le parti dell’infinita durazione?

FILOTEO Le parti proporzionali della durazione, le quali hanno proporzione nella durazione e tempo, ma non già ne l’infinita durazione e tempo infinito; perché in quello il tempo massimo, cioè la grandissima parte pro­porzionale della durazione, viene ad essere equivalente alla minima, atteso che non son più gl’infiniti secoli che le infinite ore: dico che ne l’infinita durazione, che è l’eter­nità, non sono più le ore che gli secoli; di sorte che ogni cosa che si dice parte de l’infinito, in quanto che è parte de l’infinito, è infinita cossì nell’infinita durazione come ne l’infinita mole. Da questa dottrina possete conside­rare quanto sia circonspetto Aristotele nelle sue supposi­zioni quando prende le parti finite de lo infinito; e quanta sia la forza delle raggioni di alcuni teologi quando dalla eternità del tempo vogliono inferir lo inconveniente di tanti infiniti maggiori l’uno de l’altro, quante possono es­ser specie di numeri. Da questa dottrina dico avete modo di estricarvi da innumerabii labirinti.

ELPINO Particolarmente di quello che fa al proposi­to nostro de gl’infiniti passi et infinite miglia che verre­bono a fare un infinito minore et un altro infinito mag­giore nell’inmensitudine de l’universo. Or seguitate.

FILOTEO Secondo, nel suo inferire non procede de­mostrativamente Aristotele. Perché da quel che l’univer­so è infinito e che in esso (non dico di esso, perché altro è dir parti nell’infinito, altro parti dell’infinito) sieno infini­te parti che hanno tutte azzione e passione, e per conse­guenza trasmutazione intra de loro, vuole inferire o che l’infinito abbia azzione o passione nel finito o dal finito, over che l’infinito abbia azzione nel infinito, e questo pa­tisca e sia trasmutato da quello. Questa illazione dicia­mo noi che non vale fisicamente, benché logicamente sia vera: atteso che quantumque computando con la raggio-ne ritroviamo infinite parti che sono attive, et infinite che sono passive, e queste sieno prese come un contrario, e quelle come un altro contrario; nella natura poi (per es­serno queste parti disgionte e separate, e con particolari termini divise, come veggiamo) non ne forzano né incli­nano a dire che l’infinito sia agente o paziente, ma che nell’infinito parte finite innumerabii hanno azzione e passione. Concedesi dumque, non che l’infinito sia mo­bile et alterabile, ma che in esso sieno infiniti mobili et al­terabili; non che il finito patisca da l’infinito, né che l’infi­nito dal finito, né l’infinito da l’infinito secondo fisica e naturale infinità, ma secondo quella che procede da una logica e razionale aggregazione, che tutti gravi computa in un grave, benché tutti gravi non sieno un grave. Stan­te dumque l’infinito e tutto inmobile, inalterabile, incor­rottibile, in quello possono essere, e vi son moti et altera­zioni innumerabili et infiniti, perfetti e compiti. Giongi a quel ch’è detto, che dato che sieno doi corpi infiniti da un lato, che da l’altro lato vegnano a terminarsi l’un l’altro, non seguitarà da questo quel che Aristotele pensa che ne­cessariamente séguita, cioè che l’azzione e passione sare­bono infinite; atteso che se di questi doi corpi l’uno è agente in l’altro, non sarà agente secondo tutta la sua di­mensione e grandezza: perché non è vicino, prossimo, gionto e continuato a l’altro secondo tutta quella, e se­condo tutte le parti di quella. Perché poniamo caso che sieno doi infiniti corpi A e B, gli quali son continuati o congionti insieme nella linea o superficie FG: certo non verranno ad oprar l’uno contra l’altro secondo tutta la virtù; perché non sono propinqui l’uno a l’altro secondo tutte le parti: essendo che la continuazione non possa es­sere se non in qualche termine finito. E dico di vantag­gio che benché supponiamo quella superficie o linea es­sere infinita, non seguitarà per questo che gli corpi continuati in quella caggionino azzione e passione infini­ta; perché non sono intense, ma estense, come le parti so­no estense: onde aviene che in nessuna parte l’infinito opra secondo tutta la sua virtù, ma estensivamente secon­do parte e parte, discreta e separatamente.

A 10 1 F A M B
20 2 B N
30 3 C O
40 4 G D P

Come per essempio le parti di doi corpi contrarii che possono alterarsi sono le vicine, come A et 1, B e 2, C e 3, De 4, e cossì discorrendo in infinito: dove mai potrai verificare azzione intensivamente infinita, perché di que’ doi corpi le parti non si possono alterare oltre certa e determinata distanza; e però M e 10, N e 20, 0 e 30, P e 40, non hanno attitudine ad alterarsi. Ecco dumque co­me, posti doi corpi infiniti, non seguitarebe azzione infi­nita. Dico ancora di vantaggio, che quantumque si sup­pona e conceda che questi doi corpi infiniti potessero aver azzion l’un contra l’altro intensivamente, e secondo tutta la loro virtù riferirse l’uno a l’altro, per questo non seguitarebe affetto di azzione né passione alcuna; perché non meno l’uno è valente ripugnando e risistendo, che l’altro possa essere impugnando et insistendo, e però non seguitarrebe alterazione alcuna. Ecco dumque co­me da doi infiniti contrarii contraposti, o séguita altera­zione finita, o séguita nulla a fatto.

ELPINO Or che direte al supposito de l’un corpo contrario finito e l’altro infinito, come se la terra fusse un corpo freddo et il cielo fusse il fuoco, e tutti gli astri fuochi et il cielo inmenso e gli astri innumerabili? Volete che per questo séguite quel che induce Aristotele, che il finito sarebbe assorbito da l’infinito?

FILOTEO Certo non: come si può rapportar da quel ch’abbiamo detto. Perché essendo la virtù corporale di­stesa per dimensione di corpo infinito, non verrebe ad essere efficiente contra il finito con vigore e virtù infini­ta, ma con quello che può diffondere dalle parti finite, e secondo certa distanza rimosse: atteso che è impossibile che opre secondo tutte le parti, ma secondo le prossime solamente, come si vede nella precedente demostrazio­ne: dove presupponiamo A e B doi corpi infiniti; li quali non sono atti a transmutar l’un l’altro, se non per le par­ti che sono della distanza tra 10, 20, 30, 40, et M, N, O, P; e per tanto nulla importa per far maggior e più vigo­rosa azzione, quantumque il corpo B corra e cresca in infinito, et il corpo A rimagna finito. Ecco dumque co­me da doi contrarii contraposti sempre séguita azzione finita et alterazione finita: non meno supponendo di am­bi doi infinito l’uno, e l’altro finito, che supponendo in­finito l’uno e l’altro.

ELPINO Mi avete molto satisfatto, di sorte che mi par cosa soverchia di apportar quell’altre raggioni salva­ticine con le quali vuol dimostrar che estra il cielo non sia corpo infinito; come quella che dice: «Ogni corpo che è in loco è sensibile; ma estra il cielo non è corpo sensibile: dumque non vi è loco». O pur cossì: «Ogni corpo sensibile è in loco; extra il cielo non è lodo: dum­que non vi è corpo; anzi manco vi è extra, perché extra significa differenza di lodo, e di loco sensibile, e non spi­rituale et intelligibile corpo, come alcuno potrebe dire: se è sensibile, è finito».

FILOTEO Io credo et intendo che oltre et oltre quella margine imaginata del cielo, sempre sia eterea regione, e corpi mondani, astri, terre, soli; e tutti sensibili absolutamente, secondo sé et a quelli che vi sono o dentro o da presso: benché non sieno sensibili a noi per la lor lonta­nanza e distanza. Et in questo mentre considerate qual fondamento prende costui, che da quel che non abbiamo corpo sensibile oltre l’imaginata circonferenza, vuole che non sia corpo alcuno: e però lui si fermò a non credere al­tro corpo che l’ottava sfera, oltre la quale gli astrologi di suoi tempi non aveano compreso altro cielo. E per ciò che la vertigine apparente del mondo circa la terra re­ferirno sempre ad un primo mobile sopra tutti gli altri, puosero fondamenti tali, che senza fine sempre oltre so­no andati giongendo sfera a sfera; et hanno trovate l’altre senza stelle, e per consequenza senza corpi sensibili: in tanto che le astrologice supposizioni e fantasie condan­nano questa sentenza. Viene assai più condannata da quei che meglio intendeno qualmente gli corpi che si dicono appartenere all’ottavo cielo non meno hanno distin­zion tra essi di maggiore e minor distanza dalla superficie della terra, che gli altri sette: perché la raggione della loro equidistanza depende solo dal falsissimo supposito della fission de la terra; contra il quale crida tutta la natura, e proclama ogni raggione, e sentenzia ogni regolato e ben informato intelletto al fine. Pur sia come si vuole, è det­to contra ogni raggione che ivi finisca e si termine l’uni­verso dove l’attatto del nostro senso si conchiude; per­ché la sensibilità è causa da far inferir che gli corpi sono: ma la negazion di quella, la quale può esser per difetto della potenza sensitiva e non dell’ogetto sensibile, non èsufficiente né per lieve suspizione che gli corpi non sie­no. Perché se la verità dependesse da simil sensibilità, sarebbono tali gli corpi che appaiono tanto propinqui et aderenti l’uno all’altro. Ma noi giudichiamo che tal stella par minore nel firmamento, et è detta della quarta e quin­ta grandezza, che sarà molto maggiore di quella che è det­ta della seconda e prima; nel giudicio della quale se in­ganna il senso che non è potente a conoscere la raggione della distanza maggiore; e noi da questo, che abbiamo co­nosciuto il moto della terra, sappiamo che quei mondi non hanno tale equidistanza da questo, e che non sono come in uno deferente.

ELPINO Volete dire che non sono come impiastrati in una medesima cupola: cosa indegna che gli fanciulli la possano imaginare, che forse crederebono che se non fussero attaccati alla tribuna e lamina celeste con buona colla, o ver inchiodati con tenacissimi chiodi, caderebono sopra di noi non altrimente che gli grandini dall’aria vicino. Volete dire che quelle altre tante terre et altri tanti spaciosissimi corpi tegnono le loro regioni e sue distanze nell’etereo campo, non altrimente che que­sta terra, che con la sua rivoluzione fa apparir che tutti in­sieme come concatenati si svolgano circa lei. Volete dire che non bisogna accettare corpo spirituale extra l’ottava o nona sfera; ma che questo medesimo aere, come è circa la terra, la luna, il sole, continente di quelli, cossì si va am­plificando in infinito alla continenza di altri infiniti astri e grandi animali: e questo aere viene ad essere loco comune et universale, e che tiene infinito spacioso seno non altrimente continente in tutto l’universo infinito che in questo spacio sensibile a noi per tante e sì numerose lampe. Volete che non sia l’aria e questo corpo continen­te che si muova circularmente, o che rapisca gli astri co­me la terra e la luna et altri; ma che quelli si muovano dal­la propria anima per gli suoi spacii, avendono tutti que’ proprii moti che sono oltre quel mondano che per il moto della terra appare, et oltre altri che appaiono comuni a tutti gli astri, come attaccati ad un mobil corpo, i quali tutti hanno apparenza per le diverse differenze di moto di questo astro in cui siamo, e di cui il moto è insensibile a noi. Volete per consequenza che l’aria e le parti che si prendeno nell’eterea regione non hanno moto se non di restrizzione et amplificazione, il quale bisogna che sia per i progresso di questi solidi corpi per quello; mentre gli uni s’aggirano circa gli altri, e mentre fa di mestiero che questo spiritual corpo empia il tutto.

FILOTEO Vero. Oltre dico, che questo infinito et in­menso è uno animale, benché non abia determinata fi­gura, e senso che si referisca a cose esteriori: perché lui ha tutta l’anima in sé, e tutto lo animato comprende, et è tutto quello. Oltre dico non seguitar inconveniente alcu­no, come di doi infiniti; perché, il mondo essendo ani­mato corpo, in esso è infinita virtù motrice et infinito soggetto di mobilità, nel modo che abbiamo detto, di­scretamente: perché il tutto continuo è immobile, tanto di moto circulare, il quale è circa il mezzo, quanto di moto retto, che è dal mezzo o al mezzo; essendo che non abbia mezzo né estremo. Diciamo oltre, che moto di grave e leve non solo non è conveniente a l’infinito cor­po, ma né manco a corpo intiero e perfetto che sia in quello, né a parte di alcun di questi la quale è nel suo lo­co e gode la sua natural disposizione. E ritorno a dire che nulla è grave o lieve assoluta ma rispettivamente: di­co al riguardo del loco verso al quale le parti diffuse e disperse si ritirano e congregano. E questo baste aver considerato oggi quanto a l’infinita mole del universo; e domani vi aspettarò per quel che volete intendere quan­to a gl’infiniti mondi che sono in quello.

ELPINO Io benché per questa dottrina mi creda es­ser fatto capace di quell’altra, tuttavolta per la speranza di udir altre cose particolari e degne ritornarò.

FRACASTORIO Et io verrò ad essere auditore sola­mente.

BURCHIO Et io che come a poco a poco, più e più mi vo accostando all’intendervi, cossì a mano a mano vegno a stimar verisimile e forse vero quel che dite.