IN PROSPETTIVA SEMPRE PIU’ PROBABILE UNA RECESSIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE

DI VIRGINIA MURRU

 

I sintomi del resto si fanno sentire già da più un anno a questa parte, a darne l’allarme in primis i mercati, seguono gli analisti, le Organizzazioni Internazionali che monitorano lo stato dell’economia sul piano globale, le Agenzie di rating e Istituti di Statistica. Infine i numeri, con percentuali al seguito, che riflettono trend e valori dei dati macroeconomici più rilevanti.

Secondo quanto ha riportato nei giorni scorsi il quotidiano economico WSI, c’è stata un’autentica ondata di vendite a Wall Street, le contrattazioni sono state condizionate dai timori per i dati negativi dell’attività manufatturiera in Europa e Usa, e da un conseguente possibile rallentamento dell’economia a livello mondiale. Wall Street (e le Piazze europee) si è ripresa alla fine della settimana appena trascorsa, spinta propulsiva giunta dai dati relativi al tasso di occupazione, risultati in aumento in Usa (che era giunto ai minimi dal 1969), anche se meno del previsto.

Ci sono tuttavia ancora incertezze che pesano sulla crescita in area euro e negli Usa.  Negli States agosto si è chiuso con il deficit commerciale in ascesa. La stessa Fed a settembre ha agito in modo prudenziale, tenendo conto delle dinamiche negative causate proprio dalla politica dei dazi che hanno già determinato da tempo un rallentamento globale del commercio.

Il deficit commerciale ad agosto è arrivato a quota 54,9 miliardi di dollari, in termini percentuali il disavanzo è dell’1,6%, il dato negativo è dovuto all’aumento delle importazioni, per le quali si è registrata una crescita superiore rispetto all’export. In termini tendenziali il deficit commerciale degli States è passato dai 400 ai 429 miliardi di dollari, ma è allo stesso tempo necessario rimarcare che si è ridotto notevolmente il deficit nei confronti della Cina (a settembre).

L’orientamento di Jerome Powell, presidente della Fed, è stato comunque di cautela, anche se il taglio dei tassi di un quarto di punto ha fatto indignare il presidente Trump, che ha giudicato troppo prudente l’intervento della Banca Centrale, senza alcun impulso di coraggio. Egli del resto sarebbe soddisfatto se i tassi diventassero negativi.

In Italia intanto c’è attesa per le discussioni già iniziate in Parlamento sulla Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, il Def, con il nuovo ‘status’ dei conti, (e ‘preludio’ della stessa Manovra), che è stata da poco approvata dal Governo.

Oggi e domani sono in agenda le audizioni nelle Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, la prima audizione  è riservata al Comitato Nazionale Economia e Lavoro, e a seguire quella del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Martedì saranno auditi i funzionari dell’Istat, Banca d’Italia, Upb (Ufficio Parlamentare di Bilancio) e Corte dei Conti. Mercoledì 9 ottobre le Commissioni procederanno all’analisi del Def, che infine giungerà alla Camera e in Senato giovedì 10.

Entro il 20 ottobre il disegno di Legge di Bilancio, che recepisce gli orientamenti programmatici del quadro dei conti delineato nel Def, sarà presentato alle Camere dall’esecutivo. Sarà una manovra di 29 miliardi, scongiurato il disinnesco delle clausole di salvaguardia Iva, il Governo ha dichiarato che le risorse sono state rese disponibili. Previsti investimenti di 50 miliardi ripartiti in un orizzonte di tempo poliennale.

Entro il 20 ottobre deve dunque essere presentato ufficialmente il Disegno di Legge di Bilancio 2020,  pubblicata poi nella Gazzetta Ufficiale entro il prossimo 31 dicembre.

I sindacati, com’è prevedibile, chiederanno d’interagire per sollecitare eventuali interventi nella manovra, è previsto un confronto diretto con il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio. Un confronto con le parti sociali per interventi correttivi si rende necessario – affermano le tre confederazioni.

Tanti gli obiettivi di politica economica da perseguire e tante le sfide che il nuovo esecutivo si troverà davanti già a partire dai prossimi mesi con il varo della Legge di Bilancio, la quale inevitabilmente dovrà tenere conto del dissesto dei conti pubblici, della fragilità finanziaria resa ancora più pesante (nel volgere di un anno) dalle turbolenze dei mercati, che hanno portato il differenziale di rendimento ai livelli del 2011, contribuendo non poco al peggioramento delle già precarie finanze dello Stato.

Attualmente lo spread oscilla tra i 130-140 punti base, esattamente meno della metà di un anno fa, ma la base di partenza dell’esecutivo che si è insediato a Palazzo Chigi da circa un mese, dovrà tenere conto nei suoi documenti programmatici di una delle peggiori congiunture che l’Italia sta fronteggiando, con i fondamentali non più solidi come il 2017, e un livello di crescita praticamente quasi prossimo allo zero.

Certamente c’è da considerare anche l’influenza negativa  che si sta delineando sul quadro internazionale, in evidenza soprattutto il cedimento dell’economia tedesca, ossia della locomotiva trainante dell’Eurozona, la cui ‘prognosi’ non sembra destinata a sciogliersi a breve. Da due trimestri ormai è in seria flessione uno dei dati macro più importanti, quello manifatturiero, che influenza fortemente anche il settore industriale italiano, perché solidamente legato a quello tedesco. E infatti a settembre è calato al di sotto dei 50 punti, a 47,8, abbattuta pertanto la soglia limite dei 50 punti, al di sotto del quale si valutano i termini della crisi nel settore.

Ossia la più consistente contrazione da sei mesi a questa parte del cosiddetto ‘Indice dei Direttori Acquisti’ (Indice PMI).

Alla Germania è andata anche peggio: 41,7 punti, il dato peggiore ‘collezionato’ dal manifatturiero tedesco a partire da giugno 2009. Ci sono diverse aree nell’economia tedesca che insidiano la sua solidità, non va benissimo il settore bancario, se si pensa che i suoi maggiori istituti di credito, da Deutsche Bank a Commerzbank, zoppicano da una decina d’anni, e non ci sono ancora le basi per una svolta. Altri semafori rossi lampeggiano sul versante delle fiducia delle imprese (Indice Ifo), che ha registrato un nuovo record negativo ad agosto, sintomatico della performance negativa riguardante la produzione industriale a luglio, che è andata oltre un  -4% in termini tendenziali rispetto allo stesso periodo del 2018.

Insomma nel potente motore dell’economia tedesca diversi fattori hanno causato attriti non di poco conto, e portato inesorabilmente alla flessione della crescita. La contrazione congiunturale segnata nei dati del secondo trimestre è dello 0,1%, e siamo pertanto sulla soglia della cosiddetta ‘recessione tecnica’, poiché non sono previste riprese nel breve periodo.

Altri tumulti giungono dai malumori nel Consiglio Direttivo della BCE, un terzo dei membri non concorda con la politica monetaria espansiva del Presidente Mario Draghi (il cui mandato è in scadenza), la quale, secondo l’opinione di una decina di ex membri del Consiglio nonché ex banchieri (tra i quali alcuni tedeschi, da sempre ostili a Draghi), la politica di acquisto degli asset avrebbe solo causato danni all’economia dell’area euro.

Fiamme di polemiche che non si sono mai spente, come del resto gli urti in questo ambito tra il presidente italiano e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. Christine Legarde, che subentrerà dal prossimo mese a Draghi, sembra propensa alla politica monetaria accomodante, “nonostante i suoi effetti collaterali” – lo ha dichiarato nel corso della sua recente audizione al Parlamento europeo.

Complice certamente anche il clima di recessione a livello globale, per via delle situazioni d’incertezza legate al commercio internazionale, fortemente condizionato dalla politica dei dazi Usa, che ha colpito non solo la Cina ma anche l’Europa e altri Stati, Messico compreso.

Non si spegne l’allarme dei mercati neppure sulla tormentata questione Brexit, tutti i fari sono puntati al 31 ottobre prossimo, alle trattative tra il Governo Johnson e l’Unione europea, dalle quali non sembrano maturare risoluzioni definitive sull’uscita in buon ordine del Regno Unito. Troppe le incognite dunque che creano situazioni d’incertezza in ambito internazionale, in un momento in cui, soprattutto in Occidente, si avrebbe necessità di prospettive più stabili e chiare.