BCE. POSITIVI GLI ESITI SUGLI STRESS TEST CONDOTTI DALL’EBA NELLE BANCHE EUROPEE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Autorità Bancaria Europea (EBA), ha eseguito gli stress test sui bilanci delle banche europee di fine esercizio 2016; l’Eurotower si è dichiarata soddisfatta dell’esito positivo di questi risultati, le banche hanno risposto bene a queste ‘sollecitazioni’.

Gli stress test rappresentano un fondamentale mezzo di controllo sulle capacità di tenuta dei maggiori istituti di credito europei; si considerano situazioni finanziarie avverse, ma  effettivamente, non hanno un alto grado di probabilità di verificarsi.

Le Autorità di vigilanza europee adottano questi metodi di analisi da anni, ormai. Lo stress test sui bilanci delle banche europee (relativi alla fine del 2016), hanno avuto il fine di accertare la tenuta delle banche in esame, dato che in prospettiva c’è, per i successivi 3 anni, un possibile aumento dei tassi d’interesse:  ci si aspetta infatti dalla Bce un cambiamento della politica monetaria (misure di tapering).

Se questo aumento dei tassi auspicato si verificasse – secondo le risultanze della Vigilanza – ciò avrebbe come conseguenza l’incremento del margine d’interesse, al quale seguirebbe un’altra reazione, che porterebbe in decremento il valore del capitale, ossia dell’equity.

Aumentando di 200 punti base i tassi, il margine d’interesse andrebbe ad aumentare del 4,1% nel corrente anno, del 10,5% entro il biennio 2018/19, anche se, come si è accennato, andrebbe in decremento il valore dell’equity, che sarebbe del 2,7% considerato a livello aggregato.

Con queste premesse, sostiene la Banca Centrale Europea, ci si aspetta che, in considerazione dei maggiori rischi, ogni singola banca chieda un capitale maggiore; si tratterebbe di una reazione comunque circoscritta, non sul piano globale.
Il metodo con cui si applicano gli esercizi di stress test, possono essere diversi e cambiare a seconda del paese ‘in esame’ con l’andare del tempo.

La procedura attuale riguardante i test è piuttosto rigorosa, sia perché è proiettata in un triennio, e dunque uno spazio temporale più ampio (per esempio rispetto a quelli seguiti dalle Autorità statunitensi), e sia per le caratteristiche concernenti i metodi applicati.
Gli stress test possono anche definire esigenze immediate d’incremento patrimoniale, ma sono risultati che vengono impiegati dalla Vigilanza per fini di ordinari processi di controllo e supervisione.

L’EBA – Autorità Bancaria Europea – si prefigge, con l’utilizzo di questi metodi, di verificare la stabilità del sistema finanziario europeo, e di regolare il funzionamento  e l’efficienza dei mercati finanziari, individuandone quindi le possibili vulnerabilità, i rischi e le tendenze.

Le funzioni dell’Eba, in ambito europeo, vengono svolte in collaborazione con il CERS, ossia Comitato Europeo per il Rischio Sistemico, i test ai quali le banche sono sottoposte, hanno il fine d’individuare le reali capacità degli istituti di credito di affrontare emergenze, comunque situazioni negative dei mercati.

Elaborando questi dati, l’Eba può prevenire condizioni di rischio e in ogni caso contribuire alla valutazione del rischio sistemico (finanziario) in ambito europeo.
Gli stress test seguono una procedura ‘bottom-up’, alla base vi sono metodiche e scenari analizzati tramite una stretta collaborazione con il CERS, oltre che con la Bce e la Commissione europea.

MOODY’S: L’ITALIA NON MERITA UNA PAGELLA PIU’ BRILLANTE..

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Agenzia Moody’s non si lascia condizionare dall’entusiasmo del momento, l’outlook sull’Italia è negativo e il rating non va oltre Baa2. Estrema prudenza nelle valutazioni, permangono considerazioni d’incertezza verso il futuro e le prossime elezioni politiche.

Secondo l’agenzia di rating, che non è mai stata di ‘manica larga’ nei confronti del bel paese, il futuro Governo, verosimilmente, potrebbe essere ‘un precario’ non in grado di assicurare la stabilità politica della quale il Paese ha estremo bisogno, per ingranare una marcia di crescita più decisa.

Ci dovrebbero essere garanzie precise per quel che concerne le scelte di politica economica coraggiosa espresse dall’attuale Governo, con un’incentivazione delle riforme strutturali, e il rafforzamento del settore bancario.
In sintonia con altri dati macro fondamentali per consolidare la crescita.

Moody’s riconosce tutti gli sforzi compiuti dal Governo negli ultimi quattro anni, ritiene buona anche la crescita dell’1,5% del Pil per l’anno in corso e il 2018, rivelatosi ‘oltre le aspettative’, sottolinea. Ma non basta: per una pagella più brillante, è necessario dimostrare impegno e risultati più convincenti, secondo l’Agenzia di rating.

Insomma, nessun voto d’incoraggiamento, il Paese dovrà dimostrare di meritarselo con coerenza e impegno nei prossimi anni, una volta avviata la nuova legislatura. Moody’s insiste sulla necessità di risanare i conti pubblici, il debito è molto alto, e proprio qui il prossimo Governo dimostrerà di sapere stare al timone.

Abbattere questo mostro che schiaccia l’economia deve diventare un imperativo, considerato che sottrae risorse fondamentali, anche a causa della ruota infernale di interessi che produce. Bisogna fermarlo e ridurlo in maniera più efficace, sia pure graduale, solo così i margini di manovra diventeranno più elastici, tali da rendere più agevole la spesa e l’incentivazione degli investimenti.

IL LOW COST NON E’ PIU’ LA STRATEGIA VINCENTE DELLE COMPAGNIE AEREE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

La strategia del low cost, applicata da tanti vettori in Europa (e non solo), nonostante si sia rivelata vincente per anni e anni, ora è inesorabilmente in crisi. Qualcosa si è spezzato nella giungla di questo mercato, dove le dinamiche della concorrenza decidono la supremazia delle compagnie che dimostrano di reggere gli urti della competitività, perché in fin dei conti sono più resilienti, più corazzate finanziariamente.

Per troppo tempo abbiamo messo alla gogna Alitalia, l’ex compagnia di bandiera, addebitandole ogni responsabilità, mentre si assisteva ad un susseguirsi di crisi e dissesti, che nel volgere di alcuni decenni, da vettore di prestigio internazionale, si è esposta al declino, cancellando anno dopo anno le credenziali di efficienza e invulnerabilità sulla ‘quota’ di mercato che si è conquistata.

Dalle stelle alle stalle, da un padrone all’altro. Eppure le altre compagnie di bandiera europee non hanno avuto ali propriamente d’acciaio, e le notizie di cedimenti non sono state poi una rarità nella compagine dei vettori europei più solidi negli anni della crisi.
Ora c’è da dire che stanno recuperando, dopo serie riflessioni sull’esigenza di tagliare i costi e di migliorare la gestione. Per non collassare hanno messo in atto strategie volte a ridurre gli sprechi, anche tramite il contenimento degli stipendi al personale.

Una delle ragioni che hanno portato più volte Alitalia sull’orlo del fallimento, è stato proprio il trattamento economico di cui beneficiano i dipendenti, in particolare piloti e comandanti.

Le compagnie di bandiera, e quelle al di fuori del perimetro del low cost, hanno assimilato diverse lezioni.

Per questo nuovo assetto finanziario più solido, per una governance più garantita ed efficiente, la Borsa le ha premiate, se si considera come riferimento l’inizio dell’anno, i titoli di alcune compagnie hanno fatto balzi davvero considerevoli, si allude ad Air France Klm, il cui titolo è salito del 163%, British Airways, del 38%, Lufthansa, del 98%..
In questo clima di ripresa e consolidamento delle grandi compagnie tradizionali, come mai le big del low cost, che sembravano inossidabili e inaffondabili, si trovano davanti all’abisso della crisi? Una crisi che magari non sarà irreversibile, ma che, inevitabilmente, si presenta come una spia rossa lampeggiante, ed impone una revisione del concetto ‘low cost’.

C’è da fare il punto su un allarme che nemmeno Ryanair può più celare dietro ‘il riposo dovuto ai piloti’ e ‘lo studio per il rispetto della puntualità sugli orari’, quando la verità è più amara, e riguarda invece la fuga dei piloti verso ripari più gratificanti, non solo sul versante del trattamento economico. Tutto da rivedere? Possibile, se da questi acquitrini Mister Michael O’Leary si vuole allontanare, insieme a tutta la numerosa tribù.

Il quotidiano irlandese ‘The Irish Independent’, parla di ‘migrazione’ verso la compagnia low cost ‘Norwegian’, che sembra godere ottima salute, e ha spalancato le sue porte a 140 piloti di Ryanair, offrendo loro contratti molto più allettanti.

E la lista non sarebbe così ‘esigua; infatti, secondo le risultanze dell’associazione dei piloti irlandesi, Ialpa, sarebbero invece 718 i comandanti che hanno trovato riparo altrove, in compagnie ancora più compiacenti, come quelle cinesi e arabe. Se questi dati fossero confermati, sarebbe davvero tutto da rifare, e non resterebbe che un senso di stupore e scalpore, perché davvero, con i risultati conseguiti dal vettore irlandese nel 2016, sembrava che quel cielo fosse libero e immune dal termine ‘crisi’. Il low cost sembrava anzi il parafulmine della crisi.

E infatti lo scorso anno si è chiuso con cifre da record: prima di tutto il vettore irlandese si conferma in Italia la prima compagnia aerea, sia in ambito nazionale che internazionale. Ryanair, e già si sapeva, è il principale operatore degli scali aeroportuali italiani.

E veniamo ai numeri (nel 2016): 32.615.340 passeggeri, che segnano una crescita in positivo del 9,8%, rispetto al 2015. Non cifre che preludono una crisi quasi imminente. Eppure, siamo sulla soglia. Mentre ad Orio al Serio Ryanair fa la parte del leone, e detiene l’80% del traffico passeggeri. Vi lavorano 7.500 dipendenti, senza considerare l’indotto, che sfiora i 25 mila.
Ora la ‘big company’ farà la sua pausa di riflessione, come tutte le crisi che si rispettino, al malessere serio, seguirà un protocollo di cura che sia confacente al caso, ma non è pensabile, né tanto meno auspicabile, che un gigante di questa portata possa collassare. Perderà qualche unghia, userà un’impietosa mannaia, e ad essere sacrificati saranno magari migliaia di dipendenti. Ma è ragionevole pensare che potrà tornare a spiccare il volo con la consueta sicurezza.

Nessuno, in ogni caso, avrebbe mai potuto ipotizzare una crisi del settore low cost, che delle strategie di ottimizzazione dei costi ne ha sempre fatto una carta vincente. Non ‘All of a sudden’, dicono nel Regno Unito per ‘Monarch Airlines’, vettore (low cost) che gestiva una buona fetta del mercato in Europa, e che facendo un bel po’ di rumore è uscito di scena, perché finito nel vortice della bancarotta. E’ un turbinare continuo negli ultimi mesi, soprattutto intorno alle compagnie del low cost; ignorare questo planare raso terra di eccellenze, il cui ‘brand’ ha sempre rappresentato una garanzia per i passeggeri, non è più possibile.

Difficile capire le origini di questi cedimenti, alcune cause sembrano evidenti, ma tante si celano nella fitta rete di dinamiche che regolano il mercato, una giungla, quasi.
Secondo il prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale alla Luiss, “abbassare i prezzi in modo così selvaggio, per difendersi dalla concorrenza, a scapito del personale di volo e della qualità dei servizi, non può produrre buoni risultati nel lungo periodo.

I costi con i quali ci si misura, portano inevitabilmente alle difficoltà.” Le ragioni, secondo il prof. Pozzi, sarebbero da ricercare anche sulla liberalizzazione del trasporto aereo, che ha portato a sviluppare un nuovo assetto normativo, il quale favorisce la concorrenza, ma produce dipendenza nel mercato. Gli investimenti pubblici negli aeroporti, per rendere più agevoli gli scali, hanno favorito fino ad ora i vettori del low cost, perché hanno anche finanziato la disponibilità di nuove rotte.

Intanto Ryanair ora deve pensare a svincolarsi dagli artigli della Codacons e della Procura di Bergamo, visto che la Magistratura non intende fare finta di nulla, dopo gli annunci shock della compagnia sulla sospensione di centinaia di migliaia di voli.

Ryanair, non è una novità, con la politica di prezzi ‘low cost’, ha costruito la sua fortuna, ora però dovrà fare i conti con un procedimento istruttorio aperto dall’antitrust, a causa di presunte iniziative commerciali sleali, violando, secondo l’Authority, il Codice del Consumo. Il vettore irlandese dovrà vedersela anche con l’inchiesta dei magistrati della procura di Bergamo, in seguito all’esposto di Codacons, dopo la decisione di cancellare migliaia di voli.

Quest’ultima ha deciso di tutelare i passeggeri, ‘scaricati’ senza troppi riguardi, i quali potranno costituirsi come parte offesa nel procedimento in corso, e saranno assistiti tramite una richiesta di rimborso e/o risarcimento che ognuno di loro potrà indirizzare a Ryanair. Gli interessati possono scaricare ‘una nomina di persona offesa’ individuale, con questa procedura saranno sicuramente riconosciuti i diritti di ogni passeggero danneggiato.

E in graticola, come si è accennato, c’è anche Monarch, oltre ad un’ecatombe di fallimenti di piccole compagnie, che sono scese nell’arena, ma non hanno retto il confronto: i passeri, del resto, davanti alle aquile, prima o poi finiscono per diventare prede, e infatti molte di loro sono state reclutate da vettori più forti, sia in termini di flotta che di profitti.
Monarch Airlines, compagnia del Regno Unito, pochi giorni fa ha dichiarato fallimento, e non è stato facile per l’aviazione civile britannica accettarne il crack, anche perché ha piantato in asso 110 mila passeggeri, mentre altri 300 mila si ritroveranno con i voli annullati, e un ticket da rimborsare.

Il Governo britannico ha provveduto al noleggio di alcune decine di aerei, per riportare in Gran Bretagna i passeggeri bloccati all’estero a causa della cancellazione dei voli. Mentre Ryanair scopre nel giro di pochi mesi che piove in casa, per Monarch Airlines non è una novità, lo spettro della crisi incombeva da anni. Come Alitalia ha subito tante trasfusioni di liquidità, si pensa che le tratte verso la Turchia e l’Egitto, nelle quali aveva quasi il monopolio, abbiano subito un ingente calo di passeggeri, e questa sia stata la breccia attraverso la quale è passata la crisi.

La Monarch Airlines, con base all’aeroporto londinese di Luton, è stata pertanto costretta alla sospensione di tutti i voli. Questa volta il malessere è serio.
Ora è in amministrazione controllata, le sue sorti non sono state ancora definite, occorrerà del tempo, ovviamente, anche perché 3 mila lavoratori non si rassegneranno ad essere scaricati come valige in un angolo. I dirigenti della compagnia non risparmiano le frecce al veleno al Governo May, per il modo in cui è stata gestita la crisi fino ad ora, e c’è poi l’incognita Brexit, che non si sta rivelando essere, come si illudevano i sostenitori del ‘leave’, quel favo di miele che avrebbe finalmente reso felici i sudditi di S.M.

Eppure la crisi che attraversa l’aviazione civile non riguarda solo l’Europa, negli Usa, le difficoltà ci sono eccome. Anche negli States c’è carenza di piloti (in Europa, secondo gli esperti, ne mancherebbero circa 50 mila). La compagnia ‘Horizon Air’ è stata indotta a cancellare oltre 700 collegamenti ad agosto scorso, ed entro un ventennio si stima che sono necessari più di 600 mila boeing. Ma la grande lacuna restano i piloti, la loro formazione, l’integrazione nell’organico.

In piena era di globalizzazione, l’Europa non poteva essere l’unico continente ad essere coinvolto in questo fenomeno, che sta peraltro creando notevoli disagi ai passeggeri.

VIA LIBERA DEL PARLAMENTO SU NOTA DI AGGIORNAMENTO E SCOSTAMENTO BILANCIO

DI VIRGINIA MURRU

 

Il Senato approva in data 4 ottobre, con risoluzione di maggioranza, la Nota di Aggiornamento al Def e scostamento dal pareggio di bilancio. A sostegno della Nota di programmazione economica presentata dal Governo, è emersa una forte maggioranza (è stata assoluta, e avrebbe comunque superato l’esame anche con una maggioranza semplice), visto che hanno votato a favore 164 senatori. I contrari sono stati 108, più un astenuto.

Mentre, poco più tardi, l’Aula ha dato il via libera al Governo sullo scostamento dal pareggio di bilancio; la maggioranza è stata più ampia perché sostenuta anche dal gruppo Mdp, passa dunque con 181 favorevoli e 107 contrari. Con l’approvazione si rende possibile l’aggiustamento strutturale pari allo 0,3% per il prossimo anno, intervento che rientra nella Nota di aggiornamento al Def. Per questa approvazione era necessaria, secondo l’art. 81 della Costituzione, la maggioranza assoluta.

Anche il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, esprime la sua soddisfazione in un tweet: “il voto del Senato è all’insegna della responsabilità e stabilità”. E dichiara ‘che non sarà una manovra depressiva per il sistema’.
Il Movimento democratici progressisti si sono astenuti lasciando l’Aula, i suoi esponenti non convergono sostanzialmente sulla linea programmatica del quadro economico-finanziario relativo alla prossima legge di Bilancio. Non erano stati peraltro accolti i sette emendamenti presentati precedentemente. Votato a favore, ‘per senso di responsabilità verso il Paese’, 12 esponenti del gruppo di Verdini.

Hanno però espresso il voto a favore, nella seconda votazione riguardante l’autorizzazione allo scostamento dal pareggio di bilancio, i 16  senatori del Mdp hanno infatti votato coesi per il sì.
C’è stato poi anche l’’ok’ a Montecitorio, con 358 sì e 133 no sull’autorizzazione allo scostamento di bilancio, per il quale si è espresso a favore anche Mdp. In seconda votazione ampio assenso alla risoluzione di maggioranza relativa alla Nota di aggiornamento del Def (i favorevoli sono stati 318 e i contrari 135), ma, come avevano annunciato, gli esponenti Mdp, si sono astenuti.

Mdp non concorda su diversi punti, come la mancanza di interventi sulle privatizzazioni, le quali, secondo il Movimento, avrebbero permesso un più agevole contenimento del debito. Non vi è convergenza sulle iniziative di carattere strutturale, che ritengono fragili, mancherebbe una visione chiara sulla Sanità, alla quale sarebbero state destinate risorse insufficienti, considerando poi che in ambito europeo siamo di alcuni punti percentuali al di sotto della media. Pierluigi Bersani non vuole sentire parlare di superticket.

Il Governo, al riguardo, ha manifestato comunque apertura sull’ipotesi di una revisione, ma in prospettiva ci sono ancora tante battaglie, anche se, in generale, i parlamentari della Sinistra hanno dimostrato senso di responsabilità, e questi atteggiamenti possono sostenere il Paese più dell’ostruzionismo e della sterile opposizione.

Le iniziative del quadro programmatico sono proiettate su un clima di crescita, innovazione e progresso, considerato il favorevole assetto congiunturale degli ultimi anni, e del 2017 in particolare. Le performance dell’economia, secondo le risultanze dei dati diffusi dall’Istat (ma anche dalle varie Agenzie di rating), sono andati al di là di ogni ragionevole aspettativa. Sono queste le fondamenta di un processo proiettato nel futuro, dove tuttavia il presente, attraverso scelte mirate, è importantissimo, per aprire orizzonti nuovi di crescita e permettere al Paese di allontanarsi definitivamente dalla palude della crisi.

Tante le misure del Governo contenute nel quadro di programmazione economica, alla luce dell’ottimismo imperante e delle nuove prospettive in cui è proiettata l’economia del Paese. E’ prevista una ‘crescita inclusiva’ per le classi meno abbienti, promette il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il ministro assicura che il paese ha imboccato la via della svolta, e  non c’è da preoccuparsi circa la ‘dipendenza’ dal Qe, il cui effetto non può essere ritenuto una ‘droga’ dalla quale è difficile affrancarsi.

“Lasciamo il Paese – afferma Padoan –  con un lungo percorso di riforme e interventi che ci hanno permesso di abbandonare le sabbie mobili della recessione, lasciamo un’eredità forte al prossimo Governo, al quale spetterà il compito del transito, del passaggio all’autonomia per ciò che concerne la politica monetaria espansiva portata avanti dalla Bce, che indubbiamente ha dato una mano al Paese.
La crescita va avanti, il settore bancario procede con maggiore sicurezza, anche se – precisa – il sentiero è stretto e le risorse ancora limitate. Ma si può migliorare, non pecchiamo di ottimismo.”

Secondo il ministro, la fine del Qe, attesa a breve, non deve preoccupare, a patto che in futuro si continui a perseverare nel campo delle riforme strutturali, e le iniziative volte alla riduzione del debito. Questo impegno è fondamentale per proseguire su un percorso di crescita.
Nel 2016 risulta cresciuto anche il reddito disponibile delle famiglie italiane.

Ed eccole le ‘cifre’ più importanti del Def:

Sostegno alle famiglie e potenziamento degli assegni per i figli; proroga sulla riduzione, fino al 10%, della cedolare secca sugli affitti, con l’impegno di allungare l’intervento anche sui proventi che derivano dagli affitti non destinati ad uso abitativo. Nelle politiche di sostegno alle famiglie vi è l’intento di favorire la crescita demografica, l’Italia è uno dei paesi interessati al fenomeno del calo delle nascite.

Per ciò che attiene agli interventi previsti per il settore sanitario, così tanto contestati dalle opposizioni, c’è la disponibilità a riesaminare i criteri concernenti le norme sul superticket, con misure di revisione graduali, e col presupposto di agevolare gli assistiti sui costi, già di per sé un versante piuttosto travagliato e discusso. Ed è proprio una condizione che la maggioranza ha praticamente imposto al Governo per il Def, sulla risoluzione relativa alla Nota di aggiornamento.

L’opposizione insiste anche  sulla necessità di investimenti in ambito sanitario, da attuare nel volgere di un triennio, dato che le risorse destinate non sono ritenute sufficienti per il settore.
Il Governo ha mostrato disponibilità per una revisione in meglio degli interventi sul sistema Sanità, anche nell’ottica di misure che rendano più dinamica ed efficiente l’assistenza sanitaria.

Intanto la legge di bilancio dovrà essere approvata entro il 20 ottobre, e la bozza trasmessa alla Commissione dell’Unione europea entro il 15 ottobre.
Nella manovre ci sarà spazio per circa 2,5 mld di spesa e 6 mld di entrate. Si deve tenere conto anche della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, la quale, secondo gli intendimenti del ministro Padoan – precisati nella Nota di aggiornamento al Def – sarà compensata con misure intorno allo 0,5% del Pil, ed interesserà sia la spesa pubblica che le entrate. La manovra, complessivamente, sarà pertanto di 8,5 mld, dei quali 6 riguardano le entrate e 2,5  tagli alla spesa.

Il ministro dell’Economia spiega che nella manovra non è previsto l’aumento dell’Iva, anch’esso tanto dibattuto, “ci sarà attenzione verso il sostegno ai soggetti più fragili e dunque verso la povertà, in un’ottica di rispetto verso gli impegni presi con l’Ue.”

Secondo l’Istat, il debito pubblico, comunque drammatico, sarà, per l’anno in corso, pari a 131,6%, rapportato al Pil, mentre nel 2018 si riscontrerà una contrazione, e, sempre in rapporto al Pil, sarà di 129,9%, ma qui anche i decimali rappresentano importi considerevoli. Secondo le affermazioni di Padoan, nel volgere di un quinquennio  o poco più, l’imposizione fiscale sarà ridotta di circa 20 mld; i tagli a beneficio del contribuente riguardano l’Ires, il bonus Irpef, eliminazione della Tasi per la prima casa.

Il ministro Padoan, come si è visto, assicura anche l’eliminazione delle clausole Iva, totalmente, insieme alle accise. Per i compensi si potrà attingere dai margini di deficit pari a 6 decimi di punto, il che, tradotto in cifre, equivale a 10 mld. Resterebbero altri 5 mld di clausole senza relativa copertura, ma si pensa di riuscire a trovare gli spazi necessari nella legge di bilancio, così come per altri ambiti.

E’ chiaro che queste manovre richiedono sacrifici, secondo il ministro, e non manca mai ultimamente, di sottolineare che si procede ancora su un ‘sentiero stretto’. Per questa ragione, per via delle risorse limitate, il pareggio di bilancio sarà conseguito nel 2020, e non nel 2019, come si pensava fino al secondo trimestre del 2017.

BANKITALIA: LA RIDUZIONE DEL RAPPORTO TRA DEBITO E PIL E’ UN IMPERATIVO

 
DI VIRGINIA MURRU
Mentre è ormai prossima la scadenza sul mandato del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al momento l’Istituto mette al vaglio i dati e le analisi sulla favorevole congiuntura economica del Paese.
 
Il Vicedirettore generale, Luigi Federico Signorini, in audizione alle Commissioni di Bilancio della Camera e del Senato (su Nota aggiornamento al Def), sottolinea questo clima di ottimismo, e il trend di crescita previsto anche nell’ultimo trimestre del 2017.
 
Afferma Luigi Signorini:
 
“l’aggiustamento dei conti pubblici e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil deve essere un ‘imperativo’, e, alla luce dei risultati conseguiti negli ultimi anni, anche possibile, alla portata dell’attuale congiuntura”.
 
Dunque, secondo il Vicedirettore generale di Bankitalia, questo obiettivo deve essere considerato in un’ottica quasi ‘ingiuntiva’ per l’italia. La riduzione graduale del debito, che ha raggiunto proporzioni ormai allarmanti (oltre 2.400 mld), è fondamentale per dare un senso a tutti i segnali verdi che il semaforo della nostra economia sta riflettendo. Le manovre di politica economica e di bilancio – secondo Signorini – dovrebbero armonizzarsi in una linea di simmetria tale da non compromettere la crescita in atto, e allo stesso tempo tenendo conto dell’esigenza di controllo e riduzione del debito.
 
“E’ un sentiero stretto – commenta Luigi Federico Signorini, ma rispetto al passato è più percorribile, perché le premesse e l’assetto dell’economia italiana permettono misure e vie più agevoli, perché diversa è la congiuntura e le condizioni di mercato.”
 
Del resto, ormai da mesi, è anche la formula chiave del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Circa la Nota al Def, il Vicedirettore Signorini, sostiene che l’’analisi di sensibilità’, volta a sondare gli effetti di un possibile shock alla crescita (e ai tassi d’interesse), collima con le analisi espresse dalla Banca d’Italia: ossia che la tendenza alla contrazione del debito proseguirebbe anche nel medio periodo, precisando però che questo percorso sarebbe in salita, e in termini di riduzione, la percentuale sarebbe per ovvie ragioni inferiore.
 
E aggiunge che il Governatore della Banca d’Italia, al riguardo, ha già parlato in alcuni recenti interventi, di studi mirati, più precisamente di simulazioni rapportate alla velocità di contrazione tra debito e Pil, in linea con ipotesi di crescita diverse, e le relative reazioni dei tassi d’interesse.
 
Queste analisi hanno messo in rilievo il fatto che è possibile, nel medio termine, procedere alla riduzione del debito.
Vale anche la pena ricordare che l’aggiustamento strutturale del Pil è stato definito dello 0,3% (per anno), misura che consentirà al governo italiano di perseverare con manovre di politica economica tali da ridurre in modo costante il rapporto deficit/Pil, nonché la stabilizzazione che riguarda il rapporto debito/Pil (dinamiche che viaggiano quasi in tandem..), e che già nel 2017 dovrebbe dare i risultati attesi.
 
E’ possibile intraprendere questa importante strada di contenimento del debito, anche secondo Giorgio Alleva, presidente dell’Istat (economista e statistico di prestigio internazionale), anch’egli in audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il quale sottolinea, a sua volta, le condizioni favorevoli dell’economia, che dovrebbero perdurare, e anzi migliorare nell’ultimo trimestre dell’anno, sostenuta dalla domanda d’investimenti in macchine e attrezzature.
 
Gli fanno eco anche gli ultimi dati sul mercato delle auto, divulgati dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture: a settembre c’è stato un incremento nelle vendite pari all’8,13%, rapportato a settembre del 2016. Nel corso dei primi nove mesi dell’anno (e in rapporto allo stesso periodo del 2016), la crescita in termini di vendite è stata del 9%.
 
A corredo dei buoni segnali che vengono dai diversi orizzonti dell’economia, vi sono i dati macro, che consolidano questa tendenza incoraggiante, come la crescita del tasso di occupazione (anche giovanile), che ad agosto scorso, secondo gli ultimi dati Istat diffusi il 2 ottobre, continua a presentare un trend in crescita, +0,2% – rispetto al mese precedente. In termini di cifre, pari a +36 mila. I dati mettono in evidenza la tendenza alla crescita emersa negli ultimi mesi. Secondo i dati Istat, pertanto, il tasso di occupazione sale al 58,2%. Aumento lieve, ma importante.
 
Tutto questo mentre da Palazzo Koch e dalla Corte dei Conti arriva un monito: “non si torni indietro sulle pensioni”.

LA CENSURA NON PUO’ ESSERE LA MATITA ROSSA DELLA CORRETTA INFORMAZIONE

DI VIRGINIA MURRU

Il blog “Remocontro” – testata giornalistica molto seguita – ieri è stato oscurato dalla censura. I dirigenti di Facebook, con i loro droni, evidentemente passano al vaglio l’informazione che raggiunge le maglie strette del network, e avendo riscontrato dettagli non conformi ai loro ‘criteri’ di valutazione della correttezza, sono intervenuti.

Con un provvedimento ‘esemplare’: una settimana di oscurità, il blog non potrà diffondere gli articoli via Facebook fino a punizione conclusa.
Queste non sono lezioni da impartire ad una società civile, non vengono dalla fonte della libertà d’espressione alla quale siamo stati formati.

Si pensava che ‘censura’, all’alba del terzo millennio, fosse solo un ‘reperto archeologico’ (d’epoche non poi tanto remote), tuttavia ci sentivamo autorizzati a cancellarla dalla memoria, perché esorcizzata dal tempo, retaggio di un passato nemmeno tanto lontano, ma non più degno d’essere ‘traslata’ nel nuovo millennio.

E invece certe calamità vanno oltre le pietre miliari della storia, attraversano con inquietante immunità il nostro tempo, percorrono a velocità supersonica le autostrade telematiche della  comunicazione, e colpiscono bersagli che hanno solo il torto di portare avanti i valori impliciti nella libertà di pensiero.

E siamo costretti, ancora, nella galassia dell’informazione, a fare appello all’art. 21 della Costituzione, che sembra un ‘dettaglio’ scontato, e invece è sempre una buona sentinella per i fondamentali diritti umani sui quali si fondano i presupposti di una società civile.

Remocontro è una fonte d’informazione gestita peraltro da giornalisti che hanno alle spalle lunghi anni d’esperienza professionale, certamente una garanzia di correttezza e qualità, per quel che concerne gli articoli diffusi in rete. Leggendo l’articolo di Ennio Remondino, non si riesce a capire quale sia la ragione del provvedimento dei dirigenti di Facebook, lo sconcerto è grande, perché a questo punto, si rischia di precipitare nel girone infernale degli interrogativi senza risposta.

In apparenza, infatti, una motivazione sensata non esiste, non si riscontrano offese, riferimenti allusivi e tendenziosi, rimandi alle concezioni discutibili dell’Islam sui diritti umani riguardanti le donne. Poi, ‘la virtù del dubbio’, porta a ragionare sulle cause che hanno determinato e acceso la miccia della censura, e si conclude che solo l’azzardo, l’idea di mettere in risalto una semplice notizia che ha viaggiato velocemente nel web, è stato ritenuto, forse, un atto d’irriverenza.

L’ironia, ingrediente naturale della libertà d’espressione, ha reso l’articolo non ‘commestibile’ per certi palati sensibili, ma tant’è: nella mannaia della censura esiste talvolta un peccato originale che si chiama ‘rispetto della verità’.

La censura è un valore che viaggia al contrario, quasi teoria degli opposti, in un clima di tolleranza e rispetto della libertà di pensiero e opinione; non ‘rema contro’ per regolare gli eccessi, pure possibili in un regime di piena democrazia, ma perché tiene conto di una gerarchia di valori che ha simmetrie diverse in altri versanti.

In definitiva perché si difendono altre ragioni, che trascendono; intanto perché non sono limpide.
Nell’articolo si esprimono opinioni favorevoli, e non potrebbe essere altrimenti, verso la scelta operata dal principe saudita Salman, di concedere la libertà di guidare l’auto alle donne. Si sottolinea l’entusiasmo delle donne a Riad, che sono scese in piazza, insieme a tanti uomini (buon segno, decisamente), per festeggiare, a suon di clacson, questa svolta epocale per l’ortodossia del Wahabbismo Sunnita.

L’articolo mette in rilievo il clima da Medioevo in cui i diritti delle donne devono misurarsi, e questa felice intuizione del giovane principe, che ancora deve salire al potere, segno di lungimiranza, lacerazione di quella cortina d’acciaio in cui languiscono i diritti umani: una speranza della quale si doveva parlare. Si tratta di un avvenimento di grande importanza, un evento da celebrare, anche in Occidente.

Allora, non è piaciuto il rimando al Medioevo? Si doveva parlare d’Illuminismo, in riferimento al regime di Riad? In un clima di democrazia si chiamano le cose per nome, a volte perfino col cognome.

Non si ravvisano offese di alcun genere nell’articolo, ben altro corre in forma di raffica nel linguaggio del web, e basterebbe soffermarsi sui commenti nei confronti del radicalismo islamico, per comprendere che la gente non mette in bilancia le parole quando deve esprimere un’opinione.
C’era la verità sostanziale dei fatti, che poi è tutto per la deontologia professionale di un giornalista.

L’Arabia Saudita, grande alleata di Washington, è uno scacchiere sensibile nel Mediterraneo, forse, qualora si fosse puntato l’osservatorio sull’Iran, paese islamico a maggioranza sciita, l’eco avrebbe potuto essere diverso. A questo punto è lecito ragionare, dato che non si ha nemmeno il diritto di conosce il motivo della censura.

L’articolo pubblicato nel blog di ‘Remocontro’, firmato da Remondino, è davvero asettico, non reca nemmeno traccia di offesa diretta o indiretta, a questo punto tutti siamo suscettibili di censura e degni d’essere ‘perseguiti’ via web.

Non riconosciamo queste vie contorte della libertà d’espressione. Scorre sangue e lacrime dietro questi valori. Noi, in Italia, pensavamo d’avere lasciato la censura dietro il filo spinato di un regime autoritario che ha chiuso i suoi battenti nel ’45. Credevamo, anzi ne eravamo convinti, nonostante le difficoltà in cui si muove la stampa in Italia, e gli oltre cento giornalisti costretti a svolgere il proprio lavoro sotto scorta (perché minacciati dalla criminalità organizzata).

E nonostante fossimo consapevoli che siamo il fanalino di coda in Europa per quel che concerne la libertà di stampa. Malgrado questo, ci si illudeva d’essere al di là della sponda, oltre quel muro, nel quale troppi eroi sono stati immolati.

QUELLA SOTTILE ACREDINE TRA MARIO DRAGHI E JENS WEIDMANN

DI VIRGINIA MURRU

 

Le dichiarazioni di Mario Draghi, nel corso dell’audizione alla Commissione Affari Economici del Parlamento europeo, seguono quelle del Governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale, per l’ennesima volta, ha espresso il suo dissenso circa la politica monetaria espansiva seguita dalla Bce.

Weidmann non ha mai realmente concordato con queste misure, non propriamente ortodosse per la Bce, in quanto ritiene eccessivi e massici gli interventi di acquisto di bond, idonei solo nel caso in cui il sistema affronti situazioni congiunturali di depressione economica, con impatti deflattivi tali da rendere necessari meccanismi di stimolo monetario.

L’assetto economico in Eurozona è peraltro cambiato, e in modo positivo negli ultimi due anni, paesi che arrancavano a causa dei problemi legati ai conti pubblici, hanno fatto progressi notevoli (tranne poche eccezioni), conformandosi ai parametri di Maastricht. Pertanto la logica ‘draghiana’ del <whatever it takes>, secondo il falco tedesco della Bundesbank, non avrebbe più senso.

Non converge in particolare sugli obiettivi del Qe, attualmente terapia intensiva per riportare in ordine lo stato dell’inflazione. Weidmann ha peraltro il sostegno di tutto l’establishment politico e finanziario tedesco, in primo piano proprio gli esponenti di AfD (partito di euroscettici e xenofobi che ora, con oltre 90 seggi, siederanno nel Bundestag), i quali non hanno esitato a presentare ricorso alla Corte tedesca, pur di mettere in discussione l’operato della Bce e del Presidente Draghi, contro la politica di acquisto degli asset.

Dietro c’è anche un altro falco della finanza tedesca, il ministro Wolfgang Schaeuble (praticamente, insieme a Weidmann, ‘nemici’ storici di Draghi, anche se di recente ha dimostrato più solidarietà all’Eurotower) che ha sempre criticato la linea di politica economica seguita dalla Bce. Politica economica, appunto.

Weidmann sostiene che la Banca centrale europea dovrebbe occuparsi di politica monetaria, non di politica economica, la quale dovrebbe essere pertinenza esclusiva degli Stati. Per colpire Draghi, dunque, i falchi tedeschi si sono appellati agli espedienti di carattere giuridico, ma la Corte europea ha poi dato ragione all’Eurotower.

Il Presidente della Bundesbank, inoltre, non tiene conto dei dati pubblicati pochi mesi fa dalla Bce, numeri che mettono in rilievo i vantaggi acquisiti, e non i danni subiti dalla Germania tramite le misure di politica monetaria.

E paradossalmente è stata proprio la Banca centrale tedesca a concludere che, gli interventi di acquisto di bond, hanno permesso alle casse di Berlino un risparmio di ben 240 mld, in termini di tassi d’interesse.

E potrebbe finire qui ogni abile dissertazione dell’establishment tedesco, si può solo aggiungere che i paesi interessati dalle operazioni di acquisto più ingenti, sono proprio le maggiori economie dell’Eurozona, ossia la Germania, con acquisti mensili pari a 12 mld, la Francia, con 10 mld, e l’Italia con poco meno. Sono in fin dei conti questi paesi i più importanti azionisti della Bce.

La conclusione, che piaccia o no a Berlino e a Herr Weidmann, è che il programma di acquisti è stato motivato da ragioni di crisi ed emergenza in area euro, si possono considerare proporzionali, come si è visto, dato che i tre paesi citati, contribuiscono al capitale della Bce in misura certamente maggiore rispetto agli altri.

Il problema di fondo è forse la sottile acredine che serpeggia tra due paesi in particolare, Germania e Italia, non a caso Mario Draghi è ‘l’italiano’ non gradito, che si vorrebbe quanto prima sostituito proprio con Weidmann alla guida dell’Eurotower.

Un continuo imperversare di polemiche contro la politica monetaria seguita dall’’italiano’, che è diventato, specie negli ultimi due anni, quasi un tiro al bersaglio per gli esponenti della finanza tedesca. Una lunga partita, che indispettisce peraltro i ‘nemici’ dichiarati delle misure monetarie espansive, perché Draghi è imperturbabile, fila dritto per la sua strada, e non si fa condizionare dai tuoni e fulmini che arrivano in Eurotower, la cui sede è giusto a Francoforte..

In un’intervista televisiva, che risale a due giorni fa, Weidmann, nonostante tutto, riprende la solita solfa sull’inopportunità dell’impiego del Qe, poiché, secondo le sue argomentazioni, l’area euro è fuori emergenza, dopo 17 trimestri consecutivi di crescita. E a proposito delle sue immutate teorie dichiara:

“L’acquisto di titoli dovrebbe essere un mezzo da sfruttare solo nei casi di vera emergenza, quando ci si trova a gestire situazioni di deflazione, compresi salari e prezzi che vanno in calo. Ma non si può concepire con l’attuale congiuntura, il Qe non si può usare per controllare il tasso d’inflazione. “

E poi rincara la dose con una requisitoria a lui molto cara:

“La Bce non può accollarsi anche i margini di rischio riguardanti i singoli Stati, dovrebbe semplicemente vigilare sulla stabilità dei prezzi. Solo le autorità della finanza pubblica degli Stati membri, dovrebbero occuparsi del rifinanziamento del loro debito e delle misure di aggiustamento dei conti pubblici.”

“Gli Stati, però – aggiunge – non hanno saputo cogliere queste opportunità, non hanno sfruttato al massimo la politica dei tassi bassi per un’efficace riduzione del grado d’indebitamento. Purtroppo i riscontri non sono quelli attesi, si è fatto poco in questo versante della politica economica dei singoli Stati.

SALVATORE ROSSI, DIRETTORE BANKITALIA: ” IL SISTEMA CREDITIZIO E’ UNA FORESTA PIETRIFICATA”

DI VIRGINIA MURRU

 

Si è appena concluso a Courmayeur il convegno che ha avuto per oggetto l’ordinamento bancario e le sue trasformazioni, al quale hanno partecipato esperti e operatori dell’alta finanza, analisti e studiosi, rappresentanti del settore bancario e delle autorità di vigilanza.

Importante e atteso l’intervento di Salvatore Rossi, direttore di Bankitalia. Il fine era quello del confronto su tematiche che hanno affrontato lo stato dei mutamenti, in ambito giuridico, aziendale ed economico, che la ‘troika’ europea, tramite l’ordinamento bancario e le sue riforme, ha espresso nel sistema del credito, nel campo dell’attività propria delle imprese, e tramite il ventaglio di interventi a tutela dei risparmiatori.

Dunque luci e ombre di queste trasformazioni, risultato di un conflitto contro l’ultima crisi che ha attanagliato l’Europa.

E di crisi, inevitabilmente, si è parlato nel corso del convegno, il direttore generale di Banca d’Italia, a questo riguardo ha fatto osservare:

“L’economia italiana non andava a gonfie vele neppure prima che fosse interessata dalla crisi finanziaria globale del 2008, sul piano strutturale il sistema produttivo era fragile, non in grado d’incrementare lo sviluppo, generare innovazione ed efficienza. A tutto questo si aggiungeva la vulnerabilità di un sistema sbilanciato verso le banche”.

Ha poi definito ‘foresta pietrificata’ il sistema creditizio italiano, già affetto da problemi gestionali e di governance. Le inefficienze si alimentavano tra loro, producendo incertezza e instabilità, secondo il direttore generale di Bankitalia. Le soluzioni apparivano lontane, di non facile approdo. E poi il resto fa parte delle vicissitudini economiche travagliate degli anni della crisi, fino al 2014, anno in cui l’Italia ha ricominciato a sperare, a lasciare lentamente quel pantano che aveva condotto alla soglia della recessione economica.

Gli esperti nel convegno di Courmayeur  hanno messo in rilievo le trasformazioni dell’ordinamento bancario negli ultimi cinque anni, le implicazioni riconducibili all’integrazione europea, che hanno segnato profondamente i ‘distretti’ più peculiari del settore, dunque la vigilanza, la crisi bancaria e la corporate governance.

In Italia il guado è stato attraversato, con tutte le difficoltà e le lotte degli ultimi anni, dove il cittadino è stato tutt’altro che immune, eppure, nonostante i progressi e la maggiore solidità del settore bancario, persistono le incertezze, ci sono ancora margini di esposizione al rischio, e per questa ragione, la vigilanza non deve venire meno.
Così si è espresso al riguardo il direttore generale di Bankitalia:

“Quando si prende un malessere virulento, avendo l’organismo più fragile, si corrono seri rischi: l’Italia li ha corsi. Solo ora ne sta venendo fuori, con tendenze incoraggianti, anche se ancora non decisive”.

BCE. NELL’ULTIMO BOLLETTINO LE CONCLUSIONI DEGLI ESPERTI SULL’ECONOMIA DELL’EUROZONA

DI VIRGINIA MURRU

L’ultimo bollettino della Bce (n. 6 – 2017), conferma le conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio Direttivo in data 7 settembre scorso, ossia che è in atto un’espansione economica nei paesi dell’Ue in generale, e in Eurozona in particolare, ma alla crescita del primo semestre dell’anno in corso, non corrisponde ancora una vigorosa dinamica nell’aumento dei prezzi.

Da qui le ragioni della cautela, e la scelta di rimandare le misure di riduzione dello stimolo monetario, attese e quasi date per certe, nei prossimi mesi. La Bce ritiene ancora necessari interventi di acquisto di titoli, e pertanto, considerato anche il tasso d’inflazione, che stenta a raggiungere il target del 2% (le stime per i prossimi anni non sono poi al rialzo), per ora sono stati rinviate le misure di tapering.

Si legge al riguardo nel bollettino diffuso dall’Eurotower:

“Le misure dell’inflazione di fondo hanno registrato un lieve aumento negli ultimi mesi, ma nel complesso rimangono su livelli contenuti.
Di conseguenza, è ancora necessario un grado molto elevato di accomodamento monetario per consentire l’accumularsi graduale di spinte inflazionistiche e sostenere la dinamica dell’inflazione complessiva nel medio periodo. Il Consiglio direttivo ha pertanto mantenuto invariato l’orientamento di politica monetaria e deciderà in autunno riguardo alla calibrazione degli strumenti di politica monetaria nel periodo successivo alla fine dell’anno.”

Le ragioni sono da ricercarsi nel sostegno che gli interventi di politica monetaria esercitano nella domanda interna. Secondo i dati formulati dagli analisti della Banca centrale, l’aumento del Pil in termini reali, in ambito Eurozona, è stato dello 0,6% (rispetto al trimestre precedente che era dello 0,5%).

E’ in definitiva la domanda interna che ‘traina’ il Pil, la quale, a sua volta, come già si è accennato, è sostenuta dagli interventi di Qe. Una serie di variabili dipendenti che, a conti fatti, esprimono lo stato di crescita attuale nell’area euro. Ci sono ovviamente altri fattori in gioco, come la spinta esercitata dai consumi privati sul tasso di occupazione, influenzato anche dalle riforme del mercato del lavoro e dal maggiore benessere delle famiglie.

La Bce fa anche rilevare la ripresa degli investimenti, incoraggiati da favorevoli tassi di finanziamento, e da un incremento del reddito d’impresa. Nel breve periodo, secondo le analisi della Banca centrale europea, la tendenza alla crescita e le buone condizioni congiunturali, si consolideranno, esportazioni comprese, dato che a livello globale si registra una ripresa generalizzata dell’economia, che favorirà l’export in Eurozona.

Secondo gli esperti dell’Eurotower, le stime macroeconomiche dell’area euro, formulate nel mese in corso, prevedono un incremento del Pil in termini reali pari al 2,2% (per il 2017), e dell’1,8% per il 2018, mentre andranno all’1,7% nel 2019. Gli analisti dell’Eurosistema hanno pertanto rivisto al rialzo le stime per il 2017, mentre per i prossimi anni le previsioni restano pressoché invariate. I rischi al ribasso sulla crescita sono da attribuire a fattori ‘esogeni’ di carattere internazionale, e alle dinamiche dei mercati valutari.

L’inflazione nel mese di agosto, secondo la stima preliminare dell’Eurostat, e in base alle misure sullo IAPC (ovvero Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo), si è attestata all’1,5%, in aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente. Sono le risultanze degli aumenti dei beni energetici, e dei prodotti alimentari ‘trasformati’. L’andamento dei prezzi correnti del petrolio, ed energetici in generale, si rifletterà sull’inflazione, inevitabilmente.

Nell’ultimo trimestre le misure dell’inflazione di fondo hanno messo in rilievo un esiguo aumento, ma dovrebbero riflettere un trend al rialzo più convincente. Secondo le stime preliminari di Eurostat, l’inflazione, al netto di alimentari ed energetici, si attestava all’1,2% ad agosto, senza rilievi rispetto al mese precedente, ma con un incremento pari allo 0,4% rispetto alla media dell’ultimo trimestre 2016.

Nel medio termine, secondo il bollettino della Bce, l’inflazione di fondo nell’area euro aumenterà in modo costante, perché incentivata dalle misure di stimolo monetario, e dalle dinamiche prodotte dall’espansione economica in atto, la quale, a sua volta, implica un aumento dei salari.

Il bollettino mette anche in evidenza che, lo stato di disavanzo di bilancio nell’area, andrà a ridursi nell’’orizzonte temporale’ che riguarda il triennio 2017/19. Le ragioni di questo importante miglioramento sono legate alle favorevoli condizioni cicliche, e al contenimento della spesa per interessi.

Secondo le stime formulate dagli esperti della Banca centrale, a settembre “il rapporto fra disavanzo pubblico e PIL nell’area dovrebbe scendere dall’1,5 per cento del 2016 allo 0,9 per cento nel 2019. I disavanzi strutturali non sono tuttavia in calo, nonostante dinamiche di crescita positive.”

Considerando i risultati delle analisi, il Consiglio direttivo della Bce è pervenuto alla conclusione che è necessario perseverare nelle misure di accomodamento monetario, quale garanzia durevole dei tassi d’inflazione, che siano almeno prossimi al 2%. Resteranno quindi invariati i tassi d’interesse, e si prevede che restino tali anche oltre ‘gli acquisti netti di attività’.

In Italia risulta in calo il tasso di disoccupazione, ma al momento non può essere considerato ‘significativo’, anche perché non rientra in una linea di coerenza con i tre parametri di riferimento della Bce, ossia:

‘calo del tasso di disoccupazione in 3 anni’ – ‘la percentuale della diminuzione della disoccupazione nel periodo considerato’ – ‘la persistenza, dopo 5 anni, del tasso di disoccupazione, che deve risultare più basso di quello iniziale’.

Criteri non soddisfacenti per i dati riguardanti l’Italia, e invece favorevoli per paesi come Irlanda, Slovacchia, Spagna e Portogallo.
Il bollettino sottolinea l’importanza dell’immigrazione e le sue implicanze sulla forza lavoro. Si tratta, secondo la Banca centrale, di un ‘effetto considerevole’, uno stimolo positivo riscontrato in particolar modo in due paesi dell’area: Italia e Germania.

L’immigrazione, secondo le conclusioni della Bce, nel corso della ripresa, ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa’. Importante l’afflusso di forza lavoro dai nuovi stati membri dell’Ue, provenienti dall’Europa orientale. Il riflesso positivo è stato piuttosto evidente in Germania e Italia, ma anche in altre economie minori dell’area.

Il bollettino sottolinea quindi il contributo positivo di immigrati e donne, ‘protagonisti’ della crescita economica in Eurozona. Il fenomeno dell’immigrazione, secondo gli analisti Bce, sorregge la spinta del mercato lavoro; è necessario anche mettere in rilievo il fattore involutivo legato all’invecchiamento della popolazione europea, realtà che rischia di diventare critica soprattutto in Germania, nel volgere di pochi decenni.

Si controllano gli squilibri derivanti dall’invecchiamento della popolazione europea, anche con l’accoglienza di nuove energie nel campo del lavoro, ed è in virtù di queste dinamiche che cresce il tasso di popolazione occupabile.
L’universo femminile ha, a sua volta, svolto un ottimo ruolo nella ripresa. C’è un maggiore impiego di donne nel mercato del lavoro, la causa è singolare, ma non poi tanto, e in ogni caso si tratta di dati statistici:

la specializzazione delle donne e la maggiore facilità d’impiego, dipende anche dal fatto che l’istruzione risulta più alta in termini percentuali, rispetto a quella rappresentata dall’altro genere.

 

WEB TAX . FINE DEI PRIVILEGI FISCALI PER LE MULTINAZIONALI DELL’E-COMMERCE

DI VIRGINIA MURRU

 

‘L’unione fa la forza’, sulla scia del vecchio adagio comincia la sfida ai comportamenti elusivi delle web company, ovvero i colossi dell’economia digitale che fanno affari d’oro con le transazioni on line, ‘dribblando’ il fisco dei paesi europei in cui operano, e trasferendo gli utili nei cosiddetti paradisi fiscali.

Ormai queste multinazionali sono conosciute da tutti, perché si avvalgono della rete per i loro traffici commerciali. Si allude a Google, Facebook, Amazon, Airbnb, Apple, Booking, Ebay, tanto per citare le più note, ma l’elenco va oltre. Ora sono nel mirino dell’Unione Europea e dell’Ocse, e c’è da scommettere (che sia la volta buona..) che si riuscirà finalmente ad inchiodarle alle loro responsabilità nei confronti del fisco.

Intanto i paesi più forti dell’Eurozona, hanno preso accordi recentemente per indurre l’Ue ad approvare un disegno di legge sulla web tax, che non lasci scampo o vie di fuga alle multinazionali americane fedifraghe (la maggior parte sono proprio targate Usa), così che i loro profitti non transitino altrove, dopo avere realizzato ingenti fatturati nei paesi dell’Unione europea (ma non solo, ovviamente).

Con il preciso intento di bloccare l’evasione fiscale di questi colossi, Italia, Francia, Germania e Spagna hanno programmato un incontro nella capitale dell’Estonia, a Tallinn, il 15 e 16 settembre prossimi, per discutere delle strategie che saranno messe in atto per porre fine all’’impunità fiscale’ di cui le multinazionali hanno finora goduto.

Il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, insieme ai colleghi Le Maire (francese), Wolfgang Schaeuble (tedesco), Luis de Guindos (spagnolo), hanno sottoscritto un accordo congiunto, un paper comune, al fine d’intraprendere i provvedimenti necessari per obbligare le grandi web company a corrispondere il dovuto al fisco nei paesi europei in cui fatturano miliardi.

Seguendo anche l’esempio della Francia, che ha presentato un conto salato a Google alcuni mesi fa, e ora a Microsoft, per gli incassi sulla pubblicità on line. Conti che vanno dai 600 mln al miliardo.

Il Mef, che proprio in questo periodo cerca di reperire ovunque risorse per fare fronte all’aggiustamento strutturale dei conti – in vista degli impegni assunti con l’Ue, dalla quale ha ottenuto il dimezzamento della correzione richiesta, ossia lo 0,3 punti (l’Ue chiedeva lo 0,6) di saldo strutturale del Pil nel 2018 (con la prossima legge di bilancio, in autunno) – potrebbe trarne vantaggio.

Padoan, sta pensando già di tassare gli utili sulla pubblicità delle multinazionali, attraverso un intervento fiscale che ha qualche attinenza con la ‘cedolare secca’.

In definitiva, le quattro principali economie dell’Eurozona, chiedono di equiparare sul piano fiscale il fatturato di competenza di ciascuno di questi stati, evitando le fughe rocambolesche dei profitti con espedienti illegali, tramite le società del gruppo. E basterebbe calcolare anche un’aliquota minima sul fatturato per rendere più equo il ritorno verso l’erario, certamente oltre gli importi quasi simbolici versati finora.

In gioco c’è la regolare residenza fiscale, visto che finora le multinazionali hanno contato proprio su questo stratagemma. Per questo i quattro ministri insistono sul fatto che si è transatto fin troppo sui loro adempimenti fiscali, veramente irrisori. Padoan sostiene che “non è più possibile la tolleranza, dato che le web company compromettono con i loro comportamenti iniqui i principi di sostenibilità ed equità fiscale dell’Ue”.

I ministri hanno provveduto a trasmettere una copia del documento al Commissario per la Fiscalità dell’Unione, ossia Moscovici, il più agguerrito nella lotta contro l’evasione.
Non siamo indietro solo in Italia in materia di lotta contro l’evasione, è un problema che attanaglia un po’ tutti i paesi europei, e non solo. Gli Usa, infatti, con la nuova amministrazione, vocata al protezionismo esasperato, non collaborerà con l’Ue per le misure fiscali in dirittura d’arrivo contro le “over the top” americane.

Hanno cominciato gli inglesi nel 2015 ‘aggredendo’ Google (la Google tax), alla quale hanno imposto il 25% sul fatturato superiore ai 10 mln. Ma anche l’Italia ha reagito, sui fatturati originati dalla pubblicità on line che superano i 50 mln.

Attraverso gli accordi comuni, i 4 principali paesi dell’Ue, intendono esercitare una maggiore pressione fiscale, e rendere più efficaci i provvedimenti legislativi che saranno adottati a breve. In fondo si tratterebbe di responsabilizzare questi colossi, e indurli ad una compliance spontanea, senza necessità di interventi coattivi, che andrebbero poi a scapito delle società stesse, le quali incorrerebbero in sanzioni non più soft, come finora è accaduto, ma piuttosto pesanti.

Tuttavia il 7 giugno scorso è stata firmata la convenzione multilaterale tra più di 60 paesi Ocse sulla web tax. La convenzione ha il fine di contenere l’evasione fiscale delle big web company, con iniziative giuridiche di carattere internazionale e accordi multilaterali, volti a rendere più efficace anche la normativa esistente.

Gli accordi presi a giugno (e firmati a Parigi), definiti con la sigla Beps, ossia ‘Base erotion and profit shifting’, stabiliscono che gli stati firmatari potranno avvalersi della loro autorità per indurre le multinazionali a versare le tasse nel paese in cui si generano i profitti derivanti dalle transazioni on line e relativa fatturazione.

Con la convenzione esiste già un argine per contenere gli slalom fiscali di questi colossi che finora hanno consentito di mettere al riparo miliardi su miliardi in paesi con una normativa compiacente. Come già si sapeva, gli Usa non hanno firmato.

Quello che conta per la convenzione è il trasferimento sul piano multilaterale, di un insieme di accordi che si propongono di combattere lo ‘shopping fiscale’ dei grandi gruppi nel web, e dunque la tendenza di tradurre altrove la base imponibile, nonché gli utili societari, dai paesi in cui si originano a quelli che hanno una normativa fiscale bassissima, quando non nulla.

Il fatto è che questo genere di elusione causa danni enormi agli stati di ‘competenza’ e alle loro finanze pubbliche. Secondo le stime dell’Ocse, i danni globali si aggirerebbero intorno ai 200 mld di dollari.
In Italia, paladino della webtax è stato, nel 2013, un esponente politico del PD, Francesco Boccia, che ha voluto la sua introduzione per obbligare le big web company a versare le imposte indirette sui loro profitti derivanti dai traffici commerciali nel nostro paese, e che  non fanno regolare uso di partita Iva.

Cos’è dunque la web tax di cui si parla spesso negli ultimi mesi?

Semplicemente è un’iniziativa di carattere giuridico-fiscale che mira a regolamentare la tassazione sulle multinazionali che operano nel web, al fine di garantire ‘equità fiscale e concorrenza leale’.
E infatti la proposta di legge mira alla ‘ratio nel contrastare l’evasione delle transazioni on line, non registrate secondo le regole del paese di competenza dell’e-commerce, diretto o indiretto, e che pertanto sfugge al regolare regime di tassazione’.

E non è che queste ‘big’ non possano permetterselo. Si stima che grandi colossi come Facebook, Nintendo, Yahoo, eBay, Amazon, Expedia e tanti altri, nel complesso, capitalizzino circa 3mila miliardi di euro. Tanto per avere un’idea, si tratta di un importo sei volte superiore alla capitalizzazione della Borsa di Milano, del cui listino fanno parte circa 400 società..