CGIL sei diventata come gli altri.

Analisi dell’accordo interconfederale fra Confindustria e CGIL, CISL e UIL del 18 Giugno 2011.

 

L’ accordo raggiunto nel giugno 2011 fra le principali federazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL) e Confindustria, è da definirsi storico per la gravità dei sui contenuti e conseguenti applicazioni nel mondo del lavoro. Doveroso quindi studiarlo e commentarlo, cercando di capire le motivazioni che hanno portato i sindacati a siglarlo all’unanimità.

Consultando la premessa, si evince immediatamente quale tipo di impostazione politico\sociale abbia questo testo, infatti viene sottolineata l’importanza del mantenimento delle migliori condizioni possibili di competitività e produttività delle imprese, grazie a rapporti sindacali distesi (trattasi di un raffreddamento generale), a scelte d’intesa ed a una politica di sviluppo adeguata alle differenti necessità produttive. Quindi palese è la mancata citazione, nel modo più assoluto, dei diritti dei lavoratori, di chi produce, di chi permette, con lo sforzo fisico e mentale, ai “padroni” di arricchirsi.

Nel punto 1, si esplicita la normativa della rappresentatività sindacale nazionale, stabilita al 5% tra il dato associativo ed il dato elettivo. Questa norma è mal strutturata perché, per dato associativo si deve intendere coloro che sono iscritti al sindacato (per ogni associazione sindacale), non tutti i lavoratori dipendenti aventi diritto come in questo caso; inoltre i dati contributivi relativi agli iscritti, vengono inoltrati all’ente certificatore INPS direttamente dalle aziende, lasciando a quest’ultime, erroneamente, la gestione di tale attività così delicata, incarico fin troppo fuori luogo.

Sempre in tema di elezioni sindacali, al punto 5 si apprende dell’avvento delle RSA, di nomina diretta delle confederazioni sindacali (in quanti casi in sintonia con le industrie?). Da tenere in considerazione l’accordo interconfederale del 1993, che regola le elezioni delle RSU, già disdetto però da UIL e quindi praticamente invalidato. Per tale motivo ora firmano che: “le categorie definiranno regole e criteri per le elezioni delle RSU”, dando così adito a chicchessia sindacato di provare a cambiare le carte in tavola in qualsiasi momento, destabilizzando il sindacato in generale, le RSU e tutti i lavoratori.

Al punto 2 si stabilisce che, il contratto nazionale, deve garantire la “certezza dei trattamenti economici e normativi”. Andrebbe benissimo, la battaglia della FIOM contro le deroghe ai contratti sembra finalmente vinta, è solo un’illusione momentanea del lettore, in quanto al punto 7 vengono introdotti “strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi”, tradotto in parole povere si rende possibile (o meglio si mantiene) modificare, derogando, decisamente i contratti nazionali in materia di orari, luoghi, sicurezza, organizzazione ecc. Tornando al punto 2, non vengono contemplati referendum, utili alla democrazia e dovuti ai lavoratori per potere esprimere il loro parere in merito ai CCNL. Nessuna consultazione e nessuna verifica, anzi libertà di imporre accordi separati, raggiunti magari da un sindacato di minoranza per numero di voti.

Ad avvalorare ed aggravare ciò che è stato spiegato al punto 2, ecco venire in soccorso il punto 4, nel quale si informa che anche nei contratti aziendali (locali), non è prevista la consultazione dei lavoratori ed è sufficiente che il 17% +1 dei voti delle RSU sia concorde con la ditta, per rendere effettivo seduta stante il compromesso, considerato quindi di maggioranza.

Il punto 5 rafforza la figura delle RSA, rendendo efficaci i contratti collettivi aziendali da essi avvallati. RSA rappresentanti delle organizzazioni sindacali e spesso non dei lavoratori (perché da essi non eletti). In questi casi, la consultazione può avvenire ma deve essere richiesta da almeno una sigla sindacale firmataria, entro dieci giorni dalla sottoscrizione oppure dal 30% dei lavoratori di quell’impresa (requisito per la validità del referendum il raggiungimento del quorum fissato al 50% +1 degli aventi diritto).

Al punto 6 si sancisce il divieto di apertura di vertenze sindacali (e di conseguenza di sciopero) da parte delle sigle depositarie di tale accordo interconfederale, in merito a situazioni attinenti al suo contenuto (a meno di inadempienze dello stesso da parte delle aziende). Se poi i lavoratori forzano comunque lo sciopero, possono farlo (si blatera di non volere intaccare il diritto di sciopero) ma praticamente a loro rischio e pericolo.

Tralasciando i commenti dei segretari nazionali di CGIL, CISL e UIL e quello del presidente di Confindustria, ovviamente soddisfatti, altri giungono dalla politica e non: l’ex ministro del lavoro Sacconi: “Il Governo ha già avviato una più ampia verifica per offrire anche ad altre categorie gli strumenti per l’adozione di un analogo criterio”; l’ex segretario del PD Bersani: “Rappresenta lo spirito con cui affrontare la crisi”; si discostano e si dimostrano appropriatamente contrari l’ex leader di Rifondazione Comunista Bertinotti e l’ex segretario generale CGIL Cofferati, i quali denunciano la pericolosità di questo accordo e la sua antidemocraticità.

L’accordo sin qui analizzato, rispecchia quello separato FIAT di Pomigliano, recentemente esteso a tutti gli stabilimenti, con il rischio che lo sia ancor di più a tutte le aziende metalmeccaniche e per mezzo di questo accordo interconfederale, a tutte le categorie di qualsivoglia settore. Un’ultima ma non per importanza, riflessione spetta sulla CGIL, storico e solitamente valoroso e giusto sindacato, che in questo caso specifico (e non solo in questo purtroppo), ha enormemente deluso le aspettative di moltissimi traditi lavoratori.

Siamo nelle mani di una cricca di delinquenti opportunisti patentati. Data la crisi pesante ed interminabile, dati i provvedimenti scellerati per ridimensionarla da parte del Governo Monti e del nuovo Governo Letta, dati l’attacco all’articolo 18 e l’inserimento dell’articolo 8 nella manovra finanziaria, questo accordo giunge ad esasperare la condizione, già disastrosa e precaria, delle classi meno abbienti, dei lavoratori dipendenti, che come al solito maggiormente ne fanno le spese.

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*