Argomento del quarto dialogo e Dialogo Quarto

De l’Infinito, Universo e Mondi

Argomento del quarto dialogo e Dialogo Quarto

ARGUMENTO DEL QUARTO DIALOGO

Nel seguente dialogo prima si replica quel ch’altre volte è detto, come sono infiniti [gli mondi], come ciascun di quelli si muova, e come sia formato. Secondo, nel modo con cui nei secondo dialogo si sciolsero le raggioni con-tra l’infinita mole o grandezza de l’universo, dopo che nel primo con molte raggioni fu determinato l’inmenso effetto dell’inmenso vigore e potenza; al presente dopo che nel terzo dialogo è determinata l’infinita moltitudine de mondi, si scioglieno le molte raggioni d’Aristotele contro quella: benché altro significato abbia questa voce “mondo” appresso Aristotele, altro appresso Democri­to, Epicuro et altri.

Quello dal moto naturale e violento, e raggioni de l’uno e l’altro, che son formate da lui, vuole che l’una terra si derrebe muovere a l’altra: e con risolvere que­ste persuasioni, prima, si poneno fondamenti di non poca importanza per veder gli veri principii della na­tural filosofia. Secondo, si dechiara che quantumque la superficie d’una terra fusse contigua a l’altra, non aver­rebe che le parti de l’una si potessero muovere a l’altra, intendendo de le parti eterogenee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici. Onde si prende lezzione di me­glio considerare circa la natura del grave e lieve. Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da la natura in tanta distanza, e non sieno più vicini gli uni e gli altri, di sorte che da l’uno si potesse far progresso a l’altro; e quindi da chi profondamente vede si prende raggione per cui non debbano esser mondi come nella circonferenza dell’etere, o vicini al vacuo tale, in cui non sia potenza, virtù et operazione: perché da un lato non potrebono prender vita e lume. Quarto, come la di­stanza locale muta la natura del corpo, e come non; et on­de sia che posta una pietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinarebbe di moversi più tosto a l’una che a l’altra. Quinto, quanto s’inganni Aristotele per quel che in corpi quantumque distanti intende appul­so di gravità o levità de l’uno all’altro; et onde proceda l’appetito di conservarsi nell’esser presente (quantum­que ignobile) ne le cose: il quale appetito è causa della fu­ga e persecuzione. Sesto, che il moto retto non convie­ne né può esser naturale a la terra o altri corpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni differenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno. Setti­mo, da le comete si prende argomento, che non è vero che il grave quantumque lontano abbia appulso o moto al suo continente: la qual raggione corre non per gli veri fisi­ci principii, ma dalle supposizioni [della] filosofia d’Ari­stotele, che le forma e compone da le parti che sono va­pori et exalazioni de la terra. Ottavo, a proposito d’un altro argomento si mostra come gli corpi semplici che so­no di medesima specie in altri mondi innumerabili, me­desimamente si muovano; e qualmente la diversità nume­rale pone diversità de luoghi, e ciascuna parte abbia il suo mezzo, e si referisca al mezzo commune del tutto: il qual mezzo non deve essere cercato nell’universo. Nono, si determina che gli corpi e parti di quelli non hanno deter­minato su e giù, se non in quanto che il luogo della con­servazione è qua o là. Decimo, come il moto sia infini­to, e qual mobile tenda in infinito, et ad composizioni innumerabii; e che non per ciò séguita gravità o levità con velocità infinita; e che il moto de le parti prossime, in quanto che serbino il loro essere, non può essere infinito; e che l’appulso de parti al suo continente non può essere se non infra la regione di quello.

DIALOGO QUARTO

FILOTEO Non son dumque infiniti gli mondi di sor­te con cui è imaginato il composto di questa terra cir­condato da tante sfere, de quali altre contegnano un astro, altre astri innumerabii: atteso che il spacio è tale, per quale possano discorrere tanti astri; ciascuno di que­sti è tale, che può da per se stesso e da principio intrin­seco muoversi alla comunicazion di cose convenienti: ogn’uno di essi è tanto, ch’è sufficiente, capace e degno d’esser stimato un mondo; non è di loro chi non abbia efficace principio e modo di continuar e serbar la perpe­tua generazione e vita d’innumerabili et eccellenti indi­vidui. Conosciuto che sarà che l’apparenza del moto mondano è caggionata dal vero moto diurno della terra (il quale similmente si trova in astri simili), non sarà rag­gione che ne costringa a stimar l’equidistanza de le stelle che il volgo intende in una ottava sfera come inchiodate e fisse; e non sarà persuasione che ne impedisca di ma­niera che non conosciamo che de la distanza di quelle innumerabili, sieno differenze innumerabili di lunghez­za di semidiametro. Comprenderemo che non son di­sposti gli orbi e sfere nell’universo come vegnano a com­prendersi l’un l’altro, sempre oltre et oltre essendo contenuto il minore dal maggiore per essempio de gli squogli in ciascuna cipolla: ma che per l’etereo campo il caldo et il freddo diffuso da corpi principalmente tali, vegnano talmente a contemperarsi secondo diversi gradi insieme, che si fanno prossimo principio di tante forme e specie di ente.

ELPINO Su di grazia vengasi presto alla risoluzion delle raggioni di contrarii, e massime d’Aristotele, le quali son più celebrate e più famose, stimate della scioc­ca moltitudine con le perfette demostrazioni: et a fin che non paia che si lasce cosa a dietro, io referirò tutte le raggioni e sentenze di questo povero sofista, e voi una per una le considerarete.

FILOTEO Cossì si faccia.

ELPINO «E da vedere» dice egli nel primo libro del suo Cielo e mondo, «se estra questo mondo sia un altro.»

FILOTEO Circa cotal questione sapete che differente-mente prende egli il nome del mondo, e noi: perché noi giongemo mondo a mondo, come astro ad astro in questo spaciosissimo etereo seno, come è condecente anco ch’abbiano inteso tutti quelli sapienti ch’hanno stimati mondi innumerabili et infiniti; lui prende il nome del mondo per un aggregato di questi disposti elementi e fan­tastici orbi sino al convesso del primo mobile che di per­fetta rotonda figura formato, con rapidissimo tratto tutto rivolge (rivolgendosi egli) circa il centro, verso il qual noi siamo. Però sarà un vano e fanciullesco trattenimento se vogliamo raggion per raggione aver riguardo a cotal fantasia; ma sarà bene et espediente de risolvere le sue raggioni per quanto possono esser contrarie al nostro senso: e non aver riguardo a ciò che non ne fa guerra.

FRACASTORIO Che diremo a color che ne rimprope­rasseno che noi disputiamo su l’equivoco?

FILOTEO Diremo due cose: e che il difetto di ciò è da colui ch’ha preso il mondo secondo impropria signi­ficazione, formandosi un fantastico universo corporeo; e che le nostre risposte non meno son valide supponendo il significato del mondo secondo la imaginazione de gli aversarii, che secondo la verità. Perché dove s’intendeno gli punti della circumferenza ultima di questo mondo di cui il mezzo è questa terra, si possono intendere gli punti di altre terre innumerabili, che sono oltre quella imaginata circumferenza: essendo che vi sieno realmen­te, benché non secondo la condizione imaginata da co­storo; la qual sia come si vuole, non gionge o toglie pun­to a quel che fa al proposito della quantità de l’universo e numero de mondi.

FRACASTORIO Voi dite bene; séguita, Elpino.

ELPINO «Ogni corpo» dice, «o si muove o si sta: e questo moto e stato o è naturale, o è violento. Oltre, ogni corpo dove non sta per violenza, ma naturalmente, là non si muove per violenza ma per natura; e dove non si muove violentemente, ivi naturalmente risiede: di sor­te che tutto ciò che violentemente è mosso verso sopra, naturalmente si muove verso al basso, e per contra. Da questo s’inferisce che non son più mondi, quando consi­deraremo che se la terra la quale è fuor di questo mondo si muove al mezzo di questo mondo violentemente, la terra la quale è in questo mondo, si moverà al mezzo di quello naturalmente; e se il suo moto dal mezzo di que­sto mondo al mezzo di quello è violento, il suo moto dal mezzo di quel mondo a questo sarà naturale. La causa di ciò è che se son più terre, bisogna dire che la potenza de l’una sia simile alla potenza de l’altra: come oltre, la po­tenza di quel fuoco sarà simile alla potenza di questo; al­trimente le parti di que’ mondi saran simili alle parti di questo in nome solo, e non in essere; e per consequenza quel mondo non sarà, ma si chiamarà mondo come que­sto. Oltre, tutti gli corpi che son d’una natura et una specie, hanno un moto (per che ogni corpo naturalmen­te si muove in qualche maniera): se dumque ivi son terre come è questa, e sono di medesima specie con questa, arranno certo medesimo moto; come per contra, se è medesimo moto, sono medesimi elementi. Essendo cos­sì, necessariamente la terra di quel mondo si moverrà al­la terra di questo; il fuoco di quello, al fuoco di questo: onde séguite oltre, che la terra non meno naturalmente si muova ad alto che al basso, et il fuoco non meno al basso ch’a l’alto. Or essendono tale cose impossibili, de­ve essere una terra, un centro, un mezzo, un orizonte, un mondo.»

FILOTEO Contra questo diciamo che in quel modo con cui in questo universal spacio infinito la nostra terra versa circa questa regione et occupa questa parte, nel me­desimo gli altri astri occupano le sue parti e versano circa le sue regioni ne l’immenso campo. Ove come questa terra costa di suoi membri, ha le sue alterazioni et ha flus­so e reflusso nelle sue parti (come accader veggiamo ne gli animali, umori e parti, le quali sono in continua altera­zione e moto), cossì gli altri astri costano di suoi simil­mente affetti membri. E sì come questo naturalmente si movendo secondo tutta la machina, non ha moto se non simile al circulare, con cui se svolge circa il proprio cen­tro e discorre intorno al sole: cossì necessariamente quel­li altri corpi che sono di medesima natura. E non al­trimente le parti sole di quelli, che per alcuni accidenti sono allontanate dal suo loco (le quali però non denno es­ser stimate parti principali o membri), naturalmente con proprio appulso vi ritornano: che parti de l’arida et ac­qua, che per azzion del sole e de la terra s’erano in forma d’exalazione e vapore allontanate verso membri e regio­ni superiori di questo corpo, avendono riacquistata la propria forma, vi ritornano. E cossì quelle parti oltre cer­to termine non si discostano dal suo continente, come queste: come sarà manifesto quando vedremo la materia de le comete non appartenere a questo globo. Cossì dumque come le parti di un animale, benché sieno di me­desima specie con le parti di un altro animale, nulla di meno, per che appartegnono a diversi individui, giamai quelle di questi (parlo de le principali e lontane) hanno inclinazione al loco di quelle de gli altri: come non sarà mai la mia mano conveniente al tuo braccio, la tua testa al mio busto. Posti cotai fondamenti, diciamo veramente essere similitudine tra tutti gli astri, tra tutti gli mondi, e medesima raggione aver questa e le altre terre. Però non séguita che dove è questo mondo debbano essere tutti gli altri, dove è situata questa debbano essere situate l’altre: ma si può bene inferme che sicome questa consiste nel suo luogo, tutte l’altre consistano nel suo; come non è be­ne che questa si muova al luogo dell’altre, non è bene che l’altre si muovano al luogo di questa; come questa è diffe­rente in materia et altre circostanze individuali da quelle, quelle sieno differenti da questa. Cossì le parti di questo fuoco si muovono a questo fuoco come le parti di quello a quello; cossì le parti di questa terra a questa tutta, come le parti di quella terra a quella tutta. Cossì le parti di quella terra che chiamiamo luna, con le sue acqui, contra natura e violentemente si moverebono a questa, come si movere­bono le parti di questa a quella. Quella naturalmente versa nel suo loco, et ottiene la sua regione che è ivi; que­sta è naturalmente nella sua regione quivi: e cossì se rife­riscono, le parti sue a quella terra, come le sue a questa; cossì intendi de le parti di quelle acqui e di que’ fuochi. Il giù e loco inferiore di questa terra non è alcun punto del­la regione eterea fuori et extra di lei (come accade alle parti fatte fuori de la propria sfera, se questo aviene), ma è nel centro de la sua mole, o rotundità, o gravità; cossì il giù di quella terra non è alcun luogo extra di quella: ma è il suo proprio mezzo, il proprio suo centro. Il su di que­sta terra è tutto quel ch’è nella sua circumferenza et estra la sua circumferenza; però cossì violentemente le parti di quella si muoveno extra la sua circumferenza e natural­mente s’accoglieno verso il suo centro, come le parti di questa violentemente si diparteno e naturalmente torna­no verso il proprio mezzo. Ecco come si prende la vera si­militudine tra questa e quell’altre terre.

ELPINO Molto ben dite che sicome è cosa inconve­niente et impossibile che l’uno di questi animali si muo­va e dimore dove è l’altro, e non abbia la propria sussi­stenza individuale con il proprio loco e circostanze; cossì è inconvenientissimo che le parti di questo abbia­no inclinazione e moto attuale al luogo de le parti di quello.

FILOTEO Intendete bene de le parti che son vera­mente parti: per che quanto appartiene ali primi corpi indivisibili, de quali originalmente è composto il tutto, è da credere che per l’immenso spacio hanno certa vicissi­tudine, con cui altrove influiscano, et effluiscano altron­de. E questi se pur per providenza divina secondo l’at­to non constituiscano nuovi corpi e dissolvano gli antichi, al meno hanno tal facultà: per che veramente gli corpi mondani sono dissolubili; ma può essere che o da virtù intrinseca o estrinseca sieno eternamente persi­stenti medesimi, per aver tale e tanto influsso, quale e quanto hanno efflusso di atomi; e cossì perseverino medesimi in numero, come noi, che nella sustanza corporale similmente giorno per giorno, ora per ora, mo­mento per momento, ne rinuoviamo per l’attrazzione e digestione che facciamo da tutte le parti del corpo.

ELPIN0 Di questo ne parlaremo altre volte. Quanto al presente mi satisfate molto ancora per quel ch’avete notato, che cossì ogn’altra terra s’intenderebe violente­mente montare a questa, se si movesse a questo loco, co­me questa violentemente montarebbe, se a qualsivoglia di quelle si movesse: perché come da ogni parte di questa terra verso la circonferenza o ultima superficie, e verso l’orizonte emisferico dell’etere andando, si procede co­me in alto; cossì da ogni parte della superfice de altre ter­re verso questa se intende ascenso: atteso che cossì questa terra è circonferenziale a quelle come quelle a questa. Approvo che benché quelle terre sieno di medesima na­tura con questa, non per ciò séguite che si referiscano ad medesimo centro a fatto: perché cossì il centro d’un’altra terra non è centro di questa, e la circonferenza sua non è circonferenza di costei, come l’anima mia non è vostra, la gravità mia e di mie parti non è corpo e gravità vostra; benché tutti cotai corpi, gravitadi et anime univocamente si dicano e sieno di medesima specie.

FIL0TEO Bene; ma non per questo vorrei che v’ima­ginaste che se le parti di quella terra appropinquassero a questa terra, non sarebbe possibile che medesimamente avessero appulso a questo continente, come se le parti di questa s’avicinassero a quella: benché ordinariamente il simile non veggiamo accadere ne gli animali e diversi in­dividui de le specie di questi corpi, se non quanto che l’uno si nutrisce et aumenta per l’altro, e l’uno si trasmu­ta ne l’altro.

ELPINO Sta bene; ma che dirrai se tutta quella sfera fusse tanto vicina a questa, quanto accade che da lei s’al­lontanino le sue parti, che hanno attitudine di rivenire al suo continente?

FILOTEO Posto che le parti notabili de la terra si fac­ciano fuori de la circonferenza de la terra, circa la quale è detto esser l’aria puro e terso, facilmente concedo che da quel loco possano rivenir cotai parti come natural­mente al suo loco: ma non già venir tutta un’altra sfera, né naturalmente descendere le parti di quella, ma più tosto violentemente ascendere; come le parti di questa non naturalmente descenderebono a quella, ma per vio­lenza ascenderebono: perché a tutti gli mondi l’estrinse­co della sua circonferenza è il su, e l’intrinseco centro è il giù; e la raggione del mezzo a cui le loro parti natu­ralmente tendeno, non si toglie da fuori, ma da dentro di quelli: come hanno ignorato coloro, che fingendo certa margine e vanamente definendo l’universo, han­no stimato medesimo il mezzo e centro del mondo e di questa terra. Del che il contrario è conchiuso, famoso e concesso appresso gli matematici di nostri tempi, che hanno trovato che dall’imaginata circonferenza del mondo non è equidistante il centro de la terra lascio gli altri più savi che avendo capito il moto de la terra, hanno trovato non solamente per raggioni proprie alla lor arte, ma etiam per qualche raggion naturale: che del mondo et universo che col senso de gli occhi possiamo comprendere, più raggionevolmente, e senza incorrere inconvenienti, e con formar teoria più accomodata e giusta, applicabile al moto più regolare de gli detti erro­ri circa il mezzo, doviamo intendere la terra essere tanto lontana dal mezzo quanto dal sole. Onde facilmente con gli loro principii medesimi han modo di scuoprir a poco a poco la vanità di quel che si dice della gravità di questo corpo, e differenza di questo loco da gli altri, dell’equidistanza di mondi innumerabili che veggiamo da questo oltre gli detti pianeti, del rapidissimo moto più tosto di tutti quei circa quest’uno, che della versione di quest’uno a l’aspetto di que’ tutti; e potranno dovenir suspetti al meno sopra altri sollennissimi inconvenien­ti, che son suppositi nella volgar filosofia. Or per ve­nire al proposito onde siamo partiti, torno a dire che né tutto l’uno né parte de l’uno sarrebe atto a muoversi ver­so il mezzo de l’altro, quantumque un altro astro fusse vicinissimo a questo di sorte che il spacio o punto della circonferenza di quello si toccasse col punto o spacio della circonferenza di questo.

ELPINO Di questo il contrario ha disposto la provi­da natura, perché se ciò fusse, un corpo contrario de­struggerebe l’altro: il freddo et umido s’ucciderebono col caldo e secco; de quali però a certa e conveniente di­stanza disposti, l’uno vive e vegeta per l’altro. Oltre, un corpo simile impedirebe l’altro dalla comunicazione e partecipaziòne del conveniente che dona al dissimile, e dal dissimile riceve; come ne dechiarano tal volta non mediocri danni ch’alla fragilità nostra apportano le in­terposizioni di un’altra terra, che chiamiamo luna, tra questa et il sole: or che sarrebe se la fusse più vicina al-la terra, e più notabilmente a lungo ne privasse di quel caldo e vital lume?

FILOTEO Dite bene; seguitate ora il proposito d’Ari­stotele.

ELPINO Apporta appresso una finta risposta: la qua­le dice che per questa raggione un corpo non si muove a l’altro, perché quanto è rimosso da l’altro per distanza locale, tanto viene ad essere di natura diverso: e contra questo dice lui che la distanza maggiore e minore non è potente a far che la natura sia altra et altra.

FILOTEO Questo, inteso come si deve intendere, è verissimo: ma noi abbiamo altro modo di rispondere, et apportiamo altra raggione per cui una terra non si muo­va a l’altra, o vicina o lontana che la sia.

ELPINO La ho intesa; ma pur mi par oltre vero quel­lo che è da credere che volesser dir gli antichi, che un corpo per maggior lontananza acquista minor attitudine (che loro chiamorno proprietà e natura per il lor fre­quente modo di parlare): perché le parti alle quali è sog­getto molto aria, son meno potenti a dividere il mezzo e venire al basso.

FILOTEO È certo et assai espenimentato nelle parti de la terra, che da certo termine del loro recesso e lon­tananza ritornar sogliono al suo continente: a cui tanto più s’affrettano, quanto più s’avicinano; ma noi parlia­mo ora delle parti d’un’altra terra.

ELPINO Or essendo simile terra a terra, parte a par­te, che credi, se fussero vicine? non sarrebe ugual poten­za tanto alle parti de l’altra di andar a l’una e l’altra ter­ra, e per consequenza ascendere e descendere?

FILOTEO Posto uno inconveniente (se è inconve­niente), che impedisce che se ne pona un altro conse­quente? Ma lasciando questo, dico che le parti essendo in equal raggione e distanza di diverse terre, o rimagno­no o, se determinando un loco a cui vadano, a rispetto di quello si diranno descendere, et ascendere a rispetto de l’altro da cui s’allontanano,

ELPINO Pure chi sa che le parti di un corpo princi­pale si muovano ad un altro corpo principale, benché si­mile in specie? perché appare che le parti e membri di un uomo non possono quadrare e convenire ad un al­tr’uomo.

FILOTEO È vero principale e primariamente, ma ac­cessoria e secondariamente accade il contrario: per che abbiamo visto per esperienza che della carne d’un altro s’attacca al loco ove era un naso di costui; e ne con­fidiamo di far succedere l’orecchio d’un altro ove era l’orecchio di costui, facilissimamente.

ELPINO Questa chirugia non dev’esser volgare.

FILOTEO Non sia.

ELPINO Torno al punto di voler sapere, se accadesse che una pietra fusse in mezzo a l’aria in punto equidi­stante da due terre: in che modo doviamo credere che rimanesse fissa; et in che modo si determinarebbe ad an­dar più presto all’uno ch’all’altro continente?

FILOTEO Dico che la pietra per la sua figura non riguardando più l’uno che l’altro, e l’uno e l’altro avendo equal relazione alla pietra, et essendo a punto medesi­mamente affetti a quella, dal dubio della resoluzione et equal raggione a doi termini oppositi, accaderebe che si rimagna: non potendosi risolvere d’andar più tosto a l’uno ch’a l’altro, de quali questo non rapisce più che quello, et essa non ha maggior appulso a questo che a quello. Ma se l’uno gli è più congeneo e connaturale, e gli è più o simile o atto a conservarla, se determinarà per i più corto camino rettamente di rapportarsi a quel­lo; per [che] lo principal principio motivo non è la propria sfera e proprio continente, ma l’appetito di con­servarsi: come veggiamo la fiamma serpere per la terra, et inchinarsi e ramemarsi’9 al basso per andare al più vi­cino loco in cui inescare e nodrirsi possa; e lasciarà d’andar verso il sole al quale, senza discrime d’intiepi­dirse per il camino, non se inària.

ELPINO Che dici di quel che soggionge Aristotele, che le parti e congenei corpi, quantumque distanti sie­no, si muoveno pure al suo tutto e suo consimile?

FILOTEO Chi non vede che è contra ogni raggione e senso, considerato quel ch’abbiamo poco fa detto? Cer­to le parti fuor del proprio globo si muoveranno al pro­pinquo simile, ancor che quello non sia il suo primario e principal continente; e talvolta a altro che lo conserve e nodrisca, benché non simile in specie: perché il princi­pio intrinseco impulsivo non procede dalla relazione ch’abbia a loco determinato, certo punto e propria sfe­ra, ma da l’appulso naturale di cercar ove meglio e più prontamente ha da mantenersi e conservarsi nell’esser presente; il quale (quantumque ignobil sia) tutte le co­se naturalmente desiderano; come massime desiderano vivere quegli uomini, e massime temeno il morire colo­ro, che non han lume di filosofia vera, e non apprende­no altro essere ch’il presente, e pensano che non possa succedere altro che appartegna a essi. Perché non son pervenuti ad intendere che il principio vitale non consi­ste ne gli accidenti che resultano dalla composizione: ma in individua et indissolubile sustanza, nella quale se non è perturbazione, non conviene desiderio di conservarsi, né timore di sperdersi; ma questo è conveniente a gli composti, come composti, cioè secondo raggione simmetrica, complessionale, accidentale: perché né la spir­itual sustanza che s’intende unire, né la materiale che s’intende unita, possono esser suggette ad alterazione alcuna o passione: e per consequenza non cercano di conservarsi, e però a tai sustanze non convien moto al­cuno, ma a le composte. Tal dottrina sarà compresa quando si saprà ch’esser grave o lieve non conviene a’ mondi, né a parte di quelli; per che queste differenze non sono naturalmente, ma positiva e respettivamente. Oltre, da quel ch’abbiamo altre volte considerato, cioè che l’universo non ha margine, non ha estremo, ma è in­menso et infinito, aviene che a gli corpi principali a ri­guardo di qualche mezzo o estremo, non possono deter­minarsi a moversi rettamente, perché da tutti canti fuor della sua circumferenza hanno ugual e medesimo rispet­to: però non hanno altro moto retto che di proprie parti, non a riguardo d’altro mezzo e centro, che del proprio intiero, continente e perfetto. Ma di questo conside­rarò al suo proposito e loco. Venendo dumque al punto: dico che secondo gli suoi medesimi principii, non potrà verificar questo filosofo che corpo quantumque lontano abbia attitudine di rivenire al suo continente o simile; se lui intende le comete di materia terrestre, et tal mate­ria, quale in forma di exalazione è montata in alto all’incentiva region del foco, le quali parti sono inetti a descendere al basso, ma rapite dal vigor del primo mo­bile, circuiscono la terra; e pure non sono di quinta es­senza, ma corpi terrestri gravissimi, spessi e densi, come chiaro si argumenta da l’apparenza in sì lungo in­tervallo e lunga resistenza che fanno al grave e vigoroso incendio del foco: che tal volta perseverano oltre un me­se a bruggiare: come per quarantacinque giorni continui a tempi nostri n’è vista una. Or se per la distanza non si destrugge la raggion della gravità, per che caggione tal corpo non solo non viene al basso né si sta fermo, ma ol­tre circuisce la terra? Se dice che non circuisce per sé, ma per esser rapito: insisterò oltre che cossì anco ciascu­no di suoi cieli et astri (li quali non vuol che sieno gravi, né lievi, né di simil materia) son rapiti; lascio che il moto di questi corpi par proprio a essi perché non è mai conforme al diurno, né a quei d’altri astri. La raggione è ottima per convencer costoro da suoi medesimi princi­pii; perché della verità della natura di comete, ne parlaremo facendo propria considerazione di quelle: dove mostraremo e che tali accensioni non son dalla sfera del foco, perché verrebono da ogni parte accese; atteso che secondo tutta la circunferenza o superficie de la sua mo­le sono contenute nell’aria attrito dal caldo, come essi dicono, o pur sfera del fuoco: ma sempre vedemo l’ac­censione essere da una parte; conchiuderemo le dette comete esser specie di astro, come bene dissero et inte­sero gli antichi, et essere tale astro che col proprio moto avicinandosi et allontanandosi verso e da questo astro, per raggione di accesso e recesso, prima par che cresca come si accendesse, et poi manca come s’estinguesse: e non si muove circa la terra; ma il suo moto proprio è quello che è oltre il diurno proprio alla terra, la quale ri­volgendosi con il proprio dorso, viene a fare orienti et occidenti tutti que’ lumi che sono fuor della sua circon­ferenza. E non è possibile che quel corpo terrestre e sì grande possa da sì liquido aere e sottil corpo, che non resiste al tutto, esser rapito, e mantenuto contra sua na­tura suspeso; il cui moto se fusse vero, sarrebe solamen­te conforme a quel del primo mobile dal quale è rapito, e non imitarebe il moto di pianeti; onde ora è giudicato di natura di Mercurio, ora della luna, ora di Saturno, or de gli altri: ma e di questo altre volte a suo proposito si parlarà. Basta ora averne detto sin tanto che baste per argumento contra costui, che dalla propinquità e lonta­nanza non vuole che s’inferisca maggior e minor facultà del moto che lui chiama proprio e naturale: contra la verità, la quale non permette possa dirse proprio e natu­rale ad un suggetto in tal disposizione, nella quale mai spiritual sustanza che s’intende unire, né la materiale che s’intende unita, possono esser suggette ad alterazione alcuna o passione: e per consequenza non cercano di conservarsi, e però a tai sustanze non convien moto al­cuno, ma a le composte. Tal dottrina sarà compresa quando si saprà ch’esser grave o lieve non conviene a’ mondi, né a parte di quelli; per che queste differenze non sono naturalmente, ma positiva e respettivamente. Oltre, da quel ch’abbiamo altre volte considerato, cioè che l’universo non ha margine, non ha estremo, ma è in­menso et infinito, aviene che a gli corpi principali a ri­guardo di qualche mezzo o estremo, non possono deter­minarsi a moversi rettamente, perché da tutti canti fuor della sua circumferenza hanno ugual e medesimo rispet­to: però non hanno altro moto retto che di proprie parti, non a riguardo d’altro mezzo e centro, che del proprio intiero, continente e perfetto. Ma di questo conside­rarò al suo proposito e loco. Venendo dumque al punto: dico che secondo gli suoi medesimi principii, non potrà verificar questo filosofo che corpo quantumque lontano abbia attitudine di rivenire al suo continente o simile; se lui intende le comete di materia terrestre, et tal mate­ria, quale in forma di exalazione è montata in alto all’incentiva region del foco, le quali parti sono inetti a descendere al basso, ma rapite dal vigor del primo mo­bile, circuiscono la terra; e pure non sono di quinta es­senza, ma corpi terrestri gravissimi, spessi e densi, come chiaro si argumenta da l’apparenza in sì lungo in­tervallo e lunga resistenza che fanno al grave e vigoroso incendio del foco: che tal volta perseverano oltre un me­se a bruggiare: come per quarantacinque giorni continui a tempi nostri n’è vista una. Or se per la distanza non si destrugge la raggion della gravità, per che caggione tal corpo non solo non viene al basso né si sta fermo, ma ol­tre circuisce la terra? Se dice che non circuisce per sé, ma per esser rapito: insisterò oltre che cossì anco ciascuno di suoi cieli et astri (li quali non vuol che sieno gravi, né lievi, né di simil materia) son rapiti; lascio che il moto di questi corpi par proprio a essi perché non è mai conforme al diurno, nè a quei d’altri astri. La raggione è ottima per convencer costoro da suoi medesimi princi­pii; perché della verità della natura di comete, ne parlaremo facendo propria considerazione di quelle: dove mostraremo e che tali accensioni non son dalla sfera del foco, perché verrebono da ogni parte accese; atteso che secondo tutta la circunferenza o superficie de la sua mo­le sono contenute nell’aria attrito dal caldo, come essi dicono, o pur sfera del fuoco: ma sempre vedemo l’ac­censione essere da una parte; conchiuderemo le dette comete esser specie di astro, come bene dissero et inte­sero gli antichi, et essere tale astro che col proprio moto avicinandosi et allontanandosi verso e da questo astro, per raggione di accesso e recesso, prima par che cresca come si accendesse, et poi manca come s’estinguesse: e non si muove circa la terra; ma il suo moto proprio è quello che è oltre il diurno proprio alla terra, la quale ri­volgendosi con il proprio dorso, viene a fare orienti et occidenti tutti que’ lumi che sono fuor della sua circon­ferenza. E non è possibile che quel corpo terrestre e sì grande possa da sì liquido aere e sottil corpo, che non resiste al tutto, esser rapito, e mantenuto contra sua na­tura suspeso; il cui moto se fusse vero, sarrebe solamen­te conforme a quel del primo mobile dal quale è rapito, e non imitarebe il moto di pianeti; onde ora è giudicato di natura di Mercurio, ora della luna, ora di Saturno, or de gli altri: ma e di questo altre volte a suo proposito si parlarà. Basta ora averne detto sin tanto che baste per argumento contra costui, che dalla propinquità e lonta­nanza non vuole che s’inferisca maggior e minor facultà del moto che lui chiama proprio e naturale: contra la verità, la quale non permette possa dirse proprio e natu­rale ad un suggetto in tal disposizione, nella quale mai gli può convenire; e però se le parti da oltre certa distan­za mai se muoveno al continente, non si deve dire che tal moto sia naturale a quelle.

ELPINO Ben conosce chi ben considera che costui avea principii tutti contrarii ali principii veri della natu­ra. Replica appresso che, se il moto di corpi semplici è naturale a essi, averrà che gli corpi semplici che sono in molti mondi, e sono di medesima specie, si muovano o al medesimo mezzo o al medesimo estremo.

FILOTEO Questo è quello che lui non potrà giamai provare, cioè che si debbano muovere al medesimo loco particulare et individuale: perché da quel che gli corpi son di medesima specie s’inferisce che a quelli si conve­gna luogo di medesima specie e mezzo de medesima specie, ch’è il centro proprio; e non si deve né può infe­rire che richiedano loco medesimo di numero.

ELPINO È stato lui alcunamente presago di questa risposta, e però da tutto il suo vano sforzo caccia questo, che vuol provare la differenza numerale non esser causa della diversità de luoghi.

FILOTEO Generalmente veggiamo tutto il contrario; pur dite, come il prova?

ELPINO Dice che se la diversità numerale di corpi dovesse esser caggione della diversità di luoghi, bisogna­rebbe che delle parti di questa terra diverse in numero e gravità, ciascuna nel medesimo mondo avesse il proprio mezzo; il che è impossibile et inconveniente: atteso che secondo il numero de gl’individui de parti de la terra sarrebe il numero de mezzi.

FILOTEO Or considerate che mendica persuasione è questa. Considerate se per tanto vi potrete mover pun­to dalla opinion contraria, o più tosto confirmarvi in quella. Chi dubita che non sia inconveniente dire uno essere il mezzo di tutta la mole, e del corpo et animale intiero, a cui e verso cui si referiscono, accoglieno, e per cui si uniscano et hanno base tutte le parti; e posserno essere positivamente innumerabili mezzi: secondo che della innumerabile moltitudine de le parti, in ciascuna possiamo cercare o prendere o supponere il mezzo? Nell’uomo uno è semplicemente il mezzo, che si dice il core; e poi molti sono altri mezzi, secondo la moltitudi­ne de le parti, de quali il core ha il suo mezzo, il pulmo­ne il suo, l’epate il suo, il capo, il braccio, la mano, il pie­de, questo osso, questa vena, questo articolo e queste particelle che constituiscono cotai membri et hanno par­ticular e determinato sito, tanto nel primo e generale ch’è tutto individuo, quanto nel prossimo e particular ch’è tutto questo o quell’altro membro de l’individuo.

ELPINO Considerate che lui si può intendere che non voglie dir semplicemente, per che ciascuna parte abbia il mezzo; ma che abbia il mezzo a cui si muova.

FILOTEO Al fine tutto va ad uno: perché nell’anima­le non si richiede che tutte le parti vadano al mezzo e centro; perché questo è impossibile et inconveniente:

ma che si referiscano a quello per la unione de le parti e constituzion del tutto; perché la vita e consistenza delle cose dividue non si vede in altro che nella debita unione de le parti, le quali sempre s’intendeno aver quel termi­ne che medesimo si prende per mezzo e centro. Però per la constituzion del tutto intiero, le parti si riferisco­no ad un sol mezzo; per la constituzion di ciascun mem­bro, le particole di ciascuno si referiscono al mezzo particular di ciascuno, a fin che l’epate consista per l’union de le sue parti: cossì il pulmone, il capo, l’ore­chio, l’ochio et altri. Ecco dumque come non solamente non è inconveniente, ma naturalissimo, e che sieno mol­ti mezzi secondo la raggione di molte parti e particole de le parti, se gli piace; perché di questi l’uno è constituito, sussistente e consistente per la consistenza, sussistenza e constituzione de l’altri. Certo si sdegna l’intelletto su le considerazioni sopra frascarie tali, quali apporta que­sto filosofo.

ELPINO Questo si deve patire per la riputazione ch’ha guadagnato costui, più per non essere inteso che per altro. Ma pur di grazia considerate un poco quanto questo galant’uomo si compiacque in questo argumen­taccio; vedete che quasi trionfando soggionge queste pa­roli: «Se dumque il contradicente non potrà contradire a questi sermoni e raggioni, necessariamente è un mezzo et uno orizonte».

FILOTEO Dice molto bene; seguitate.

ELPINO Appresso prova che gli moti semplici son fi­niti e determinati; perché quel che disse, che il mondo è uno e gli moti semplici hanno proprio loco, era fondato sopra di questo. Dice dumque cossì: «Ogni mobile si muove da un certo termine ad un certo termine: e sempre è differenza specifica tra il termino onde et il termino ove, essendo ogni mutazion finita; tali sono morbo e sa­nità, picciolezza grandezza, qua llà; per che quel che si sa­na non tende ove si voglia, ma alla sanità. Non son dum­que il moto della terra e del foco in infinito, ma a certi termini diversi da que’ luoghi da quai si muoveno; perché il moto ad alto non è moto al basso: e questi doi luoghi son gli orizonti de moti. Ecco come è determinato il moto retto. Non meno determinato è il moto circulare; perché da certo a certo termine, da contrario a contrario, è ancor quello: se vogliamo considerar la diversità del moto, la quale è nel diametro del circolo; perché il moto di tutto il circolo a fatto non ha contrario (perché non si termina ad altro punto che a quello da cui cominciò), ma nelle parti della revoluzione, quando questa è presa da uno estremo del diametro all’altro opposito».

FILOTEO Questo, che il moto è determinato e finito secondo tali raggioni, non è chi lo neghi o ne dubiti: ma è falso che sia semplicemente determinato alto e deter­minato basso, come altre volte abbiamo detto e provato; perché indifferentemente ogni cosa si muove o qua o là, ovumque sia il luogo della sua conservazione. E diciamo (ancor supponendo gli principii d’Aristotele et altri si­mili) che se infra la terra fusse altro corpo, le parti della terra violentemente vi rimarrebono, et indi naturalmen­te montarebono; e non negarà Aristotele che se le par­ti dei fuoco fussero sopra la sua sfera (come, per essem­pio, ove intendeno il cielo o cupola di Mercurio), descenderebono naturalmente. Vedete dumque quanto bene naturalmente determinino su e giù, grave e lieve, dopo ch’arrete considerato che tutti corpi, ovumque sieno e dovumque si muovano, ritegnono e cercano al possibile il loco della conservazione. Tuttavia, quantum­que sia vero che ogni cosa si muove per gli suoi mezzi, da suoi et a suoi termini, et ogni moto, o circulare o ret­to, è determinato da opposito in opposito, da questo non séguita che l’universo sia finito di grandezza, né che il mondo sia uno; e non si distrugge che sia infinito il moto semplicemente di qualsivoglia atto particolare, per cui quel spirto (come vogliam dire) che fa et incorre a questa composizione, unione e vivificazione, può essere e sarà sempre in altre et altre infinite. Può dumque stare che ogni moto sia finito (parlando del moto pre­sente, non absoluta e semplicemente di ciascun particu­lare, et in tutto) e che infiniti mondi sieno: atteso che co­me ciascuno de gl’infiniti mondi è finito et ha regione finita, cossì a ciascuno di quei convegnono prescritti ter­mini del moto suo e de sue parti.

ELPINO Voi dite bene; e con questo, senza che sé­guite inconveniente alcuno contra di noi, né cosa che sia in favor di quelle che lui vuoi provare, è apportato quel segno che lui soggionge a mostrar che «il moto non sia in infinito, per che la terra et il fuoco quanto più s’acco­stano alla sua sfera, tanto più velocemente si muoveno; e però se il moto fusse in infinito, la velocità, levità e gra­vità verrebe ad essere in infinito».

FILOTEO Buon prò li faccia.

FRACASTORIO Sì: ma questo mi par il gioco de le ba­gattelle; per che se gli atomi hanno moto infinito per la succession locale che a tempi a tempi fanno, or aven­do effiusso da questo, or influsso in quello, or giungen­dosi a questa, or a quella composizione, or concorrendo in questa, or in quella figurazione per il spacio inmenso dell’universo: verranno per certo ad avere infinito moto locale, discorrere per infinito spacio e concorrere ad in­finite alterazioni; per questo non séguita ch’abbiano in-finita gravità, levità o velocità.

FILOTEO Lasciamo da parte il moto delle prime parti et elementi; e consideriamo solamente de le parti prossi­me e determinate a certa specie di ente, cioè di sustanza: come de le parti de la terra, che son pur terra. Di queste veramente si dice che in quei mondi che sono, et in quelle regioni dove versano, in quella forma che ottegnono, non si muoveno se non da certo a cèrto termine. E da questo non più séguita questa conclusione: «dumque l’universo è finito, et il mondo è uno», che quest’altra: «dumque le scimie nascono senza coda; dumque i gufi veggono la not­te senza occhiali; dumque [i] pipistrelli fanne lana». Oltre (di queste parti intendendo) giamai si potrà far tale illazione: l’universo è infinito, son terre infinite, dumque puotrà una parte di terra continuamente muoversi in infi­nito, e deve aver ad una terra infinitamente distante ap­pulso infinito e gravità infinita. E questo per due cag­gioni, de quali: l’una è che non si può dar questo transito; perché constando l’universo di corpi e principii contrarii, non potrebbe tal parte molto discorrere per l’eterea regione, che non venesse ad esser vinta dal contra­rio, e dovenir a tale che non più si muova quella terra, perché quella sustanza non è più terra: avendo per vittoria del contrario cangiato complessione e volto. L’altra, che generalmente veggiamo che tanto manca che mai da di­stanza infinita possa esser impeto di gravità o levità, come dicono, che tal appulso de parti non può essere se non infra la regione del proprio le quali se fussero estra quella, non più vi si muoverebono, che gli fluidi umori (quali ne l’animale si muoveno da parti esterne all’interne, superiori et inferiori, secondo tutte differen­ze, montando e bassando, rimovendosi da questa a quella e da quella a questa parte), messi fuori del proprio conti­nente, ancor contigui a quello, perdeno tal forza et appul­so naturale. Vale dumque per tanto spacio tal relazione, quanto vien misurato per il semediametro dal centro di tal particular regione alla sua circonferenza; dove circa que­sta è la minima gravità, e circa quello la massima; e nel mezzo, secondo gli gradi della propinquità circa l’uno o l’altra, la viene ad esser maggior e minore: come appare nella presente demostrazione, in cui A significa il centro de la regione, dove (parlando comunmente) la pietra non è grave né lieve; B significa la circonferenza della regione, dove parimente non sarà grave nè lieve, e rimarrà quieta (onde appare ancora la coincidenza del massimo e mini­mo quale è dimostrata in fine del libro De principio, causa et uno); 1, 2,3,4,5, 6, 7, 8, 9, significano le differenze di spacii tramezanti:

B     9 né grave, né lieve.

8 minimo grave, levissimo.

7 assai men grave, assai più lieve.

6 meno grave, più lieve.

5 grave, lieve.

4 più grave, men lieve.

3 assai più grave, assai men lieve.

2 gravissimo, minimo lieve.

A     1 né grave, né lieve.

Or vedete oltre quanto manca ch’una terra debba muo­versi a l’altra: che anco le parti di ciascuna, messe fuor della propria circonferenza, non hanno tale appulso.

ELPINO Volete che sia determinata questa circonfe­renza?

FILOTEO Sì, quanto alla massima gravità che potesse esser nella massima parte; o se pur ti piace (perché tutto il globo non è grave né lieve), in tutta la terra: ma quan­to alle differenze mezzane de gravi e lievi, dico che si denno prendere tanto diverse differenze, quanto diversi possono essere gli pondi di diverse parti che son com­prese tra il massimo e minimo grave.

ELPINO Discretamente dumque si deve intendere questa scala.

FILOTEO Ogni uno ch’ha ingegno potrà da per sé intendere il come. Or quanto alle referite raggioni d’Aristotele, assai è detto: veggiamo adesso se oltre nelle se­guenti apporta qualche cosa.

ELPINO Di grazia contentatevi che di questo ne parliamo nel seguente giorno; perché sono aspettato dall’Albertino, che è disposto di venir qua a ritrovarvi domani: dal qual credo che potrete udir tutte le più ga­gliarde raggioni che per l’opinion contraria possono apportarsi, per esser egli assai prattico nella commune fi­losofia.

FILOTEO Sia con vostra commodità.