
Statuto dei lavoratori in discussione, la crisi e la politica.
Il 14 maggio 1970 veniva approvata alla Camera la legge n’300, ribattezzata dai più come “Statuto dei diritti dei Lavoratori”. Il testo è suddiviso in capitoli per argomenti, quali il rispetto della dignità del lavoratore, la libertà alle attività sindacali ove rientra il famigerato e tanto discusso Articolo 18, il collocamento ed altre disposizioni transitorie.
Occupandoci strettamente dell’articolo 18, esso regola il reintegro di un lavoratore licenziato ingiustamente, un risarcimento economico per le mensilità perdute ed un indennizzo ulteriore nel caso in cui il lavoratore, non ritenesse opportuno ritornare ad occupare il precedente posto di lavoro, dopo l’accaduto. Condizione univoca ed inequivocabile è che l’azienda abbia 15 o più dipendenti (5 per le aziende agricole), considerati tali anche personale assunto a contratto di formazione, a tempo determinato oppure part time (non contano i parenti, entro il secondo grado, del datore).
Indubbiamente trattasi di un diritto fondamentale ed irrinunciabile per tutti i lavoratori ed aspiranti tali. Una tutela concreta, uno dei pochi salvagente in mezzo ad una miriade di difficoltà e di problematiche da affrontare e sconfiggere per sopravvivere nell’universo lavorativo.
Un’impresa eroica è già il fatto di saper destreggiarsi in ambienti dominati dal capo padrone di turno che pensa solo al mero profitto, fregandosene dei propri impiegati, considerati solo un mezzo per raggiungere il fine; combattere la precarietà e lo sfruttamento; riuscire a mantenere un salario minimo indispensabile per sé e per la famiglia; difendere i propri diritti e la propria dignità di uomini; evitare la cassa integrazione e la mobilità ecc. Figuriamoci cosa sarebbe vivere con l’angoscia costante di un possibile licenziamento solo perché, magari si è antipatici al proprio datore.
Fortunatamente la normativa in Italia in tale materia, non è completamente da scartare. L’articolo 18, come altri del suo genere, è frutto di dure e lunghe lotte sindacali, che hanno portato ad ottimi risultati, ottenuti in quegli anni dove si è riusciti a smuovere gli animi della gente in modo radicale. Tale scomodo articolo (per i Governi che si sono susseguiti e per le aziende in genere), negli anni, è stato oggetto di parecchie diatribe ed in molti hanno tentato di abolirlo e\o modificarlo, sino ad oggi senza riuscirci.
Ad esempio, i Radicali, nel 2000, provarono ad abolirlo, chiamando gli Italiani alle urne per un referendum che non raggiunse però il quorum (32,5%, del quale il 66% disse comunque NO alla domanda di cancellazione); successivamente nella scorsa primavera, il Governo Berlusconi propose di modificarlo, permettendo alle aziende con più di 15 dipendenti di non essere soggette all’articolo 18, modifica che di fatto equivale alla sua abolizione (una modifica da una legge da parte di un Governo ha effetto di deroga alla stessa o di decreto legge e quindi momentanea, per risolvere una determinata situazione spinosa), ciò non si verificò perché le confederazioni sindacali all’unisono, proclamarono sciopero generale, rispedendo al mittente tale iniziativa.
Poi il Governo tecnico del banchiere Sig.Monti, chiamato a “salvare” l’Italia dalla situazione di crisi economica attuale e risollevarla dalla recessione indirizzando il Paese verso la crescita, oltre a mettere in atto una manovra scellerata (dove chi deve colmare il debito pubblico è colui che non l’ha creato, ovvero il lavoratore proletario, il pensionato, il piccolo artigiano ecc) in più settori, entra nel merito dello Statuto dei lavoratori e di conseguenza dell’articolo 18. Per diverso tempo l’allora ministro del lavoro Sig.ra Fornero, le parti sociali (sigle sindacali, CGIL CISL e UIL le maggiori) e l’allora presidente di Confindustria Sig.ra Marcegaglia, cercano di trovare una soluzione che possa andare bene a tutti, su come riformare il mondo del lavoro.
I presupposti e le esternazioni di alcuni però sono sbagliate, assurde! Il ministro Fornero dice che se non si dovesse arrivare ad un accordo, il Governo procederebbe comunque, successivamente il Presidente Monti aggiunge che il posto fisso è un miraggio e ad ogni modo sarebbe monotono, certo, per lui è meglio il sistema Statunitense, dove vieni licenziato senza motivo e senza ritegno, folle! Come a dire: “Ciao ciao articolo 18”.
Già con queste indelicate affermazioni, a mio parere, il tavolo di trattativa doveva saltare ed invece partire immediatamente con scioperi generali e manifestazioni, come inizio di una cruenta protesta.
Altro ministro, degli interni Sig.ra Cancellieri blatera sciocchezze, del tipo che gli italiani pretendono il posto fisso e che il luogo di lavoro sia vicino a mamma e papà, dando di fatto a tutti dei viziati papponi. I maggiori esponenti delle confederazioni sindacali si dicono possibilisti circa modifiche allo Statuto dei lavoratori ed all’articolo 18, tranne la Sig.ra Camusso, segretario nazionale della CGIL che lo ritiene intoccabile, un totem e proclama dura battaglia (solo un’illusione, sappiamo com’è andata a finire).
Nel frattempo, centinaia di migliaia di persone sono già precarie, in mobilità ed in cassa integrazione, se non disoccupati. Il resto della popolazione attende sviluppi che giungeranno inesorabili a peggiorare questo stato di mal lavoro.
Altro che permettere alle grosse industrie di respirare, qui si strozzano i lavoratori, i più poveri, i più deboli, questa è la cruda verità! Certo, l’articolo 18 è considerato decisivo, fondamentale ma non soffermiamoci unicamente a questo, non vorrei che diventasse una scusa, un deterrente per distogliere l’attenzione da altri provvedimenti e decisioni ancor più pesanti. Ogni diritto che viene leso è uguale ad un altro.
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