GUERRA DEI DAZI, LE MINACCE DI TRUMP GIUNGONO COME UN TORNADO SUI MERCATI

DI VIRGINIA MURRU

 

Purtroppo dei buoni auspici su una soluzione equilibrata nella guerra dei dazi tra Usa e Cina, è rimasta soltanto la polvere, dato che il presidente Trump ha appena annunciato che a partire da venerdì saliranno dal 10% al 25% le tariffe su 200 miliardi di prodotti cinesi. Il presidente Usa lo ha sottolineato a chiare lettere anche in un tweet, che ormai è diventata la linea rovente dei suoi comunicati.

Secondo l’establishment americano le trattative procederebbero con eccessiva lentezza, e pertanto non s’intende più temporeggiare, Washington penalizza così l’indeterminazione cinese senza neppure un ultimatum. Intanto, com’era prevedibile, i mercati hanno subito ringhiato contro questa risoluzione, c’è stato praticamente un crollo a livello globale, e non poteva essere altrimenti, dato che gli accordi tra i due colossi dell’economia mondiale, hanno una forza travolgente, e davanti a scelte di questo tipo la reazione è ovvia.

Si è verificato  un crollo consistente nelle piazze di Shanghai e Shenzhen, ma in Europa non va meglio, e perdono anche le quotazioni di greggio a New York. Le minacce di Trump sono giunte come un tornado, una ‘miccia’ accesa nei mercati asiatici e una deflagrazione che si è propagata un po’ ovunque a livello globale. Ed è solo la conferma dello strapotere di scelte strategiche sul destino del commercio internazionale.

Secondo gli esperti il presidente Trump potrebbe avere escogitato questa strategia di ricatto per intimorire l’avversario, e magari indurlo a cedere terreno al prossimo incontro, ma i cinesi sono tutt’altro che sprovveduti, e difficilmente si lasceranno condizionare da questo assedio.

Nonostante questo clima incandescente, la delegazione cinese avrebbe comunque deciso di recarsi negli Usa (l’incontro era stato fissato per l’8 di maggio), altra tappa della serie di negoziati portati avanti con l’obiettivo di giungere all’accordo, ma a quanto pare le due superpotenze non intendono cedere troppo in termini di compromessi, ed è questo aspetto che fino ad ora ha ritardato l’intesa. Con quello che c’è in gioco non potrebbe essere altrimenti.

Di armistizio in armistizio, ma la sospirata pace di un accordo non è ancora arrivata.

La decisione di proseguire sulla strada della trattativa è stata annunciata dal portavoce del ministero degli esteri cinese, Geng Shuang, il quale esprime l’auspicio di un compromesso soddisfacente per entrambe le parti. Ma è anche evidente che i cinesi non intendono lasciarsi attraversare dai cingoli dell’autoritarismo, e fanno sapere che non intendono affrontare (quello che dovrebbe essere il rush finale) i negoziati “con la pistola puntata contro.”

Il self control dei cinesi si sa è proverbiale, ma potrebbero anche perdere la pazienza, e non è detto che non si ritirino dal tavolo dei negoziati. La situazione è al momento sospesa.

Di certo nei mercati l’allarme lampeggia fortemente in rosso. I future  negli indici azionari americani, hanno perso oltre il 2%, a Wall Street infatti i future sul Dow Jones perdono più di 400 punti. Così pure il petrolio che a New York perde il 2%, con il Wti che cede il 2,3% e si porta a circa 60 dollari il barile. La perdita riguarda anche il Brent  (2,29%) e va a 69 dollari.

Le più colpite sono le piazze asiatiche, l’indice Composite di Shanghai ha subito un autentico crollo, dell’ordine di 5,58%. Anche peggio a Shenzhen, che va giù del 7,30% sfiorando anche un -8%. Cala di di 58 punti base sul dollaro lo yuan, conseguenza diretta della nuova tensione nella disputa sui dazi.

A Milano la seduta apre in calo, come un tam tam che proviene dall’Asia. Il Ftse Mib in mattinata cedeva circa il 2%, ma sulla stessa scia anche le altre borse europee, da Francoforte a Parigi a Madrid, tutte hanno sfiorato perdite sul 2%. Londra è chiusa per festività.

Appena un mese fa, dopo l’incontro tra il presidente Donald Trump e il pelnipotenziario del presidente cinese, Liu He, sembrava che tutto l’intrico di tensioni causate dalla guerra dei dazi, cominciata nel 2018, fosse sul punto d’essere superata. E il Financial Times confermò con ottimismo la notizia degli accordi sui dossier economici,  che doveva essere ormai in dirittura d’arrivo. Gran parte dei nodi che sembravano inestricabili si avviavano verso una soluzione equilibrata per le due superpotenze, anche se le mediazioni sono poi continuate al fine di trattare su modi e tempi di attuazione degli accordi.

Secondo FT l’intesa tra Usa e Cina sembrava dunque a portata di mano, i meeting si svolgevano in un clima di cordialità e collaborazione. Pechino insisteva tuttavia il mese scorso ancora sugli attuali dazi a carico dei prodotti cinesi, per i quali chiedeva la rimozione, e da definire restavano anche i termini del processo di attuazione dell’accordo che l’establishment americano esige per assicurarsi che la Cina rispetti l’intesa.

I negoziati sono poi continuati tra il Segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin e la controparte cinese, ossia il vicepremier Liu He. Il tutto, qualora l’intesa fosse stata raggiunta anche sugli aspetti più dibattuti, si sarebbe ufficialmente concluso con la formale firma dei rappresentanti dei due Paesi. Del resto sarebbe stata solo il seguito dell’intenso lavoro svolto dalla diplomazia, e soprattutto dalla tregua sui dazi siglata all’inizio di dicembre scorso a margine del G20 di Buenos Aires, tra Cina e Usa.

Operatori economici e analisti hanno seguito con attenzione gli sviluppi di questi confronti, che fino a pochi giorni fa sembrava stessero imboccando la via della ragione e della cooperazione, negli interessi delle due superpotenze, anche perché la mancanza di un accordo avrebbe portato al rischio di una recessione globale.

Ed ecco il colpo di scena; ora non si sa con certezza dove porteranno i tuoni sui dazi a carico della Cina, decisi da Washington.