DI NELLO BALZANO
Da anni il problema del lavoro è dibattuto, in una continua campagna elettorale, in sterili confronti sulla freddezza dei numeri calcolati dall’ISTAT, un dato che ci racconta quanto ormai la rassegnazione si sia trasformata in una tragica presa d’atto.
I diritti le rivendicazioni diventano argomenti per pochi, tanto che la loro legittima capacità di conservare un potere contrattuale da tanti lavoratori vittime di ricatti dovuti alla precarietà è vista come un privilegio.
Ciò che in questi anni si è realizzato politicamente nella logica di un’uscita da una crisi finanziaria, che ha penalizzato in primo luogo l’anello debole del mondo del lavoro, è stato un ulteriore aggravamento delle loro condizioni, quindi due volte vittime, senza vedere un netto contrasto, in particolare da parte dei sindacati confederali CGIL, CISL, UIL e UGL, convinti del fatto che i loro riferimenti politici abbiano agito nell’interesse delle loro prerogative.
Il lavoro non più come strumento per dare dignità alle persone e contestualmente renderle partecipi allo sviluppo del Paese intero in ogni suo piccolo tassello, ma solo con il messaggio: “accontentati giorno per giorno di timbrare il cartellino”, senza nei fatti cancellare diritti costituzionali, come la libertà di scelta sindacale, semplicemente limitando al minimo il campo d’azione.
Le condizioni di lavoro precario non solo sconsigliano l’esporsi in agitazioni sindacali, ma invitano a tenersi lontano dall’iscriversi al sindacato, l’aver anche agito in materia di giustizia del lavoro, con lo scopo di abbattere le vertenze giudiziarie pendenti e quelle future, ad esempio, togliendo, con il decreto del ministro Orlando in materia di giustizia civile, la discrezionalità dei giudici di far compensare le spese tra le parti in caso di sconfitta della parte più debole, ognuno paga le sue, ovvero ulteriormente punirlo con l’incombenza economica di pagare le spese legali al datore di lavoro, ha spinto molti lavoratori a non agire, anche di fronte a provvedimenti gravi come il licenziamento, insomma un lavoratore con pochi mezzi economici non potrà più aver la possibilità di sapere se un provvedimento contro di lui è legittimo oppure no.
Può quindi definirsi storica la sentenza emessa nella sezione del lavoro del tribunale di Firenze del 19 gennaio, una valutazione chiesta dai lavoratori della Unicoop, per mezzo dello studio legale Conti, Marini e Rafagni dell’Unione Sindacale di Base (USB) relativa al riconoscimento del pagamento della festività del 4 novembre, oggi non più calendariale, il ricorso è stato accolto ed insieme è stata riconosciuta legittima la posizione dei legali, di non limitarsi ai soli 5 anni pregressi, come previsto nei limiti di prescrizione, con una motivazione che dà ragione alla seguente tesi: i lavoratori oggi hanno rispetto ai loro datori di lavoro disparità di trattamento, proprio per il continuo agire contro i loro diritti, un atteggiamento che deve trovare un’adeguata risposta, quindi anche la prescrizione che limita la libertà d’azione nel tempo e nello stesso tempo crea un vantaggio alla controparte anche quando riconosciuto il torto, non deve avere più ragione di esistere.
Questa deve essere materia di campagna elettorale, non si devono limitare i confronti solo al numero di posti creati o di quanti se ne promettono, occorre nel rispetto dell’articolo 1 della Costituzione e nei tanti che riguardano la materia del lavoro, rimettere al centro la dignità delle persone, l’eguaglianza di fronte alle disparità dovute alle capacità economiche, si faccia tesoro di questa sentenza frutto del coraggio di un giudice di primo grado, in anni dove, nella maggioranza dei casi, si demandano decisioni importanti come questa alla Corte di Cassazione, con i tempi e i costi che ne conseguono, una sfida forte alle leggi restrittive solo in una direzione, quella dei più deboli.
Insomma oggi i lavoratori possono dire: c’è un Giudice a Firenze.