L’ANTITRUST DELL’UE AVVIA INDAGINE SUL PRESTITO CONCESSO DALLO STATO AD ALITALIA

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Antitrust europea ha aperto un’indagine sul prestito di 900 milioni, concesso dallo Stato ad Alitalia nel 2017
Che fossimo perennemente nell’occhio del ciclone (Ue) non è una novità, di tanto in tanto, qualora vi fossero dubbi, arrivano le conferme: questa volta nel mirino c’è Alitalia, e il “prestito ponte” concesso dallo Stato lo scorso anno.

L’indagine è stata avviata e la Commissione europea intende vederci chiaro sui tempi relativi alla concessione del prestito, e le condizioni riservate all’ex compagnia di bandiera italiana.
Così si è espressa in merito la Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager:

“La Commissione europea deve vigilare e garantire che i prestiti concessi dagli Stati membri rispettino le norme vigenti dell’Ue in termini di aiuti di Stato”. E’ nostro compito verificare che il prestito concesso ad Alitalia rientri nel rispetto delle norme approvate dall’Unione.”

Nel 2017 il governo italiano, considerata l’emergenza finanziaria che Alitalia stava affrontando, risolse d’intervenire con il cosiddetto “prestito ponte” di 900 mln, dei quali peraltro, la compagnia, secondo i rilievi dell’Amministrazione straordinaria, ne ha utilizzato solo una parte. In ogni caso, non hanno torto coloro che sostengono che l’Ue usi nei confronti dell’Italia una spessa lente d’ingrandimento, mentre paesi come la Germania e altre solide economie europee, abbiano trasgredito in modo ben più pesante.

Deutsche Bank e Commerzbank (tanto per fare qualche esempio), pilastri della finanza ed economia tedesca, che hanno rischiato il default (ma ritenute ‘too big to fail’, con un bilancio simile al Pil italiano..), hanno usufruito di aiuti di Stato consistenti, che hanno suscitato a suo tempo non poche polemiche.

Certamente,l’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), è stato violato più di una volta.
Nella struttura solida dell’economia tedesca, ci sono controsensi piuttosto singolari, visto che il sistema bancario si è rivelato uno dei più fragili, sorretto dal lungo braccio dello Stato, soprattutto nel corso dell’ultima crisi economica che ha interessato l’Europa. Lo Stato ha contribuito con somme consistenti per il salvataggio di grandi istituti di credito, ‘elargendo’ più o meno 200 miliardi di euro, rilevando titoli tossici, permettendo aumenti di capitali e intervenendo nei Land anche in settori diversi (comparti industriali) da quello bancario.

Non si tratta di importi approssimati, sono resoconti della Commissione europea, ed equivale al 7% del Pil della Germania.

Ma lo Stato, in Germania, con la sua mano provvidenziale, è andato ben oltre, si arriva a quasi 500 mld di euro, se si aggiungono garanzie statali, offerta di liquidità: ossia il 17% della ricchezza prodotta dalla nazione. Un sistema creditizio, insomma, che senza la protezione dello Stato, avrebbe certamente messo in crisi il sistema, e fatto crollare tante certezze. Sono fatti, non pressappochismi, perché avvicinando l’osservatorio un po’ di più, si conclude che un terzo del sistema creditizio tedesco è al riparo, grazie al paravento dei mezzi pubblici. E si sottraggono anche i conti reali alla vigilanza della BCE.

E allora perché sempre tanto rumore per le ‘trasgressioni’ in Italia, che ha fatto ricorso ai fondi Ue molto meno rispetto ad altri paesi membri? Due pesi e due misure? L’impressione è questa, ma tant’è: quando si punta il dito su presunte o reali violazioni della normativa europea, ci si può solo difendere.
Se poi si pensa che la Commissione si è decisa ad agire, perché concorrenti di Alitalia, hanno esercitato non poche pressioni (non si tratta propriamente di ‘cecchini’, si sarebbero mosse in merito Ryanair e Lufthansa), si comprende che lo sdegno non è puro vittimismo. Il fine, per chi conosce trama e ordito delle vicende Alitalia, sarebbe proprio quello di condizionare le strategie dell’Amministrazione straordinaria, e indurre ad accelerare la vendita della Compagnia, o meglio la ‘svendita’.

Tutto questo, nonostante le dichiarazioni del CUB- Trasporti (il 4 aprile scorso), il quale ha confermato che il trasporto aereo risulta in crescita, e l’ex Compagnia di bandiera, nonostante le difficoltà, ha costi bassi di gestione, forse i più bassi rispetto alla concorrenza. Sempre in rapporto alle regine europee del trasporto aereo, avrebbe anche una produttività superiore, per esempio a quella Lufthansa.

Questo, in teoria, dovrebbe escludere l’ascia dei tagli del personale. Ma purtroppo le logiche e le dinamiche di queste scelte, sono altre.

Proprio ora che iniziano i mesi in cui più intenso è il traffico aereo, e mentre nulla si sa di preciso sul nuovo Piano industriale della compagnia, la scure cade impietosa sul versante occupazionale, e si conferma pertanto la decisione di tagliare quasi 1500 posti di lavoro. Ossia quello che chiede Lufthansa per il risanamento della compagnia, e per portare a buon fine la sua offerta.

I licenziamenti saranno resi meno drammatici dall’assegno di ricollocazione per i dipendenti a ‘0’ ore.
Lo chiamano già ‘l’accordo infame’, quello che ieri le tre maggiori confederazioni sindacali hanno sottoscritto al Mise, guarda caso proprio ieri l’indagine Ue è stata ufficialmente avviata, mentre dietro le quinte gli avvoltoi attendono di avventarsi su un ‘boccone’ ancora ritenuto eccellente nel mercato del trasporto aereo.

Ci si insinua in una fase delicata della politica italiana, alle prese con tentativi (sempre falliti) di accordi politici validi e altri improbabili, per esercitare maggiore pressione sulla vicenda Alitalia, spingere e accelerarne la vendita, certamente non nell’interesse della Compagnia italiana.

Le polemiche sui tagli hanno un loro logico fondamento: perché ridurre i dipendenti se la compagnia viaggia con correnti favorevoli in termini di redditività, il traffico merci e passeggeri è in continua crescita, già si annuncia una stagione estiva record e un trend in continuo progresso?
Queste sono le perplessità sulle decisioni prese dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e dalle parti sociali.

Da Calenda che ha risolto negli ultimi mesi situazioni roventi di aziende minacciate di chiusura, mentre la questione Alitalia si è affrontata in modo apparentemente paradossale. Un anno fa, i lavoratori, tramite referendum, si opposero al Piano di ristrutturazione, i soci non la sostennero più con ulteriori mezzi, e così si aprì la strada dell’Amministrazione straordinaria di Gubitosi e gli altri Commissari. Commissari che hanno poi avviato una procedura d’offerta, con vicissitudini sempre incerte, e tutt’ora ancora nulla è stato deciso sul possibile acquirente.

Basterebbe analizzare i numeri, anche sulle rotte a lungo raggio, per concludere che nei prossimi mesi il traffico aereo è proiettato verso un chiaro aumento del numero di passeggeri.

Vi sono enigmi sulle scelte di questi licenziamenti certamente non chiare, alla luce dei fatti, gli interrogativi sono tanti e c’è chi auspica, per una tutela più certa, la nazionalizzazione. Il 30 aprile scadrà l’intervento della Cassa Integrazione Straordinaria, della quale ha beneficiato la Compagnia, che ad oggi è ancora controllata per il 51% dalla Compagnia Aerea Italiana (CAI), e per il restante 49% da Etihad.

Intanto, nei giorni scorsi, la Compagnia e i sindacati hanno firmato un verbale nel quale si prevede il rinnovo della Cassa integrazione straordinaria, per ulteriori 6 mesi, ossia fino alla fine di ottobre.

Il prestito concesso dal governo ad Alitalia, è stato notificato a Bruxelles all’inizio del corrente anno, e giustificato come “aiuto di salvataggio”, anche se fin da subito, in ambito europeo, vi sono stati dissensi simili a tiri al bersaglio. Si è sostenuto che il prestito viola le norme europee sulla disciplina che riguarda gli ‘aiuti di Stato’.

La Commissione europea contesta in particolare i tempi di durata del prestito e la sua entità, stabiliti dal maggio 2017 fino al dicembre del corrente anno, e dunque, in linea di principio, si sarebbe violata la norma Ue che fissa con un massimo di 6 mesi la durata del prestito a garanzia del salvataggio.

Sarà pertanto la Commissione ad ‘arbitrare’ la questione, c’è solo da sperare che l’Italia riesca a dimostrare di non avere violato le norme europee, non più di altri Stati membri che, al riguardo, hanno un “dietro le quinte” non propriamente ortodosso.