LETTERA DA BRUXELLES, ALTRA STRIGLIATA SUI CONTI: INSUFFICIENTI I PROGRESSI SUL DEBITO

DI VIRGINIA MURRU

 

Era attesa la lettera da Bruxelles, e il Governo non si aspettava espressioni di elogio sui conti pubblici, puntuale è così arrivato l’ennesimo richiamo:

“Secondo i dati notificati per il 2018, si conferma che l’Italia non ha compiuto progressi sufficienti, nel rispetto dei criteri del debito nel 2018”. Nel volgere di due giorni la Commissione europea aspetta una risposta esauriente, che giustifichi gli scostamenti contestati e gli impegni deliberatamente violati.

Roma dovrebbe rispondere alla missiva entro venerdì, e dovranno esserci riscontri convincenti questa volta, il rischio della procedura d’infrazione si è evitato per miracolo nel dicembre scorso,  ora è più che mai possibile che si concretizzi. Certo il ministro agli Affari economici e monetari Moscovici, evita dichiarazioni aut-aut nei confronti del Governo italiano, ma che ci sia un clima d’insofferenza nei confronti delle ‘trasgressioni’ tutte italiane ai parametri Ue, è più che giustificato.

Da oltre un anno a questa parte le divergenze si sono acuite, e le reazioni di Roma ai rilievi mossi dalla Commissione europea, sono state non di rado irriverenti, a volte caratterizzate da polemiche e acredine verso lo stesso presidente Juncker.  Bruxelles si è mantenuta su una linea di equilibrio verso gli atteggiamenti di arroganza, difendendo nel modo più diplomatico possibile le relazioni con il governo italiano.

Ma non si può pensare di gestire le regole dei Trattati secondo le proprie esigenze interne, arroccandosi dietro le barriere nazionalistiche, è giusto dare risposte più affini al senso di responsabilità che deriva dai vincoli che legano gli Stati membri all’Unione.  Eppure si procede ancora su una strada tempestata d’insidie, e le risposte alle osservazioni più che obiettive che giungono da Bruxelles, sono sempre poco ponderate, inconsistenti.

Luigi Di Maio, a conclusione del vertice di governo, tra il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria, così commenta la lettera che la Commissione europea ha fatto pervenire a Roma: “E’ assurdo,  ma non ci pieghiamo”. L’altro vicepremier, Matteo Salvini, non è stato più benevolo: “A Bruxelles devono prendere atto del voto dei popoli, la gente intende cambiare, vuole la crescita ..”.

Insomma l’ostinazione è ancora alla guida, e forse più di prima, nei rapporti con le autorità dell’Ue,  non si è ben compreso che le sfide peggiorano i problemi.

La domanda del resto è solo una: ha ragione il nostro Paese che non riesce a rispettare regole e parametri, o le Istituzioni Ue che vengono elette affinché si vigili per il rispetto degli accordi?

Intanto il 5 di giugno la Commissione esprimerà un giudizio sulla “questione Italia”. Certo l’immagine del Paese non ne viene fuori scintillante, da confronti sempre perdenti con chi ha l’autorità di tenere le redini, e pungolare ogni volta che ricorre il caso, qualora necessario.

Si rischia comunque una sanzione di 3 miliardi e mezzo di euro, e non si tratta di spiccioli, soprattutto per lo stato delle nostre finanze. Il debito è eccessivo, ce lo hanno ripetuto in tutte le lingue, e per dirla con un luogo comune, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

Che il debito sia il più ‘esuberante’ in area euro, è un dato di fatto. Solo la Grecia fa peggio di noi. Spagna e Portogallo hanno messo mano ai loro conti e hanno fatto negli ultimi anni un bel salto di qualità.

La procedura per indebitamento eccessivo viene aperta quando uno Stato membro dell’Unione non rispetta le norme sul deficit o sul debito. E’ comunque una procedura piuttosto complessa che prevede un iter di ben 17 passaggi. Il primo, quello già avviato dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, è l’avvio di un rapporto “ex art. 126.3” del Trattato sul Funzionamento dell’Ue.

Secondo le Autorità di Bruxelles tra il 2018 e il 2019, c’è stato uno scostamento rispetto agli accordi pari allo 0,7%, in termini di numeri si tratta di 11 miliardi. La procedura per debito non è mai stata applicata finora nei confronti degli Stati membri,  l’Italia potrebbe essere la prima.

I mercati sono i primi a ringhiare contro i nostri conti dissestati, e ieri lo spread è di nuovo schizzato intorno a 290 punti base. Tutto si rivolta contro i politici che hanno la pretesa di avere ragione con le loro rimostranze nei confronti dell’Unione europea. Di sicuro in quest’ordine di valutazioni c’è qualcosa che non torna.

Gli stessi Stati membri dell’Unione, in particolare gli altri 18 dell’Eurozona, non intendono transigere sulla deriva dei conti pubblici in Italia, hanno transatto fin troppo negli ultimi anni. Negli ultimi  mesi hanno espresso in modo chiaro l’insofferenza, anche perché il disordine dei conti, l’indebitamento eccessivo, non solo mali ‘endemici’, ma anelli di un sistema, e col tempo, considerato il peso di un’economia come quella italiana, esercitano ‘influenze’ che finiscono per danneggiare anche gli altri.

E’ questo aspetto che è stato piuttosto sottovalutato. Una linea di pensiero sovranista non può andare oltre un certo limite, allorché si tratta di rispettare gli steccati di un sistema economico e monetario comune.

L’ala politica nazionalista che in Italia ha trionfato alle elezioni europee, non ha un tracciato di convergenza con l’esigenza di adeguamento alla legislazione comunitaria e al dovere di recepirne la normativa.

Si contestano i metodi nel calcolare le misure di bilancio sul piano strutturale, più volte anche l’ex ministro dell’Economia Padoan ne mise in discussione la procedura contorta, ma anche la Francia la contestò, e tuttavia al momento non ci sono alternative.

Ora non si potrà fare con la Commissione uscente, le istanze e i dibattiti sui legittimi cambiamenti, si potranno avanzare nella prossima legislatura Ue, ossia dopo novembre. Per circa sei mesi si dovrà stare in graticola, alle medesime condizioni degli altri, e perdere tempo in polemiche, inasprendo i toni, non è il migliore lasciapassare per un dialogo disteso e produttivo.

Il vice presidente Dombrovskis e Moscovici (rispettivamente vicepresidente Commissione europea e Commissario agli Affari  Economici e monetari), dovrebbero istruire un rapporto sul debito italiano, in applicazione dell’art. 126.3  (Trattato di funzionamento dell’Ue), su questo rapporto si pronuncerà poi il Comitato Economico e Finanziario (ne fanno parte i rappresentanti dei governi degli stati membri).

Nella risposta che Roma recapiterà sul tavolo della Commissione domani, si dovranno trovare argomenti sufficienti e convincenti per giustificare la violazione, la mancanza di disciplina e compliance verso i parametri stabiliti dal Patto di Stabilità e Crescita.

A questo punto si spera nella capacità di mediazione e dialogo del premier Conte, nonché nella moderazione e buon senso del ministro Tria, oltre che nella ‘bacchetta magica’ del Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco, e del direttore Generale del Tesoro, Alessandro Rivera.