ALITALIA: UNA COMPAGNIA SANA CHE BRUCIA MILIONI

DI PIERLUIGI PENNATI

L’agonia di Alitalia non finisce mai, qualche anno fa, lo ricordiamo tutti, ci dissero che Alitalia era malata: costava troppo.

Il problema, si disse, non era dovuto ai costi di manutenzione, quelli sono standard, ma agli stipendi ed al numero degli impiegati: troppi che guadagnavano troppo, così via ai tagli a personale e stipendi.

Ma le tutele legali e le incapacità gestionali erano tali da rendere difficile, se non impossibile, la cosa, al punto che per uscirne si pensò bene di creare una compagnia nuova, la “new company”, dove trasferire il personale superstite con i nuovi salari e lasciare nella compagnia vecchia, la “bad company”, i debiti, così la new poteva essere venduta a capaci ed intraprendenti investitori ed i debiti della bad pagati dai contribuenti.

Tutto fatto: in men che non si dica Alitalia costò un patrimonio alla nazione tra debiti accumulati e gestione dei costi sociali creati dai licenziamenti.

I componenti la cordata di imprenditori che acquisì la new company Alitalia furono definiti da Silvio Berlusconi, ai tempi presidente del Consiglio, i “capitani coraggiosi”.

Passa il tempo ed il problema Alitalia è ancora lì: costa troppo.

Nuova crisi e nuove accuse: si pensa subito a stipendi ancora troppo alti e personale in eccedenza così si immagina una nuova ristrutturazione con la benedizione dei sindacati: CGIL, CISL e UIL firmano un accordo che prevede 2.000 licenziamenti su 14.000 dipendenti complessivi.

Solo USB non ci sta, fa incetta di iscrizioni tra i dipendenti, diventando il primo sindacato nella compagnia, e lancia la campagna del NO al successivo referendum tra i lavoratori sull’accordo firmato.

Vincono: il NO prevale con il 70% dei suffragi, 700 su 1.000 votanti, ed i tagli non si fanno, ma Alitalia è sempre in crisi.

Il CDA si dimette e tutto sembra crollare: solo la vendita ci salverà!

È solo allora che si valuta seriamente la compagnia: quanto vale veramente?

Ma, soprattutto, è sana od ancora malata?

La scoperta è di quelle sensazionali, tutte le valutazioni dei periti, seppur con qualche distinguo, dicono la stessa cosa: la compagnia è in linea con il rapporto dei costi interni che sono addirittura migliori di compagnie concorrenti quali Lufthansa ed Air France.

Quindi nessuna reale preoccupante eccedenza di personale e stipendi inferiori che altrove, battuti in efficienza solo dalle low cost.

E allora, dove sta il problema?

Il volo!

Alitalia vola vuota, si dice per il sistema delle prenotazioni, per una politica tariffaria sbagliata, per il suo marketing inefficace, per … una dirigenza che non sa stare al passo con le altre, quindi si vende.

Se fossimo in Giappone, per un errore fatto da un operaio un dirigente si dovrebbe dimettere avendo dimostrato incapacità gestionale, invece siamo in Italia e se un dirigente, o persino tutti, sbaglia lo si premia, si licenziano un po’ di operai e tutto viene presto dimenticato, perciò vende la compagnia sembra la sola soluzione, “ma prima l’azienda va ristrutturata”, parola di Easyjet.

Ancora?

Quante ristrutturazioni dovranno esserci prima di capire che Alitalia merita la nostra attenzione preventiva e non repressiva?

Ma ecco che nonostante l’evidenza dei numeri oggi ci sono tre offerte sul tavolo: Luftansa, Easyjet, in un consorzio dove si dice partecipino Cerberus, Delta e forse AirFrance, oltre a Wizz Air per il solo corto-medio raggio.

Tutte offerte non vincolanti perché non complessive e quindi ancora una volta ricattatorie per il personale dipendente il cui destino rimane traballante nelle mani di dirigenti che non hanno saputo rilanciare la compagnia e di un governo che sta a guardare inerte, danneggiando così maestranze ed immagine italiana.

Perché dico questo?

Perché già lo scorso anno chi contestava sosteneva che, pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”.

Era Francesco Staccioli, Segretario Nazionale del Sindacato di base USB Trasporto Aereo che aveva vinto il referendum a dire: “Per USB è inaccettabile persino l’ipotesi dello scorporo dell’Handling. Continuiamo a chiedere il blocco della svendita di Alitalia e pretendere che il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia.”

Tutto inutile, anche se la pratica degli ultimi decenni ha sempre evidenziato come ad ogni ristrutturazione, cessione, vendita, siano seguiti problemi occupazionali e costi sociali non indifferenti, tagli, licenziamenti e compressione di diritti, producendo un amento della disoccupazione, vessando i lavoratori ed impoverendo il paese dove accade.

Arrivati alla seconda dannosa ristrutturazione possiamo oggi ancora dire che hanno sbagliato i dipendenti a rifiutarle avviando la vendita all’asta?

Forse no, dato che dopo l’emersione del reale stato di salute economica di Alitalia, che ha evidenziato come la compagnia fosse sostanzialmente sana, il personale non avesse alcuna colpa del suo dissesto economico e come le sue potenzialità fossero sempre elevate, persino i sindacati che avevano sottoscritto l’accordo poi rifiutato si sono ricreduti, ma troppo tardi, come al solito.

Ecco quindi che dopo un anno discussioni, l’unica offerta di acquisizione che manca è quella dell’acquirente che più avrebbe interesse ad acquisire la compagnia: lo stato italiano.

Quello stesso stato che però ha già sbagliato più volte, prima gestendo male e poi svendendo peggio e senza ripianare i debiti accumulati, caricati sui contribuenti, una compagnia importante nel mondo come Alitalia e che ora pensa di ripetersi abbandonando ancora a se stessi lavoratori ed eccellenze nazionali.

USB lo dice da sempre, Alitalia è sana e deve essere ri-statalizzata per dotarla della sola materia carente: la capacità di riempire i voli.

La politica delle ristrutturazioni e vendite non ha mai funzionato, è solo un facile modo di risolvere un problema mettendo la testa sotto la sabbia e senza badare alle persone ed ai contribuenti.

Alitalia è stata già risanata e ceduta a prezzo di favore una volta ed oggi il governo sembra volere una seconda tornata di costi sociali e drammi famigliari che potrebbe solo sperperare altro denaro pubblico e generare nuovi poveri, che certamente già non mancano.

Soldi già spesi prima e altri soldi da spendere ora ma senza risolvere il problema in un settore dove quanto sta accadendo pare incredibile, essendo il trasporto aereo in costante espansione con opportunità di lavoro e mercato sovrabbondanti nonostante la crisi generale.

In altri stati, dove si operano scelte diverse a tutela del mercato interno del lavoro, come in Francia dove si statalizzano i cantieri navali perché patrimonio indiscusso dello stato scalzando persino i governi esteri, si sarebbe forse agito diversamente.

Una soluzione gestionale efficace potrebbe venire dalla Germania, dove è obbligatoria per legge la “cogestione” persino nelle aziende private, vale a dire una partnership attiva con i lavoratori in alcuni processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili, migliorando competitività ed efficienza delle aziende.

In Italia, invece, i governi sembrano solo pensare a togliersi i problemi di torno, cedendo grandi parti di aziende strategiche nazionali che in qualche caso producevano, ed ancora producono, risultati importanti, tra queste, molto vicina ad Alitalia, si trova ENAV, l’Ente Nazionale di Assistenza al Volo, oggi unico ente del genere privato al mondo, che realizza ogni anno record di utili fino a superare i 100 milioni di euro netti distribuiti ad azionisti invece che incamerati dallo stato.

Ma forse sarebbe già sufficiente chiedersi perché compagnie come la low cost Easyjet dovrebbero comperare un compagnia in perdita, per far recedere il governo dal proposito di vendita, nessuno degli acquirenti vorrà certo rimetterci, quindi se si tratta di un investimento perché non farlo noi?

Al contrario, i ministri competenti, cioè quello dello Sviluppo economico Carlo Calenda e quello ai Trasporti Graziano Delrio, si accordano con i commissari straordinari Alitalia per procedere senza deviazioni dal piano concordato che porterà sicuramente nuova disoccupazione e costi a carico dei contribuenti e delle famiglie delle migliaia di lavoratori interessati.

Anche se in gestione provvisoria il Governo ha una grande responsabilità che dovrebbe perlomeno ribaltare sul nuovo e mutato scenario parlamentare, invece, contando anche sulla possibilità di fare comunque cassa durante la stagione estiva, tradizionalmente la più profittevole per le compagnie aeree, è sempre pronto a temporeggiare emanando un decreto che sposti i termini della cessione e la patata bollente al governo che ci sarà a fine anno.

Una operazione che genera comunque un danno certo, dato che, anche in caso di riacquisizione saranno evitati i costi sociali ma si dovranno quasi certamente risarcire le compagnie oggi in gara a cui sarà eventualmente tolta la possibilità di acquisizione.

Danno ieri, danno oggi e danno domani.

In attesa di un cambio di passo della politica “il vecchio” ha sempre più la tendenza di lasciare onerose eredità che penalizzano “il nuovo”… ed a pagare sono sempre i cittadini.

Forse dovremmo cominciare davvero a ripensare al mercato interno del lavoro come un bene da tutelare e non solo come un valore da svendere, forse dovremmo cominciare ad attuare la nostra Costituzione repubblicana, prima di pensare a smantellarla, forse dovremmo riflettere sul valore delle ultime tre parole della prima frase della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Quello che c’è e che, continuando a privatizzare e svendere tutto, forse presto non ci sarà più.