AIUTIAMOLI A CASA LORO, 12.000 CONTADINI IN GINOCCHIO IN COSTA D’AVORIO

DI PIERLUIGI PENNATI

In tempi di sola contrapposizione se la destra dice “aiutiamoli a casa loro” la sinistra si sente obbligata a contestare questa frase a prescindere, ma “aiutiamoli a casa loro” è proprio lo slogan che la sinistra dovrebbe avere, siete sicuri che tutti questi migranti si spostino solo per motivi economici? E siete sicuri che quei motivi economici siano esclusivamente il soggiornare gratis al Grand Hotel nella nostra nazione con telefonino ed internet?

La realtà è peggiore anche se da noi distante e per questo invisibile. Secondo molte associazioni cattoliche che operano nelle terre di provenienza dei migranti, queste persone preferirebbero restare nelle nazioni dove sono nate e se partono per trascorrere anni in marcia, venire seviziate, violentate e subire ogni tipo di angherie e sofferenze per poi tentare la fortuna su un barchino in mezzo al mare, dove la speranza è quella di morire in fretta se non si riesce ad approdare in Italia vivi, è solo perché non hanno altra possibilità che quella di cercare in questo modo di sopravvivere “a casa degli altri”, anche se non sempre dignitosamente, piuttosto che morire “a casa loro”.

Qualcuno però qualcosa fa e non sembra sia caritatevole.

Secondo il quotidiano locale Malpensa24 una società riconducibile ad un imprenditore di Gallarate utilizza da anni le persone in Costa d’Avorio dichiarando di aiutarle a casa loro, mentre non paga loro quanto dovuto, si tratta di una società che opera in quello stato e che nel sito web della casa madre italiana scrive “Negli anni sosteniamo un concetto di responsabilità sociale di impresa, concentrandoci maggiormente sul benessere delle persone delle comunità africane, che percepiscono il nostro operato come un’opportunità di crescita personale e di sviluppo del proprio paese”, e continua, “Le attività per lo sviluppo sostenibile sono parte integrante delle nostre attività in Costa d’Avorio”, specificando anche “ci impegniamo nella crescita personale e professionale dei nostri collaboratori con sostegni economici e umanitari, come la costruzione di una scuola materna per i figli dei coltivatori”.

Un quadro davvero commovente, se non fosse che Malpensa24 titola “Costa d’Avorio, imprenditore gallaratese mette in ginocchio 12mila contadini” ed informa: “Sono 12.000 (dodicimila) i contadini della Costa d’Avorio in serie difficoltà a causa dei ritardi nei pagamenti della società, riconducibile a un imprenditore tessile del Gallaratese. Ad essa è stata sospesa la concessione per la lavorazione del cotone. Il provvedimento è stato deciso dal direttore generale del Consiglio del cotone, dottor Adama Coulibaly, dopo che per il 2017 e il 2018, come informano i media del Paese africano, non avrebbe onerato i propri impegni con i produttori locali”.

La notizia è di ieri 6 agosto ed è subito stata riportata da altri giornali locali, ma siamo sicuri che sia proprio così?

Cercando in rete si scopre che la stampa locale della Costa d’Avorio parla del caso da molto prima, affermando addirittura che la situazione sarebbe drammatica ormai da anni, al punto che alla società sarebbe stata ritirata la concessione per lo sfruttamento di circa 18mila ettari coltivati a cotone e minacciata di misure più drastiche perché, come afferma il quotidiano ivoriano della sera L’infodrome il 5 maggio u.s., vi sarebbe un grave “retard dans le paiement des décades (les dernières décades de 2017 payées en juillet 2018 tandis que les décades de 2018 ne sont pas entièrement payées ) et le non-paiement des ristournes” (ritardo del pagamento dei salari – gli ultimi mesi del 2017 sono stati pagati a luglio 2018 mentre il 2018 non è stato per nulla pagato – e il mancato pagamento dei ristorni).

Le piantagioni sono state prontamente riassegnate ad un’azienda locale, la Ivorian Cotton Company, perché le piantagioni di cotone sono una delle risorse principali del Paese, terzo produttore africano dopo Egitto e Sudan, e non possono permettersi uno stop della produzione senza generare una catastrofe economica.

La presenza straniera, comprese le aziende italiane, è decisiva per la stessa economia ivoriana che impiega nel settore il 68 per cento della forza lavoro e, come ricorda Malpensa24, “è in questo contesto che un investitore italiano ha messo in difficoltà migliaia di contadini e le loro famiglie per non avere ottemperato agli impegni presi”.

Abbiamo chiamato l’azienda italiana per il dovuto chiarimento, ma è chiusa per ferie sino al 27 agosto ed è impossibile da raggiungere.

Non è possibile immaginare se questo tipo di situazioni possa stimolare o frenare le migrazioni, ma certamente non si scappa dalla terra dove si è nati se vi sono condizioni favorevoli; se tutti gli imprenditori stranieri che oggi sfruttano l’Africa in questo modo si impegnassero anche solo a fornire normali condizioni di lavoro forse, ma solo forse, la situazione potrebbe mitigarsi o persino invertirsi.

Senza guardare alla fonte dei problemi, l’Africa è per noi oggi solo una risorsa di sfruttamento, sia esso industriale o per una politica populista, al contrario cominciare a pensare a come potremmo davvero aiutarli a casa loro ed impedirne le migrazioni dovrebbe far parte della normale politica estera della sinistra che vede da sempre proprio nella ampia socialità e nella ridistribuzione delle ricchezze un principio fondante.