EMBRACO, CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA

DI PIERLUIGI PENNATI

Il ministro Calenda è davvero furioso: «Non incontro più questa gentaglia» dice dei vertici di Embraco, l’azienda Whirpool che produce i compressori per frigoriferi che ha annunciato a sorpresa di abbandonare la sede torinese di Riva presso Chieri in favore, ma lo si è scoperto dopo, di uno stabilimento in Slovacchia dove delocalizzare con aiuti di stato o quasi.

Caro ministro che si stupisce, questo è frutto della politica suicida dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, certo, la politica dei dazi non poteva durare ancora a lungo, ma aprire le frontiere alla libera circolazione tra gli stati, privilegiando l’economia virtuale e senza avere un governo centrale che si ponga a mediatore dello sviluppo delle singole aree è certamente un errore: un errore grande quanto l’Europa.

Dire oggi che «adesso non ricevo più questa gentaglia, perché onestamente ne ho avuto fin sopra i capelli di loro e dei loro consulenti del lavoro italiani che sono qua» è tardi e persino ridicolo: “non ricevo più questa gentaglia”?

Ma se è il Governo ad aver invitato l’azienda e questa non si è mai presentata se non “costretta” da problemi prevalentemente di immagine e non certo formali!

Caro Ministro Calenda, è Embraco che non riceve il Governo, non l’opposto.

Non è l’azienda ad aver bisogno del Governo, ma viceversa, l’azienda fa il suo lavoro e segue le linee guida europee: privilegiare i conti bancari a discapito delle persone che sono solo altri numeri nel gran calderone dell’economia globale.

Il lamento dei lavoratori sulla situazione è straziante: «Vergognosa, inaccettabile, ci fanno cambiare il contratto di lavoro».

La proposta dell’azienda, infatti, è stipulare contratti part time fino a novembre, niente cassa integrazione e nessuna reindustrializzazione, «E dopo cosa facciamo? E’ una proposta scandalosa, ci prendono in giro» dicono dai sindacati che confermano lo sciopero bloccando il traffico e provocando lunghe code di auto sulle strade piemontesi.

Dal ministero si cercano affannose soluzioni: «Abbiamo sentito i legali dell’azienda con il presidente Chiamparino – dice Calenda – e ho ribadito la mia personale rassicurazione sui termini della cassa integrazione e l’azienda ha comunque risposto negativamente. Per me vale solo la pena notare che non si comprende questo atteggiamento».

Inutile insistere, dobbiamo renderci conto che non ci sono soluzioni, la continua aggressione ai diritti dei lavoratori con l’articolo 18 in cima alla lista, ma anche con l’interposizione di manodopera e la mancata valorizzazione minima delle prestazioni, sono il male che attanaglia non solo Embraco, ma moltissime aziende in un’Italia che ha scelto di andare verso la polverizzazione dell’attività industriale a favore della terziarizzazione, così invece di avere poche gradi aziende, come succede in Germania dove l’economia non sembra andare poi così male, si hanno tantissime piccole aziende delle quali non importa a nessuno: una cosa è controllare o dare solidarietà ad una sola grande azienda, un’altra è avere tanti piccoli ed invisibili problemi occupazionali.

È la politica dello struzzo: occhio non vede, cuore non duole, ma le famiglie dei lavoratori si impoveriscono sempre più.

Così oggi chi governa grida contro «un atteggiamento di totale irresponsabilità dell’azienda», lamentando, dice Calenda, che «per altro le motivazioni che danno dimostrano una mancanza di attenzione al valore delle persone e alla responsabilità sociale dell’impresa che raramente mi è capitato di riscontrare».

Tutto inutile, lo dice la legge, legge che viene ancora e nonostante tutto difesa strenuamente dal governo: se all’inizio di quest’anno la capogruppo Whirlpool ha preso la decisione più drastica, avviando una procedura di licenziamento collettivo per 497 addetti della Embraco sul totale di 537 lavoratori con l’intento di chiudere la fabbrica e lasciarvi soltanto un ufficio commerciale, non è perché sono cattivi, ma solo perché gli conviene e non ci sono argini legali efficaci a contrastare questa scellerata (per noi) decisione.

È emblematico che nello stesso momento la stessa azienda Whirpool che ordinava ad Embraco di chiudere in Italia concedeva aumenti di stipendio in Slovacchia a quasi 2.300 addetti per accogliere la produzione dismessa da noi, siglando un accordo sindacale oggi criticato dal Governo per essere “aiuti di stato” vietati nell’unione.

Oggi si piange sul latte versato, ma “ce lo chiede l’Europa”, quindi è lecito.

L’Europa ci ha chiesto di smettere di produrre moneta senza il suo controllo, così abbiamo mandato in pensione la lira in cambio di possibili scambi economici, ma smettendo di produrre moneta siamo stati anche costretti, sempre su richiesta europea, ad introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione ed a questo punto per far quadrare i conti si sono dovuti fare molti tagli alle infrastrutture, sanità, scuola, previdenza, cassa integrazione, etc., che hanno portato a dover rendere più flessibile il lavoro.

La flessibilità è stata quindi raggiunta utilizzando il ricatto sui lavoratori, vale a dire rendendo precario il lavoro cosicché i salari potessero diminuire e la produttività aumentare con lo spauracchio del licenziamento facile e poiché nelle grandi industrie, comunque, questo non poteva ancora avvenire, tramite la cancellazione del divieto di interposizione di manodopera si sono polverizzate le produzioni, trasformando le grandi aziende in migliaia di piccole realtà a mosaico dove i lavoratori possono essere vessati e maggiormente sfruttati “a norma di legge”.

Tutto bene fino a quando, per interesse economico e senza alcun rispetto per la dignità umana ormai solo oggetto di slogan e non realmente praticata da decenni nel nostro paese, quelli che possono “delocalizzano” in altri stati, vale a dire licenziano da un giorno all’altro e si va via con il malloppo.

A questo si aggiunga che la riforma bancaria Amato del 1990 ha reso possibile speculare con i capitali del risparmio e dell’industria, allargando la bolla economica virtuale a discapito degli investimenti reali, così che le aziende non sono più interessate ad investire in prodotti reali, ma solo in prodotti bancari, maggior resa senza spesa e senza lavoro per la popolazione.

Oggi ci prepariamo ad un’altra tornata elettorale dove le promesse sono ancora una volta tante e tutte davvero interessanti e dove demagogia e populismo la fanno come sempre da padrone: sotto accusa gli stipendi degli onorevoli, gli scontrini dei rimborsi e quel “prima gli italiani” senza alcun senso pratico che tanto piace alle menti ristrette e miopi, insomma, tutto punta su quella “giustizia sociale” che tutti vorremmo avere ma che poi, passata la tempesta che precede il voto, non porta mai a nulla.

Infatti, in piena legislatura, proprio il pareggio di bilancio che oggi tanto è criticato per i suoi effetti deleteri sull’economia, fu votato bipartisan nel 2011 da entrambe le camere, con un risultato complessivo davvero incredibile: 719 voti favorevoli, 141 astenuti, 89 assenti e NESSUN CONTRARIO!

Data la rilevanza del voto, di oltre i due terzi dell’intero Parlamento, nessun parere referendario fu chiesto agli italiani, che devono oggi a Partito Democratico, Popolo della Libertà, Lega Nord Padania, Italia dei valori, Futuro e Libertà, Per il Terzo Polo (ApI-FLI), Coesione Nazionale (Grande Sud-SI-PID-Il Buongoverno-FI), Unione di Centro, UDC, SVP e Autonomie, Popolo e Territorio (già In. Resp.), Gruppo Misto le tanto odiate riforme per pareggiare conti di bilancio perché “altrimenti l’Europa”…

La maggior parte di coloro che sette anni fa votarono a favore dei tagli al welfare in nome del bilancio sono ancora in corsa per rientrare nelle stanze del potere, mentre noi cominciamo seriamente a pensare sempre più a voce alta che non sia stato poi un grande affare aderire a questa strana Unione Europea che guarda ai mercati e dimentica gli uomini, non è sicuro che si debba a tutti i costi uscire da essa, ma è sicuro che serve una politica seria che rimetta il cittadino al centro, recuperandone i diritti che già c’erano e che male non facevano.

Forse l’economia globale non ne gioverà e non arricchirà ancora i grandi gruppi finanziari, ma vi sarà certamente più benessere per le persone e più giustizia sociale in modo del tutto naturale.

Embraco non è un problema, Embraco ci indica in modo chiaro e forte il problema, a noi comprenderlo e porvi rimedio, oggi non possiamo cambiare le decisioni di Embraco, ma forse possiamo ancora cambiare il nostro futuro, responsabilità verso le persone ed al diavolo i mercati!