L’accordo della vergogna.

Punti salienti ed analisi dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza.

 

Il 31 maggio 2013, CGIL, CISL e UIL (le tre più grandi confederazioni sindacali) hanno siglato con Confindustria l’accordo sulla rappresentanza sindacale.

Per la serie: “Non c’è limite al peggio” ecco, per capire la successiva analisi, la sintesi scarna comparsa sul sito della CGIL:

Misurazione della rappresentanza

1.- Ai fini della determinazione del peso di ogni organizzazione sindacale, che determina la possibilità di sedere ai tavoli dei rinnovi contrattuali, valgono:
• le deleghe sindacali (trattenuta operata dal datore di lavoro su esplicito mandato del lavoratore) comunicate dal datore di lavoro all’INPS e certificate dall’Istituto medesimo;
• i voti raccolti da ogni singola organizzazione sindacale nell’elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) in carica (validità 36 mesi).

2.- Il numero degli iscritti e il voto per le RSU peseranno ognuna per il 50% (così come anche previsto nel decreto legislativo 165/01 per il pubblico impiego).

3.- Questi due dati, iscritti e voto, verranno comunicati ad un ente esterno certificatore (es: CNEL) che procederà, per ogni CCNL, a determinare il calcolo della rappresentanza di ogni organizzazione sindacale.

4.- Le RSU saranno elette con voto proporzionale ai voti ottenuti, superando così l’1/3 destinato alle Organizzazioni Sindacali firmatarie di CCNL, e vi è l’impegno a rinnovare quelle scadute nei successivi sei mesi.


Validità ed esigibilità dei CCNL

Con l’accordo si stabiliscono regole che determinano le modalità con cui rendere esigibili, per entrambe le parti contraenti, il CCNL. Trattasi, per la prima volta nella storia delle relazioni sindacali nel nostro Paese, di una procedura formalizzata e condivisa da entrambe le parti.

1.- Saranno ammesse al tavolo della trattativa le Organizzazioni Sindacali “pesate” con le regole sopra descritte, che superino la soglia del 5%.

2.- Le modalità di presentazione delle piattaforme contrattuali è lasciata alla determinazione delle singole categorie, con l’auspicio di entrambe le parti affinché si determinino richieste unitarie.

3.- Un CCNL è esigibile ed efficace qualora si verifichino entrambi le seguenti due condizioni:
• sia sottoscritto da almeno il 50%+1 delle organizzazioni sindacali deputate a trattare;
• sia validato, tramite consultazione certificata, dalla maggioranza semplice dei lavoratori e delle lavoratrici, con modalità operative definite dalle categorie
La sottoscrizione formale del CCNL che abbia seguito tale procedura diviene atto vincolante per entrambe le parti.

4.- I CCNL definiranno clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantirne l’esigibilità e le relative inadempienze.

Premesso che questo accordo assoggetta solamente le categorie di lavoratori, le quali aziende fanno parte di Confindustria (e già questo è un “limite”), la prima considerazione è la totale mancanza di democrazia, infatti non si dice che solo i sindacati firmatari di questo accordo saranno ammessi ai tavoli di trattativa a qualsiasi livello (viene garantito il monopolio a CGIL, CISL e UIL).

In pratica solo i sindacati Confederali avranno voce in capitolo, gli altri sindacati, quali sindacati di base e\o corporativi, anch’essi assolutamente e legittimamente rappresentativi, verranno estromessi.

 

Non potranno quindi più contrattare né partecipare alle elezioni delle RSU, perdendo certamente, per ovvi motivi, tesseramenti e quindi forza e quindi rappresentatività, decade così lo stato di esistenza di una organizzazione sindacale.

Una forma clientelare e servile, già solo questo lascia pensare che la CGIL (contestatissima) sembra aver stipulato il famigerato “patto con il diavolo”, venduti?

E cosa dire del fatto che NESSUNO potrà scioperare contro quanto deciso soltanto dai firmatari e dalle imprese? Tutti gli altri zitti e pedalare!

Sono state quindi redatte delle regole per l’esercizio del diritto di sciopero e sanzioni per mancato rispetto e le conseguenti violazioni.

 

Tutto questo, tradotto sta a significare che difficilmente vedremo lavoratori in sciopero, in lotta per i propri diritti.

 

Facciamo un esempio: in FIAT la FIOM non ha siglato gli ultimi contratti integrativi di settore, invece le sigle firmatarie nel loro insieme raggiungono più del 50%+1, di conseguenza, con questo contratto sulla rappresentanza, i lavoratori FIAT iscritti FIOM non avrebbero avuto alcun diritto allo sciopero né altri metodi di rivendicazione dei propri diritti.

Ma alla CGIL la situazione FIOM in FIAT non ha insegnato nulla (per correttezza preciso che ora la FIAT non è più in Confindustria e quindi non è asservita a questo accordo sulla rappresentanza)?

 

Un’altra domanda in merito: con quale strano criterio si è deciso che per potere concertare un’organizzazione sindacale deve avere il 5% fra iscritti e voti espressi per le RSU e per sottoscrivere un CCNL ad esempio, serve il 50%+1 delle organizzazioni sindacali presenti in trattativa e non dei lavoratori da esse organizzate? Non è forse una contraddizione oppure tutto ciò ha una logica subdola? E’ democrazia questa?

 

Questo accordo si pone, tra l’altro, in continuità con due precedenti accordi confederali, quello del 22 gennaio 2009 e quello del 16 novembre 2012, entrambi accordi separati ai quali la Cgil non aderì, mentre è in vigore l’articolo 8 della legge Sacconi che manomette e limita il contratto nazionale di lavoro a favore della contrattazione aziendale, di una contrattazione, nella crisi, spesso peggiorativa della condizione dei lavoratori.

Sembrerebbe quindi in atto un processo che prevede la riduzione del peso del contratto nazionale e l’accrescimento del peso della concertazione aziendale.

Altro aspetto: nel privato, le deleghe in busta paga sono obbligatorie solo verso i sindacati firmatari del contratto nazionale e questo accordo prevede che la rappresentatività venga proprio misurata anche sulla base delle deleghe e per i soli sindacati firmatari dell’accordo stesso, cosa differente dal settore del pubblico impiego come dichiarato, ove invece è possibile delegare un sindacato non firmatario.

E ancora: la libera espressione di voto dei lavoratori è stata vanificata, infatti le RSU (attivate esclusivamente dalle organizzazioni depositarie di questo accordo sulla rappresentanza) perdono diritti sindacali che altresì faranno a capo alle sole organizzazioni sindacali e se un RSU dovesse decidere, per qualsivoglia motivo, di cambiare sigla sindacale, decadrebbe totalmente dal suo incarico, lasciando spazio al primo candidato utile dell’organizzazione dell’estromesso RSU. Votare “Tizio” perché è una brava persona, pulita, fidata e competente potrebbe risultare vano. La partecipazione dei lavoratori alla “vita” sindacale è conclusa.

Ecco le voci dei protagonisti di questo scempio: ”E’ un accordo storico”, commentano cinguettando all’unisono Camusso e Squinzi. ”un accordo che mette fine ad una lunga stagione di divisioni”, aggiunge il leader della Cgil; ”Dopo 60 anni definiamo le regole per la rappresentanza, che ci permette di avere contratti nazionali pienamente esigibili”, sottolinea con più sincerità il presidente di Confindustria; “E’ una svolta davvero importante nelle relazioni industriali”, dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. “La Cisl è molto contenta. Abbiamo perseguito con molta forza questo obiettivo”; il plauso all’accordo arriva anche dal premier Enrico Letta che twitta: ”Una bella notizia l’accordo appena firmato Confindustria-sindacati: è il momento di unire, non di dividere per combattere la disoccupazione”. Se non sembrano questi “rantoli” di pura follia…!

 

A mio parere, negli ultimi tempi, con tutti questi recenti accordi interconfederali (vedere ad esempio quello sulla produttività di novembre 2012), si stanno gettando le basi per escludere i lavoratori dalla realtà sindacale, per seppellire la protesta dei lavoratori stessi derivata da questo periodo di crisi economica devastante e togliere di mezzo tutti quei sindacati realmente agguerriti ed ancora “coscienti”  che continuano a rappresentare realmente il malessere sociale, conseguente alla condizione lavorativa generale disastrosa del nostro Paese.

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