CEDRIC HERROU, QUANDO TI PORTA IL CUORE

DI PIERLUIGI PENNATI
© https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennatilogo-alga-2
Può capitare che alla notizia che vi sono dei migranti che affrontano migliaia di chilometri in condizioni al limite della sopravvivenza, soffrendo in modo indicibile e rischiando la propria vita per un futuro non migliore, ma solo per un futuro che dove vivevano prima in qualche modo gli era negato, qualcuno di noi pensi che questo sia ingiusto, qualcun altro voglia fare qualcosa e pochi davvero la facciano, ma spingersi a sfidare da soli la legge perché il nostro cuore non sopporta la vista di tanta disperazione, capita davvero raramente.
Eppure a Cedric Herrou, una persona normale, giovane, barba, occhiali, un basco sempre in testa ed uno sguardo pulito, questa cosa è capitata qualche tempo fa e non guardando la TV, leggendo i giornali o navigando in rete, a lui è capitato lavorando.
Cedric Herrou è un contadino che coltiva olivi al confine tra Italia e Francia, lui le persone non le ha viste da dietro uno schermo, lui le ha incontrate, ha constatato che dormivano all’aperto, in condizioni disumane e che la loro disperazione era così grande da superare la paura di morire per strada.
Ecco che il suo cuore è scoppiato e lo ha costretto a fare qualcosa e per lui quel qualcosa è stato aiutare di persona quegli esseri umani abbandonati dagli stati più potenti del mondo, quegli stati che si incontrano per discutere del destino delle persone usando come sigla la lettera G maiuscola: Grandi.
Grandi davanti al mondo economico e piccoli, piccolissimi davanti all’umanità che soffre.
Cedric Herrou probabilmente non sa nulla di questo, lui ha 37 anni ed è un contadino che lavora la sua terra a Breil-sur-Roya, a pochi chilometri da Ventimiglia: uova, olio e olive che produce da solo.
Cedric Herrou, però, ha un cuore, un cuore che pulsa forte e che non ha retto davanti a tanto orrore e lo ha spinto a fare quello che, forse, non avrebbe mai pensato di fare: agire senza pensare, aiutare l’umano senza tener conto delle leggi degli uomini potenti. Dare una mano a quelle persone a sopravvivere.
Così dallo scorso marzo in poi ha aiutato almeno duecento migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia ed istigato 57 ad occupare un edificio in disuso delle SNCF per ripararsi dal freddo, solo che queste cose sono dichiarate illegali dal governo francese che lo ha posto adesso sotto processo per “aiuto all’ingresso, alla circolazione e al soggiorno di stranieri irregolari”. La pena prevede fino a 5 anni di reclusione e 30 mila euro di multa, ma la Procura di Nizza ha chiesto solo 8 mesi di carcere e la confisca del suo furgone.
Fuori dal tribunale il 4 gennaio scorso c’era una folla che lo acclamava come un eroe, dentro il palazzo il suo avvocato, Zia Oloumi, sosteneva che il suo assistito stava solo applicando uno dei valori fondamentali della repubblica francese, la fratellanza.
Ma le gesta di Cedric non sono passate inosservate, i lettori del quotidiano Nice Matin lo hanno eletto “Cittadino dell’anno della Costa Azzurra”, mentre il presidente del dipartimento Alpi Marittime del Partito Repubblicano Francese, Eric Ciotti, sostiene che quella di Herrou sia una «falsa generosità» e che le sue azioni siano «un insulto alle forze dell’ordine, ai doganieri e ai militari».
Dal canto suo Cedric Herrou ha già spiegato benissimo la cosa, ha detto «Mi metto fuori dalla legge per aiutare i minori. Non voglio dovermi vergognare, tra vent’anni». Quello che fa, perciò, lo fa per se stesso, per il suo cuore grande e debole di fronte alla miseria del mondo.
A chi lo intervista risponde «Io non sono mica un filantropo. Anzi, ero andato a vivere in campagna per starmene per conto mio! E so che se un giorno avrò dei figli, e tra 20 o 30 anni mi domanderanno da che parte ero, non avrò nulla da vergognarmi a rispondere. Del resto, per noi della Roya questa è una tradizione, ormai: ai tempi della Seconda guerra mondiale abbiamo nascosto gli ebrei, negli anni Trenta abbiamo aiutato gli italiani a passare il confine, per fuggire dal regime, compresa mia nonna… E poi, con questa legge che cosa dovrei fare, chiedere i documenti a qualcuno prima di aiutarlo? Sento la gente dire cose realmente ridicole: “Aiuti solo i neri, quando aiuti i bianchi?”. Beh, scusate tanto se nella mia vallata non abbiamo i barboni per le strade. Non ce li abbiamo bianchi. E neanche neri. Mi dispiace!»
Rabbia, indignazione ed incapacità distare fermo, fuori legge ma non contro la legge, Cedric non è un criminale, collabora persino con la Polizia, specie quando si tratta di minorenni, «molti passano dalla ferrovia – dice – e arrivano direttamente a casa mia. Io li sistemo, li faccio riposare, per loro faccio le carte per il Tribunale dei minori e poi li accompagno dalla polizia.», «Io ho un rapporto molto cordiale con la polizia della Valle. Non sono contro la polizia, sono contro il sistema che li costringe a obbedire a ordini illegali. E loro lo fanno, perché sono formati per eseguire, senza stare troppo a riflettere.»
Cedric Herrou non è un eroe e non vuole diventarlo, Cedric Herrou è una persona normale, tanto normale che fa sentire noi diversi, e forse lo siamo, incapaci di fare ancora come lui, andare dove ci porta il cuore.

POCA TRASPARENZA PER MOODY'S, MA UNA MULTA NON BASTA

DI PIERLUIGI PENNATI
© https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennatilogo-alga-2
Che Moody’s si appresti a pagare una multa per aver gonfiato i rating fa certamente scalpore, sia per l’entità della cifra, 864 milioni di dollari, sia per il fatto che un’agenzia dalla quale dipende l’economia americana ed in parte quella mondiale possa aver agito in cattiva fede.
Il tema dovrebbe essere quindi chi controlla i controllori, ma questo farebbe passare in secondo piano il fatto che i rating gonfiati hanno provocato la crisi dei subprime ed il collasso del mercato immobiliare americano, che a cascata innescò il più grande terremoto finanziario ed economico del dopoguerra con ripercussioni in tutto il mondo ed è costata alle famiglie americane colpite dalla recessione circa 11 mila miliardi di dollari.
Davanti a questa cifra irrecuperabile 864 milioni di dollari sono certamente ben poca cosa, anche perché distribuiti tra il Dipartimento di giustizia, per 437,5 milioni di dollari, e le autorità giudiziarie di 21 stati Usa più il District of Columbia, in più la multa sembra costituire solo un terzo dei 2,5 miliardi di dollari guadagnati dall’agenzia negli anni precedenti alla crisi.
Creo la catastrofe, sopravvivo e tengo parte del malloppo, non male.
Ma Moody’s non è sola e nemmeno la prima, un anno fa Standard & Poor’s fu costretta a pagare 1,5 miliardi di dollari e le grandi banche di Wall Street in totale hanno già versato allo stato americano circa 162 miliardi di dollari in multe e sanzioni per la vendita di prodotti finanziari rischiosi ed il loro contribuito al caos scatenato sui mercati.
Ma se secondo l’accusa “Moody’s ha fallito nell’osservanza dei suoi standard di rating e ha tradito la missione della trasparenza” e l’agenzia riconosce “in parte” la colpa, la domanda è come controllare: chi controlla i mercati, banche comprese?
Se volto lo sguardo un poco più indietro, tutto sembra essere cominciato quando Bill Clinton, si quello che costruì anche il muro tra USA e Messico, nel 1999, come ultimo atto formale prima di lasciare la Casa Bianca, promulgò una legge chiamata Gramm-Leach-Bliley Act con la quale abrogò le disposizioni della Legge Glass-Steagall, detta anche “legge della separazione bancaria”, che imponeva la divisione delle banche ‘universali’ in due grandi gruppi: le banche commerciali e le banche d’affari.La differenza è grande, perché dal giugno 1933, per volere dell’allora Presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, con la Legge Glass-Steagall da lui promulgata le banche non potevano perdere il denaro dei correntisti, a meno che questi non si assumessero direttamente il rischio, infatti le banche commerciali erano dedicate solo al credito per famiglie e imprese, mentre le banche che giocavano in borsa con i soldi degli investitori privati, che si assumono il rischio di poter perdere tutti i propri soldi, non avevano alcuna possibilità di salvataggio dello Stato.
Negli anni successivi all’iniziativa americana del 1933, praticamente in tutto il mondo, si era sviluppata questa barriera la cui abrogazione ha favorito la costituzione di gruppi bancari che esercitano entrambe le attività e la trasformazione delle banche in generale che, svolgendo sia l’attività bancaria tradizionale che quella di banca d’investimento e assicurativa, hanno portato alla modifica del mercato globale delle valute del quale oggi siamo prigionieri.
Ma gli usa non furono i primi, in Italia Mario Draghi anticipò Clinton nel 1993 con il Testo Unico Bancario che, di fatto, apriva già alla commistione fra banche commerciali e banche d’affari in quanto aboliva la Legge bancaria italiana del 1936 che introdusse nel nostro paese lo standard americano della Legge Glass-Steagall.
Oggi ci stupiamo dei rating gonfiati e la soluzione pare essere una maggiore trasparenza e controllo, ma sappiamo bene che quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito ed i grandi gruppi finanziari sanno bene come rendere molto interessante il dito del saggio.

CEDRIC HERROU, QUANDO TI PORTA IL CUORE

Può capitare che alla notizia che vi sono dei migranti che affrontano migliaia di chilometri in condizioni al limite della sopravvivenza, soffrendo in modo indicibile e rischiando la propria vita per un futuro non migliore, ma solo per un futuro che dove vivevano prima in qualche modo gli era negato, qualcuno di noi pensi che questo sia ingiusto, qualcun altro voglia fare qualcosa e pochi davvero la facciano, ma spingersi a sfidare da soli la legge perché il nostro cuore non sopporta la vista di tanta disperazione, capita davvero raramente.

Eppure a Cedric Herrou, una persona normale, giovane, barba, occhiali, un basco sempre in testa ed uno sguardo pulito, questa cosa è capitata qualche tempo fa e non guardando la TV, leggendo i giornali o navigando in rete, a lui è capitato lavorando.

Cedric Herrou è un contadino che coltiva olivi al confine tra Italia e Francia, lui le persone non le ha viste da dietro uno schermo, lui le ha incontrate, ha constatato che dormivano all’aperto, in condizioni disumane e che la loro disperazione era così grande da superare la paura di morire per strada.

Ecco che il suo cuore è scoppiato e lo ha costretto a fare qualcosa e per lui quel qualcosa è stato aiutare di persona quegli esseri umani abbandonati dagli stati più potenti del mondo, quegli stati che si incontrano per discutere del destino delle persone usando come sigla la lettera G maiuscola: Grandi.

Grandi davanti al mondo economico e piccoli, piccolissimi davanti all’umanità che soffre.

Cedric Herrou probabilmente non sa nulla di questo, lui ha 37 anni ed è un contadino che lavora la sua terra a Breil-sur-Roya, a pochi chilometri da Ventimiglia: uova, olio e olive che produce da solo.

Cedric Herrou, però, ha un cuore, un cuore che pulsa forte e che non ha retto davanti a tanto orrore e lo ha spinto a fare quello che, forse, non avrebbe mai pensato di fare: agire senza pensare, aiutare l’umano senza tener conto delle leggi degli uomini potenti. Dare una mano a quelle persone a sopravvivere.

Così dallo scorso marzo in poi ha aiutato almeno duecento migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia ed istigato 57 ad occupare un edificio in disuso delle SNCF per ripararsi dal freddo, solo che queste cose sono dichiarate illegali dal governo francese che lo ha posto adesso sotto processo per “aiuto all’ingresso, alla circolazione e al soggiorno di stranieri irregolari”. La pena prevede fino a 5 anni di reclusione e 30 mila euro di multa, ma la Procura di Nizza ha chiesto solo 8 mesi di carcere e la confisca del suo furgone.

Fuori dal tribunale il 4 gennaio scorso c’era una folla che lo acclamava come un eroe, dentro il palazzo il suo avvocato, Zia Oloumi, sosteneva che il suo assistito stava solo applicando uno dei valori fondamentali della repubblica francese, la fratellanza.

Ma le gesta di Cedric non sono passate inosservate, i lettori del quotidiano Nice Matin lo hanno eletto “Cittadino dell’anno della Costa Azzurra”, mentre il presidente del dipartimento Alpi Marittime del Partito Repubblicano Francese, Eric Ciotti, sostiene che quella di Herrou sia una «falsa generosità» e che le sue azioni siano «un insulto alle forze dell’ordine, ai doganieri e ai militari».

Dal canto suo Cedric Herrou ha già spiegato benissimo la cosa, ha detto «Mi metto fuori dalla legge per aiutare i minori. Non voglio dovermi vergognare, tra vent’anni». Quello che fa, perciò, lo fa per se stesso, per il suo cuore grande e debole di fronte alla miseria del mondo.

A chi lo intervista risponde «Io non sono mica un filantropo. Anzi, ero andato a vivere in campagna per starmene per conto mio! E so che se un giorno avrò dei figli, e tra 20 o 30 anni mi domanderanno da che parte ero, non avrò nulla da vergognarmi a rispondere. Del resto, per noi della Roya questa è una tradizione, ormai: ai tempi della Seconda guerra mondiale abbiamo nascosto gli ebrei, negli anni Trenta abbiamo aiutato gli italiani a passare il confine, per fuggire dal regime, compresa mia nonna… E poi, con questa legge che cosa dovrei fare, chiedere i documenti a qualcuno prima di aiutarlo? Sento la gente dire cose realmente ridicole: “Aiuti solo i neri, quando aiuti i bianchi?”. Beh, scusate tanto se nella mia vallata non abbiamo i barboni per le strade. Non ce li abbiamo bianchi. E neanche neri. Mi dispiace!»

Rabbia, indignazione ed incapacità distare fermo, fuori legge ma non contro la legge, Cedric non è un criminale, collabora persino con la Polizia, specie quando si tratta di minorenni, «molti passano dalla ferrovia – dice – e arrivano direttamente a casa mia. Io li sistemo, li faccio riposare, per loro faccio le carte per il Tribunale dei minori e poi li accompagno dalla polizia.», «Io ho un rapporto molto cordiale con la polizia della Valle. Non sono contro la polizia, sono contro il sistema che li costringe a obbedire a ordini illegali. E loro lo fanno, perché sono formati per eseguire, senza stare troppo a riflettere.»

Cedric Herrou non è un eroe e non vuole diventarlo, Cedric Herrou è una persona normale, tanto normale che fa sentire noi diversi, e forse lo siamo, incapaci di fare ancora come lui, andare dove ci porta il cuore.

POCA TRASPARENZA PER MOODY’S, MA UNA MULTA NON BASTA

Che Moody’s si appresti a pagare una multa per aver gonfiato i rating fa certamente scalpore, sia per l’entità della cifra, 864 milioni di dollari, sia per il fatto che un’agenzia dalla quale dipende l’economia americana ed in parte quella mondiale possa aver agito in cattiva fede.

Il tema dovrebbe essere quindi chi controlla i controllori, ma questo farebbe passare in secondo piano il fatto che i rating gonfiati hanno provocato la crisi dei subprime ed il collasso del mercato immobiliare americano, che a cascata innescò il più grande terremoto finanziario ed economico del dopoguerra con ripercussioni in tutto il mondo ed è costata alle famiglie americane colpite dalla recessione circa 11 mila miliardi di dollari.

Davanti a questa cifra irrecuperabile 864 milioni di dollari sono certamente ben poca cosa, anche perché distribuiti tra il Dipartimento di giustizia, per 437,5 milioni di dollari, e le autorità giudiziarie di 21 stati Usa più il District of Columbia, in più la multa sembra costituire solo un terzo dei 2,5 miliardi di dollari guadagnati dall’agenzia negli anni precedenti alla crisi.

Creo la catastrofe, sopravvivo e tengo parte del malloppo, non male.

Ma Moody’s non è sola e nemmeno la prima, un anno fa Standard & Poor’s fu costretta a pagare 1,5 miliardi di dollari e le grandi banche di Wall Street in totale hanno già versato allo stato americano circa 162 miliardi di dollari in multe e sanzioni per la vendita di prodotti finanziari rischiosi ed il loro contribuito al caos scatenato sui mercati.

Ma se secondo l’accusa “Moody’s ha fallito nell’osservanza dei suoi standard di rating e ha tradito la missione della trasparenza” e l’agenzia riconosce “in parte” la colpa, la domanda è come controllare: chi controlla i mercati, banche comprese?

Se volto lo sguardo un poco più indietro, tutto sembra essere cominciato quando Bill Clinton, si quello che costruì anche il muro tra USA e Messico, nel 1999, come ultimo atto formale prima di lasciare la Casa Bianca, promulgò una legge chiamata Gramm-Leach-Bliley Act con la quale abrogò le disposizioni della Legge Glass-Steagall, detta anche “legge della separazione bancaria”, che imponeva la divisione delle banche ‘universali’ in due grandi gruppi: le banche commerciali e le banche d’affari.La differenza è grande, perché dal giugno 1933, per volere dell’allora Presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, con la Legge Glass-Steagall da lui promulgata le banche non potevano perdere il denaro dei correntisti, a meno che questi non si assumessero direttamente il rischio, infatti le banche commerciali erano dedicate solo al credito per famiglie e imprese, mentre le banche che giocavano in borsa con i soldi degli investitori privati, che si assumono il rischio di poter perdere tutti i propri soldi, non avevano alcuna possibilità di salvataggio dello Stato.

Negli anni successivi all’iniziativa americana del 1933, praticamente in tutto il mondo, si era sviluppata questa barriera la cui abrogazione ha favorito la costituzione di gruppi bancari che esercitano entrambe le attività e la trasformazione delle banche in generale che, svolgendo sia l’attività bancaria tradizionale che quella di banca d’investimento e assicurativa, hanno portato alla modifica del mercato globale delle valute del quale oggi siamo prigionieri.

Ma gli usa non furono i primi, in Italia Mario Draghi anticipò Clinton nel 1993 con il Testo Unico Bancario che, di fatto, apriva già alla commistione fra banche commerciali e banche d’affari in quanto aboliva la Legge bancaria italiana del 1936 che introdusse nel nostro paese lo standard americano della Legge Glass-Steagall.

Oggi ci stupiamo dei rating gonfiati e la soluzione pare essere una maggiore trasparenza e controllo, ma sappiamo bene che quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito ed i grandi gruppi finanziari sanno bene come rendere molto interessante il dito del saggio.

BENVENUTO COLLEGA FACEBOOK

DI PIERLUIGI PENNATI
© https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Già, ormai tutti hanno un blog e sono diventati “giornalisti” e che FaceBook, che pubblica miliardi di “articoli” al giorno non lo fosse ancora diventato ufficialmente più che stupire fa emettere un sospiro di sollievo, finalmente getta la maschera e si impegna seriamente nel suo lavoro.
Si, perché cos’è oggi un “social network” se non una grande bacheca ed un immenso giornale delle opinioni, emozioni, immagini dei suoi utenti?
In fondo lo era fin dall’inizio, Zuckerberg cercava spazio all’università ed è nato FaceBook, oggi lo spazio è tutto suo, in tutto il mondo, e FaceBook diventa quello che è da sempre: in incredibile ed immenso giornale.
Ormai Google e FaceBook hanno il controllo delle informazioni in rete ed è quindi giusto che si dotino di regolamenti per il controllo almeno delle mistificazioni e, per fare ciò, fa la cosa giusta: vuole coinvolgere gli editori per provare a mettere in un angolo le fake news.
Come prendere la notizia?
Bene, perché il buon giornalismo ne gioverà certamente.
Male, perché il controllo di FaceBook su tutti noi aumenterà in modo esponenziale, se ve ne fosse ancora bisogno.
Le bufale, ormai virali, sono un danno anche per gli affari del network, quindi prenderne il controllo è indispensabile, non si tratta di un’apertura, ma di un’autodifesa con opportunità di sviluppo per se stessi.
Secondo il Wall Street Journal, la strada di Facebook appare ormai delineata ed il primo passo sarà quello di avere un ruolo sempre più attivo nella gestione dei contenuti coinvolgendo sempre più le grandi aziende editoriali.
L’iniziativa di oggi si chiama “alfabetizzazione alle notizie”, il cui intento sarebbe quello di proseguire più incisivamente gli sforzi degli ultimi mesi per spazzare dal newsfeed principale i post ad alto indice di disinformazione, ma per far ciò serve anche la partecipazione diretta delle grandi aziende editoriali, che potrebbero svolgere un’azione di controllo guadagnando a loro volta visibilità su Facebook ed allargando il loro business.
Il primo passo sarebbe l’inserimento di pubblicità nei video postati su Facebook iniziando da quelli degli inserzionisti e delle pagine pubbliche, per proseguire probabilmente con quelli degli utenti.
Secondo Fidji Simo, manager del gruppo, il “Progetto Giornalismo Facebook” vorrebbe produrre “informazioni di cui fidarsi”, sostenendo di avere “molto a cuore” questo obiettivo, essendo “sicuri che le persone vogliano essere informate”, ma senza che Facebook stesso diventi un vero e proprio “arbitro della verità”, secondo il volere di Mark Zuckerberg che esclude che FaceBook possa avere tra i suoi obiettivi quello di scegliere i contenuti destinati alla lettura da parte dei suoi iscritti.
Le fake news ed il sempre più importante peso del network nella vita delle persone in tutto il mondo avrebbero fatto pensare ad una propria responsabilità anche per come esso venga utilizzato dai suoi iscritti, senza rinunciare al dominio nella pubblicità digitale.
Come reagiranno le aziende editoriali che proprio nei giganteschi ricavi degli inserzionisti su Facebook vedrebbero una delle ragioni del loro declino lo sapremo presto, il fenomeno digitale è veloce come la rete, se sarà un “benvenuto collega” non tarderà a farsi sentire.

BENVENUTO COLLEGA FACEBOOK

Già, ormai tutti hanno un blog e sono diventati “giornalisti” e che FaceBook, che pubblica miliardi di “articoli” al giorno non lo fosse ancora diventato ufficialmente più che stupire fa emettere un sospiro di sollievo, finalmente getta la maschera e si impegna seriamente nel suo lavoro.

Si, perché cos’è oggi un “social network” se non una grande bacheca ed un immenso giornale delle opinioni, emozioni, immagini dei suoi utenti?

In fondo lo era fin dall’inizio, Zuckerberg cercava spazio all’università ed è nato FaceBook, oggi lo spazio è tutto suo, in tutto il mondo, e FaceBook diventa quello che è da sempre: in incredibile ed immenso giornale.

Ormai Google e FaceBook hanno il controllo delle informazioni in rete ed è quindi giusto che si dotino di regolamenti per il controllo almeno delle mistificazioni e, per fare ciò, fa la cosa giusta: vuole coinvolgere gli editori per provare a mettere in un angolo le fake news.

Come prendere la notizia?

Bene, perché il buon giornalismo ne gioverà certamente.

Male, perché il controllo di FaceBook su tutti noi aumenterà in modo esponenziale, se ve ne fosse ancora bisogno.

Le bufale, ormai virali, sono un danno anche per gli affari del network, quindi prenderne il controllo è indispensabile, non si tratta di un’apertura, ma di un’autodifesa con opportunità di sviluppo per se stessi.

Secondo il Wall Street Journal, la strada di Facebook appare ormai delineata ed il primo passo sarà quello di avere un ruolo sempre più attivo nella gestione dei contenuti coinvolgendo sempre più le grandi aziende editoriali.

L’iniziativa di oggi si chiama “alfabetizzazione alle notizie”, il cui intento sarebbe quello di proseguire più incisivamente gli sforzi degli ultimi mesi per spazzare dal newsfeed principale i post ad alto indice di disinformazione, ma per far ciò serve anche la partecipazione diretta delle grandi aziende editoriali, che potrebbero svolgere un’azione di controllo guadagnando a loro volta visibilità su Facebook ed allargando il loro business.

Il primo passo sarebbe l’inserimento di pubblicità nei video postati su Facebook iniziando da quelli degli inserzionisti e delle pagine pubbliche, per proseguire probabilmente con quelli degli utenti.

Secondo Fidji Simo, manager del gruppo, il “Progetto Giornalismo Facebook” vorrebbe produrre “informazioni di cui fidarsi”, sostenendo di avere “molto a cuore” questo obiettivo, essendo “sicuri che le persone vogliano essere informate”, ma senza che Facebook stesso diventi un vero e proprio “arbitro della verità”, secondo il volere di Mark Zuckerberg che esclude che FaceBook possa avere tra i suoi obiettivi quello di scegliere i contenuti destinati alla lettura da parte dei suoi iscritti.

Le fake news ed il sempre più importante peso del network nella vita delle persone in tutto il mondo avrebbero fatto pensare ad una propria responsabilità anche per come esso venga utilizzato dai suoi iscritti, senza rinunciare al dominio nella pubblicità digitale.

Come reagiranno le aziende editoriali che proprio nei giganteschi ricavi degli inserzionisti su Facebook vedrebbero una delle ragioni del loro declino lo sapremo presto, il fenomeno digitale è veloce come la rete, se sarà un “benvenuto collega” non tarderà a farsi sentire.

GLI USA ACCUSANO FCA: "EMISSIONI TRUCCATE". IL TITOLO CROLLA IN BORSA.

 DI PIERLUIGI PENNATI
© https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
L’Environmental Protection Agency, l’agenzia per la protezione ambientale americana, per mesi si è rifiutata di certificare i veicoli a diesel 2017 di FCA in vendita negli Stati Uniti ed la accusa di aver truccato le emissioni di 100mila veicoli, proprio come fece Volkswagen che in questi giorni ha trovato un accordo per il dieselgate, atraverso un patteggiamento, soggetto all’approvazione del consiglio di sorveglianza, di 4,3 miliardi di dollari.
Poco meno della cifra che rischia Fiat Chrysler Automobiles per lo stesso motivo e che ammonterebbe potenzialmente a 4,63 miliardi per avere violato leggi sulle emissioni di ben 104.000 veicoli, tra veicoli pesanti e SUV, prodotti dal 2014 ed equipaggiati con centraline non conformi.
Marchionne, però, contesta i dati con una comunicazione ufficiale ribadendo che che gli standard sulle emissioni nocive sono stati «rispettati» e ritenendo che i sistemi di controllo delle emissioni FCA «rispettino le normative applicabili» e fornendo la propria disponibilità a collaborare con la nuova Amministrazione per «presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo».
Inoltre, secondo Marchionne, «Non c’è nulla in comune fra il caso Volkswagen e quello Fca» poiché FCA dialoga con l’Epa «da più di un anno» evidenziando come sia curioso e «spiacevole» che l’Agenzia per la Protezione ambientale americana abbia deciso di affrontare il caso FCA pubblicamente.
Secondo i dati sulle vendite diffusi in giornata VW aveva registrato un record di vendite posizionandosi in vetta alla classifica dei costruttori mondiali con 10,3 milioni di veicoli venduti nel 2016, il 3,8% in più rispetto al 2015 nonostante la multa pagata e il blocco delle vendite a gasolio negli Usa ed anche se per Marchionne non ci sono somiglianze, il valore della multa e la dichiarazione che «FCA sopravviverà anche se le dovesse essere comminata una multa di 4,6 miliardi di dollari», non fanno apparire i casi tanto distanti.
Nel frattempo la notizia ha fatto crollare in borsa il titolo FCA che è stato sospeso più volte al ribasso, chiudendo a Piazza Affari con un calo del 16% e trascinando con sé anche la holding della famiglia Exor (-9,3%).

GLI USA ACCUSANO FCA: “EMISSIONI TRUCCATE”. IL TITOLO CROLLA IN BORSA.

L’Environmental Protection Agency, l’agenzia per la protezione ambientale americana, per mesi si è rifiutata di certificare i veicoli a diesel 2017 di FCA in vendita negli Stati Uniti ed la accusa di aver truccato le emissioni di 100mila veicoli, proprio come fece Volkswagen che in questi giorni ha trovato un accordo per il dieselgate, atraverso un patteggiamento, soggetto all’approvazione del consiglio di sorveglianza, di 4,3 miliardi di dollari.

Poco meno della cifra che rischia Fiat Chrysler Automobiles per lo stesso motivo e che ammonterebbe potenzialmente a 4,63 miliardi per avere violato leggi sulle emissioni di ben 104.000 veicoli, tra veicoli pesanti e SUV, prodotti dal 2014 ed equipaggiati con centraline non conformi.

Marchionne, però, contesta i dati con una comunicazione ufficiale ribadendo che che gli standard sulle emissioni nocive sono stati «rispettati» e ritenendo che i sistemi di controllo delle emissioni FCA «rispettino le normative applicabili» e fornendo la propria disponibilità a collaborare con la nuova Amministrazione per «presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo».

Inoltre, secondo Marchionne, «Non c’è nulla in comune fra il caso Volkswagen e quello Fca» poiché FCA dialoga con l’Epa «da più di un anno» evidenziando come sia curioso e «spiacevole» che l’Agenzia per la Protezione ambientale americana abbia deciso di affrontare il caso FCA pubblicamente.

Secondo i dati sulle vendite diffusi in giornata VW aveva registrato un record di vendite posizionandosi in vetta alla classifica dei costruttori mondiali con 10,3 milioni di veicoli venduti nel 2016, il 3,8% in più rispetto al 2015 nonostante la multa pagata e il blocco delle vendite a gasolio negli Usa ed anche se per Marchionne non ci sono somiglianze, il valore della multa e la dichiarazione che «FCA sopravviverà anche se le dovesse essere comminata una multa di 4,6 miliardi di dollari», non fanno apparire i casi tanto distanti.

Nel frattempo la notizia ha fatto crollare in borsa il titolo FCA che è stato sospeso più volte al ribasso, chiudendo a Piazza Affari con un calo del 16% e trascinando con sé anche la holding della famiglia Exor (-9,3%).

IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA

Sembra di leggere in un libro di storia sulla rivoluzione industriale: padroni e dirigenti che insultano i dipendenti ed arrivano persino a picchiarli fisicamente. 54 denunce lo scorso febbraio e chissà quanti altri che non hanno ancora parlato per paura di perdere il posto di lavoro.

Mentre al governo si inventano metodi per far emergere il lavoro nero, ma soprattutto far pagare le tasse, dove le tasse si pagano spesso la situazione non è dignitosa, con buona pace di chi vuole abolire anche le tutele di base dei lavoratori.

Alla Gilardoni Raggi X di Mandello del Lario, in provincia di Lecco, le tasse si pagano da sempre e l’azienda è fiorente, dato anche il prodotto di nicchia, chiunque sia stato in un aeroporto, tribunale è passato sotto un metal detector costruito qui, ma anche TAC, radiografie e medicina nucleare, salute, sicurezza pubblica e non solo.

Contratti con le istituzioni, contatti con le autorità, tutto in regola, tranne la dignità e la tutela psicofisica dei lavoratori, così in un’azienda definita “realtà fondamentale per tutto il territorio e strategica per la sicurezza nazionale e non solo” dalla Procura di Lecco, sei persone sono attualmente indagate a vario titolo per reati impensabili nemmeno nelle imprese dove si parla di sfruttamento dei lavoratori.

Il dirigente della squadra mobile di Lecco, Marco Cadeddu, dice che sono state raccolte «direttamente e tramite i dipendenti prove video e audio di concrete violenze psicologiche e fisiche subite dai lavoratori, come morsi, lanci di oggetti, insulti. A essi si aggiungono documentazioni mediche e le risultanze dei controlli del dipartimento di igiene e prevenzione dell’ATS e della Direzione Territoriale del Lavoro».

Lesioni e maltrattamenti riferiti ad episodi verificatisi a partire dal 2012 è il reato ipotizzato a carico della signora Cristina Gilardoni e per l’ex direttore del personale Roberto Redaelli. Il procuratore di Lecco dott. Chiappani aggiunge che «i fatti sono abbastanza evidenti, ma andavano inquadrati in una visione complessiva, di sistematicità. Non essendo il reato di mobbing codificato abbiamo dovuto far riferimento alla giurisprudenza e inquadrare la vicenda come un allargamento al luogo di lavoro dei maltrattamenti in famiglia».

Ma proprietaria e direttore non sono soli , altri quattro gli indagati: il socio di minoranza Andrea Ascani Orsini, nipote della titolare e per il quale viene ipotizzata culpa in vigilando per carenze sulla legge antinfortunistica, Alberto Comi, consulente esterno dell’azienda che non sarebbe iscrizione nell’albo dei consulenti del lavoro ed i medici dell’azienda Stefano Marton e Maria Papagianni per i quali vi sarebbe “inosservanza degli obblighi inerenti alla funzione di medico” in relazione alla tutela della salute dei dipendenti.

La situazione era tanto grave che persino il figlio, Marco Taccani Gilardoni, era in dissenso con i metodi della madre e della dirigenza e che, sulla base delle indagini condotte dalla Procura di Lecco, si era fatto nominare in ottobre dal Tribunale di Milano commissario aziendale, azzerandone il CDA, vista la “complessiva negligente irragionevolezza dell’organo gestorio”.

«Un’indagine delicata, che ha richiesto tatto e sensibilità», secondo il dott. Chiappani, sono stati gli elementi essenziali dell’inchiesta sul “Caso Gilardoni Raggi X” alla quale hanno partecipato Polizia di Stato, il dipartimento igiene e prevenzione ATS Brianza e l’ispettorato del lavoro: «Persone provate, alcune devastate, dalla vita stravolta, senza più percezione di sè», aggiunge Marco Cadeddu che ha coordinato «un costante monitoraggio, calibrando gli interventi in modo da attutire gli attriti».

Nonostante i 22 casi accertati di lesioni, la Procura ha scelto di non ricorrere comunque alla custodia cautelare degli indagati a causa degli interessi in gioco: «La Gilardoni è un’azienda strategica, un intervento traumatico sulla direzione avrebbe condotto al collasso della situazione, ad un black out bancario. Era necessario dare continuità reputazionale e aziendale, garantire i posti di lavoro».

La perfetta sinergia degli organismi, tra i quali il Tribunale delle Imprese di Milano, unico in potere di commissariare la ditta, ed il Prefetto di Lecco, ha permesso di «far cessare la situazione di illegalità diffusa che si era creata».

Pochi tra i dipendenti se ne erano andati, quasi nessuno in questi tempi di crisi e diminuzione delle tutele sul lavoro se lo poteva permettere e così maltrattamenti e soprusi crescevano in un’escalation senza apparente fine in un’azienda modello, fiore all’occhiello della ricerca e della tecnologia italiana, che ha pochi concorrenti al mondo e che tutti ci invidiano. Se così stanno le cose in un’azienda avanzata e sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni non oso pensare a cosa possa succedere in realtà meno tutelate o meno esposte.

IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA

DI PIERLUIGI PENNATI ©
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Sembra di leggere in un libro di storia sulla rivoluzione industriale: padroni e dirigenti che insultano i dipendenti ed arrivano persino a picchiarli fisicamente. 54 denunce lo scorso febbraio e chissà quanti altri che non hanno ancora parlato per paura di perdere il posto di lavoro.
Mentre al governo si inventano metodi per far emergere il lavoro nero, ma soprattutto far pagare le tasse, dove le tasse si pagano spesso la situazione non è dignitosa, con buona pace di chi vuole abolire anche le tutele di base dei lavoratori.
Alla Gilardoni Raggi X di Mandello del Lario, in provincia di Lecco, le tasse si pagano da sempre e l’azienda è fiorente, dato anche il prodotto di nicchia, chiunque sia stato in un aeroporto, tribunale è passato sotto un metal detector costruito qui, ma anche TAC, radiografie e medicina nucleare, salute, sicurezza pubblica e non solo.
Contratti con le istituzioni, contatti con le autorità, tutto in regola, tranne la dignità e la tutela psicofisica dei lavoratori, così in un’azienda definita “realtà fondamentale per tutto il territorio e strategica per la sicurezza nazionale e non solo” dalla Procura di Lecco, sei persone sono attualmente indagate a vario titolo per reati impensabili nemmeno nelle imprese dove si parla di sfruttamento dei lavoratori.
Il dirigente della squadra mobile di Lecco, Marco Cadeddu, dice che sono state raccolte «direttamente e tramite i dipendenti prove video e audio di concrete violenze psicologiche e fisiche subite dai lavoratori, come morsi, lanci di oggetti, insulti. A essi si aggiungono documentazioni mediche e le risultanze dei controlli del dipartimento di igiene e prevenzione dell’ATS e della Direzione Territoriale del Lavoro».
Lesioni e maltrattamenti riferiti ad episodi verificatisi a partire dal 2012 è il reato ipotizzato a carico della signora Cristina Gilardoni e per l’ex direttore del personale Roberto Redaelli. Il procuratore di Lecco dott. Chiappani aggiunge che «i fatti sono abbastanza evidenti, ma andavano inquadrati in una visione complessiva, di sistematicità. Non essendo il reato di mobbing codificato abbiamo dovuto far riferimento alla giurisprudenza e inquadrare la vicenda come un allargamento al luogo di lavoro dei maltrattamenti in famiglia».
Ma proprietaria e direttore non sono soli , altri quattro gli indagati: il socio di minoranza Andrea Ascani Orsini, nipote della titolare e per il quale viene ipotizzata culpa in vigilando per carenze sulla legge antinfortunistica, Alberto Comi, consulente esterno dell’azienda che non sarebbe iscrizione nell’albo dei consulenti del lavoro ed i medici dell’azienda Stefano Marton e Maria Papagianni per i quali vi sarebbe “inosservanza degli obblighi inerenti alla funzione di medico” in relazione alla tutela della salute dei dipendenti.
La situazione era tanto grave che persino il figlio, Marco Taccani Gilardoni, era in dissenso con i metodi della madre e della dirigenza e che, sulla base delle indagini condotte dalla Procura di Lecco, si era fatto nominare in ottobre dal Tribunale di Milano commissario aziendale, azzerandone il CDA, vista la “complessiva negligente irragionevolezza dell’organo gestorio”.
«Un’indagine delicata, che ha richiesto tatto e sensibilità», secondo il dott. Chiappani, sono stati gli elementi essenziali dell’inchiesta sul “Caso Gilardoni Raggi X” alla quale hanno partecipato Polizia di Stato, il dipartimento igiene e prevenzione ATS Brianza e l’ispettorato del lavoro: «Persone provate, alcune devastate, dalla vita stravolta, senza più percezione di sè», aggiunge Marco Cadeddu che ha coordinato «un costante monitoraggio, calibrando gli interventi in modo da attutire gli attriti».
Nonostante i 22 casi accertati di lesioni, la Procura ha scelto di non ricorrere comunque alla custodia cautelare degli indagati a causa degli interessi in gioco: «La Gilardoni è un’azienda strategica, un intervento traumatico sulla direzione avrebbe condotto al collasso della situazione, ad un black out bancario. Era necessario dare continuità reputazionale e aziendale, garantire i posti di lavoro».
La perfetta sinergia degli organismi, tra i quali il Tribunale delle Imprese di Milano, unico in potere di commissariare la ditta, ed il Prefetto di Lecco, ha permesso di «far cessare la situazione di illegalità diffusa che si era creata».
Pochi tra i dipendenti se ne erano andati, quasi nessuno in questi tempi di crisi e diminuzione delle tutele sul lavoro se lo poteva permettere e così maltrattamenti e soprusi crescevano in un’escalation senza apparente fine in un’azienda modello, fiore all’occhiello della ricerca e della tecnologia italiana, che ha pochi concorrenti al mondo e che tutti ci invidiano. Se così stanno le cose in un’azienda avanzata e sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni non oso pensare a cosa possa succedere in realtà meno tutelate o meno esposte.

REFERENDUM CGIL: TUTTO DA RIFARE?

DI PIERLUIGI PENNATI ©
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Inammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi ” (n. 169 Reg. Referendum). Così la consulta ha oggi liquidato il problema e sebbene le altre richieste di referendum denominate “abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” (n. 170 Reg. Referendum) e “abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)” ( n. 171 Reg. Referendum) siano state dichiarate ammissibili, per la CGIL è un gran smacco.
La causa del rifiuto sarebbe stata determinata dal fatto che, nella formulazione presentata, non ci si voleva limitare a cancellare la norma che ha sostituito il reintegro con l’indennizzo, quindi abrogarla, ma anche a creare di fatto una nuova normativa e dato che i referendum “propositivi” in Italia non sono previsti il quesito non può essere sottoposto a voto popolare per la sua introduzione legale.
Dopo un’udienza di circa un’ora e mezza a porte chiuse sui tre referendum abrogativi, per i quali erano state raccolte dalla CGIL 3,3 milioni di firme, e nella quale il vice avvocato generale Vincenzo Nunziata dell’Avvocatura dello Stato aveva ribadito l’inammissibilità dei quesiti, per altro già presente nelle memorie presentate per conto del Governo, la Corte ha ritenuto ammissibili i referendum sui Vaucher e gli appalti ma non quello sull’articolo 18.
Camusso non rinuncia, «Continueremo la nostra battaglia», afferma già dal pomeriggio, «Valuteremo le motivazioni della Corte e la rispettiamo ma siamo convinti che questa battaglia vada continuata, quindi la continueremo nelle forme che la contrattazione e la legge ci permettono», «Noi siamo convinti che la libertà dei lavoratori passi attraverso la loro sicurezza e quindi continueremo la nostra iniziativa per ristabilire i diritti», quindi, nei prossimi giorni il sindacato valuterà «tutte le possibilità» ancora rimaste, inclusa quella di rivolgersi alla Corte europea in materia di normative sui licenziamenti.
Camusso pensa ad una scelta non solo tecnica ed afferma che «É stato dato per scontato l’intervento del governo e dell’Avvocatura dello Stato, non era dovuto, è stata una scelta politica» e per quanto riguarda gli altri quesiti ammessi si dichiara già in campagna elettorale aggiungendo che sarà «grande e impegnativa».
Ma non è sola nel credere che non si sia trattato solo di diritto, Salvini parla di “sentenza politica, gradita ai poteri forti e al governo come quando bocciò il referendum sulla legge Fornero. Temendo una simile scelta anche sulla legge elettorale il prossimo 24 gennaio, preannunciamo un presidio a oltranza per il voto e la democrazia sotto la sede della Consulta a partire da domenica 22 gennaio”, mentre il 5stelle Danilo Toninelli dice “Non commento il no della Consulta al referendum sull’art.18 ma il Governo non canti vittoria: il Jobs Act è veleno per economia e lo aboliremo”.
Di Maio carica la dose guardando avanti: “Questa primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher. La Corte Costituzionale ha appena dato l’ok. Sarà la spallata definitiva al Pd, a quel partito che ha massacrato i lavoratori più di qualunque altro e mentre lo faceva osava anche definirsi di sinistra!”.
Per la ministra Lorenzin la sentenza non avrà effetti sul governo poiché “non ha niente a che vedere con la durata del governo che è impegnato fuori dal Palazzo a far fronte alle priorità del paese e in Parlamento a fare la legge elettorale”.
Se per la CGIL la battaglia continua o, forse, è persino tutto da rifare sull’articolo 18, per i Voucher e la responsabilità sugli appalti si prospetta vita corta e se anche questa tornata elettorale si concluderà con un rifiuto per i provvedimenti del precedente governo sarà forse compito del prossimo riparare ai suoi fallimenti ed ai danni che avranno nel frattempo procurato.

I SOCIALISTI FRANCESI SCELGONO IL CANDIDATO PERDENTE

“Partita finisce quando arbitro fischia”. È al celebre aforisma di Vujadin Boškov che devono essersi ispirati i quasi due milioni di francesi che ieri hanno votato per il ballottaggio alle primarie della sinistra, preferendo, con oltre un milione di suffragi, il candidato Benoît Hamon al primo ministro uscente Manuel Valls e designando così il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali di aprile.

La corsa all’Eliseo, però, si annuncia difficile: secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto francese IPSOS Sopra Steria, al primo turno di elezioni Marine LE PEN potrebbe arrivare al 25%, François FILLON al 23%, Emmanuel MACRON al 17%, Jean-Luc MÉLENCHON al 14% e Benoît HAMON solo al 7%, seguito da François BAYROU al 5%, Nicolas DUPONT-AIGNAN e Yannick JADOT al 2,5%, per finire con Nathalie ARTHAUD e Philippe POUTOU all’ 1%, mentre Jacques CHEMINADE con un risultato inferiore allo 0,5 % non è considerato.

Secondo lo studio, il candidato della sinistra non andrebbe comunque oltre il quinto posto e non avrebbe possibilità di arrivare al ballottaggio finale, ma per citare ancora Boškov “chi non tira in porta non segna”, ed ai socialisti francesi non restava altra prospettiva che scegliere il candidato migliore e, sempre secondo IPSOS Sopra Steria, tra Valls ed Hamon vi era una seppur lieve differenza che porterebbe il voto dei francesi dal 6/7% del secondo al 9/10% del primo, quindi la scelta migliore sarebbe stata all’opposto.

In ogni caso per Hamon, non c’è tempo per esultare, il lavoro per convincere l’elettorato francese a votarlo non sarà semplice, soprattutto non sarà facile sedare l’ondata populista che sta vedendo la Le Pen favorita su Fillon, con i due che dovrebbero essere i veri protagonisti della delicata campagna elettorale che vedrà al suo termine in gioco il futuro dell’Eurozona alle elezioni europee di quest’anno, nelle quali la Francia è una delle protagoniste indiscusse.

Per lo scontro Fillon – Le Pen, IPSOS aveva inizialmente previsto la vittoria del primo, oggi ribalta leggermente i pronostici, ma dopo l’insediamento di Trump e l’inasprirsi delle polemiche populiste in campo internazionale, nel momento del voto reale per il loro presidente, i francesi potrebbero avere un istinto alla prudenza e ribaltare la situazione e quindi anche il candidato socialista, che oggi sembra perdente, potrebbe tentare il recupero.

“Elezioni vince chi prende più voti”, buon lavoro Benoît Hamon.

PER GRILLO FORSE ERA MEGLIO PENSARE ALLE VACANZE

DI PIERLUIGI PENNATI ©
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Forse sarebbe stato meglio pensare alle vacanze, effettuare qualche consultazione in più e poi, solo alla fine, lanciare un referendum. Grillo, invece, ha preferito fare il contrario e pensando ad un cambio radicale di marcia “per contare di più in Europa” è partito dalla base quasi senza paracadute, così invece di un dietro front ha fatto una giravolta, ma non senza pagarne le spese: l’uscita e rientro dal gruppo di Farange è costata al movimento la co-presidenza, che fino ad oggi è stata occupata da David Borrelli che, però, sembra anche essere il responsabile ed il promotore della figuraccia.
Borrelli, si era già espresso a favore dell’UE e con l’approvazione di Monti durante alcune interviste in occasione del caso Brexit e, secondo un documento in inglese presente sul sito www.politico.eu, l’accordo tra M5S ed ALDE sarebbe stato già pronto e scritto il 4 gennaio scorso con quattro punti fondamentali: “rinnovo della democrazia europea”, “riforma dell’Eurozona”, “diritti e le libertà” e “opportunità senza confini”.
La base 5stelle aveva detto si alla consultazione a sorpresa, ma, alla fine, i liberaldemocratici non hanno voluto chiudere ed a Grillo è rimasto solo il rientro nelle file degli euroscettici dell’UKIP, attaccando Verhofstadt, del quale dice “che oggi si propone come negoziatore per la Brexit dovrebbe solo vergognarsi, perché da meschino si è piegato alle pressioni dell’establishment”. Difende invece Borrelli affermando anche che “Le carte fatte circolare non ci appartengono, non abbiamo firmato nessun contratto, si tratta di un elenco di punti comuni e di contrasto”.
Anche la sopravvivenza dell’EFDD, però, sarebbe stata minata fortemente dalla fuoriuscita del M5S, il gruppo, attualmente composto da 44 parlamentari, senza i 17 grillini, sarebbe stato ridotto a soli 27, appena due in più del minimo di 25, in rappresentanza di sette diverse nazionalità, ammesso nel Parlamento europeo per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo, facendo rischiare l’UKIP di ritrovarsi nel novero dei non inscritti.
Farage ha quindi ben deciso di riaccogliere i grillini che, comunque, avevano nel cassetto l’opzione di restare nel gruppo come seconda più votata sul blog, mentre l’ipotesi di entrare tra i ‘non iscritti’ era la terza preferenza.
Se la strada per il movimento in Europa sarà ora più in salita lo vedremo presto, Grillo ha ribadito che il programma M5S in Europa “non cambia di una virgola e non sarebbe cambiato con l’ingresso in un altro gruppo” ed il primo appuntamento dovrebbe riguardare l’Euro che essendo “un sistema che ha generato surplus a favore della Germania” deve essere sottoposto a “referendum popolare” per la sua abrogazione, oltre alle battaglie politiche contro il TTIP, il CETA, il conferimento del MES alla Cina ed “il superamento del regolamento di Dublino“, per quanto riguarda il tema immigrazione. Buon lavoro grillini.

REFERENDUM CGIL: TUTTO DA RIFARE?

Inammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi ” (n. 169 Reg. Referendum). Così la consulta ha oggi liquidato il problema e sebbene le altre richieste di referendum denominate “abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” (n. 170 Reg. Referendum) e “abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)” ( n. 171 Reg. Referendum) siano state dichiarate ammissibili, per la CGIL è un gran smacco.

La causa del rifiuto sarebbe stata determinata dal fatto che, nella formulazione presentata, non ci si voleva limitare a cancellare la norma che ha sostituito il reintegro con l’indennizzo, quindi abrogarla, ma anche a creare di fatto una nuova normativa e dato che i referendum “propositivi” in Italia non sono previsti il quesito non può essere sottoposto a voto popolare per la sua introduzione legale.

Dopo un’udienza di circa un’ora e mezza a porte chiuse sui tre referendum abrogativi, per i quali erano state raccolte dalla CGIL 3,3 milioni di firme, e nella quale il vice avvocato generale Vincenzo Nunziata dell’Avvocatura dello Stato aveva ribadito l’inammissibilità dei quesiti, per altro già presente nelle memorie presentate per conto del Governo, la Corte ha ritenuto ammissibili i referendum sui Vaucher e gli appalti ma non quello sull’articolo 18.

Camusso non rinuncia, «Continueremo la nostra battaglia», afferma già dal pomeriggio, «Valuteremo le motivazioni della Corte e la rispettiamo ma siamo convinti che questa battaglia vada continuata, quindi la continueremo nelle forme che la contrattazione e la legge ci permettono», «Noi siamo convinti che la libertà dei lavoratori passi attraverso la loro sicurezza e quindi continueremo la nostra iniziativa per ristabilire i diritti», quindi, nei prossimi giorni il sindacato valuterà «tutte le possibilità» ancora rimaste, inclusa quella di rivolgersi alla Corte europea in materia di normative sui licenziamenti.

Camusso pensa ad una scelta non solo tecnica ed afferma che «É stato dato per scontato l’intervento del governo e dell’Avvocatura dello Stato, non era dovuto, è stata una scelta politica» e per quanto riguarda gli altri quesiti ammessi si dichiara già in campagna elettorale aggiungendo che sarà «grande e impegnativa».

Ma non è sola nel credere che non si sia trattato solo di diritto, Salvini parla di “sentenza politica, gradita ai poteri forti e al governo come quando bocciò il referendum sulla legge Fornero. Temendo una simile scelta anche sulla legge elettorale il prossimo 24 gennaio, preannunciamo un presidio a oltranza per il voto e la democrazia sotto la sede della Consulta a partire da domenica 22 gennaio”, mentre il 5stelle Danilo Toninelli dice “Non commento il no della Consulta al referendum sull’art.18 ma il Governo non canti vittoria: il Jobs Act è veleno per economia e lo aboliremo”.

Di Maio carica la dose guardando avanti: “Questa primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher. La Corte Costituzionale ha appena dato l’ok. Sarà la spallata definitiva al Pd, a quel partito che ha massacrato i lavoratori più di qualunque altro e mentre lo faceva osava anche definirsi di sinistra!”.

Per la ministra Lorenzin la sentenza non avrà effetti sul governo poiché “non ha niente a che vedere con la durata del governo che è impegnato fuori dal Palazzo a far fronte alle priorità del paese e in Parlamento a fare la legge elettorale”.

Se per la CGIL la battaglia continua o, forse, è persino tutto da rifare sull’articolo 18, per i Voucher e la responsabilità sugli appalti si prospetta vita corta e se anche questa tornata elettorale si concluderà con un rifiuto per i provvedimenti del precedente governo sarà forse compito del prossimo riparare ai suoi fallimenti ed ai danni che avranno nel frattempo procurato.

PER GRILLO FORSE ERA MEGLIO PENSARE ALLE VACANZE

Forse sarebbe stato meglio pensare alle vacanze, effettuare qualche consultazione in più e poi, solo alla fine, lanciare un referendum. Grillo, invece, ha preferito fare il contrario e pensando ad un cambio radicale di marcia “per contare di più in Europa” è partito dalla base quasi senza paracadute, così invece di un dietro front ha fatto una giravolta, ma non senza pagarne le spese: l’uscita e rientro dal gruppo di Farange è costata al movimento la co-presidenza, che fino ad oggi è stata occupata da David Borrelli che, però, sembra anche essere il responsabile ed il promotore della figuraccia.

Borrelli, si era già espresso a favore dell’UE e con l’approvazione di Monti durante alcune interviste in occasione del caso Brexit e, secondo un documento in inglese presente sul sito www.politico.eu, l’accordo tra M5S ed ALDE sarebbe stato già pronto e scritto il 4 gennaio scorso con quattro punti fondamentali: “rinnovo della democrazia europea”, “riforma dell’Eurozona”, “diritti e le libertà” e “opportunità senza confini”.

La base 5stelle aveva detto si alla consultazione a sorpresa, ma, alla fine, i liberaldemocratici non hanno voluto chiudere ed a Grillo è rimasto solo il rientro nelle file degli euroscettici dell’UKIP, attaccando Verhofstadt, del quale dice “che oggi si propone come negoziatore per la Brexit dovrebbe solo vergognarsi, perché da meschino si è piegato alle pressioni dell’establishment”. Difende invece Borrelli affermando anche che “Le carte fatte circolare non ci appartengono, non abbiamo firmato nessun contratto, si tratta di un elenco di punti comuni e di contrasto”.

Anche la sopravvivenza dell’EFDD, però, sarebbe stata minata fortemente dalla fuoriuscita del M5S, il gruppo, attualmente composto da 44 parlamentari, senza i 17 grillini, sarebbe stato ridotto a soli 27, appena due in più del minimo di 25, in rappresentanza di sette diverse nazionalità, ammesso nel Parlamento europeo per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo, facendo rischiare l’UKIP di ritrovarsi nel novero dei non inscritti.

Farage ha quindi ben deciso di riaccogliere i grillini che, comunque, avevano nel cassetto l’opzione di restare nel gruppo come seconda più votata sul blog, mentre l’ipotesi di entrare tra i ‘non iscritti’ era la terza preferenza.

Se la strada per il movimento in Europa sarà ora più in salita lo vedremo presto, Grillo ha ribadito che il programma M5S in Europa “non cambia di una virgola e non sarebbe cambiato con l’ingresso in un altro gruppo” ed il primo appuntamento dovrebbe riguardare l’Euro che essendo “un sistema che ha generato surplus a favore della Germania” deve essere sottoposto a “referendum popolare” per la sua abrogazione, oltre alle battaglie politiche contro il TTIP, il CETA, il conferimento del MES alla Cina ed “il superamento del regolamento di Dublino“, per quanto riguarda il tema immigrazione.

Buon lavoro grillini.

AL VOTO, AL VOTO. NEL M5S SI SCEGLIE A SORPRESA

DI PIERLUIGI PENNATI
pierluigi-pennati
Malindi, nulla da fare e poca fantasia, perché non votare per il futuro del movimento in Europa?
Deve essersi chiesto questo Beppe Grillo quando ha deciso di avviare a sorpresa delle consultazioni per scegliere le alleanze politiche in Europa e stabilire il futuro strasburghese del Movimento.
Così, cogliendo di sorpresa molti europarlamentari M5s, anche se la separazione con l’UKIP era nell’aria ormai da tempo e i tentativi portati avanti con i Verdi a dicembre, e poi falliti, resi noti a tutti non sapevano dell’improvvisa accelerazione, Grillo lancia il voto sul suo blog “dalle 10 alle 19 di oggi 8 gennaio e dalle 10 alle 12 di domani”.
La richiesta del leader del movimento sembrerebbe esser quella di aderire al gruppo ALDE (Alliance of Liberals and Democrats of Europe) e diventare la terza forza in Europa. Secondo Grillo il gruppo sarebbe stato l’unico “ad aprire un dialogo con noi, anche se questo deve avvenire con regole ben chiare verso il M5s”, oppure di aderire al Misto, “ma non essere in un gruppo vuol dire non contare”, o restare in EFDD.
In un lungo commento Grillo delinea la sua idea e chiede il voto “carpe diem”, chi c’è c’è, tanto che persino i suoi sono sorpresi. Carlo Sibilia, deputato M5s ed ex componente del direttorio afferma su FaceBook che “Votare informati è importante” e “Ecco cosa diceva il gruppo ALDE di noi meno di 3 anni fa: ‘per completezza, si segnala che anche ‘Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE)’, il gruppo più europeista e federalista esistente al Pe, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l’Europa del M5s come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro-Europa’ definendo il M5s ‘profondamente anti Europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’. ALDE è anche favorevole alla clausola ISDS nel TTIP. E quindi al TTIP stesso. Del resto se si definiscono liberali ci sarà un motivo”.
Ma non è tutto, secondo Sibilia “ALDE ha boicottato tutte le candidature del M5s alla presidenza e alla vicepresidenza di commissioni del parlamento Europeo” e concludendo “decidete se meglio soli (vi ricordo che il parlamento Europeo non ha iniziativa legislativa, cioè, per intenderci i deputati non possono proporre leggi) o male accompagnati e un po’ ipocriti. Buon voto”.
Anche Claudia Mannino non è tanto tenera e scrive “La nostra memoria corta non deve averla vinta in scelte del genere! io preferisco non aderire a nessun gruppo!”, mentre Mirella Liuzzi affida a Twitter il suo commento: “Meglio soli che male accompagnati, visti i precedenti”, e Nicola Morra, senatore M5s, sbotta: “Europa o Italia, siamo nati per essere una rivoluzione culturale prima ancora che politica. Se questo comporta un lungo attraversamento del deserto, non ci sono problemi. La solitudine della marcia non ci spaventa”.
Per Laura Ferrara, capogruppo uscente del M5s a Bruxelles, invece, allearsi con l’ALDE a Bruxelles “è l’unico modo per continuare ad avere un peso in Europa”.
Brexit ed avvenimenti in Europa per Grillo dovrebbero far ripensare seriamente alla natura del gruppo EFDD, aggiungendo che “ALDE conta 68 eurodeputati e con la presenza del Movimento 5 Stelle diventerebbe la terza forza politica al Parlamento europeo. Questo significa acquisire un peso specifico di notevole importanza nelle scelte che si prendono. Significa in molti casi rappresentare l’ago della bilancia: con il nostro voto potremo fare la differenza e incidere sul risultato di molte decisioni importanti per contrastare l’establishment europeo. Non rinneghiamo le scelte del passato che ci hanno portato dove siamo oggi. Vogliamo affrontare nuove sfide con maggiore determinazione”.
L’ingresso nel Parlamento europeo con le elezioni del 25 maggio 2014 è avvenuto dopo una consultazione online tra gli iscritti dando vita al gruppo EFDD (Europe of Freedom and Direct Democracy) insieme agli inglesi di UKIRP e altre delegazioni minori, “oggi” prosegue Grillo “abbiamo, per la seconda volta in tempi ravvicinati, l’opportunità di scegliere se e come dare un futuro al Movimento 5 stelle in Europa. Come sempre accade, a metà di una legislatura (dopo due anni e mezzo dall’inizio della stessa) si aprono i negoziati tra gruppi politici. Anche noi ne abbiamo valutati alcuni e tra quelli che ci interessavano, gli unici ad aprire il dialogo con noi sono stati gli eurodeputati di ALDE. Abbiamo fatto un tentativo di dialogo anche con il gruppo dei Verdi, che ha rifiutato la nostra richiesta di confronto. Ci è stato comunicato che un eventuale ingresso del Movimento 5 stelle nel gruppo dei Verdi avrebbe infatti ‘sbilanciato’ gli equilibri del gruppo stesso”.
Le condizioni politiche alla base dei negoziati con ALDE sarebbero molto chiari: “condivisione dei valori di democrazia diretta, trasparenza, libertà, onestà; totale e indiscutibile autonomia di voto; partecipazione dei cittadini nella vita politica delle istituzioni europee; schieramento compatto nelle battaglie comuni come la semplificazione dell’apparato burocratico europeo, la risoluzione dell’emergenza immigrazione con un sistema di ricollocamento permanente, la promozione della green economy e lo sviluppo del settore digitale e tecnologico con maggiori possibilità occupazionali”, in definitiva “il Movimento 5 stelle manterrebbe la sua piena autonomia con l’opportunità di dare vita a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement) un progetto ambizioso che apre a un futuro in cui sempre più realtà europee condivideranno il valore della democrazia diretta”.
Se siete grillini e date spesso un’occhiata al blog, buon voto, altrimenti …

AL VOTO, AL VOTO. NEL M5S SI SCEGLIE A SORPRESA

Malindi, nulla da fare e poca fantasia, perché non votare per il futuro del movimento in Europa?

Deve essersi chiesto questo Beppe Grillo quando ha deciso di avviare a sorpresa delle consultazioni per scegliere le alleanze politiche in Europa e stabilire il futuro strasburghese del Movimento.

Così, cogliendo di sorpresa molti europarlamentari M5s, anche se la separazione con l’UKIP era nell’aria ormai da tempo e i tentativi portati avanti con i Verdi a dicembre, e poi falliti, resi noti a tutti non sapevano dell’improvvisa accelerazione, Grillo lancia il voto sul suo blog “dalle 10 alle 19 di oggi 8 gennaio e dalle 10 alle 12 di domani”.

La richiesta del leader del movimento sembrerebbe esser quella di aderire al gruppo ALDE (Alliance of Liberals and Democrats of Europe) e diventare la terza forza in Europa. Secondo Grillo il gruppo sarebbe stato l’unico “ad aprire un dialogo con noi, anche se questo deve avvenire con regole ben chiare verso il M5s”, oppure di aderire al Misto, “ma non essere in un gruppo vuol dire non contare”, o restare in EFDD.

In un lungo commento Grillo delinea la sua idea e chiede il voto “carpe diem”, chi c’è c’è, tanto che persino i suoi sono sorpresi. Carlo Sibilia, deputato M5s ed ex componente del direttorio afferma su FaceBook che “Votare informati è importante” e “Ecco cosa diceva il gruppo ALDE di noi meno di 3 anni fa: ‘per completezza, si segnala che anche ‘Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE)’, il gruppo più europeista e federalista esistente al Pe, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l’Europa del M5s come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro-Europa’ definendo il M5s ‘profondamente anti Europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’. ALDE è anche favorevole alla clausola ISDS nel TTIP. E quindi al TTIP stesso. Del resto se si definiscono liberali ci sarà un motivo”.

Ma non è tutto, secondo Sibilia “ALDE ha boicottato tutte le candidature del M5s alla presidenza e alla vicepresidenza di commissioni del parlamento Europeo” e concludendo “decidete se meglio soli (vi ricordo che il parlamento Europeo non ha iniziativa legislativa, cioè, per intenderci i deputati non possono proporre leggi) o male accompagnati e un po’ ipocriti. Buon voto”.

Anche Claudia Mannino non è tanto tenera e scrive “La nostra memoria corta non deve averla vinta in scelte del genere! io preferisco non aderire a nessun gruppo!”, mentre Mirella Liuzzi affida a Twitter il suo commento: “Meglio soli che male accompagnati, visti i precedenti”, e Nicola Morra, senatore M5s, sbotta: “Europa o Italia, siamo nati per essere una rivoluzione culturale prima ancora che politica. Se questo comporta un lungo attraversamento del deserto, non ci sono problemi. La solitudine della marcia non ci spaventa”.

Per Laura Ferrara, capogruppo uscente del M5s a Bruxelles, invece, allearsi con l’ALDE a Bruxelles “è l’unico modo per continuare ad avere un peso in Europa”.

Brexit ed avvenimenti in Europa per Grillo dovrebbero far ripensare seriamente alla natura del gruppo EFDD, aggiungendo che “ALDE conta 68 eurodeputati e con la presenza del Movimento 5 Stelle diventerebbe la terza forza politica al Parlamento europeo. Questo significa acquisire un peso specifico di notevole importanza nelle scelte che si prendono. Significa in molti casi rappresentare l’ago della bilancia: con il nostro voto potremo fare la differenza e incidere sul risultato di molte decisioni importanti per contrastare l’establishment europeo. Non rinneghiamo le scelte del passato che ci hanno portato dove siamo oggi. Vogliamo affrontare nuove sfide con maggiore determinazione”.

L’ingresso nel Parlamento europeo con le elezioni del 25 maggio 2014 è avvenuto dopo una consultazione online tra gli iscritti dando vita al gruppo EFDD (Europe of Freedom and Direct Democracy) insieme agli inglesi di UKIRP e altre delegazioni minori, “oggi” prosegue Grillo “abbiamo, per la seconda volta in tempi ravvicinati, l’opportunità di scegliere se e come dare un futuro al Movimento 5 stelle in Europa. Come sempre accade, a metà di una legislatura (dopo due anni e mezzo dall’inizio della stessa) si aprono i negoziati tra gruppi politici. Anche noi ne abbiamo valutati alcuni e tra quelli che ci interessavano, gli unici ad aprire il dialogo con noi sono stati gli eurodeputati di ALDE. Abbiamo fatto un tentativo di dialogo anche con il gruppo dei Verdi, che ha rifiutato la nostra richiesta di confronto. Ci è stato comunicato che un eventuale ingresso del Movimento 5 stelle nel gruppo dei Verdi avrebbe infatti ‘sbilanciato’ gli equilibri del gruppo stesso”.

Le condizioni politiche alla base dei negoziati con ALDE sarebbero molto chiari: “condivisione dei valori di democrazia diretta, trasparenza, libertà, onestà; totale e indiscutibile autonomia di voto; partecipazione dei cittadini nella vita politica delle istituzioni europee; schieramento compatto nelle battaglie comuni come la semplificazione dell’apparato burocratico europeo, la risoluzione dell’emergenza immigrazione con un sistema di ricollocamento permanente, la promozione della green economy e lo sviluppo del settore digitale e tecnologico con maggiori possibilità occupazionali”, in definitiva “il Movimento 5 stelle manterrebbe la sua piena autonomia con l’opportunità di dare vita a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement) un progetto ambizioso che apre a un futuro in cui sempre più realtà europee condivideranno il valore della democrazia diretta”.

Se siete grillini e date spesso un’occhiata al blog, buon voto, altrimenti …

INCIDENTE AEREO A LINATE, VOLI DIROTTATI SU MALPENSA

Alle 18:20 di ieri 5 gennaio 2017 un Piper PA 46T, un piccolo aereo da turismo turboelica di aviazione generale, ha avuto una probabile anomalia al carrello costringendolo ad un atterraggio “duro” e finendo fuori pista.

Fortunatamente, il Piper non ha preso fuoco ed il meccanismo dei soccorsi, scattato immediatamente, faceva dirottare i voli su Malpensa mentre i vigili del fuoco e le forze dell’ordine intervenivano sul posto per soccorrere le due persone a bordo, uno dei quali era il pilota.

Le ambulanze accorse in codice rosso hanno però accertato che i due erano molto scossi ma senza ferite di particolare rilevanza, rifiutando persino di essere portati al pronto soccorso per altri accertamenti.

A seguito dell’incidente l’aeroporto di Linate è rimasto chiuso per circa tre ore, fino alle 22.

(foto tgcom24)

INCIDENTE AEREO A LINATE, VOLI DIROTTATI SU MALPENSA

DI PIERLUIGI PENNATI
pierluigi-pennati
Alle 18:20 di ieri 5 gennaio 2017 un Piper PA 46T, un piccolo aereo da turismo turboelica di aviazione generale, ha avuto una probabile anomalia al carrello costringendolo ad un atterraggio “duro” e finendo fuori pista.
Fortunatamente, il Piper non ha preso fuoco ed il meccanismo dei soccorsi, scattato immediatamente, faceva dirottare i voli su Malpensa mentre i vigili del fuoco e le forze dell’ordine intervenivano sul posto per soccorrere le due persone a bordo, uno dei quali era il pilota.
Le ambulanze accorse in codice rosso hanno però accertato che i due erano molto scossi ma senza ferite di particolare rilevanza, rifiutando persino di essere portati al pronto soccorso per altri accertamenti.
A seguito dell’incidente l’aeroporto di Linate è rimasto chiuso per circa tre ore, fino alle 22.
(foto tgcom24)

AL VOTO IL CODICE M5S, SANZIONE NON AUTOMATICA PER GLI INDAGATI

Dopo una gestazione avvenuta in sordina è pronto per il voto il codice etico del Movimento 5 Stelle che da oggi alle 10 potrà essere giudicato online da coloro che risultano iscritti al movimento entro il 1° luglio 2016 con documento certificato.

Quanti siano gli aventi diritto al voto non è dato sapere con precisione ed anche le modalità di certificazione ed approvazione del documento non sono disponibili, fatto sta che i “fortunati” iscritti, da domani, potranno dire se gli sta bene o meno un codice etico preconfezionato e non più discutibile, solo votabile.

Lo scopo dichiarato è di garantire una condotta, nel perseguire gli obiettivi del Movimento indicati nel “Non Statuto” o negli altri atti interni di indirizzo, da parte dei portavoce eletti, ispirata ai principi di lealtà, correttezza, onestà, buona fede, trasparenza, disciplina e onore, rispetto della Costituzione della Repubblica e delle leggi vigenti.

Tra i punti salienti vi sono il dovere, già espresso dall’art. 54 della Costituzione, per i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore, avendo comportamenti eticamente ineccepibili, anche a prescindere dalla rilevanza penale degli stessi. I portavoce dovranno anche astenersi da comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento stesso.

Inoltre, negli eventuali procedimenti penali, il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri od il Comitato d’appello, compiranno “le loro valutazioni in totale autonomia, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del Movimento 5 Stelle, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura.”

Secondo il testo da votare, “il comportamento tenuto dal portavoce può essere considerato grave dal Garante o dal Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello, anche durante la fase di indagine, quando emergono elementi idonei ad accertare una condotta che, a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, sia già lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del Movimento 5 Stelle. La condotta sanzionabile può anche essere indipendente e autonoma rispetto ai fatti oggetto dell’indagine.”

“In qualsiasi fase del procedimento penale, il portavoce può decidere di auto-sospendersi dal Movimento senza che ciò implichi di per sè alcuna ammissione di colpa o di responsabilità.”

“Il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri o il Comitato d’Appello” … ”valutano la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”

Nessuna tolleranza per i condannati, infatti “è considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo, eccettuate le ipotesi indicate all’ultimo comma. A tal fine, sono equiparate alla sentenza di condanna la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio. E’ invece rimessa all’apprezzamento discrezionale del Garante, del Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello la valutazione di gravità ai fini disciplinari di pronunzie di dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.”

Va però detto che non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce la ricezione, da parte di esso di “informazioni di garanzia” o di un “avviso di conclusione delle indagini”, essendo sempre rimessa alla discrezionalità del Garante e del Collegio dei probiviri o del Comitato d’appello la valutazione della gravità di fatti che configurano i cosiddetti reati d’opinione ipotesi di reato concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, ovvero di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale.

È comunque dovere dei portavoce, quando ne hanno notizia, “l’obbligo di informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato nonché di qualsiasi sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparato”.
Per ultimo “è dovere di ogni amministratore eletto nelle file de Movimento” il far rispettare il codice etico ai componenti delle proprie giunte, anche se in queste non risultano iscritti e/o eletti nel Movimento 5 Stelle.

Insomma, il partito non partito parte con un regolamento non regolamento votato da iscritti non iscritti, ma certificati prima del 1° luglio 2016. Pieni poteri da attribuire al Garante del movimento (Beppe Grillo n.d.r.), al Collegio dei probiviri ed al Comitato d’appello. Staremo a vedere.

AL VOTO IL CODICE M5S, SANZIONE NON AUTOMATICA PER GLI INDAGATI

DI PIERLUIGI PENNATI
pierluigi-pennati
Dopo una gestazione avvenuta in sordina è pronto per il voto il codice etico del Movimento 5 Stelle che da oggi alle 10 potrà essere giudicato online da coloro che risultano iscritti al movimento entro il 1° luglio 2016 con documento certificato.
Quanti siano gli aventi diritto al voto non è dato sapere con precisione ed anche le modalità di certificazione ed approvazione del documento non sono disponibili, fatto sta che i “fortunati” iscritti, da domani, potranno dire se gli sta bene o meno un codice etico preconfezionato e non più discutibile, solo votabile.
Lo scopo dichiarato è di garantire una condotta, nel perseguire gli obiettivi del Movimento indicati nel “Non Statuto” o negli altri atti interni di indirizzo, da parte dei portavoce eletti, ispirata ai principi di lealtà, correttezza, onestà, buona fede, trasparenza, disciplina e onore, rispetto della Costituzione della Repubblica e delle leggi vigenti.
Tra i punti salienti vi sono il dovere, già espresso dall’art. 54 della Costituzione, per i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore, avendo comportamenti eticamente ineccepibili, anche a prescindere dalla rilevanza penale degli stessi. I portavoce dovranno anche astenersi da comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento stesso.
Inoltre, negli eventuali procedimenti penali, il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri od il Comitato d’appello, compiranno “le loro valutazioni in totale autonomia, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del Movimento 5 Stelle, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura.”
Secondo il testo da votare, “il comportamento tenuto dal portavoce può essere considerato grave dal Garante o dal Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello, anche durante la fase di indagine, quando emergono elementi idonei ad accertare una condotta che, a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, sia già lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del Movimento 5 Stelle. La condotta sanzionabile può anche essere indipendente e autonoma rispetto ai fatti oggetto dell’indagine.”
“In qualsiasi fase del procedimento penale, il portavoce può decidere di auto-sospendersi dal Movimento senza che ciò implichi di per sè alcuna ammissione di colpa o di responsabilità.”
“Il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri o il Comitato d’Appello” … ”valutano la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”
Nessuna tolleranza per i condannati, infatti “è considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo, eccettuate le ipotesi indicate all’ultimo comma. A tal fine, sono equiparate alla sentenza di condanna la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio. E’ invece rimessa all’apprezzamento discrezionale del Garante, del Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello la valutazione di gravità ai fini disciplinari di pronunzie di dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.”
Va però detto che non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce la ricezione, da parte di esso di “informazioni di garanzia” o di un “avviso di conclusione delle indagini”, essendo sempre rimessa alla discrezionalità del Garante e del Collegio dei probiviri o del Comitato d’appello la valutazione della gravità di fatti che configurano i cosiddetti reati d’opinione ipotesi di reato concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, ovvero di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale.
È comunque dovere dei portavoce, quando ne hanno notizia, “l’obbligo di informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato nonché di qualsiasi sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparato”.
Per ultimo “è dovere di ogni amministratore eletto nelle file de Movimento” il far rispettare il codice etico ai componenti delle proprie giunte, anche se in queste non risultano iscritti e/o eletti nel Movimento 5 Stelle.
Insomma, il partito non partito parte con un regolamento non regolamento votato da iscritti non iscritti, ma certificati prima del 1° luglio 2016. Pieni poteri da attribuire al Garante del movimento (Beppe Grillo n.d.r.), al Collegio dei probiviri ed al Comitato d’appello. Staremo a vedere.