Argomenti dei dialoghi

Argomenti dei dialoghi

ARGOMENTO DEL PRIMO DIALOGO

Onde vedrete nel primo dialogo proposti in campo doi suggetti con la raggion di nomi loro, se la vorrete capire; secondo, in grazia loro, celebrata la scala dei numero binario; terzo, apportate le condizioni lodabili della ritrovata e riparata filosofia; quarto, mostrato di quante lodi sia capace il Copernico; quinto, positivi avanti gli frutti de la nolana filosofia, con la differenza tra questo e gli altro modi di filosofare.

ARGOMENTO DEL SECONDO DIALOGO

Vedrete nel secondo dialogo: prima la causa originale de la cena; secondo, una descrizion di passi e di passaggi, che più poetica e tropologica, forse, che istoriale sarà da tutti giudicata; terzo, come confusamente si precipita in una topografia morale, dove par che, con gli occhi di Linceo quinci e quindi guardando (non troppo fermandosi) cosa per cosa, mentre fa il suo camino, oltre che contempla le gran machine, mi par che non sia minuzzaria, né petruccia, né sassetto, che non vi vada ad intoppare. Ed in ciò fa giusto com’un pittore; al qual non basta far il semplice ritratto de l’istoria; ma anco, per empir il quadro, e conformarsi con l’arte a la natura, vi depinge de le pietre, di monti, de gli arbori, di fonti, di fiumi, di colline; e vi fa veder qua un regio palaggio, ivi una selva, là un straccio di cielo, in quel canto un mezo sol che nasce, e da passo in passo un ucello, un porco, un cervio, un asino, un cavallo; mentre basta di questo far veder una testa, di quello un corno, de l’altro un quarto di dietro, di costui l’orecchie, di colui l’intiera descrizione; questo con un gesto ed una mina, che non tiene quello e quell’altro, di sorte che con maggior satisfazione di chi remira e giudica viene ad istoriar, come dicono, la figura. Cossì, al proposito, leggete e vedrete quel che voglio dire. Ultimo, si conclude quel benedetto dialogo con l’esser gionto a la stanza, essere graziosamente accolto e cerimoniosamente assiso a tavola.

ARGOMENTO DEL TERZO DIALOGO

Vedrete il terzo dialogo, secondo il numero de le proposte del dottor Nundinio, diviso in cinque parti. De quali la prima versa circa la necessitá de l’una e de l’altra lingua. La seconda esplica l’intenzione dei Copernico, dona risoluzione d’un dubio importantissimo circa le fenomie celesti, mostra la vanità del studio di perspettivi ed optici circa la determinazione della quantità di corpi luminosi, e porge circa questo nuova, risoluta e certissima dottrina. La terza mostra il modo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinita la mole de l’universo, e che invano si cerca il centro o la circonferenza del mondo universale, come fusse un de’ corpi particulari. La quarta afferma esser conformi in materia questo mondo nostro, ch’è detto globo della terra, con gli mondi, che son gli corpi degli altri astri; e che è cosa da fanciulli aver creduto, e credere, altrimente; e che quei son tanti animali intellettuali; e che non meno in quelli vegetano ed intendono molti ed innumerabili individui semplici e composti, che veggiamo vivere e vegetar nel dorso di questo. La quinta, per occasion d’un argomento ch’apportò Nundinio al fine, mostra la vanità di due grandi persuasioni, con le quali, e simili, Aristotele ed altri son stati acciecati sì, che non veddero esser vero e necessario il moto de la terra; e son stati sì impediti, che non han possuto credere quello esser possibile; il che facendosi, vengono discoperti molti secreti de la natura sin al presente occolti.

ARGOMENTO DEL QUARTO DIALOGO

Avete al principio del quarto dialogo mezzo per rispondere a tutte raggioni ed inconvenienti teologali, e per mostrar questa filosofia esser conforme alla vera teologia e degna d’esser faurita da le vere religioni. Nel resto vi se pone avanti uno, che non sapea né disputar, né dimandar a proposito il quale per essere più impudente ed arrogante pareva a gli più ignoranti più dotto ch’il dottor Nundinio; ma vedrete che non bastarebbono tutte le presse del mondo per cavar una stilla di succhio dal suo dire per prender materia da far dimandar Smitho, e rispondere il Teofilo; ma è a fatto soggetto de le spampanate di Prudenzio e di rovesci di Frulla. E certo mi rincresse che quella parte ve si trove.

ARGOMENTO DEL QUINTO DIALOGO

S’aggionge il quinto dialogo, vi giuro, non per altro rispetto, eccetto che per non conchìudere sì sterilmente la nostra cena. Ivi primamente s’apporta la convenientissima disposizione di corpi nell’eterea reggione, mostrando che quello, che si dice ottava sfera, Cielo de le fisse, non è si fattamente un cielo, che que’ corpi, ch’appaiono lucidi, siano equidistanti dal mezzo; ma che tali appaiono vicìni, che son distanti di longhezza e latitudine l’un da l’altro più che non possa essere l’uno e l’altro dal sole e da la terra. Secondo, che non sono sette erranti corpi solamente, per tal caggione che sette n’abbiamo compresi per tali; ma che, per la medesima raggione, sono altri innumerabili, quali da gli antichi e veri filosofi non senza causa son stati nomati aethera, che vuol dire corridori, perché essi son que’ corpi, che veramente si muovono, e non l’imaginate sfere. Terzo, che cotal modo procede da principio interno necessariamente, come da propria natura ed anima; con la qual verità si destruggono molti sogni, tanto circa il moto attivo della luna sopra l’acqui ed altre sorte d’umori, quanto circa l’altre cose naturali, che par che conoscano il principio de lor moto da efficiente esteriore. Quarto, determina contra que’ dubii, che procedeno con la stoltissima raggione della gravità e levità di corpi; e dimostra ogni moto naturale accostarsi al circolare, o circa il proprio centro, o circa qualch’altro mezzo. Quinto, fa vedere quanto sia necessario, che questa terra ed altri simili corpi si muovano non con una, ma con più differenze di moti; e che quelli non denno esser più, né meno di quattro semplici, benché concorrano in un composto; e dice quali siano questi moti ne la terra. Ultimo, promette di aggiongere per altri dialogi quel che par che manca al compimento di questa filosofia; e conchiude con una adiurazione di Prudenzio.

Restarete maravigliato, come con tanta brevità e sufficienza s’espediscano sì gran cose. Or qua, se vedrete talvolta certi men gravi propositi, che par che debbano temere di farsi innante alla superciliosa censura di Catone, non dubitate; perché questi Catoni saranno molto ciechi e pazzi, se non sapran scuoprir quel ch’è ascosto sotto questi Sileni. Se vi occoreno tanti e diversi propositi attaccati insieme, che non par che qua sia una scienza, ma dove sa di dialogo, dove di comedia, dove di tragedia, dove di poesia, dove d’oratoria; dove lauda, dove vitupera, dove dimostra ed insegna; dove ha or dei fisico, or del matematico, or del morale, or del logico; in conclusione, non è sorte di scienza, che non v’abbia di stracci. Considerate, Signore, che il dialogo è istoriale, dove, mentre si riferiscono l’occasioni, i moti, i passaggi, i rancontri, i gesti, gli affetti, i discorsi, le proposte, le risposte, i propositi ed i spropositi, remettendo tutto sotto il rigore del giudizio di que’ quattro, non è cosa, che non vi possa venir a proposito con qualche raggione. Considerate ancora, che non v’è parola ociosa; perché in tutte parti è da mietere e da disotterrar cose di non mediocre importanza, e forse più là dove meno appare. Quanto a quello che nella superficie si presenta, quelli che n’han donato occasione di far il dialogo, e forse una satira e comedia, han modo di dovenir più circonspetti, quando misurano gli uomini con quella verga, con la quale si misura il velluto, e con la lance di metalli bilanciano gli animi. Quelli, che sarrano spettatori o lettori, e che vedranno il modo, con cui altri son tocchi, hanno per farsi accorti ed imparar a l’altrui spese. Que’, che son feriti o punti, apriranno forse gli occhi; e vedendo la sua povertà, nudità, indignità, se non per amore, per vergogna almen si potran correggere o cuoprire, se non vogliono confessare. Se vi par il nostro Teofilo e Frulla troppo grave e rigidamente toccare il dorso d’alcuni suppositi, considerate, Signor, che questi animali non han sì tenero il cuoio; che se le scosse fussero a cento doppia maggiori, non le stimarebono punto o sentirebbono più che se fussero palpate’ d’una fanciulla. Né vorrei che mi stimate degno di riprensione per quel che sopra sì fatte inepzie e tanto indegno campo, che n’han porgiuto questi dottori, abbiamo voltito exaggerar sì gravi e sì degni propositi; perché son certo, che sappiate esser differenza da togliere una cosa per fondamento, e prenderla per occasione. I fondamenti invero denno esser proporzionati alla grandezza, condizione e nobiltà de l’edificio; ma le occasioni possono essere di tutte sorte, per tutti effetti; perché cose minime e sordide son semi di cose grande ed eccellenti, sciocchezze e pazzie sogliono provocar gran consegli, giudizii ed invenzioni. Lascio ch’è manifesto, che gli errori e delitti han molte volte porgiuta occasione a grandissime regole di giustizia e di bontade.

Se nel ritrare vi par che i colori non rispondano perfettamente al vivo, e gli delineamenti non vi parranno al tutto proprii, sappiate ch’il difetto è provenuto da questo, che il pittore non ha possuto essaminar il ritratto con que’ spacii e distanze, che soglion prendere i maestri de l’arte; perché, oltre che la tavola, o il campo era troppo vicino al volto e gli occhi, non si possea retirar un minimo passo a dietro, o discostar da l’uno e l’altro canto, senza timor di far quel salto, che feo il figlio del famoso defensor di Troia. Pur, tal qual è, prendete questo ritratto, ove son que’ doi, que’ cento, que’ mille, que’ tutti; atteso che non vi si manda per informarvi di quel che sapete, né per gionger acqua al rapido fiume del vostro giudizio ed ingegno; ma perché so, che secondo l’ordinario, benché conosciamo le cose più perfettamente al vivo, non sogliamo però dispreggiar il ritratto e la rapresentazion di quelle. Oltre che son certo, ch’il generoso animo vostro drizzarà l’occhio della considerazion più alla gratitudine dell’affetto con cui si dona, che al presente della mano che vi porge. Questo s’è drizzato a voi, che siete più vicino e vi mostrate più propizio e più favorevole al nostro Nolano, e però vi siete reso più degno supposito di nostri ossequi in questo clima, dove i mercanti senza conscienza e fede son facilmente Cresi, e gli virtuosi senz’oro non son difficilmente Diogeni. A voi, che con tanta munificenza e liberalità avete accolto il Nolano al vostro tetto e luogo più eminente di vostra casa; dove, se questo terreno, in vece che manda fuori mille torvi gigantoni, producesse altri tanti Alessandri Magni, vedreste più di cinquecento venir a corteggiar questo Diogene, il quale per grazia de le stelle non ave altro, che voi che gli venga a levar il sole, se pur (per non farlo più povero di quel cinico mascalzone) manda qualche diretto o reflesso raggio dentro quella buca, che sapete. A voi si consacra, che in questa Britannia rapresentate l’altezza di sì magnanimo, sì grande e sì potente Re, che dal generosissimo petto de l’Europa, con la voce de la sua fama fa rintronar gli estremi cardini de la terra; quello che, quando irato freme, come leon da l’alta spelonca, dona spaventi ed orror mortali a gli altri predatori potenti di queste scive, e quando si riposa e si quieta, manda tal vampo di liberale e di cortese amore, ch’infiamma il tropico vicino, scalda l’Orsa gelata, e dissolve il rigor de l’artico deserto, che sotto l’eterna custodia del fiero Boote si raggira. Vale.