ONU ED UE CONDANNANO LA LEGGE ISRAELIANA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A dicembre le Nazioni Unite avevano approvato una risoluzione contro gli insediamenti Israeliani in Palestina, passata con 14 voti favorevoli, 0 contrari ed una storica astensione degli USA, voluta dal presidente uscente Barack Obama, e Donald Trump non si era fatto attendere twittando “As to the U.N., things will be different after Jan. 20th. — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 23 dicembre 2016”, “alle Nazioni Unite le cose saranno differenti dopo il 20 gennaio”, e lo sono state.
Tra Trump e Netanyahu era stata subito intesa ed alla Kessnet, il parlamento monocamerale di Israele, i provvedimenti allo studio per la Cisgiordania erano tornati di stretta attualità e due giorni fa  è arrivata l’approvazione della controversa legge per la “regolarizzazione” degli insediamenti israeliani costruiti su terreni privati palestinesi in Cisgiordania con 60 voti a favore e 52 contrari.
Secondo fonti del Likud, l’approvazione era legata al coordinamento necessario in vista dell’incontro che si terrà con Donald Trump il 15 febbraio alla Casa Bianca ed il premier Benyamin Netanyahu ha dato la propria approvazione al voto da Londra senza poter partecipare al voto perché ancora in viaggio per rientrare a Gerusalemme.
La risposta dell’ONU non ha tardato, per l’inviato per il processo di pace in Medio Oriente, Nicolay Mladenov, la legge israeliana sulla “regolarizzazione” degli insediamenti e delle case costruite su terreni privati palestinesi ha superato “una grossa linea rossa” verso “l’annessione dei Territori Occupati”, aggiungendo che questa legge stabilisce un “precedente molto pericoloso”.
Questa è la prima volta che Israele legifera in tema di proprietà delle terre occupate ai palestinesi e che la legge venisse approvata non era dato per scontato. Benjamin Netanyahu non aveva mai cessato di dire che il provvedimento sarebbe stato esaminato secondo programma e che dei contenuti della legge era stata informata la nuova amministrazione statunitense, ma la tensione in aula è stata altissima.
Il leader dell’opposizione, il laburista Isaac Herzog, ha più volte avvertito durante i lavori che l’approvazione del provvedimento avrebbe portato Israele di fronte alla Corte Internazionale Penale dell’Aja, addossando la responsabilità all’assente Netanyahu, mentre dal fronte dei propositori della legge, Naftali Bennet, Leader di Focolare ebraico molto vicino al movimento dei coloni, ha osservato che “la determinazione paga”, anche se all’interno del Likud non tutti erano d’accordo e tra le file dei critici vi fosse anche il Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit.
Legge che sana anche la situazione della colonia di Amona, sgomberata solo il 1 febbraio u.s. tra lo scalpore e le proteste degli occupanti, con l’obiettivo dichiarato di “regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria e consentire il loro continuo stabilirsi e sviluppo” e concede, in forma retroattiva, un meccanismo di compensazione per i proprietari palestinesi dei terreni degli insediamenti che riceveranno in cambio dei terreni espropriati un pagamento annuale pari al 125% del loro valore per un periodo di 20 anni o, in alternativa, altri terreni a loro scelta, ove questo fosse possibile.
Con il provvedimento vengono resi legali 3.800 alloggi già esistenti ed i proprietari palestinesi dei terreni su cui insistono non potranno più opporsi all’insediamento dei coloni ebraici, che vivranno in case di loro proprietà, ma su terreni che non posseggono, ottenendo al massino un risarcimento.
A detta del promotore del provvedimento, Naftali Bennet, però si tratta solo di rispetto delle regole ed ha dichiarato “Ai nostri amici dell’opposizione che si sono mostrati sorpresi che un governo nazionalista abbia passato una legge a beneficio degli insediamenti vogliamo dire che questa è la democrazia”.
La “sanatoria” approvata da Israele va però in senso diametralmente opposto alla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dello scorso 23 dicembre, che chiedeva lo stop agli insediamenti nei Territori occupati, ed ha provocato la reazione secca non solo di Nicolay Mladenov, man anche del Segretario Generale Antonio Guterres che lo ha sostenuto.
Secondo Guterres la legge costituisce una  “violazione” che porterà a “conseguenze legali di vasta portata” ed ha quindi rivolto un invito ad Israele per “evitare qualsiasi azione che possa far deragliare la soluzione dei due Stati”.
Anche l’Unione europea non è rimasta a guardare e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, ha subito “esortato” Israele a “non mettere in pratica” la norma votata ieri ed ha dichiarato in un comunicato “L’Unione europea condanna la recente adozione dei questa legge da parte della Knesset, che permette a Israele di appropriarsi di nuove terre palestinesi in Cisgiordania”.

CANDIDATI “A LORO INSAPUTA”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ormai la catena dei soggetti che operano a propria insaputa sta diventando infinita, qualcuno era finito nel mirino della ‘ndrangheta in tempi remoti, quasi sempre ignari pensionati a cui intestavano la proprietà di decine di autovetture usate dalla malavita e cose simili, ma venivano definiti “inconsapevoli”, poi, nel 2010, al Ministro Scajola comprano un appartamento vista Colosseo “a sua insaputa”, coniando e sdoganando un modo di dire divenuto ormai di uso corrente ed un uso apparentemente così diffuso che persino Viginia Raggi, nota esponente del movimento che predica onestà assoluta e coerenza, nonché primo cittadino di Roma, scopre di avere una polizza assicurativa a propria insaputa.
Oggi, una nuova svolta: a Napoli, indagando sulle elezioni comunali del 2016, i giudici scoprono persone candidate “a propria insaputa”.
Questa mancava ancora, il reato ipotizzato è violazione della legge elettorale e non per i candidati inconsapevoli, ma per la persona indagata che avrebbe certificato le loro candidature all’insaputa, appunto, degli interessati.
Nell’inchiesta condotta dal PM Stefania Buda e coordinata dal Procuratore aggiunto Alfonso D’Avino sulla lista Napoli Vale, formazione civica a sostegno della candidata sindaco PD Valeria Valente, al momento, risulterebbe una sola iscrizione nel registro degli indagati, la Valente sarà sentita domani per essere ascoltata in qualità di persona in formata dei fatti circa nove casi di presunte candidature irregolari che sarebbero finora emersi.
Come tutte le inchieste, anche questa potrebbe rivelare altre sorprese, dopo i candidati mancano solo gli elettori “a propria insaputa”. Speriamo bene.

AFGHANISTAN ESCALATION DI VITTIME SENZA FINE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Secondo quanto riportato oggi dall’ANSA, un rapporto UNAMA, la Missione delle Nazioni Unite di Assistenza all’Afghanistan, sostiene che nel 2016 il conflitto in corso in Afghanistan ha causato 11.418 vittime civili (3.498 morti e 7.920 feriti), con un incremento del 3% rispetto al 2015.
Il rapporto specifica  che lo scorso anno in Afghanistan è stato registrato “un complessivo deterioramento nella protezione dei civili” e che l’aumento complessivo di vittime è dovuto ad un calo delle morti del 2%, ma con un aumento dei feriti del 6%, concludendo che dal 2009, anno del primo rapporto statistico, il 2016 ha registrato il maggior numero di vittime frutto di operazioni aeree.
Nel 2014 il numero dei civili morti nel conflitto afghano aveva visto un aumento del 25% rispetto all’anno precedente che era stato a sua volta in aumento del 4% rispetto a prima, confermando un’escalation che non accenna fermarsi.
Anche se negli ultimi anni l’andamento degli incrementi ha una tendenza a diminuire, quando parliamo di queste cifre parliamo di vite umane civili perse in un conflitto che viene a sua volta definito “civile”, nato dopo la rivoluzione di Saur del 1978 tra il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, Marxista-Leninista, ed il movimento guerrigliero dei mujaheddin, fedele ai principi tradizionali afghani ed islamici, e che da allora non si è mai fermato, vedendo, dopo il primo intervento russo del 1979, anche la partecipazione di molti paesi stranieri come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, la Cina e l’Arabia Saudita.
Dagli attentati dell’11 settembre 2001 in poi, compiuti da al-Qāʿida, ed a seguito un nuovo più massiccio intervento americano che portò all’istituzione della nuova “Repubblica Islamica dell’Afghanistan”, si parla di “Guerra Civile”, dato che le residue forze talebane ancora oggi resistono in una lunga guerriglia e, secondo fonti ufficiali NATO, a fine dicembre 2016 “Almeno 13 gruppi terroristici internazionali sono presenti in Afghanistan”, aggiungendo che i talebani “Hanno già cominciato a preparare la loro offensiva di primavera”.
Ma mentre sul confine afgano sembrano essere stipati molti gruppi Jihadisti, 20 su 98 classificati come attivi nel mondo, L’ONU denuncia che almeno un terzo popolazione è oggi senza aiuti, si tratta di circa 9,3 milioni di persone che avrà bisogno nell’anno di assistenza umanitaria.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’aiuto umanitario (OCHA) le persone che hanno bisogno di aiuto sono in aumento del 13% “per l’estensione del conflitto”.
Nel frattempo in giro per il mondo costruiamo muri.

UN KAPÒ FA PAURA ALLA MERKEL

DI PIERLUIGI PENNATI
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Martin Schulz non è nuovo alle polemiche e non le ha mai mandate a dire a nessuno, la più famosa nel nostro paese è quella del 2003 con Berlusconi, che disse all’uomo politico tedesco, in risposta alle sue affermazioni suo proprio conflitto di interessi, al quoziente intellettivo del suo ministro Bossi e alla sua immunità parlamentare, «signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapo. Lei è perfetto!».
Ma anche nel 2009 Jean-Marie Le Pen fu duro con Schulz dicendo «M. Schulz, che è il Presidente del Gruppo Socialista all’Europarlamento, è un signore che ha l’aspetto di Lenin e parla come Hitler» e nel 2010, per ben due volte, prima con Daniel Cohn-Bendit, del quale doveva però essere alleato, e poi con Godfrey Bloom, eurodeputato britannico, che lo interruppe durante un intervento all’Europarlamento apostrofandolo con lo slogan nazista Ein Volk, ein Reich, ein Führer (“un Popolo, Un Impero, un Führer”), vi furono discussioni.
Nonostante i modi, però, Martin Schulz convince da sempre e con la Germania nazista sembra avere poco a che fare, appartiene infatti all’SPD, il più vecchio partito politico della Germania, membro dell’Internazionale Socialista, radicato profondamente nel mondo sindacale e dei lavoratori e considerato il partito che meglio ha incarnato nella storia l’identità socialista democratica. Partito che una settimana fa lo ha scelto come candidato per la cancelleria alle prossime elezioni politiche federali del 24 settembre.
La scelta, per ora, sembra essere stata davvero felice, infatti secondo un sondaggio dell’istituto ENMID realizzato per Bild, in soli sette giorni il gradimento SPD è aumentato di sei punti percentuali attestandosi al 29% e riducendo il distacco con Angela Merkel a soli 4 punti percentuali.
Anche per questo ieri, in Bavaria, Angela Merkel ed Horst Seehofer hanno riunito i vertici dei loro partiti tentando di serrare i ranghi tra CDU e CSU, i due partiti cristiano democratici che sostengono la quarta candidatura della cancelliera uscente e che oggi insieme possono contare sul 33% dei gradimenti.
Le due formazioni, però, sono fortemente divise sul tema dell’immigrazione che è stato quindi stralciato dal programma elettorale per essere ripreso al più presto dopo le elezioni di settembre nelle eventuali trattative per la formazione di un nuovo governo.
Per il partito di Angela Merkel e quello di arese Horst Seehofer si tratta di trovare un punto di intesa rispettando le differenze, infatti il leader della CSU avrebbe voluto fissare già nel programma elettorale comune un tetto massimo di 200.000 di ingressi di nuovi profughi in Germania, mentre la cancelliera era stata assoluta nel rifiutare ogni quantificazione.
“Sono più i punti che ci uniscono che non quelli che ci dividono” ha dichiarato ieri Angela Merkel, all’avvio della riunione che si concluderà oggi, dimostrando ottimismo per l’andamento dei lavori, Martin Schulz, dal canto suo, è già diventato un fenomeno mediatico con una candidatura sostenuta da tifoserie riunite in Gruppi Facebook, ritratti blu-rosso o travestimenti da Robin Hood e la copertina dello Spiegel con la scritta “San Martin”.
La rete lo chiama “The Schulz”, scimmiottando quel “The Donald” che era stato di Trump, ma che non è solo un fenomeno virtuale, oltre ai sondaggi, i 2000 nuovi iscritti alla SPD in una sola settimana pesano molto ed anche un altro sondaggio pubblicato dalla rivista “Bento”, dedicaa ai giovani, sottolinea come anche tra gli elettori tra i 18 e i 30 anni Schulz sia già in vantaggio su “Mutti”, soprannome assegnato da più di dieci anni ad Angela Merkel.
Secondo ENMID, Verdi e Die Linke perdono due punti attestandosi all’8%, mentre AFD, la destra di Alternativa per la Germania, resta stabile all’11% ed al 6% i liberali della FDP e se SPD, Linke e Verdi decidessero di formare una coalizione potrebbero avere il 45% delle preferenze secondo il sondaggio.
Infine, alla domanda su quale cancelliere preferirebbero avere, il 41% ha risposto Merkel ed il 38% Schulz.
La campagna elettorale in Germania è più che mai aperta e la cautela espressa dalla cancelliera uscente sul tema dell’immigrazione, sempre più attuale ed in evoluzione, fa pensare che non sarà facile per nessuno dei candidati convincere i tedeschi a farsi votare.

MARIA ELENA BOSCHI NON È ABBASTANZA “NORMALE”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Vincenzo Barone, oggi direttore della Normale di Pisa nella quale fu respinto all’esame da “normalista” trent’anni fa e poi chiamato a dirigerla poco prima del referendum costituzionale, a novembre non strinse la mano a Massimo D’Alema che durante la campagna referendaria aveva provato a bacchettare i docenti.
Quel D’Alema che dalla Normale fu espulso perché con una media troppo bassa a causa del suo impegno in politica non poteva giudicarne il parere dei docenti, mentre il curriculum di Maria Elena Boschi, madrina di una riforma respinta dagli italiani chiamati a votarla, pare sia adatto per parlare di “La nuova frontiera dei diritti”.
Questo il titolo della conferenza pubblica che la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi è stata invitata a tenere Scuola Normale Superiore, lunedì 6 febbraio, alle 17.30, presso la Sala Azzurra del Palazzo della Carovana a Pisa.
Il curriculum della Boschi, però, non è sembrato “normale” a molti studenti e docenti dell’ateneo e del resto d’Italia, tanto da far immediatamente scoppiare una polemica in rete dove sulla pagina Facebook della Scuola alcuni internauti hanno scritto, appunto, che «Non ha un curriculum da Normale», o «Facciamo finta che sia uno scherzo», «Mi chiedo quanto sia opportuna la presenza di un personaggio dalla levatura morale e culturale di costei nell’ambito dei Venerdí del Direttore», «Con l’occasione verrà proiettato il film “Mio Dio come sono caduta in basso “ Buona visione!» e persino «Degna persona per far da portavoce ai diritti! Diritti dei risparmiatori?».
Mentre qualcuno suggerisce all’ex ministra di ripensarci, Francesco Panaro, docente di sociologia all’università di Firenze, citando la Dialettica dell’Illuminismo di Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer, non ha pietà per i suoi colleghi pisani affermando che «Un tempo essi firmavano le loro lettere, come Kant e Hume, `servo umilissimo´, e intanto minavano le basi del trono e dell’altare. Oggi danno del tu ai capi di governo e sono sottomessi, in tutti i loro impulsi artistici, al giudizio dei loro principali illetterati».
Nel silenzio del loro direttore dalla normale di Pisa, con una nota ufficiale, tentano di stemperare la polemica e dichiarano che si tratta di una manifestazione legata a “I venerdì della Normale”, “pensati per dare occasione a un vasto pubblico di approfondire temi di interesse generale» e siccome il caso specifico tratta i diritti della persona nella società contemporanea, in particolare della donna, l’edizione speciale è stata indetta in concomitanza con la giornata internazionale sull’infibulazione femminile del 6 febbraio e per questa ragione Maria Elea Boschi, che è Sottosegretaria di Stato con delega alle Pari opportunità, «Riveste quindi un ruolo specifico, istituzionale, pertinente all’argomento» ed affronterà il tema dei diritti della persona in una prospettiva contemporanea e con uno sguardo al futuro.
Ma se alla Normale il curriculum conta, purché non sia troppo normale, a questo punto sapremo solo lunedì se si si è trattato di critiche isolate o se la ministra sarà travolta dai fischi e dalle polemiche.

SI TEME UN NUOVO AVVELENAMENTO PER OPPOSITORE DI PUTIN

DI PIERLUIGI PENNATI
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Vladimir Kara-Murza, coordinatore del movimento che fa capo a Khodorkovsky, l’arcinemico di Putin, è stato ricoverato ieri d’urgenza in terapia intensiva, dopo aver accusato un blocco degli organi interni.
Ne dà la notizia l’agenzia Interfax secondo la quale il suo avvocato, Vadim Prokhorov,  che ricordando l’episodio di presunto avvelenamento del maggio del 2015, quando il giornalista aveva avuto un blocco renale e le analisi aveva rivelato tracce di metalli pesanti, in particolar modo manganese, ha detto che “i sintomi sono apparentemente simili a quelli che erano allora”.
La moglie Evgenia ha dichiarato a Radio Free Europe (RFE) “Il suo medico ha detto che le sue condizioni sono critiche” “presenta bassa pressione ed insufficienza respiratoria e le ragioni della cosa sono ancora una volta poco chiare” ed alla BBC ha aggiunto che è collegato al supporto vitale e si trova in “coma farmacologico”.
Il caso riporta alla memoria anche quello di Alexander Litvinenko, l’ex agente del Kgb morto a Londra nel 2007 a seguito di avvelenamento per aver ingerito una dose fatale di polonio.
Al momento non vi sono notizie di connessioni con il caso del 2015 quando i test clinici avevano confermato l’ingestione di sostanze velenose ed era stata chiesta dai suoi legali una commissione d’inchiesta per accertare se si fosse trattato di avvelenamento intenzionale, ma nessun procedimento penale era stato aperto.
Il 34enne giornalista Kara-Murza aveva recentemente viaggiato per tutta la Russia per promuovere un documentario sul suo amico Boris Nemtsov, ex vice premier russo diventato oppositore del presidente Vladimir Putin, ucciso nel febbraio del 2015 a due passi dal Cremlino e due giorni fa gli aveva rivolto un tributo su FaceBook.
Kara-Murza è stato vice presidente del partito liberale Parnas ed ha partecipato attivamente alla stesura del ‘Magnitsky Act’, la legge varata da Barack Obama che colpisce alti funzionari russi, per la quale si dice possa essere finito sulla “lista nera” dei servizi segreti russi, oltre a lavorare come coordinatore federale per la fondazione Open Russia di Mikhail Khodorkovsky, ex magnate del petrolio che ha passato dieci anni in prigione per essersi opposto apertamente al presidente russo, Vladimir Putin.
Il padre di Kara-Murza, che si chiama anch’esso Vladimir, ha dichiarato che “l’avvelenamento di due anni fa, non è stato superato senza lasciare traccia. La salute di mio figlio si è indebolita”, facendo temere per la sua vita.
Khodorkovsky ha scritto su Twitter che Kara-Murza è ” nelle mani di un buon medico”, aggiungendo “Lasciatelo lavorare”.
Nel 2016 aveva provocato indignazione un video apparso su Instagram con Kara-Murza ed un altro ativista  nel mirino di un fucile di precisione.

SPARI AL LOUVRE, FRANCIA SENZA PACE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Allah Akhbar” questa volta riecheggiato al Louvre, un’aggressore armato di machete e un coltello si avventa contro un militare che apre il fuoco .
È successo verso le dieci di questa mattina, la stampa francese online riferisce che il prefetto di Parigi, Michel Cadot, ha affermato che il militare ha riportato una ferita leggera alla testa mentre l’aggressore è stato ferito allo “stomaco” ed è cosciente.
Secondo i giornali l’uomo avrebbe voluto accedere al corridoio delle boutique del Carrousel du Louvre trasportando due zaini, fermato dalla sicurezza avrebbe insistito per entrare e quando il militare si è avvicinato all’uomo, attirato dalla scena, questi avrebbe tentato di aggredirlo armato di coltello.
Il piano denominato “sentinelle”, instaurato dopo agli attentati del 13 novembre, ha prodotto l’immediata chiusura del museo, del vicino Palais Royal, il transennamento dell’intero quartiere del Louvre ed il fermo di un’altra persona in “atteggiamento sospetto”.
Il ministero degli interni ha definito quanto successo “un grave evento di pubblica sicurezza”.

IL MURO INVISIBILE DI MARINE LE PEN

DI PIERLUIGI PENNATI
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Marine Le Pen è già in piena campagna elettorale, difende Trump, modifica le proprie posizioni sulla pena di morte e vuole costruire una barriera finanziaria come deterrente per l’immigrazione in Francia.
Secondo la Le Pen chi critica il decreto di Donald Tump, che bandisce l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette Paesi musulmani, è in “malafede” ed alla CNN che l’intervista risponde:  “E’ una misura temporanea. Riguarda sei o sette Paesi, Paesi che certamente sono responsabili di minacce terroristiche”.
Nella trasmissione “Questions d’Info” di ieri, la candidata dell’estrema destra che in passato si era dichiarata favorevole “a titolo personale” alla pena capitale, modera la propria posizione e dichiara “Nel mio programma è previsto l’ergastolo”.
Sul programma per le presidenziali, che sarà presentato nel dettaglio sabato a Lione, ha specificato: “Mi impegno presso i francesi a mettere in atto l’ergastolo ma creo il referendum di iniziativa popolare. Con 500.000 firme i francesi possono esprimersi su qualunque argomento, allargherò il possibile campo d’azione del referendum”.
Ma la vera chicca programmatica è costituita da una sorta di muro virtuale che Marine Le Pen vorrebbe introdurre in Francia per contenere l’immigrazione e finanziare le casse dello stato: un dazio sugli stranieri.
Intervistata questa volta da “Le Monde”, la leader del FN spiega di vedere una priorità nazionale nell’occupazione e nell’aiuto di 80 euro al mese per le fasce più deboli, per far fronte a questo spiega di voler “applicare la priorità nazionale all’occupazione attraverso una tassa addizionale su qualsiasi nuovo contratto fatto a dipendenti stranieri. Il ricavo sarà versato nelle casse per il sussidio ai disoccupati”.
In questo modo “un certo numero di persone vorrà ripartire perché la Francia smetterà di incitare all’immigrazione. E per il resto, si farà in modo che le persone che accettiamo rispondano ad alcuni criteri e non pesino sulle finanze pubbliche”.
Una barriera fatta di tasse e requisiti, un marchio DOC per i lavoratori francesi che verrebbero favoriti economicamente rispetto ai loro colleghi stranieri, un muro fatto di difficoltà a sopravvivere e discriminazione razziale al posto di uno in muratura, ma pur sempre un muro.
“La base di tutto questo – afferma la Le Pena – è il patriottismo, ogni misura adottata e ogni euro speso deve difendere l’interesse dei francesi. In particolare consacrandosi a risolvere il problema del potere d’acquisto.”
Il primo etereo mattone è posato, le elezioni presidenziali di aprile diranno se la sua costruzione in Francia potrà continuare o meno.

PADOAN A BRUXELLES: “NIENTE MANOVRA, RISPETTATO IL PATTO DI STABILITÀ”

DI PIERLUIGI PENNATI
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 “Nessuna #manovra estemporanea: riduciamo il debito nel nostro interesse con una strategia che protegge la crescita https://t.co/CkVKqJfJTs” (@PCPadoan) 2 febbraio 2017, con questo Tweet il ministro Padoan annuncia al web che non ci sarà alcuna nuova manovra perché a suo avviso il Patto di Stabilità è stato “pienamente rispettato” e il debito è “soddisfacente”.
Nella lunga lettera trasmessa alla Commissione europea contenente il “Rapporto sui fattori rilevanti” che influenzano la dinamica del debito pubblico italiano, Padoan è convinto che i risultati raggiunti possono essere considerati più che soddisfacenti.
L’esecutivo, quindi, non si muove dalle sue posizioni e continua a difendere la politica finanziaria portata avanti fino ad ora.
“In merito al presunto scarto tra il saldo di bilancio previsto per il 2017 dal Governo e il margine ritenuto necessario dalla Commissione onde ridurre progressivamente il debito pubblico, con la lettera di accompagnamento al Rapporto il Ministro indica le iniziative di politica economica capaci di colmare questa eventuale differenza. – cita il comunicato ufficiale del Ministero delle Finanze – Nell’ambito del lavoro di definizione della politica economica di medio periodo, e quindi in vista del DEF, il Governo prenderà tra l’altro provvedimenti di contrasto all’evasione fiscale in continuità con quelli già adottati nel recente passato, estendendone la portata, e di riduzione della spesa, anche grazie alla nuova modalità di costruzione del bilancio dello Stato entrata in vigore con la riforma completata nel 2016.”
La replica di Padoan al commissario Pierre Moscovici e al vicepresidente Valdis Dombrovskis fornisce un quadro dettagliato nel quale, a parere del Governo, i risultati di contenimento del debito e la traiettoria di discesa indicata per il futuro sono “più che soddisfacenti” per il nostro Paese  ed a dispetto dei recenti rilievi effettuati dalla Commissione.
Quindi, no all’aggiustamento, di circa 3,4 miliardi di euro (pari allo 0,2% del Pil) richiesto da Bruxelles per rispettare le tappe di avvicinamento all’obiettivo di medio termine di deficit strutturale che viene considerato eccessivo anche perché, secondo il ministro, una correzione troppo rapida dei conti potrebbe danneggiare la ripresa nel momento in cui l’economia italiana sembra avere risultati migliori che nelle aspettative.
Ciò nonostante la lettera non è un semplice duro rifiuto alla Comunità Europea, il governo promette di continuare nel progetto di riforma strutturale già avviato dal precedente esecutivo per rilanciare le privatizzazioni nonostante la pausa dovuta alle condizioni di mercato sfavorevoli e di voler migliorare la strategia dei tagli alla spesa, il potenziamento della lotta all’evasione e l’aumento delle entrate fiscali: “L’ammontare generale dello sforzo strutturale per riprendere il percorso verso l’obiettivo di medio termine sarà composto per circa un quarto da tagli di spesa e per la parte restante da aumenti di entrate”, risparmi che “arriveranno per circa il 90% dai consumi intermedi e dalle agevolazioni fiscali”.
Le misure sul fronte della spesa, spiega il governo, “seguono i significativi progressi nel controllo della spesa negli ultimi anni e saranno ulteriormente inseriti in una più completa strategia di spending review nella prossima sessione di bilancio, grazie alla riforma del bilancio recentemente approvata”.
Nel documento Padoan fa cenno a possibili a ritocchi di accise e tassazione indiretta, che, data l’avversità anche di Renzi ad aumentare ulteriormente l’IVA, potrebbero vedere l’aumento delle imposte di bollo o di registro, che hanno un mediatico più contenuto.
In ogni caso l’obiettivo sembra essere ancora una volta la crescita attraverso il DEF che sarà preparato per aprile e che avrà la necessita di provvedimenti di legge per essere attuato.
Infine, per quanto riguarda il terremoto del centro Italia, Padoan ritiene che “non può stimare con esattezza l’impatto del terremoto sulle finanze pubbliche, ma sarà probabilmente molto superiore a 1 miliardo già nel 2017. Per mobilitare risorse a questo fine sarà creato un apposito Fondo”.

I COLONI ISRAELIANI RESISTONO ALLO SGOMBERO DI AMONA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Questa volta era toccato a loro, invece dei Palestinesi erano gli Israeliani a dover lasciare i territori e mentre da Gerusalemme giunge l’annuncio della creazione di nuovi alloggi in Cisgiordania le forze dell’ordine israeliane sono dovute intervenire ieri per obbligare i quasi 300 coloni di Amona, in Cisgiordania, a lasciare le loro case, che la corte Corte Suprema Israeliana ha stabilito essere state costruite su terreni di proprietà palestinese.
L’insediamento risale ad una ventina d’anni fa ed oggi la decisione di procedere alla sua evacuazione ha messo a dura prova la coesione del Governo nel quale non mancano radicali difensori dell’occupazione dell’area in base a quanto affermato nella Bibbia.
L’agenzia France Presse riferisce che la responsabile della diplomazia europea, Federica Mogherini, reagendo al quasi contemporaneo annuncio del via libera alla realizzazione di altri 3.000 alloggi nella stessa regione, ha affermato, nel quarto comunicato sull’argomento del genere in meno di due settimane da quando Donald Trump ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti,  che dando ascolto a coloro che sostengono queste teorie, l’Esecutivo di Benjamin Netanhyahu mette a repentaglio anche solo la prospettiva di un regolamento del conflitto.
Questa mattina la situazione non era ancora migliorata e Micky Rosenfeld, portavoce della polizia, ha dichiarato che le forze dell’ordine sono dovute intervenire per obbligare alla evacuazione dall’insediamento circa 200 persone, rintanate in una sinagoga e in un’altra struttura.
Rosenfeld ha detto che l’intenzione della polizia, intervenuta ieri, era quella di completare l’operazione nel corso della giornata di oggi per evitare il Shabbat del Venerdì senza “gravi incidenti”, ma 24 poliziotti sono stati leggermente feriti, 800 persone, tra le quali molte giunte per aiutare gli insediati, sono state evacuate e 13 arrestate.
Al di fuori della risse, un paio di colpi, qualche lancio di pietre e gli arresti, gli scontri, nonostante le loro dimensioni, non hanno portato ad una recrudescenza della violenza nell’area, ma il prezzo politico potrebbe essere elevato per il governo destra Benjamin Netanyahu.
Amona è una colonia definita “selvaggia”, cioè illegale secondo la legge israeliana applicata alla maggior parte della territorio della Cisgiordania, e per questo la Corte Suprema israeliana ne aveva ordinato la demolizione entro l’8 febbraio perché era stata costruita su terreni privati palestinesi, le Nazioni Unite e gran parte della comunità internazionale non fanno questa distinzione e considerano illegali tutti gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati.

 

BENVENUTO BEBÉ, A MILANO COME IN FINLANDIA

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato consegnato ieri a Milano il primo “pacco dono” di benvenuto per tutti i bebè nati dal 15 dicembre scorso e che fa parte insieme ad una card di maternità per i genitori dei nuovi nati a Milano del primo provvedimento nel campo delle Politiche sociali della giunta Sala, progettato come una misura di sostegno al reddito e sostenuta anche da sponsor privati che offrono i prodotti.
L’iniziativa è destinata a tutte le famiglie residenti a Milano, senza limiti di reddito per il pacco dono, mentre il cosiddetto “reddito di maternità”, contenuto nel provvedimento, è riservato alle famiglie con ISEE inferiore ai 17.000 euro, e già assegnatarie di assegno di maternità Inps, e consiste in 1.800 euro nell’arco dell’anno da utilizzare per l’acquisto di beni e servizi per l’infanzia.
L’iniziativa doveva partire solo a marzo, ma l’assessore Pierfrancesco Majorino aveva forse fretta di partire e la prima scatola contenente una tutina, pannolini, alcuni prodotti per l’igiene del bambino e della mamma che allatta, due libri di fiabe e un manuale di consigli e di indirizzi utili per i servizi dedicati all’infanzia è stata consegnata ieri presso la farmacia Lloyds di via Imbonati 24 ad Annalisa e Massimiliano, genitori del neonato Riccardo.
“Iniziamo il mandato presentando una nuova misura di sostegno al reddito destinata alle mamme e famiglie milanesi che avranno un bambino”, aveva detto lo scorso anno Majorino, “Si partirà subito a settembre con i primi contributi per poi proseguire e consolidare l’intervento con l’inizio del 2017. Negli ultimi cinque anni Milano ha investito circa 154 milioni di euro in azioni di sostegno al reddito risultando prima in Italia per questo tipo di politiche. Contiamo di proseguire con lo stesso passo, le politiche per le famiglie, tutte, saranno la nostra ossessione”.
Così le famiglie dei primi 600 bimbi nati dal 15 dicembre scorso stanno ricevendo le lettere in cui è indicato il luogo in cui ritirare il proprio pacco dono.
Se l’iniziativa è una encomiabile novità in Italia ed il Comune di Milano un pioniere, il governo finlandese, invece, da quasi ottant’anni dona una scatola di cartone alle donne in attesa di un bambino.
La “scatola di cartone” è una tradizione iniziata nel lontano 1938 dall’idea di fornire a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro condizione sociale, un uguale inizio nella vita, ed è stata pensata per contenere il necessario per l’arrivo del bambino potendo persino essere utilizzata come letto. Oggi è convinzione diffusa che abbia contribuito a far raggiungere alla Finlandia uno dei tassi di mortalità infantile più bassi del mondo.
Il pacco maternità finlandese, regalo governativo, è fornito a tutte le donne incinte e la scatola/lettino contiene materassino, coprimaterasso, sottolenzuolo, copripiumino, coperta, sacca / trapunta con imbottitura in pelo naturale (pelo di cammello o lana di pecora naturale), tutina, cappello, guanti e stivaletti coibentati, abito con cappuccio e una tuta leggera lavorata a maglia, calze e guanti, cappello lavorato a maglia e passamontagna, body, tutine, calzini in modelli e colori unisex, accappatoio, asciugamani, forbicine per le unghie, spazzola per capelli, spazzolino da denti, termometro da bagno, tubetto di crema, salviette,  libro illustrato e giocattoli per la dentizione.
Heidi Liesivesi, del Kela – l’Istituto delle assicurazioni sociali della Finlandia che proprio questo mese sta introducendo in quello stato il “Reddito di base”, una sorta di sussidio di disoccupazione di 560 euro al mese per un periodo di due anni, ha detto che «La tradizione della scatola di cartone risale al 1938, all’inizio era disponibile solo per le famiglie a basso reddito, dal 1949 è stata cambiata con la nuova legislazione, ora le future mamme per ottenere la sovvenzione in denaro o il pacco maternità prima del quarto mese di gravidanza devono sottoporsi a visita prenatale presso una struttura medica. La scatola con il materassino diventa il primo letto di un bambino”.
Ha inoltre aggiunto che “le mamme possono scegliere tra il pacco maternità, o una sovvenzione diretta in denaro, ora fissata a 140 euro, ma il 95% preferisce la scatola di cartone, che vale molto di più. La scatola di cartone ha avuto il merito non solo di fornire alle mamme il necessario per prendersi cura del loro bambino ma anche a contribuire a orientare le donne in gravidanza a prendere contatti con medici e infermieri al servizio del nascente stato sociale. La Finlandia nel 1930 era un paese povero con un alto tasso di mortalità infantile (65 su 1.000 bambini morti). Le cifre sono migliorate rapidamente nei decenni successivi».
In Finlandia la scatola di cartone, dopo settantacinque anni, fa oggi parte del rito che segna il passaggio verso la maternità e l’unione delle generazioni delle donne finlandesi, Panu Pulma, docente di Storia finlandese presso l’Università di Helsinki, ha dichiarato che «Ai genitori si raccomandava di non far dormire i bambini nel loro letto. L’introduzione della scatola di cartone utilizzata come letto, ha aiutato molti genitori a lasciare i loro bambini a dormire separati da loro. Uno degli obiettivi principali di tutto il programma è stato anche quello di far allattare di più le donne. A un certo punto, biberon e ciucci sono stati rimossi per promuovere l’allattamento al seno. E’ stato un successo. Tra gli oggetti inseriti nella scatola, ha avuto un effetto positivo anche quello del libro illustrato, ha incoraggiato i bambini a maneggiare i libri e un giorno a leggerli. In Finlandia la scatola di cartone è un simbolo, un simbolo dell’idea di uguaglianza, e dell’importanza dei bambini».
L’idea del “pacco dono per neonati” sembra quindi essere una buona idea che unita al sostegno per le famiglie meno abbienti speriamo possa contribuire, a Milano come in Finlandia ad accrescere il benessere e la salute dei bambini. Il primo passo è fatto e la direzione è giusta, guardiamo al futuro.

LA PIANURA PADANA NELLO SMOG

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ci risiamo, alta pressione, freddo e zero precipitazioni, anche quest’anno le polveri fini non danno tregua con Como e Cremona in testa per i valori massimi nei primi 25 giorni di gennaio.
I valori rilevati dalle centraline sono almeno tre volte superiori al massimo consentito in tutte le province, con la sola esclusione della provincia di Sondrio, a Como sono stati misurati 213 microgrammi al metro cubo, 50 sopra il limite, e nel centro di Milano si è arrivati 159, mentre a Cremona, in gennaio sono stati già registrati 20 sforamenti sui 35 annui permessi dalla legge e la qualità dell’aria, non è un gran che migliore nemmeno in Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
Le piogge sono previste dalla mattina di giovedì, almeno a ridosso delle Alpi e, secondo Fosco Spinedi di MeteoSvizzera, molto attenta alla analoga situazione di smog nell’adiacente Canton Ticino, dovrebbero servire “per far tornare la situazione dell’inquinamento entro valori accettabili” e “far tornare nella norma la situazione”, almeno temporaneamente.
Nonostante la situazione nessuna amministrazione italiana ha ancora adottato alcun provvedimento per contrastare lo smog, mentre la vicina Svizzera ha abbassato i limiti di velocità in autostrada, nelle zone interessate alle alte concentrazioni, a soli 80km/h, bloccato la circolazione dei veicoli diesel più inquinanti, Euro3 e inferiori, ed introdotto il trasporto pubblico gratuito per indurre il maggior numero possibile di automobilisti a lasciare l’auto casa, oltre ad aver diramato l’invito ad abbassare a 18 gradi nelle stanze ed a 21 negli altri locali la temperatura nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro.

PALERMO CAPITALE DELLA CULTURA 2018

DI PIERLUIGI PENNATI
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Panormos (παν-όρμος) era l’antico nome greco, ovvero “tutto-porto”, a causa  dei due fiumi, oggi non più visibili, Kemonia e Papireto che creavano un unico enorme approdo naturale intorno alla città, i Romani modificarono solo di poco il suo nome in Panormus, diventato poi Balarm in arabo e Balermus a seguito della conquista normanna.
Già l’etimologia del nome ne denuncia l’intensa storia, dominazioni e conquiste che hanno lasciato un segno indelebile e profondo nella città e che anche senza l’investitura ufficiale del Ministero dei Beni Culturali la collocavano tra le città più attraenti d’Italia sotto il profilo culturale, architettonico, artistico e persino scientifico dell’età antica e moderna.
Oggi l’investitura ufficiale, per tutto il 2018 Palermo sarà sotto i riflettori ed avrà la possibilità di mostrare ancora di più all’Italia ed al mondo tutta la sua bellezza, la sua storia e la sua magia cittadina e culturale.
“La candidatura è sostenuta da un progetto originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, fortemente e generosamente orientato all’inclusione alla formazione permanente, alla creazione di capacità e di cittadinanza, senza trascurare la valorizzazione del patrimonio e delle produzioni artistiche contemporanee. Il progetto è supportato dai principali attori istituzionali e culturali del territorio e prefigura a che interventi infrastrutturali in grado di lasciare un segno duraturo e positivo. Gli elementi di governance, di sinergia pubblico-privato e di contesto economico, poi, contribuiscono a rafforzarne la sostenibilità e la credibilità”.
Questa la motivazione ufficiale letta dal Presidente della Commissione, Stefano Baia Curioni, dopo l’annuncio del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, nel corso della cerimonia di investitura.
Palermo gareggiava, nemmeno a dirlo, con eccellenza italiane di tutto rispetto, ma quest’anno l’ha spuntata Palermo e con tutta probabilità anche per la sua spiccata vocazione multiculturale, colta anche dal Sindaco Leoluca Orlando che  ha dichiarato: “C’è una profonda emozione, ma devo riconoscere che è stata una vittoria di tutti perché siamo stati capaci ognuno di narrare le bellezze dei nostri territori, la cifra culturale più  significativa e che rivendichiamo è la cultura dell’accoglienza. Rivendichiamo il diritto di ogni essere umano di essere e restare diverso ed essere e restare uguale”.
Un milione di euro e esclusione dal patto di stabilità accompagnano il titolo, dando a Palermo l’opportunità di sviluppare programmi di sviluppo della conoscenza del territorio e del turismo per un sempre maggiore rilancio della città all’insegna dell’arte e della cultura, che a Palermo certo non sono mai mancate.
Ma per chi Palermo non la conoscesse bene va detto che oggi è il principale centro urbano della Sicilia e dell’Italia insulare ed è il quinto comune italiano per popolazione e venticinquesimo a livello europeo.
Palermo ha una storia millenaria ed ha avuto sempre un ruolo centrale nel Mediterraneo. Fu fondata dai Fenici tra il VII e il VI secolo a.C., poi conquista dai Saraceni nell’831 e da questi ampliata fino a diventare sotto la dinastia dei Kalbiti la capitale dell’Emirato di Sicilia e poi, con i Normanni, Palermo vide l’incoronazione di numerosi re di Sicilia cha attribuirono alla città il titolo di «Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput».
Fu teatro dei Vespri siciliani nel 1282 contro gli Angioini, dominatori francesi dell’isola, che erano visti come oppressori stranieri, facendo dilagare i moti per tutta l’isola finendo per espellerne la presenza e farla diventare la capitale del Regno delle Due Sicilie. Anche Dante Alighieri cita i Vespri e Palermo nella sua Divina commedia, al canto VIII del Paradiso, «Se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”»
Ma la sua lunga storia e l’avvicendarsi di tante civiltà e popoli hanno lasciato a Palermo un grande ed importante patrimonio artistico ed architettonico riconosciuto anche dall’UNESCO che ha già inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità ben sette complessi monumentali: il Palazzo dei Normanni con la Cappella Palatina, la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, la Chiesa della Martorana, la Chiesa di San Cataldo, la Cattedrale, la Zisa ed il Ponte dell’Ammiraglio.
Altri sei sono candidati: il Castello a Mare, la Cuba, la Cubula, il Castello di Maredolce con il Parco della Favara, la Chiesa di Santa Maria della Maddalena e la Chiesa della Magione.
Partendo dall’inizio la presenza umana a Palermo è radicata fin dalla preistoria, all’interno dell’Addaura, sul Monte Pellegrino, sono state scoperte grotte abitate nei periodi paleolitico e mesolitico con ritrovamenti di ossa e strumenti di caccia, oltre a molte incisioni, databili tra l’epigravettiano finale e il mesolitico, raffiguranti figure umane ed animali.
La città vera è propria, però, venne fondata dai Fenici probabilmente con il nome di Zyz, che significa fiore, come porto commerciale d’appoggio per raggiungere la Sicilia nord-occidentale, favorita dalla presenza dei due fiumi, il Kemonia e il Papireto, che, come detto, realizzavano un grande porto naturale.
Solo i greci, maggiormente presenti nella parte orientale sicula, non lasciarono tracce importanti, aggredendo la città solo poche volte e per saccheggiarla.
Verso il 500, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e la distruzione dell’isola da parte delle popolazioni dei Vandali nella sua parte occidentale, Palermo fu ricostruita dai Bizantini, che furono presenti per circa trecento anni.
Nel IX secolo la Sicilia fu invasa dagli arabi dal Nordafrica e nell’831 fu presa anche Palermo, convincendo i governatori musulmani a spostare la capitale della Sicilia da Siracusa a Palermo che fu così dotata di tutte le strutture burocratiche di una capitale. Secondo lo storico Teodosio, a Palermo, durante la dominazione araba più di trecento chiese furono trasformate in moschee. Fu questo il periodo in cui il territorio cominciò ad essere intensamente sfruttato ad agrumeti, formando la Conca d’oro, giunta fino a noi, ed aprendo nuove possibilità di sviluppo economico per la città.
Intorno all’anno mille fu la volta dei Normanni, mescolando gli stili islamici in molti edifici religiosi e civili, tra i quali certamente spicca il Ponte dell’Ammiraglio, con le sue dodici arcate nelle vicinanze della stazione centrale della città.
Dopo i normanni, i regnanti siciliani furono gli Svevi, che fecero di Palermo una sede imperiale, gli Angioini, che però spostarono la capitale da Palermo a Napoli e dopo i Vespri, Palermo divenne la capitale del regno cadetto degli aragonesi, per poi perderà l’indipendenza nel XV secolo e diventare un vicereame iberico e sede del Viceré.
Gli spagnoli rivalutarono territorio per il suo valore strategico contro gli Ottomani, rimanendo per circa duecento anni fino al termine della guerra di successione spagnola, dopo di che divenne dominio dei Borboni che mantennero il Regno di Sicilia e di Napoli separati fino al 1816 quando fondarono il Regno delle Due Sicilie e Palermo diventò solo il secondo centro amministrativo dopo Napoli.
Palermo, però, non è mai stata in discussione come capitale siciliana, diventando luogo di incontro e di scontro persino dopo lo sbarco di Garibaldi nel 1860 a seguito del quale, a causa delle rivolte ad esso seguite, avvennero anche alcuni bombardamenti che distrussero molte strutture architettoniche.
La storia artistica ed urbanistica di Palermo, però, ancora una volta non si fermò ed in seguito all’Unità d’Italia, furono realizzate altre importanti opere architettoniche, come il taglio di via Roma e la costruzione del teatro Massimo e del Politeama, i teatri più rappresentativi della città e dell’intera sicilia.
Anche la contaminazione Liberty non risparmiò Palermo all’inizio del secolo scorso, lasciando alcune testimonianze di gusto eclettico e durante la seconda guerra mondiale subì molti bombardamenti finiti con la sua occupata nel luglio 1943 dalle truppe statunitensi del generale George Smith Patton.
Una nota certo non piacevole, ma comunque culturale, fu lo sviluppo, prevalentemente nel secondo Novecento, del fenomeno della mafia che fece molte vittime, il poliziotto Boris Giuliano, il capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo, il prefetto di Palermo generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il presidente della Regione Siciliana Pier Santi Mattarella, i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gaetano Costa e Rocco Chinnici, il parroco del quartiere di Brancaccio, don Pino Puglisi e giornalisti come Mauro De Mauro e Mario Francese e molti altri meno conosciuti che avevano il solo difetto comune di opporsi alla malavita organizzata.
Dal 2015 Palermo è co-presidente mondiale del programma Safer Cities, lanciato ‘96 dalle Nazioni Unite, ed il suo sindaco, Leoluca Orlando è responsabile del progetto per l’Europa e l’Africa.
Ma Palermo è anche capitale mondiale dell’accoglienza, non a caso citata nel discorso di ringraziamento per il riconoscimento ministeriale a capitale della cultura 2018, la “Carta di Palermo” è un documento sottoscritto nel marzo 2015 da giuristi, attivisti dei diritti umani, amministratori pubblici ed organizzazioni non governative per sollecitare la comunità mondiale ad una revisione della legislazione sul permesso di soggiorno e delle politiche legate ai fenomeni migratori, sostenendo la mobilità umana internazionale come diritto inalienabile della persona.
Se qualcuno pensava potesse essere finita qui, si sbaglia di grosso, il catalogo della cultura di Palermo è pressoché illimitato, se la storia ci dà un’indicazione di quali e quante culture si sono qui incrociate bisogna guardare alla città attuale per scoprire che non è possibile solo visitarla, Palermo è da vivere intensamente ed a lungo, scoprendo aspetti così numerosi ed interessanti da non poterla lasciare senza aver arricchito il nostro bagaglio culturale in modo altrimenti improponibile.
A Palermo ci sono molti monumenti nazionali, edifici religiosi, chiese e moschee, palazzi storici e persino opere imponenti di ingegneria idraulica, come i Qanat, un sistema di canali sotterranei, parzialmente visitabile, per l’intercettazione delle acque sorgive nel sottosuolo della città, costruiti a cavallo tra la dominazione araba e il periodo normanno.
Poi la natura, parchi e giardini, l’antico stabilimento balneare di Mondello, piazze dalla storia intensa ed interessante, numerosi teatri, tra cui il Teatro Massimo Vittorio Emanuele che è il più grande teatro d’Italia ed il terzo tra i teatri lirici d’Europa, dopo l’Opéra National de Paris e la Staatsoper di Vienna, che vanta un’acustica perfetta nella sua sala a ferro di cavallo.
La numerose porte cittadine non sono meno attrattive, così come i mercati storici, quali il Ballarò, reso famoso anche dall’omonima trasmissione televisiva, i parchi archeologici, le catacombe ed le riserve naturali che circondano la città.
Ma non solo turismo, le università a Palermo sono molte ed illustri, come le biblioteche e gli archivi storici, di stato e privati, gli istituti clinici e di ricerca e le scuole: a Palermo sono presenti più di 450 plessi scolastici tra scuole materne, elementari, medie e superiori.
Persino alcune parole fondamentali per la nostra cultura sono nate qui, Philippe Daverio afferma che «La parola algebra proviene da al-ğabr wa’l-muqābala, un libro scritto nell’825 d.C. da Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī. Al-Khwarizmi diventerà la parola algoritmo e ci apre la strada verso il curioso rapporto tra il mondo arabo e il mondo occidentale, per il qual rapporto è fondamentale la città di Palermo.»
E poi filosofi, artisti, musicisti, matematici, scienziati, storici, scrittori, sono nati in questa città, dove i musei non mancano e le tracce da questi lasciate sono evidenti.
Che dire, poi, della cucina, a Palermo non mancano anche le prelibatezze, soprattutto dolci, cannoli e cassate, e vanta persino l’inventore del gelato in Francesco Procopio dei Coltelli e la cucina locale, come tutta la cucina siciliana in generale, rientra a pieno nel modello nutrizionale della dieta mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO bene protetto nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità nel 2010.
Siamo quello che mangiamo e mangiamo quello che siamo, l’influenza del susseguirsi delle cultura ha lasciato a Palermo anche una varietà gastronomica d’eccezione producendo un risultato finale che è una mescolanza di sapori e profumi unici, con abbondante utilizzo di vegetali, frutta, verdura, ortaggi, pasta, pane, patate e legumi; carni rosse, bovine, ovine e suine; carni bianche e, ovviamente, pesce a volontà, ma anche numerose varietà di formaggi locali ed olio d’oliva, principale condimento e fonte di grassi e gli aromi, basilico, menta, origano, rosmarino, zafferano, alloro, semi di finocchio, che assumono un ruolo decisivo nella caratterizzazione delle preparazioni gastronomiche tipiche di Palermo.
Per finire le minoranze e l’informazione, che a dispetto del fenomeno dell’omertà, a Palermo è invece fiorente, con numerosi giornali locali e radio private che formano il tessuto sociale della città ancora oggi, un tessuto sociale dove le tradizioni hanno ancora il loro posto d’onore ed inorgogliscono la popolazione che non rinuncia ad esse ed al clima di grande abbraccio e fratellanza tra le persone che si genera durante le feste e le ricorrenze locali.
Palermo è tanto ed ancora di più ed il riconoscimento di Capitale della Cultura Italiana è certamente meritato, non solo per il 2018, ma sempre, patrimonio culturale, sociale, architettonico, artistico, etc., italiano e del mondo intero.
La prossima volta che pensate a Palermo non limitatevi ai luoghi comuni.

BELLO FIGO RESTA SENZA MUSICA


DI PIERLUIGI PENNATI
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Alla fine hanno vinto loro ed il concerto romano di Bello FiGo non si terrà.
Gli organizzatori parlano di “minacce inaccettabili” nei confronti di Paul Yeboah, 21 anni, in Italia da 10 e residente a Parma dove paga regolarmente le tasse e produce milioni di visualizzazioni sul web, ma niente da fare se sei ghanese non puoi esibirti.
Responsabile della cancellazione sembra essere la piccola sigla di estrema destra “Azione Frontale” che già qualche giorno fa aveva contestato Bello FiGo con uno striscione appeso all’esterno del locale dove avrebbe dovuto esibirsi con la scritta “Roma non ti vuole” in caratteri gotici, poi una fitta campagna di insulti sul web contro il giovane che gioca spesso sui luoghi comuni della destra che vedono profughi “ricchi” “negli alberghi a 4 stelle” e pretendono cibo speciale e il wi-fi gratuito.
C’erano già stati annullamenti a Brescia, Borgo Virgilio (MN) e Legnano e questo doveva essere il concerto del rilancio, invece, Bello FiGo non si esibirà nemmeno a Roma e gli ex Magazzini generali a Ostiense che dovevano ospitarlo sabato prossimo, 4 febbraio, resteranno vuoti.
Pomo della discordia sarebbe in particolare la hit, “No pago affitto”, che ha già avuto oltre 9 milioni di visualizzazioni su YouTube dopo l’arrivo della notorietà seguita alla partecipazione alla trasmissione di Rete 4 “Dalla vostra parte” di fronte ad Alessandra Mussolini.

UN ATTENTATORE QUASI “NORMALE”

DI PIERLUIGI PENNATI
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Si chiama Alexandre Bissonnette, ha 27 anni, studia scienze politiche all’Università di Laval, apprezza Trump, Marine Le Pen, le forze israeliane ed è apparentemente figlio dell’odio razziale contro il diverso, alimentato dai media e dai populisti.
Un ragazzo quasi normale, che però prendeva informazioni sul terrorismo jihadista finendo per diventare un esperto di attentati islamici e che non lesinava pareri e commenti sul suo profilo FaceBook.
La polizia canadese lo ha arrestato perché è il presunto attentatore della moschea di Quebec City, mentre ha rilasciato l’altro fermato, Mohamed Khadir, 20 anni dI origini marocchine, che, invece, è stato solo sentito e classificato come testimone dell’attacco.
Bissonette, che non era noto alle forze dell’ordine, è stato fermato poco dopo la sparatoria e verificato il suo profilo: vive a Quebec City, nell’area di Cap-Rouge, e studia proprio vicino alla moschea, nella più antica università in lingua francese del Nord America, con circa 42 mila studenti.
L’attenzione delle prime ore, però, era caduta maggiormente sul marocchino, del quale i media locali avevano inizialmente scritto che dopo l’assalto alla moschea aveva chiamato la polizia per arrendersi perché pentito. Nella sua auto gli investigatori hanno trovato un’arma e la macchina è stata bonificata dagli artificieri per timore di una trappola.
L’errore è stato forse indotto dal fatto che i testimoni avevano detto che durante l’assalto due aggressori vestiti di nero avevano gridato “Allah Akbar“, ma questa volta non si trattava di un grido di aggressione, ma di speranza dei fedeli.
Il movente dell’attentato non è ancora dichiarato, ma a questo punto sembra certo trattarsi di un episodio di intolleranza. In attesa di sviluppi i profili e le pagine personali sui social network di entrambi i fermati sono state bloccate dagli inquirenti.

BASTA (CON) LA SALUTE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Questo il testo integrale dell’articolo 32 della nostra Costituzione, ma che nella sanità italiana ci fosse qualcosa che non andava non è certo una scoperta di oggi, l’Albertone nazionale ci aveva ricamato sopra già a fine anni ‘60, prima con “il medico della mutua” e poi con il forse più famoso “prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue”, per finire addirittura con “Il ginecologo della mutua” dieci anni dopo.
La mutua, ovvero l’assistenza sanitaria fornita dallo stato, non è mai stata sinonimo di qualità, ma almeno era sinonimo di gratuità, oggi, invece, sembra non essere più ne l’uno ne l’altro, al punto che secondo il rapporto 2016 sulla povertà sanitaria sono 557mila gli italiani che non riescono a comprare i farmaci e gli italiani poveri sono 4,6 milioni, in crescita del 25% rispetto allo scorso anno, ed i costi dei farmaci per questi soggetti costituiscono una voce particolarmente pesante: tra i poveri quasi 6 euro su 10 finiscono in farmaci, contro una media di meno di 4 euro.
Ma non è tutto qui, le difficoltà non riguardano solo i meno abbienti, oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico ed è stata registrato un aumento della richiesta di farmaci in tre anni del 16%, in conseguenza di un costante aumento di indigenti assistiti.
Il fenomeno ha fatto crescere la necessità di assistenza alternativa tramite il volontariato sviluppando le attività del Banco Farmaceutico che offre il suo aiuto soprattutto attraverso i medicinali raccolti nella Giornata di Raccolta del Farmaco, il 13 febbraio, senza l’aiuto del quale moltissimi non avrebbero avuto la possibilità di curarsi del tutto.
Eppure, come nei film di quaranta anni fa, non tutte le strutture sono al collasso, se negli ospedali pubblici le liste d’attesa sono infinite e l’accesso ai servizi difficile, in molte strutture private le attività sanitarie fioriscono, in ambienti raffinati, con personale cortese e premuroso, quasi sempre in convenzione con il SSN o con costi ormai non troppo distanti a quelli pagati per un ticket presso una struttura pubblica.
Ma non è tutto, a molti sarà capitato il caso, quello degli antibiotici e di alcuni tipi di radiografia ed esami del sangue per esempio, per i quali il costo del ticket, fissato allo stesso modo per tutte le prestazioni, è persino più oneroso del costo del medicinale o dell’esame.
“Vuole il generico?” è la domanda classica del farmacista che propone di pagare meno una medicina, “Preferisce il ticket o pagare la prestazione?” Per una panoramica od un esame del sangue in un centro convenzionato.
Così la sanità che dovrebbe curare i pazienti è la prima a dimostrare di essere ammalata e di una malattia profonda e radicata: l’indifferenza verso il malato. Per far quadrare i conti si aumentano i contributi del paziente fino a rendere non più conveniente la prestazione e “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, in contrasto con la norma costituzionale.
Specialisti ed economisti si sono alternati da sempre al capezzale della sanità pubblica per trovare un rimedio al suo cattivo stato di salute, persone spesso in conflitto di interesse e che non sono utenti delle strutture che amministrano, finendo con il trattare il caso solo come un problema economico e non umano.
Quante volte abbiamo sentito dire “basta la salute”, “pensa alla salute” o “se c’è la salute c’è tutto”?
Se davvero “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” allora dovremmo cominciare  a ripensare la sanità mettendo il paziente al centro e non solo l’interesse economico.
La sanità in altri stati funziona benissimo e costa meno, da italiani spesso esportiamo tecnologie e stili di vita, nell’era di internet e della globalizzazione non dovrebbe essere tanto difficile cercare di importare buona gestione ed assistenza, così che un giorno si eviti di dover dire che “l’operazione è riuscita, ma il paziente (la sanità) è morto”.

TRUMP CONTRO TUTTI, TUTTI CONTRO TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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È ormai chiaro che Trump non passerà alla storia per essere stato il presidente più amato dagli americani e dal resto del mondo, ma che a pochissimi giorni dal suo insediamento potesse esserci già un così alto numero di contestazioni non era completamente prevedibile.
Trump mette d’accordo tutti contro di lui, al punto che manifestazioni e proteste contro l’ordine esecutivo sull’immigrazione non sembravano bastare,  così persino in Silicon Valley è stata immediata la reazione: Google ha fatto sapere di aver stanziato 4 milioni di dollari, due donati dalla società ed altrettanti dagli impiegati, a favore degli immigrati ed i rifugiati colpiti dalla misura di bando dal territorio americano.
Ma non è la sola grande azienda a reagire contro Trump, un portavoce della catena di caffetterie Starbucks ha dichiarato che assumerà 10.000 rifugiati in tutto il mondo nei prossimi 5 anni e la società degli affitti brevi Airbnb sostiene che metterà a disposizione alloggi gratuiti.
Uber, la contestata società  che attraverso un’applicazione offre un servizio alternativo al taxi, sta creando un fondo di difesa legale da 3 milioni di dollari e la sua rivale Lyft, che durante il week end ha già raccolto una cifra record di oltre 24 milioni di dollari in donazioni, ha annunciato ai suoi iscritti che donerà un milione di dollari all’American Civil Liberties Union (ACLU) per i prossimi 4 anni ed in Gran Bretagna, dove il primo ministro Theresa May ha già confermato l’invito a Trump nonostante il divieto di entrata negli USA imposto ai cittadini di sette paesi musulmani, una petizione contro la visita del presidente americano ha già superato il milione di firme.
Forse Trump non riuscirà a portare a termine il suo mandato, però un risultato certo lo ha già ottenuto: è riuscito a mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, contro di lui. Buongiorno presidente Trump.

I SOCIALISTI FRANCESI SCELGONO IL CANDIDATO PERDENTE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Partita finisce quando arbitro fischia”. È al celebre aforisma di Vujadin Boškov che devono essersi ispirati i quasi due milioni di francesi che ieri hanno votato per il ballottaggio alle primarie della sinistra, preferendo, con oltre un milione di suffragi, il candidato Benoît Hamon al primo ministro uscente Manuel Valls e designando così il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali di aprile.
La corsa all’Eliseo, però, si annuncia difficile: secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto francese IPSOS Sopra Steria, al primo turno di elezioni Marine LE PEN potrebbe arrivare al 25%, François FILLON al 23%, Emmanuel MACRON al 17%, Jean-Luc MÉLENCHON al 14% e Benoît HAMON solo al 7%, seguito da François BAYROU al 5%, Nicolas DUPONT-AIGNAN e Yannick JADOT al 2,5%, per finire con Nathalie ARTHAUD e Philippe POUTOU all’ 1%, mentre Jacques CHEMINADE con un risultato inferiore allo 0,5 % non è considerato.
Secondo lo studio, il candidato della sinistra non andrebbe comunque oltre il quinto posto e non avrebbe possibilità di arrivare al ballottaggio finale, ma per citare ancora Boškov “chi non tira in porta non segna”, ed ai socialisti francesi non restava altra prospettiva che scegliere il candidato migliore e, sempre secondo IPSOS Sopra Steria, tra Valls ed Hamon vi era una seppur lieve differenza che porterebbe il voto dei francesi dal 6/7% del secondo al 9/10% del primo, quindi la scelta migliore sarebbe stata all’opposto.
In ogni caso per Hamon, non c’è tempo per esultare, il lavoro per convincere l’elettorato francese a votarlo non sarà semplice, soprattutto non sarà facile sedare l’ondata populista che sta vedendo la Le Pen favorita su Fillon, con i due che dovrebbero essere i veri protagonisti della delicata campagna elettorale che vedrà al suo termine in gioco il futuro dell’Eurozona alle elezioni europee di quest’anno, nelle quali la Francia è una delle protagoniste indiscusse.
Per lo scontro Fillon – Le Pen, IPSOS aveva inizialmente previsto la vittoria del primo, oggi ribalta leggermente i pronostici, ma dopo l’insediamento di Trump e l’inasprirsi delle polemiche populiste in campo internazionale, nel momento del voto reale per il loro presidente, i francesi potrebbero avere un istinto alla prudenza e ribaltare la situazione e quindi anche il candidato socialista, che oggi sembra perdente, potrebbe tentare il recupero.
“Elezioni vince chi prende più voti”, buon lavoro Benoît Hamon.

 

ATTENTATO IN UNA MOSCHEA IN QUEBEC

Sei morti e otto feriti a causa dell’irruzione di tre uomini armati in una moschea di Quebec City durante la preghiera della sera. L’attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, l’una di notte in Italia, secondo un testimone tre individui armati hanno aperto il fuoco su una quarantina di fedeli presenti nel luogo di culto.
L’azione è stata confermata anche dal primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha definito il gesto “un attacco terroristico contro i musulmani in un centro di preghiera e accoglienza”, mentre la polizia ha reso noto che due persone sono state arrestate e che non ritengono possano esservi altri soggetti in fuga.
Il premier canadese ha anche dichiarato che i “canadesi di fede musulmana sono un importante parte della nostra società”. Ed ha twittato “Tonight, Canadians grieve for those killed in a cowardly attack on a mosque in Quebec City. My thoughts are with victims & their families. – Justin Trudeau (@JustinTrudeau) 30 gennaio 2017 (stasera i canadesi piangono per le persone uccise in un attacco codardo in una moschea a Quebec City. I miei pensieri sono per le vittime e le loro famiglie).
Il presidente del centro islamico, Mohamed Yangui, che al momento dei fatti non era nella moschea, si è dichiarato colto di sorpresa ed ha detto: “Perché sta accadendo qui? È una barbarie”. Yagui ha poi precisato che la zona della moschea attaccata è la sezione maschile, dove oltre agli uomini rimasti uccisi è anche possibile siano stati coinvolti dei bambini. Secondo altri testimoni all’interno del centro durante l’attacco potevano esserci tra le 60 e le 100 persone.
Anche il premier del Quebec, Philippe Coutillard, ha espresso il proprio cordoglio per le vittime e la piena solidarietà ai musulmani presenti in Canada. Il Centro Culturale Islamico era già stato al centro di episodi di intolleranza e lo scorso anno era stata recapitata all’imām una testa di maiale, animale che il Corano definisce impuro, con la scritta “Buon appetito”.

ATTENTATO IN UNA MOSCHEA IN QUEBEC

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Sei morti e otto feriti a causa dell’irruzione di tre uomini armati in una moschea di Quebec City durante la preghiera della sera. L’attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, l’una di notte in Italia, secondo un testimone tre individui armati hanno aperto il fuoco su una quarantina di fedeli presenti nel luogo di culto.
L’azione è stata confermata anche dal primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha definito il gesto “un attacco terroristico contro i musulmani in un centro di preghiera e accoglienza”, mentre la polizia ha reso noto che due persone sono state arrestate e che non ritengono possano esservi altri soggetti  in fuga.
Il premier canadese ha anche dichiarato che i “canadesi di fede musulmana sono un importante parte della nostra società”. Ed ha twittato “Tonight, Canadians grieve for those killed in a cowardly attack on a mosque in Quebec City. My thoughts are with victims & their families. – Justin Trudeau (@JustinTrudeau) 30 gennaio 2017 (stasera i canadesi piangono per le persone uccise in un attacco codardo in una moschea a Quebec City. I miei pensieri sono per le vittime e le loro famiglie).
Il presidente del centro islamico, Mohamed Yangui, che al momento dei fatti non era nella moschea, si è dichiarato colto di sorpresa ed ha detto: “Perché sta accadendo qui? È una barbarie”. Yagui ha poi precisato che la zona della moschea attaccata è la sezione maschile, dove oltre agli uomini rimasti uccisi è anche possibile siano stati coinvolti dei bambini. Secondo altri testimoni all’interno del centro durante l’attacco potevano esserci tra le 60 e le 100 persone.
Anche il premier del Quebec, Philippe Coutillard, ha espresso il proprio cordoglio per le vittime e la piena solidarietà ai musulmani presenti in Canada. Il Centro Culturale Islamico era già stato al centro di episodi di intolleranza e lo scorso anno era stata recapitata all’imām una testa di maiale, animale che il Corano definisce impuro, con la scritta “Buon appetito”.

LA LEGA CHIUDE LE SEDI E DIVENTA NOMADE

Il 1° dicembre era toccato al giornale La Padania, responsabili i tagli all’editoria stabiliti dal governo Renzi, anche se il sindacato interno al quotidiano preferiva attaccare la dirigenza di Via Bellerio che “nonostante le prospettive di crescita dei consensi politico-elettorali che tutti i sondaggi le riconoscono, ha deciso di non rinnovare il proprio contributo al bilancio dell’Editoriale Nord.”.

Qualche giorno fa è stata la volta del partito e dopo i primi 71 esuberi del 2014 chiude anche la sede di via Bellerio a Milano, mettendo in mobilità gli ultimi 24 dipendenti.

La decisione mette anche la parola fine al vecchio modo di essere un partito così com’era sempre stato fin dall’inizio e nelle strutture del Carroccio non ci sarà più neanche un funzionario stipendiato dalla casa madre.

Il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, dà la colpa al cambio del sistema di finanziamento dei partiti che “ha comportato anche per la Lega una improvvisa e drastica riduzione delle risorse economiche e finanziarie“, “fattori che hanno richiesto drastici interventi di ristrutturazione”.

Dal SINPA, il sindacato della Lega, nessuna nota ufficiale, mentre sono gli altri sindacati a farsi sentire,  Andrea Montagni della Filcams Cgil dice “già nel 2014 la Lega aveva promesso e non mantenuto l’impegno a ricollocare i lavoratori e nel corso della mia esperienza sindacale solo il Carroccio e Forza Italia non si sono mai preoccupati del destino dei propri ex dipendenti. Persino la vecchia Democrazia proletaria si impegnò per trovare una sistemazione. Comunque sia, la Lega che a parole difende i lavoratori poi abbandona i suoi“.

Secondo i dirigenti del partito non è colpa loro, ma ora che la lega non ha più una sede ha dimostrato di non saper governare nemmeno i propri conti, trasformandosi da partito tradizionale in nomade della politica, una sorta di ROM senza fissa dimora costretto a spostarsi di volta involta per rincorrere la propria sopravvivenza.

Chissà se ora che anche Salvini non ha più una sede cambierà atteggiamento anche verso coloro che si spostano nelle roulotte.

LA LEGA CHIUDE LE SEDI E DIVENTA NOMADE

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
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Il 1° dicembre era toccato al giornale La Padania, responsabili i tagli all’editoria stabiliti dal governo Renzi, anche se il sindacato interno al quotidiano preferiva attaccare la dirigenza di Via Bellerio che “nonostante le prospettive di crescita dei consensi politico-elettorali che tutti i sondaggi le riconoscono, ha deciso di non rinnovare il proprio contributo al bilancio dell’Editoriale Nord.”.
Qualche giorno fa è stata la volta del partito e dopo i primi 71 esuberi del 2014 chiude anche la sede di via Bellerio a Milano, mettendo in mobilità gli ultimi 24 dipendenti.
La decisione mette anche la parola fine al vecchio modo di essere un partito così com’era sempre stato fin dall’inizio e nelle strutture del Carroccio non ci sarà più neanche un funzionario stipendiato dalla casa madre.
Il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, dà la colpa al cambio del sistema di finanziamento dei partiti che “ha comportato anche per la Lega una improvvisa e drastica riduzione delle risorse economiche e finanziarie“, “fattori che hanno richiesto drastici interventi di ristrutturazione”.
Dal SINPA, il sindacato della Lega, nessuna nota ufficiale, mentre sono gli altri sindacati a farsi sentire,  Andrea Montagni della Filcams Cgil dice “già nel 2014 la Lega aveva promesso e non mantenuto l’impegno a ricollocare i lavoratori e nel corso della mia esperienza sindacale solo il Carroccio e Forza Italia non si sono mai preoccupati del destino dei propri ex dipendenti. Persino la vecchia Democrazia proletaria si impegnò per trovare una sistemazione. Comunque sia, la Lega che a parole difende i lavoratori poi abbandona i suoi“.
Secondo i dirigenti del partito non è colpa loro, ma ora che la lega non ha più una sede ha dimostrato di non saper governare nemmeno i propri conti, trasformandosi da partito tradizionale in nomade della politica, una sorta di ROM senza fissa dimora costretto a spostarsi di volta involta per rincorrere la propria sopravvivenza.
Chissà se ora che anche Salvini non ha più una sede cambierà atteggiamento anche verso coloro che si spostano nelle roulotte.

UN MURO DA ABBATTERE? PEÑA NIETO CANCELLA L’INCONTRO CON TRUMP

Era stato per primo Trump a suggerire al presidente messicano Peña Nieto di annullare il viaggio previsto a Washington per la prossima settimana, ieri sera la decisione: “Esta mañana hemos informado a la Casa Blanca que no asistiré a la reunión de trabajo programada para el próximo martes con el @POTUS.”

Il dialogo a distanza era nato a causa della divergenza di idee sul muro che Trump andrà a completare, “If Mexico is unwilling to pay for the badly needed wall, then it would be better to cancel the upcoming meeting” (Se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno, allora sarebbe meglio cancellare l’incontro), aveva scritto Trump ed a bordo dell’Air Force One il suo portavoce, Sean Spicer, aveva dichiarato ai giornalisti che la Casa Bianca avrebbe cercato comunque “una data futura per fissare qualcosa” e che sarebbero state mantenute “aperte le linee di comunicazione” con il Messico.

L’incontro era previsto per martedì, ma dopo la firma di Trump sotto il decreto per la continuazione del muro lungo il confine con il Messico, Enrique Peña Nieto aveva subito affermato che il suo stato non avrebbe contribuito finanziariamente alla sua realizzazione, provocando la replica di Trump.

Il professor Michael Dear, docente alla California University di Berkeley, che da anni studia le relazioni tra sviluppo urbano, aspetti socio-economici e geografici al confine tra Stati Uniti e Messico, aveva già dichiarato che “il muro non ferma i traffici”, “i dati dimostrano che le barriere non aumentano la sicurezza tra USA e Messico” ed ancora “invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.

Ma il muro alla frontiera meridionale era una delle promesse elettorali che avevano  portato voti a Donald Trump che, diventato presidente, ne ha immediatamente approvato la costruzione con un ordine esecutivo, anche se i fondi non sono ancora stati approvati dal Congresso, e questo, secondo il professor Dear, non risolverà i problemi di sicurezza.

Nel suo libro intitolato “Perché i muri non funzionano” il professore spiega la sua teoria, basata su osservazioni reali del muro che già esiste tra i due stati, costruito negli ultimi 10 anni e lungo quasi mille chilometri. Secondo i dati raccolti “questo muro ha avuto un impatto nullo o comunque è stato minimo”, perché attraverso quel confine non passano solo quelli che negli Stati Uniti cercano lavoro, ma esiste un fiorente traffico di esseri umani, armi, droga, oltre a scambi legali commerciali “per oltre 1,4 miliardi di dollari ogni giorno”, facendo registrare proprio a cavallo del confine la più rapida crescita economica su entrambi i lati della frontiera.

Inoltre “il muro ha reso finora più facile l’attività dei cartelli messicani della droga. I narco-trafficanti conoscono quali punti di ingresso usare e il tipo di controlli effettuati dalla polizia di confine” ed i 3000 chilometri di confine col Messico che il presidente Trump vorrebbe sigillare sono per lo più in zone desertiche, mentre a ridosso del confine ci sono anche grandi città, che in alcuni casi sono proprio a cavallo della frontiera, come in California, Arizona, Texas, etc.

Alcune città-gemelle tra Stati Uniti e Messico, come San Diego, Tijuana, El Paso e Ciudad Juarez, costituiscono una sola comunità che non tiene conto della frontiera che le separa e secondo il professore “Invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.

Nel 2013, con una lettera aperta pubblicata da New York Times, il professor Michael Dear già aveva chiesto all’allora presidente Barack Obama di eliminare le barriere esistenti tra i due paesi, dopo il passaggio di consegne la richiesta resta valida, sebbene le speranze che l’amministrazione Trump decida di valutare metodi alternativi di controllo delle frontiere al momento sembrano davvero scarse.

UN MURO DA ABBATTERE? PEÑA NIETO CANCELLA L’INCONTRO CON TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Era stato per primo Trump a suggerire al presidente messicano Peña Nieto di annullare il viaggio previsto a Washington per la prossima settimana, ieri sera la decisione: “Esta mañana hemos informado a la Casa Blanca que no asistiré a la reunión de trabajo programada para el próximo martes con el @POTUS.”
Il dialogo a distanza era nato a causa della divergenza di idee sul muro che Trump andrà a completare, “If Mexico is unwilling to pay for the badly needed wall, then it would be better to cancel the upcoming meeting” (Se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno, allora sarebbe meglio cancellare l’incontro), aveva scritto Trump ed a bordo dell’Air Force One il suo portavoce, Sean Spicer, aveva dichiarato ai giornalisti che la Casa Bianca avrebbe cercato comunque “una data futura per fissare qualcosa” e che sarebbero state mantenute “aperte le linee di comunicazione” con il Messico.
L’incontro era previsto per martedì, ma dopo la firma di Trump sotto il decreto per la continuazione del muro lungo il confine con il Messico, Enrique Peña Nieto aveva subito affermato che il suo stato non avrebbe contribuito finanziariamente alla sua realizzazione, provocando la replica di Trump.
Il professor Michael Dear, docente alla California University di Berkeley, che da anni studia le relazioni tra sviluppo urbano, aspetti socio-economici e geografici al confine tra Stati Uniti e Messico, aveva già dichiarato che “il muro non ferma i traffici”, “i dati dimostrano che le barriere non aumentano la sicurezza tra USA e Messico” ed ancora “invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.
Ma il muro alla frontiera meridionale era una delle promesse elettorali che avevano  portato voti a Donald Trump che, diventato presidente, ne ha immediatamente approvato la costruzione con un ordine esecutivo, anche se i fondi non sono ancora stati approvati dal Congresso, e questo, secondo il professor Dear, non risolverà i problemi di sicurezza.
Nel suo libro intitolato “Perché i muri non funzionano” il professore spiega la sua teoria, basata su osservazioni reali del muro che già esiste tra i due stati, costruito negli ultimi 10 anni e lungo quasi mille chilometri. Secondo i dati raccolti “questo muro ha avuto un impatto nullo o comunque è stato minimo”, perché attraverso quel confine non passano solo quelli che negli Stati Uniti cercano lavoro, ma esiste un fiorente traffico di esseri umani, armi, droga, oltre a scambi legali commerciali “per oltre 1,4 miliardi di dollari ogni giorno”, facendo registrare proprio a cavallo del confine la più rapida crescita economica su entrambi i lati della frontiera.
Inoltre “il muro ha reso finora più facile l’attività dei cartelli messicani della droga. I narco-trafficanti conoscono quali punti di ingresso usare e il tipo di controlli effettuati dalla polizia di confine” ed i 3000 chilometri di confine col Messico che il presidente Trump vorrebbe sigillare sono per lo più in zone desertiche, mentre a ridosso del confine ci sono anche grandi città, che in alcuni casi sono proprio a cavallo della frontiera, come in California, Arizona, Texas, etc.
Alcune città-gemelle tra Stati Uniti e Messico, come San Diego, Tijuana, El Paso e Ciudad Juarez, costituiscono una sola comunità che non tiene conto della frontiera che le separa e secondo il professore “Invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”.
Nel 2013, con una lettera aperta pubblicata da New York Times, il professor Michael Dear già aveva chiesto all’allora presidente Barack Obama di eliminare le barriere esistenti tra i due paesi, dopo il passaggio di consegne la richiesta resta valida, sebbene le speranze che l’amministrazione Trump decida di valutare metodi alternativi di controllo delle frontiere al momento sembrano davvero scarse.

QUANDO IL SAGGIO MOSTRA IL DITO, LO STOLTO GUARDA LA LUNA

Alla fine il pasticcio è diventato il problema ed il problema si è definitivamente perso di vista.

Già, perché ormai in Italia per governare serve solo una legge elettorale e non degli amministratori onesti e capaci, quindi puntiamo tutto su come li eleggiamo e non su come governano.

Nel testo di proprio pugno del 1936 Mussolini scriveva che “La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno” e per questa ragione ingovernabile, tanto è vero che non riteneva la forma dello stato preminente, ma bensì la sua possibilità di essere governato, spiegando benissimo che “il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma”.

La questione della governabilità è un problema da sempre e la repubblica Italiana sorta sulle ceneri dello stato fascista la ritenne secondaria rispetto alla democrazia, proprio per evitare che la repubblica diventasse quello stesso stato fascista che governava al posto degli italiani, convinto profondamente di un “antiindividualismo” per il quale lo stato e l’individuo coincidevano e dovevano essere posti “contro il liberalismo classico” perché “Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto”.

Mussolini riteneva che “La libertà non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria”.

Il governo Renzi ed altri altri prima di lui, hanno fatto di tutto per restaurare almeno in parte, e forse inconsapevolmente, questo stato di cose, noi siamo troppo giovani per ricordare e troppo assorbiti dai moderni doveri per volerlo studiare, ma se la giornata della memoria per lo sterminio ebreo serve a non dimenticare l’olocausto, una giornata della memoria per il periodo fascista dovrebbe essere istituita per non dimenticare quello da cui settanta anni fa siamo fuggiti a gambe levate ed ancora oggi diciamo di rifuggire.

Celebriamo una repubblica che non conosciamo e forse per questo cerchiamo di demolirla restaurando un passato che riaffiora dalla sue braci, perché in fondo noi siamo il nostro passato e prima di fare riforme dovremmo capire meglio la nostra storia per poter evitare gli stessi errori dei nostri antenati.

Così oggi si gioca tutto su di una legge elettorale che dovrebbe limitare l’accesso in parlamento alla democrazia diffusa in nome della governabilità, io, invece credo che dovremmo stabilire regolamenti semplici per ottenere in tempi ragionevoli leggi migliori e più condivise e per questo la prima riforma che credo ci serva dovrebbe riguardare la democrazia diretta, che in Italia è quasi totalmente assente.

Quello che intendo è che nel nostro moderno paese non è possibile introdurre nuove norme e nemmeno proporle senza un relatore in parlamento ed un iter parlamentare completo, così che il popolo può esprimere solo i propri rappresentanti tramite le elezioni e non giudicare il loro operato, se non alle successive elezioni, lasciando un vuoto abissale tra una votazione e l’altra e facendosi sempre gabbare prima di questa.

La possibilità di abrogare una legge, seppur con un iter difficile e complicato, non basta, i referendum dovrebbero poter essere anche propositivi, mentre in parlamento non dovrebbero poter cambiare le coalizioni a proprio piacimento, pena la decadenza dalla posizione.

Altri sistemi democratici prevedono queste norme e funzionano benissimo e le differenze e le distanze tra i politici ed i cittadini non sono così grandi come da noi e tutto è deciso con suffragio popolare: si chiama “democrazia diretta”, non è un assurdo e non è nemmeno complicato o costoso applicarla, serve solo volerla attuare.

Il modo, però, non può essere modificare una legge od un iter legale, il modo deve essere un cambio radicale di impostazione senza rincorrere le cose che già si hanno per stabilire metodi nuovi e semplici: democrazia proporzionale e partecipazione diretta.

Questo è uno stato democratico, gli altri sono solo dei surrogati e le nuove leggi solo stampelle sbilenche di apparati in rovina, ricominciare è possibile, ma va fatto partendo dalla parte giusta, cioè dall’allargamento della democrazia di base e non dalla compressione di quella rappresentativa.

QUANDO IL SAGGIO MOSTRA IL DITO, LO STOLTO GUARDA LA LUNA

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Alla fine il pasticcio è diventato il problema ed il problema si è definitivamente perso di vista.
Già, perché ormai in Italia per governare serve solo una legge elettorale e non degli amministratori onesti e capaci, quindi puntiamo tutto su come li eleggiamo e non su come governano.
Nel testo di proprio pugno del 1936 Mussolini scriveva che “La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno” e per questa ragione ingovernabile, tanto è vero che non riteneva la forma dello stato preminente, ma bensì la sua possibilità di essere governato, spiegando benissimo che “il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma”.
La questione della governabilità è un problema da sempre e la repubblica Italiana sorta sulle ceneri dello stato fascista la ritenne secondaria rispetto alla democrazia, proprio per evitare che la repubblica diventasse quello stesso stato fascista che governava al posto degli italiani, convinto profondamente di un “antiindividualismo” per il quale lo stato e l’individuo coincidevano e dovevano essere posti “contro il liberalismo classico” perché “Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto”.
Mussolini riteneva che “La libertà non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria”.
Il governo Renzi ed altri altri prima di lui, hanno fatto di tutto per restaurare almeno in parte, e forse inconsapevolmente, questo stato di cose, noi siamo troppo giovani per ricordare e troppo assorbiti dai moderni doveri per volerlo studiare, ma se la giornata della memoria per lo sterminio ebreo serve a non dimenticare l’olocausto, una giornata della memoria per il periodo fascista dovrebbe essere istituita per non dimenticare quello da cui settanta anni fa siamo fuggiti a gambe levate ed ancora oggi diciamo di rifuggire.
Celebriamo una repubblica che non conosciamo e forse per questo cerchiamo di demolirla restaurando un passato che riaffiora dalla sue braci, perché in fondo noi siamo il nostro passato e prima di fare riforme dovremmo capire meglio la nostra storia per poter evitare gli stessi errori dei nostri antenati.
Così oggi si gioca tutto su di una legge elettorale che dovrebbe limitare l’accesso in parlamento alla democrazia diffusa in nome della governabilità, io, invece credo che dovremmo stabilire regolamenti semplici per ottenere in tempi ragionevoli leggi migliori e più condivise e per questo la prima riforma che credo ci serva dovrebbe riguardare la democrazia diretta, che in Italia è quasi totalmente assente.
Quello che intendo è che nel nostro moderno paese non è possibile introdurre nuove norme e nemmeno proporle senza un relatore in parlamento ed un iter parlamentare completo, così che il popolo può esprimere solo i propri rappresentanti tramite le elezioni e non giudicare il loro operato, se non alle successive elezioni, lasciando un vuoto abissale tra una votazione e l’altra e facendosi sempre gabbare prima di questa.
La possibilità di abrogare una legge, seppur con un iter difficile e complicato, non basta, i referendum dovrebbero poter essere anche propositivi, mentre in parlamento non dovrebbero poter cambiare le coalizioni a proprio piacimento, pena la decadenza dalla posizione.
Altri sistemi democratici prevedono queste norme e funzionano benissimo e le differenze e le distanze tra i politici ed i cittadini non sono così grandi come da noi e tutto è deciso con suffragio popolare: si chiama “democrazia diretta”, non è un assurdo e non è nemmeno complicato o costoso applicarla, serve solo volerla attuare.
Il modo, però, non può essere modificare una legge od un iter legale, il modo deve essere un cambio radicale di impostazione senza rincorrere le cose che già si hanno per stabilire metodi nuovi e semplici: democrazia proporzionale e partecipazione diretta.
Questo è uno stato democratico, gli altri sono solo dei surrogati e le nuove leggi solo stampelle sbilenche di apparati in rovina, ricominciare è possibile, ma va fatto partendo dalla parte giusta, cioè dall’allargamento della democrazia di base e non dalla compressione di quella rappresentativa.

10 EURO PER UNA NOTTE AL CLOCHARD HOTEL LINATE

Il racket della disperazione colpisce i senzatetto all’aeroporto di Milano Linate: da quanto appreso sembra che la società di gestione aeroportuale consenta tacitamente, quando l’aeroporto è vuoto nelle ore notturne e di minor traffico, ai clochard di poter dormire in esso senza rischiare l’assideramento e qualcuno riesce persino ad approfittarne.

I senzatetto che dormono per terra possono non piacere ai pochissimi passeggeri di passaggio nella notte, ma è certamente un bel gesto altruista da non sottovalutare da parte della società che gestisce l’aeroporto, la sorpresa, però, arriva quando qualcuno scopre che, per poter dormire in una zona pubblica, un clochard deve addirittura pagare il pizzo ad una banda organizzata che ha preso possesso illegalmente degli spazi riscaldati e gestisce il pavimento come se ci si trovasse in un vero hotel e vende persino le coperte.

Quattro i sospetti “gestori”, tre donne ed un uomo probabilmente di nazionalità ROM, che non solo stazionavano permanentemente in aerostazione, ma addirittura facevano le ronde per organizzare i “posti letto” affinchè nessuno sfuggisse al controllo.

20 euro una coperta e 10 euro anticipati a notte, che fanno circa 300 euro al mese, praticamente un affitto in nero, pagato per avere qualcosa che in altre parti della città è possibile avere gratuitamente affidandosi ai servizi di ospitalità notturna gestiti da Comune di Milano ed associazioni varie di volontariato. Il più famoso tra tutti quello fondato da Fratel Ettore Boschini, da sempre un punto di riferimento metropolitano per tutti i clochard.

Ma altre mille domande affiorano: come è possibile che una banda di persone qualsiasi possa controllare un’area che dovrebbe già essere sotto controllo delle istituzioni per ragioni di sicurezza, vale a dire un aeroporto, obiettivo sensibile, sorvegliato e presidiato per impedire attentati e crimini di ogni genere.

Come avviene l’esodo, gli aeroporti non sono mai in aree cittadine ed in qualche modo i senzatetto devono potersi spostare e sopravvivere durante il giorno, possibile che questi vivessero tutto il giorno nell’edificio senza che nessuno si accorgesse della cosa?

Cosa spinge i senzatetto a fasi spillare quattrini da una banda di senza cuore e senza scrupoli che, smascherati dal cronista, dichiarano che l’Italia è una m.rda, dimostrando tutta l’attenzione che possono avere perso le persone e l’ambiente che li accoglie.

Risposte difficili da fornire, resta il fatto che siamo tutti ormai così insensibili alla disperazione che lo scandalo vero arriva solo quando al povero si chiede il pizzo, perché se non fosse successa questa cosa, oggi non sapremmo nemmeno che l’aeroporto di Linate, decisamente fuori mano per un clochard, in questi giorni di freddo intenso stava probabilmente salvando la vita a molti di loro.

La prossima volta che leggeremo di un barbone morto assiderato, cosa che capita almeno una volta all’anno a Milano, non stupiamoci ancora per l’accaduto, piuttosto chiediamoci cosa abbiamo fatto noi per evitarlo.

10 EURO PER UNA NOTTE AL CLOCHARD HOTEL LINATE

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Il racket della disperazione colpisce i senzatetto all’aeroporto di Milano Linate: da quanto appreso sembra che la società di gestione aeroportuale consenta tacitamente, quando l’aeroporto è vuoto nelle ore notturne e di minor traffico, ai clochard di poter dormire in esso senza rischiare l’assideramento e qualcuno riesce persino ad approfittarne.
I senzatetto che dormono per terra possono non piacere ai pochissimi passeggeri di passaggio nella notte, ma è certamente un bel gesto altruista da non sottovalutare da parte della società che gestisce l’aeroporto, la sorpresa, però, arriva quando qualcuno scopre che, per poter dormire in una zona pubblica, un clochard deve addirittura pagare il pizzo ad una banda organizzata che ha preso possesso illegalmente degli spazi riscaldati e gestisce il pavimento come se ci si trovasse in un vero hotel e vende persino le coperte.
Quattro i sospetti “gestori”, tre donne ed un uomo probabilmente di nazionalità ROM, che non solo stazionavano permanentemente in aerostazione, ma addirittura facevano le ronde per organizzare i “posti letto” affinchè nessuno sfuggisse al controllo.
20 euro una coperta e 10 euro anticipati a notte, che fanno circa 300 euro al mese, praticamente un affitto in nero, pagato per avere qualcosa che in altre parti della città è possibile avere gratuitamente affidandosi ai servizi di ospitalità notturna gestiti da Comune di Milano ed associazioni varie di volontariato. Il più famoso tra tutti quello fondato da Fratel Ettore Boschini, da sempre un punto di riferimento metropolitano per tutti i clochard.
Ma altre mille domande affiorano: come è possibile che una banda di persone qualsiasi possa controllare un’area che dovrebbe già essere sotto controllo delle istituzioni per ragioni di sicurezza, vale a dire un aeroporto, obiettivo sensibile, sorvegliato e presidiato per impedire attentati e crimini di ogni genere.
Come avviene l’esodo, gli aeroporti non sono mai in aree cittadine ed in qualche modo i senzatetto devono potersi spostare e sopravvivere durante il giorno, possibile che questi vivessero tutto il giorno nell’edificio senza che nessuno si accorgesse della cosa?
Cosa spinge i senzatetto a fasi spillare quattrini da una banda di senza cuore e senza scrupoli che, smascherati dal cronista, dichiarano che l’Italia è una m.rda, dimostrando tutta l’attenzione che possono avere perso le persone e l’ambiente che li accoglie.
Risposte difficili da fornire, resta il fatto che siamo tutti ormai così insensibili alla disperazione che lo scandalo vero arriva solo quando al povero si chiede il pizzo, perché se non fosse successa questa cosa, oggi non sapremmo nemmeno che l’aeroporto di Linate, decisamente fuori mano per un clochard, in questi giorni di freddo intenso stava probabilmente salvando la vita a molti di loro.
La prossima volta che leggeremo di un barbone morto assiderato, cosa che capita almeno una volta all’anno a Milano, non stupiamoci ancora per l’accaduto, piuttosto chiediamoci cosa abbiamo fatto noi per evitarlo.

QUANDO LA CRONACA FA SCIOPERO, LO SCIOPERO NON FA CRONACA

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Di solito sono chiamati a fare le cronache degli scioperi, questa volta, invece, tocca a loro scioperare e se anche la cronaca sciopera lo sciopero non fa più cronaca.
Già, perché se è il cronista a scioperare chi ne parla?
Nell’indifferenza più totale degli altri media l’assemblea dei giornalisti di Sky TG24 ha prima votato all’unanimità uno sciopero di 24 ore contro il piano di licenziamenti e trasferimenti comunicato dall’azienda e poi eseguito dalle 12 di oggi, martedì 24 gennaio, fino alla stessa ora di domani.
Quello che succede è ormai storia nota in molti ambienti, un piano di licenziamenti e trasferimenti mina l’organizzazione del lavoro e la stabilità delle famiglie coinvolte, le rivendicazioni sono altrettanto banali, qualità e credibilità del servizio in testa.
Il problema, però, non è se questi lavoratori siano stati fino ad ora dei privilegiati, se comunque sopravvivranno ai trasferimenti o se il loro servizio sia così importante da doverlo cristallizzare così com’è nei secoli dei secoli, il problema è che queste cose avvengono ormai in ogni situazione aziendale senza nemmeno più fare notizia, nemmeno quando sono coloro che diffondono le notizie ad esserne colpiti.
Le ragioni della ristrutturazione non sono state diffuse con il comunicato di sciopero, ma a questi professionisti deve andare la solidarietà che dovrebbe essere data a tutti i lavoratori onesti che si guadagnano da vivere, invece, giorno per giorno, perdiamo la sensibilità a qualsiasi notizia che non ci faccia saltare letteralmente dalla sedia e così perdiamo a poco a poco non solo pezzi di società e di cultura, ma la nostra identità e la nostra dignità: con tutti quelli che perdono il lavoro oggi, cosa vuoi che siano quattro spostamenti e/o licenziamenti.
Alla fine molti diranno che è colpa loro, non si sono mossi in tempo, non sanno gestire la cosa ed in fondo erano dei privilegiati.
Non lasciamoci sopraffare dall’indifferenza e dall’analfabetismo funzionale, salviamo la nostra società, per intero: solidarietà ai giornalisti di Sky TG24, che possano tornare a raccontare la loro avventura al passato e quella di quanti, come loro, la vivranno in futuro, purtroppo al presente. Senza discriminazioni.

LA CONSULTA PERDE LA PAZIENZA

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
È caldo fin dal principio il clima all’udienza della Corte Costituzionale dedicata ai cinque ricorsi contro l’Italicum, la legge elettorale varata dal governo Renzi, l’avvocato dei ricorrenti, Vincenzo Palumbo, attacca a tutto campo ed accusa che ci sono voluti «8 anni per bocciare il Porcellum, col quale si è fatto in tempo ad eleggere 3 Parlamenti…e adesso l’Avvocatura generale dello Stato ci dice che non si può valutare la costituzionalità dell’Italicum perché è una legge che non è mai stata applicata!»
L’avvocato Palumbo è prolisso e non risparmia accuse, tanto che Presidente della Corte, Paolo Grossi, prima invita alla brevità, poi chiede di concludere per «non esasperare la Corte» arrivando fino alle minacce dicendo «state abusando della nostra pazienza».
Grossi ripete anche più volte di non fare «considerazioni che esorbitano dal piano giuridico della questione: evitiamo concioni (riunioni n.d.r.) politiche e limitiamo a questioni giuridiche», e chiede di rispettare due principi: «Primo, le esposizioni in quest’aula devono essere orali, le memorie sono agli atti. Secondo, siccome, parleranno altri cinque avvocati, invito a non esporre argomentazioni. Auspichiamo che avvenga presto la possibilità di sedere in camera di consiglio e poter deliberare», «tenete conto che la Corte deve lavorare non solo in udienza. Auspichiamo di poter lavorare presto anche in camera di consiglio».
L’udienza è durata dalle 9:30 alle 13, nel corso della quale la Corte, tredici giudici presenti, essendo dimissionario Giuseppe Frigo e assente Alessandro Criscuolo, ha per prima cosa ritenuto inammissibile l’intervento del Codacons perché tardivo, essendo giunto oltre i termini di tempo prestabiliti, e dopo aver letto le motivazioni della decisione, la seconda parte della seduta pubblica è stata dedicata alle questioni di merito con il relatore Nicolò Zanon chiamato a illustrare le posizioni dei tribunali ricorrenti e dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta la presidenza del Consiglio dei ministri.
Dalla parte del fronte anti Italicum l’avvocato Felice Besostri ha chiesto ai giudici di valutare che l’approvazione dell’Italicum avvenne col voto di fiducia mentre le leggi elettorali dovrebbero figurare nei regolamenti parlamentari tra quelle per cui la modalità dovrebbe essere esclusa: «Se questo è il ragionamento, questo vuol dire lasciare aperta per il legislatore la possibilità di approvare con la fiducia norme incostituzionali». Inoltre Besostri ha ricordato che il Porcellum, pur essendo incostituzionale, fu già usato in ben tre tornate elettorali e «questo non deve accadere più, «se le prossime elezioni dovessero essere fatte con legge incostituzionale, la democrazia sarebbe in pericolo», ha detto.
Nel dibattito spunta anche il parere del barbiere dell’avvocato Lorenzo Acquarone che, replicando alla posizione dell’Avvocatura di Stato di non poter valutare se l’Italicum abbia arrecato o meno danni ai cittadini visto che non è ancora entrata in vigore, ha replicato: “Il mio barbiere mi ha chiesto: Dunque, se si fa una legge sulla pena capitale, per sapere se è costituzionale bisogna prima aspettare che sia applicata la pena di morte e poi, una volta che il condannato è morto, decidere se era o no costituzionale ucciderlo? Mi pare un ottimo esempio”.
La seduta è stata aggiornata alle 16 di oggi pomeriggio e dopo i legali dei ricorrenti sarà la volta dell’avvocatura dello Stato esporre le sue tesi, per concludere con repliche, al termine delle quali i giudici si chiuderanno in camera di consiglio per la decisione finale.
Il verdetto è atteso al massimo entro mercoledì, per raggiungere il quale la corte ha già rinviato tutte le udienze in calendario per i prossimi due giorni, mentre le motivazioni saranno emesse entro i 30 giorni successivi.

QUANDO LA CRONACA FA SCIOPERO, LO SCIOPERO NON FA CRONACA

Di solito sono chiamati a fare le cronache degli scioperi, questa volta, invece, tocca a loro scioperare e se anche la cronaca sciopera lo sciopero non fa più cronaca.

Già, perché se è il cronista a scioperare chi ne parla?

Nell’indifferenza più totale degli altri media l’assemblea dei giornalisti di Sky TG24 ha prima votato all’unanimità uno sciopero di 24 ore contro il piano di licenziamenti e trasferimenti comunicato dall’azienda e poi eseguito dalle 12 di oggi, martedì 24 gennaio, fino alla stessa ora di domani.

Quello che succede è ormai storia nota in molti ambienti, un piano di licenziamenti e trasferimenti mina l’organizzazione del lavoro e la stabilità delle famiglie coinvolte, le rivendicazioni sono altrettanto banali, qualità e credibilità del servizio in testa.

Il problema, però, non è se questi lavoratori siano stati fino ad ora dei privilegiati, se comunque sopravvivranno ai trasferimenti o se il loro servizio sia così importante da doverlo cristallizzare così com’è nei secoli dei secoli, il problema è che queste cose avvengono ormai in ogni situazione aziendale senza nemmeno più fare notizia, nemmeno quando sono coloro che diffondono le notizie ad esserne colpiti.

Le ragioni della ristrutturazione non sono state diffuse con il comunicato di sciopero, ma a questi professionisti deve andare la solidarietà che dovrebbe essere data a tutti i lavoratori onesti che si guadagnano da vivere, invece, giorno per giorno, perdiamo la sensibilità a qualsiasi notizia che non ci faccia saltare letteralmente dalla sedia e così perdiamo a poco a poco non solo pezzi di società e di cultura, ma la nostra identità e la nostra dignità: con tutti quelli che perdono il lavoro oggi, cosa vuoi che siano quattro spostamenti e/o licenziamenti.

Alla fine molti diranno che è colpa loro, non si sono mossi in tempo, non sanno gestire la cosa ed in fondo erano dei privilegiati.

Non lasciamoci sopraffare dall’indifferenza e dall’analfabetismo funzionale, salviamo la nostra società, per intero: solidarietà ai giornalisti di Sky TG24, che possano tornare a raccontare la loro avventura al passato e quella di quanti, come loro, la vivranno in futuro, purtroppo al presente. Senza discriminazioni.

LA CONSULTA PERDE LA PAZIENZA

È caldo fin dal principio il clima all’udienza della Corte Costituzionale dedicata ai cinque ricorsi contro l’Italicum, la legge elettorale varata dal governo Renzi, l’avvocato dei ricorrenti, Vincenzo Palumbo, attacca a tutto campo ed accusa che ci sono voluti «8 anni per bocciare il Porcellum, col quale si è fatto in tempo ad eleggere 3 Parlamenti…e adesso l’Avvocatura generale dello Stato ci dice che non si può valutare la costituzionalità dell’Italicum perché è una legge che non è mai stata applicata!»

L’avvocato Palumbo è prolisso e non risparmia accuse, tanto che Presidente della Corte, Paolo Grossi, prima invita alla brevità, poi chiede di concludere per «non esasperare la Corte» arrivando fino alle minacce dicendo «state abusando della nostra pazienza».

Grossi ripete anche più volte di non fare «considerazioni che esorbitano dal piano giuridico della questione: evitiamo concioni (riunioni n.d.r.) politiche e limitiamo a questioni giuridiche», e chiede di rispettare due principi: «Primo, le esposizioni in quest’aula devono essere orali, le memorie sono agli atti. Secondo, siccome, parleranno altri cinque avvocati, invito a non esporre argomentazioni. Auspichiamo che avvenga presto la possibilità di sedere in camera di consiglio e poter deliberare», «tenete conto che la Corte deve lavorare non solo in udienza. Auspichiamo di poter lavorare presto anche in camera di consiglio».

L’udienza è durata dalle 9:30 alle 13, nel corso della quale la Corte, tredici giudici presenti, essendo dimissionario Giuseppe Frigo e assente Alessandro Criscuolo, ha per prima cosa ritenuto inammissibile l’intervento del Codacons perché tardivo, essendo giunto oltre i termini di tempo prestabiliti, e dopo aver letto le motivazioni della decisione, la seconda parte della seduta pubblica è stata dedicata alle questioni di merito con il relatore Nicolò Zanon chiamato a illustrare le posizioni dei tribunali ricorrenti e dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta la presidenza del Consiglio dei ministri.

Dalla parte del fronte anti Italicum l’avvocato Felice Besostri ha chiesto ai giudici di valutare che l’approvazione dell’Italicum avvenne col voto di fiducia mentre le leggi elettorali dovrebbero figurare nei regolamenti parlamentari tra quelle per cui la modalità dovrebbe essere esclusa: «Se questo è il ragionamento, questo vuol dire lasciare aperta per il legislatore la possibilità di approvare con la fiducia norme incostituzionali». Inoltre Besostri ha ricordato che il Porcellum, pur essendo incostituzionale, fu già usato in ben tre tornate elettorali e «questo non deve accadere più, «se le prossime elezioni dovessero essere fatte con legge incostituzionale, la democrazia sarebbe in pericolo», ha detto.

Nel dibattito spunta anche il parere del barbiere dell’avvocato Lorenzo Acquarone che, replicando alla posizione dell’Avvocatura di Stato di non poter valutare se l’Italicum abbia arrecato o meno danni ai cittadini visto che non è ancora entrata in vigore, ha replicato: “Il mio barbiere mi ha chiesto: Dunque, se si fa una legge sulla pena capitale, per sapere se è costituzionale bisogna prima aspettare che sia applicata la pena di morte e poi, una volta che il condannato è morto, decidere se era o no costituzionale ucciderlo? Mi pare un ottimo esempio”.

La seduta è stata aggiornata alle 16 di oggi pomeriggio e dopo i legali dei ricorrenti sarà la volta dell’avvocatura dello Stato esporre le sue tesi, per concludere con repliche, al termine delle quali i giudici si chiuderanno in camera di consiglio per la decisione finale.

Il verdetto è atteso al massimo entro mercoledì, per raggiungere il quale la corte ha già rinviato tutte le udienze in calendario per i prossimi due giorni, mentre le motivazioni saranno emesse entro i 30 giorni successivi.

PER FORTUNA HA VINTO TRUMP

Chi pensa che Trump mi possa piacere si sbaglia di grosso, però devo ammettere che nemmeno la Clinton mi faceva impazzire e tra i due, alla fine, il meno peggio a me è sembrato fin dall’inizio proprio Trump.

Perché? Semplice, è un populista di destra riconosciuto e queste sono due garanzie non da poco.

Mi spiego meglio, da mio punto di osservazione mi è sembrato di capire che la destra non ha mai avuto vita di governo facile in nessun stato democratico e solo quando si trasforma in dittatura è in grado di nuocere, altrimenti gli attivisti di sinistra, che sono sempre più numerosi ed attivi di quelli di destra, gli impediscono, o quasi, qualsiasi attività che sia contraria al benessere della nazione e del popolo.

Al contrario la sinistra, che non gode di questa opposizione decisa, si prende più spesso delle libertà.

Un esempio su tutti potrebbe venire dall’impegno politico e di governo di Silvio Berlusconi che, dichiaratosi di centro destra, ad ogni sua affermazione provocava, ed in fondo ancora oggi provoca, sollevazioni popolari, così che la maggior parte dei suoi provvedimenti non sono mai riusciti a toccare davvero profondamente i diritti fondamentali degli italiani, pensioni, retribuzioni e precarietà davanti a tutti, che semmai sono leggermente lievitati “quando c’era lui” e che sono stati, invece, ripetutamente e duramente colpiti durante i governi “tecnici” o di centro sinistra, pensioni, retribuzione e precarietà davanti a tutti.

Così, senza analizzare a fondo il fenomeno, se oggi ringraziamo genericamente Renzi, Monti e Fornero per i tagli economici ed il precariato, non facciamo altrettanto con Berlusconi per le pensioni minime innalzate e l’incremento, seppur minimo, del welfare da lui realizzato.

A questo punto dovrei dire che mi piace Berlusconi: ma nemmeno per sogno!

Dico, però, che se ho di fronte un avversario che riconosco come tale lo tengo sotto controllo e lo pedino passo passo, mentre se ho al governo un “amico” mi distraggo facilmente, così l’amico può danneggiarmi, se vuole, più del nemico.

Inoltre se critico la destra, tutti penseranno che è perché ricorda in qualche modo il fascismo, ma se critico la sinistra con gli stessi argomenti il fascista lo divento io, eppure ho fatto la stesse critiche ma evidentemente è l’obiettivo a determinare la posizione e non l’oratore.

Così l’America Federale moderna tra la moglie di colui che ha costruito il muro al confine con il Messico e portato avanti una politica economica a favore delle grandi lobby economiche e di potere e l’industriale che si è fatto da sé, simbolo da sempre del “sogno americano”, che dà lavoro a moltissime persone e non ha necessità di arricchire ancora ha scelto il secondo, forse anche nella speranza che possa liberarla dalla morsa delle banche e del potere fittizio che oggi la attanaglia.

Bene, quindi, che vi sia un’opposizione forte in quello stato, bene che vi sia un presidente da osteggiare e bene che vi sia un sistema democratico a garanzia, altrimenti gli USA ed il mondo continuerebbero la loro corsa scellerata verso il nulla speculativo e la povertà globale.

Francamente non credo che Trump sarà in grado di relegare tutte le donne a fare la calza o stiparle in postriboli, così come non potrà chiudere le frontiere e non riuscirà ad imporre alcuna dittatura interna o dichiarare guerra a qualche stato, solo od al fianco di altre potenze mondiali, al contrario, proprio perché sarà costantemente sotto osservazione, Trump rischia di essere il miglior presidente degli Stati Uniti degli ultimi anni, anche se non ci è tanto simpatico.

L’insediamento ha già promesso bene, evidenziando le prime contraddizioni, il concerto disertato dai grandi nomi ed un discorso di insediamento apparso a tutti ancora da campagna elettorale, con quel “Make America Great Again”, abbreviato alle volte in MAGA, ripetuto fino alla fine.

Quella di non mollare mai deve essere una mania dei miliardari, anche il Silvio nazionale durante il suo governo continuava a rimarcare i successi e le prospettive, confermando che l’imprenditoria e la politica hanno spesso attitudini opposte, una tende a svilupparsi senza fine, l’altra a fermarsi ai risultati ottenuti.

Solo il tempo ci dirà come andrà a finire, ma se questi sono i presupposti forse non faremmo così male a dire anche noi: benvenuto presidente Trump!

PER FORTUNA HA VINTO TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Chi pensa che Trump mi possa piacere si sbaglia di grosso, però devo ammettere che nemmeno la Clinton mi faceva impazzire e tra i due, alla fine, il meno peggio a me è sembrato fin dall’inizio proprio Trump.
Perché? Semplice, è un populista di destra riconosciuto e queste sono due garanzie non da poco.
Mi spiego meglio, da mio punto di osservazione mi è sembrato di capire che la destra non ha mai avuto vita di governo facile in nessun stato democratico e solo quando si trasforma in dittatura è in grado di nuocere, altrimenti gli attivisti di sinistra, che sono sempre più numerosi ed attivi di quelli di destra, gli impediscono, o quasi, qualsiasi attività che sia contraria al benessere della nazione e del popolo.
Al contrario la sinistra, che non gode di questa opposizione decisa, si prende più spesso delle libertà.
Un esempio su tutti potrebbe venire dall’impegno politico e di governo di Silvio Berlusconi che, dichiaratosi di centro destra, ad ogni sua affermazione provocava, ed in fondo ancora oggi provoca, sollevazioni popolari, così che la maggior parte dei suoi provvedimenti non sono mai riusciti a toccare davvero profondamente i diritti fondamentali degli italiani, pensioni, retribuzioni e precarietà davanti a tutti, che semmai sono leggermente lievitati “quando c’era lui” e che sono stati, invece, ripetutamente e duramente colpiti durante i governi “tecnici” o di centro sinistra, pensioni, retribuzione e precarietà davanti a tutti.
Così, senza analizzare a fondo il fenomeno, se oggi ringraziamo genericamente Renzi, Monti e Fornero per i tagli economici ed il precariato, non facciamo altrettanto con Berlusconi per le pensioni minime innalzate e l’incremento, seppur minimo, del welfare da lui realizzato.
A questo punto dovrei dire che mi piace Berlusconi: ma nemmeno per sogno!
Dico, però, che se ho di fronte un avversario che riconosco come tale lo tengo sotto controllo e lo pedino passo passo, mentre se ho al governo un “amico” mi distraggo facilmente, così l’amico può danneggiarmi, se vuole, più del nemico.
Inoltre se critico la destra, tutti penseranno che è perché ricorda in qualche modo il fascismo, ma se critico la sinistra con gli stessi argomenti il fascista lo divento io, eppure ho fatto la stesse critiche ma evidentemente è l’obiettivo a determinare la posizione e non l’oratore.
Così l’America Federale moderna tra la moglie di colui che ha costruito il muro al confine con il Messico e portato avanti una politica economica a favore delle grandi lobby economiche e di potere e l’industriale che si è fatto da sé, simbolo da sempre del “sogno americano”, che dà lavoro a moltissime persone e non ha necessità di arricchire ancora ha scelto il secondo, forse anche nella speranza che possa liberarla dalla morsa delle banche e del potere fittizio che oggi la attanaglia.
Bene, quindi, che vi sia un’opposizione forte in quello stato, bene che vi sia un presidente da osteggiare e bene che vi sia un sistema democratico a garanzia, altrimenti gli USA ed il mondo continuerebbero la loro corsa scellerata verso il nulla speculativo e la povertà globale.
Francamente non credo che Trump sarà in grado di relegare tutte le donne a fare la calza o stiparle in postriboli, così come non potrà chiudere le frontiere e non riuscirà ad imporre alcuna dittatura interna o dichiarare guerra a qualche stato, solo od al fianco di altre potenze mondiali, al contrario, proprio perché sarà costantemente sotto osservazione, Trump rischia di essere il miglior presidente degli Stati Uniti degli ultimi anni, anche se non ci è tanto simpatico.
L’insediamento ha già promesso bene, evidenziando le prime contraddizioni, il concerto disertato dai grandi nomi ed un discorso di insediamento apparso a tutti ancora da campagna elettorale, con quel “Make America Great Again”, abbreviato alle volte in MAGA, ripetuto fino alla fine.
Quella di non mollare mai deve essere una mania dei miliardari, anche il Silvio nazionale durante il suo governo continuava a rimarcare i successi e le prospettive, confermando che l’imprenditoria e la politica hanno spesso attitudini opposte, una tende a svilupparsi senza fine, l’altra a fermarsi ai risultati ottenuti.
Solo il tempo ci dirà come andrà a finire, ma se questi sono i presupposti forse non faremmo così male a dire anche noi: benvenuto presidente Trump!

STATO DI EMERGENZA O EMERGENZA DI STATO?

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ricordo che molti anni fa discutendo degli orari e dei turni di lavoro di un servizio di emergenza per il quale servivano al minimo due persone per fronteggiare efficacemente gli eventuali interventi, la soluzione fu trovata osservando che se durante gli eventi avversi servivano almeno due persone e nei periodi di attesa nessuna, la media matematica era di una persona permanentemente in servizio, e così fu, nonostante il mio deciso disaccordo.
La fortuna ha sempre voluto che non succedesse mai nulla di veramente grave da dover rimpiangere la decisione, mai cambiata, dimostrando che la scelta fu giusta perché alla fine la buona volontà, l’intraprendenza e qualche piccola polemica presto dimenticata risolvono tutte le situazioni. Economicamente è conveniente, ma il problema permane.
Il problema sono i conti che non quadrano mai, quello che manca, spesso, non sono i soldi, ma la volontà di investire in sicurezza e prevenzione, complice la bassa incidenza degli eventi avversi. Facciamo un esempio: che io ricordi ad Alghero nevicò per davvero una sola volta nel corso del secolo scorso, quindi aveva senso avere un servizio di spazzaneve in quel luogo? Forse no, ma in Abruzzo, dove la neve cade sempre abbondantemente, forse si, almeno per centri di competenza territoriale che possano intervenire in caso di emergenza.
Non dico questo per polemizzare coi soccorsi, ma è davvero possibile che, a parte lo scetticismo iniziale che ha fatto partire gli uomini con molto ritardo, in Abruzzo non abbiano una motoslitta, tanto che il soccorso alpino abruzzese ha dovuto raggiungere la struttura rimasta sotto la neve con gli sci alpinismo e le pelli di foca?
Eppure, quando mio figlio si storse una caviglia sciando, nonostante il brutto tempo, fu portato al pronto soccorso in motoslitta a tempo di record. Per raggiungere l’hotel Rigopiano di Farindola, invece, la colonna dei soccorsi parte in macchina e si impantana quasi subito ed addirittura si dice che gli spazzaneve abbiano terminato il gasolio a metà del percorso, rendendo necessario recuperarlo a piedi da parte dei vigili del fuoco, e che successivamente la cupa notte e poi il guasto dell’unica turbina durante le operazioni abbiano “rallentato” ulteriormente la marcia dei volonterosi.
Mi scuso con tutti i volontari coinvolti, ma più che la cronaca di una squadra di soccorso sembra la storia dell’armata Brancaleone. Possibile che in tutta la zona non ci fosse nemmeno una motoslitta? Possibile che nel 2017 in una delle potenze economiche riconosciute del mondo moderno i soccorsi debbano arrivare a piedi con le pelli di foca? Possibile che i guai capitino davvero tutti insieme e per caso?
Se devo fare una polemica la faccio certamente con coloro che pensano al salvataggio delle banche e non alle vite umane e se devo fare un elogio questo va sicuramente agli uomini del soccorso, che, nonostante sembrino abbandonati dalle istituzioni italiane, non si fermano davanti a nulla ed invece di lamentarsi per i pochi mezzi prendono le pelli di foca e proseguono a piedi.
Questo, però, non è uno stato di emergenza casuale, questa è una vera e propria emergenza di stato voluta e non mi riferisco solo ad un terremoto od ad una valanga, ma all’incapacità delle istituzioni di guardare alla persona, considerando sempre e solo l’interesse economico ed i bilanci.
Se in tempo di attesa non servono motoslitte ed in emergenza ne occorrono molte, forse vale la pena di comprarne almeno una, ma sappiamo bene che le casette di legno per i terremotati di Amatrice (forse) arriveranno solo oggi, a distanza di mesi dalle prime scosse e senza sapere se per “merito” del nuovo sisma che ha accelerato le consegne, quindi non facciamoci illusioni, la prevenzione costa denaro quando viene fatta e vite umane quando si fanno solo statistiche.
Preferisco vivere … con meno banche magari, ma vivere.

STATO DI EMERGENZA O EMERGENZA DI STATO?

Ricordo che molti anni fa discutendo degli orari e dei turni di lavoro di un servizio di emergenza per il quale servivano al minimo due persone per fronteggiare efficacemente gli eventuali interventi, la soluzione fu trovata osservando che se durante gli eventi avversi servivano almeno due persone e nei periodi di attesa nessuna, la media matematica era di una persona permanentemente in servizio, e così fu, nonostante il mio deciso disaccordo.
La fortuna ha sempre voluto che non succedesse mai nulla di veramente grave da dover rimpiangere la decisione, mai cambiata, dimostrando che la scelta fu giusta perché alla fine la buona volontà, l’intraprendenza e qualche piccola polemica presto dimenticata risolvono tutte le situazioni. Economicamente è conveniente, ma il problema permane.
Il problema sono i conti che non quadrano mai, quello che manca, spesso, non sono i soldi, ma la volontà di investire in sicurezza e prevenzione, complice la bassa incidenza degli eventi avversi. Facciamo un esempio: che io ricordi ad Alghero nevicò per davvero una sola volta nel corso del secolo scorso, quindi aveva senso avere un servizio di spazzaneve in quel luogo? Forse no, ma in Abruzzo, dove la neve cade sempre abbondantemente, forse si, almeno per centri di competenza territoriale che possano intervenire in caso di emergenza.
Non dico questo per polemizzare coi soccorsi, ma è davvero possibile che, a parte lo scetticismo iniziale che ha fatto partire gli uomini con molto ritardo, in Abruzzo non abbiano una motoslitta, tanto che il soccorso alpino abruzzese ha dovuto raggiungere la struttura rimasta sotto la neve con gli sci alpinismo e le pelli di foca?
Eppure, quando mio figlio si storse una caviglia sciando, nonostante il brutto tempo, fu portato al pronto soccorso in motoslitta a tempo di record. Per raggiungere l’hotel Rigopiano di Farindola, invece, la colonna dei soccorsi parte in macchina e si impantana quasi subito ed addirittura si dice che gli spazzaneve abbiano terminato il gasolio a metà del percorso, rendendo necessario recuperarlo a piedi da parte dei vigili del fuoco, e che successivamente la cupa notte e poi il guasto dell’unica turbina durante le operazioni abbiano “rallentato” ulteriormente la marcia dei volonterosi.
Mi scuso con tutti i volontari coinvolti, ma più che la cronaca di una squadra di soccorso sembra la storia dell’armata Brancaleone. Possibile che in tutta la zona non ci fosse nemmeno una motoslitta? Possibile che nel 2017 in una delle potenze economiche riconosciute del mondo moderno i soccorsi debbano arrivare a piedi con le pelli di foca? Possibile che i guai capitino davvero tutti insieme e per caso?
Se devo fare una polemica la faccio certamente con coloro che pensano al salvataggio delle banche e non alle vite umane e se devo fare un elogio questo va sicuramente agli uomini del soccorso, che, nonostante sembrino abbandonati dalle istituzioni italiane, non si fermano davanti a nulla ed invece di lamentarsi per i pochi mezzi prendono le pelli di foca e proseguono a piedi.
Questo, però, non è uno stato di emergenza casuale, questa è una vera e propria emergenza di stato voluta e non mi riferisco solo ad un terremoto od ad una valanga, ma all’incapacità delle istituzioni di guardare alla persona, considerando sempre e solo l’interesse economico ed i bilanci.
Se in tempo di attesa non servono motoslitte ed in emergenza ne occorrono molte, forse vale la pena di comprarne almeno una, ma sappiamo bene che le casette di legno per i terremotati di Amatrice (forse) arriveranno solo oggi, a distanza di mesi dalle prime scosse e senza sapere se per “merito” del nuovo sisma che ha accelerato le consegne, quindi non facciamoci illusioni, la prevenzione costa denaro quando viene fatta e vite umane quando si fanno solo statistiche.
Preferisco vivere … con meno banche magari, ma vivere.

VOLO MALAYSIAN MH370: GLI INVESTIGATORI SI ARRENDONO

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Circa 150 milioni di dollari spesi  e tre anni di ricerche infruttuose da parte di tre stati, Malaysia, Cina ed ed Australia (la più vicina al punto delle ricerche) che hanno ammesso questa mattina la loro sconfitta attraverso un comunicato dell’agenzia che ha coordinato la task force e che ha perlustrato senza alcun risultato oltre 120.000 chilometri quadrati di oceano.
La Cina fu la più colpita, con oltre 150 passeggeri scomparsi sul totale di 239 persone a bordo, i parenti dei quali si dichiarano oggi disperati, ma il testo diramato dall’agenzia non lascia speranze: «La decisione di sospendere le ricerche subacquee non è stata presa alla leggera, né senza tristezza».
Nel marzo del 2014, il Ministro dei Trasporti Malese, Hishammuddin Hussein, aveva già dichiarato in conferenza stampa che il volo MH370 era “svanito”, aggiungendo “Non vi è alcuna reale precedente situazione come questa”.
Ma la definitiva rinuncia alle ricerche fa diventare il caso della sparizione anche il più grande mistero mai risolto della storia dell’aviazione, nonostante le promesse ripetute negli anni dai politici dei Paesi coinvolti.
L’investigazione era iniziata cercando di calcolare l’area più probabile del disastro, poi la ricerca fallita delle scatole nere ed alla fine l’estensione dell’area di ricerca sulla base di sempre nuove analisi dei dati disponibili.
L’unica certezza che rimane è che il Boeing sia precipitato nell’Oceano Indiano, alcuni detriti ad esso attribuiti sono arrivati fino all’isola di Reunion, migliaia di chilometri distante dall’area di ricerca ad est del Madagascar, e più di venti altri piccoli resti compatibili con l’MH 370 ritrovati in altre spiagge.
Le ricerche sospese lasciano aperto un nuovo interrogativo arrivato solo poche settimane fa da altri analisti australiani secondo i quali il punto dell’impatto nell’oceano potrebbe essere più a nord.
Ma il denaro stanziato è terminato insieme all’interesse dei governi, anche se il Ministro dei Trasporti Australiano Darren Chester ha dichiarato che i costi non sono stati un fattore importante per la sospensione delle ricerche e che ogni decisione per continuare gli sforzi sottomarini resta principalmente nella responsabilità del governo Malese che, dal canto suo, dice di considerare il fermo delle indagini un’umiliazione, ma che la totale inutilità delle ricerche ha fatto prendere la decisione definitiva.
L’area perlustrata passando al setaccio fondali fino a 6 mila metri ed in condizioni atmosferiche con onde alte fino 20 metri è ampia come quasi la metà della nostra penisola.
Le polemiche con i parenti delle vittime avevano persino anche incrinato i rapporti tra Malesia e Cina ed oggi, alla notizia della cessazione delle ricerche, la reazione non è stata ancora una volta tenera: la figlia di una vittima ha detto che «Non è una situazione accettabile. Come si può permettere che accada una cosa del genere e lasciarla insoluta?» e Voice 370, un gruppo nato per il sostegno ai parenti, ha affermato in un comunicato che «fermare le ricerche a questo punto è a dir poco irresponsabile».
Nessuna sicura ipotesi anche per i motivi del disastro, gli investigatori avevano accertato che l’aereo aveva eseguito una virata volontaria verso sud-ovest, precipitando poi a causa del carburante esaurito dopo sette ore di volo, quindi restano aperte tutte le ipotesi, dal suicidio di almeno uno dei piloti a quella del dirottamento che, come per il luogo dove si trova l’aereo, rimarranno per ora avvolte nel mistero.

VOLO MALAYSIAN MH370: GLI INVESTIGATORI SI ARRENDONO

Circa 150 milioni di dollari spesi  e tre anni di ricerche infruttuose da parte di tre stati, Malaysia, Cina ed ed Australia (la più vicina al punto delle ricerche) che hanno ammesso questa mattina la loro sconfitta attraverso un comunicato dell’agenzia che ha coordinato la task force e che ha perlustrato senza alcun risultato oltre 120.000 chilometri quadrati di oceano.

La Cina fu la più colpita, con oltre 150 passeggeri scomparsi sul totale di 239 persone a bordo, i parenti dei quali si dichiarano oggi disperati, ma il testo diramato dall’agenzia non lascia speranze: «La decisione di sospendere le ricerche subacquee non è stata presa alla leggera, né senza tristezza».

Nel marzo del 2014, il Ministro dei Trasporti Malese, Hishammuddin Hussein, aveva già dichiarato in conferenza stampa che il volo MH370 era “svanito”, aggiungendo “Non vi è alcuna reale precedente situazione come questa”.

Ma la definitiva rinuncia alle ricerche fa diventare il caso della sparizione anche il più grande mistero mai risolto della storia dell’aviazione, nonostante le promesse ripetute negli anni dai politici dei Paesi coinvolti.

L’investigazione era iniziata cercando di calcolare l’area più probabile del disastro, poi la ricerca fallita delle scatole nere ed alla fine l’estensione dell’area di ricerca sulla base di sempre nuove analisi dei dati disponibili.

L’unica certezza che rimane è che il Boeing sia precipitato nell’Oceano Indiano, alcuni detriti ad esso attribuiti sono arrivati fino all’isola di Reunion, migliaia di chilometri distante dall’area di ricerca ad est del Madagascar, e più di venti altri piccoli resti compatibili con l’MH 370 ritrovati in altre spiagge.

Le ricerche sospese lasciano aperto un nuovo interrogativo arrivato solo poche settimane fa da altri analisti australiani secondo i quali il punto dell’impatto nell’oceano potrebbe essere più a nord.

Ma il denaro stanziato è terminato insieme all’interesse dei governi, anche se il Ministro dei Trasporti Australiano Darren Chester ha dichiarato che i costi non sono stati un fattore importante per la sospensione delle ricerche e che ogni decisione per continuare gli sforzi sottomarini resta principalmente nella responsabilità del governo Malese che, dal canto suo, dice di considerare il fermo delle indagini un’umiliazione, ma che la totale inutilità delle ricerche ha fatto prendere la decisione definitiva.

L’area perlustrata passando al setaccio fondali fino a 6 mila metri ed in condizioni atmosferiche con onde alte fino 20 metri è ampia come quasi la metà della nostra penisola.

Le polemiche con i parenti delle vittime avevano persino anche incrinato i rapporti tra Malesia e Cina ed oggi, alla notizia della cessazione delle ricerche, la reazione non è stata ancora una volta tenera: la figlia di una vittima ha detto che «Non è una situazione accettabile. Come si può permettere che accada una cosa del genere e lasciarla insoluta?» e Voice 370, un gruppo nato per il sostegno ai parenti, ha affermato in un comunicato che «fermare le ricerche a questo punto è a dir poco irresponsabile».

Nessuna sicura ipotesi anche per i motivi del disastro, gli investigatori avevano accertato che l’aereo aveva eseguito una virata volontaria verso sud-ovest, precipitando poi a causa del carburante esaurito dopo sette ore di volo, quindi restano aperte tutte le ipotesi, dal suicidio di almeno uno dei piloti a quella del dirottamento che, come per il luogo dove si trova l’aereo, rimarranno per ora avvolte nel mistero.

LA BREXIT RISCHIA DI RIACCENDERE IL CONFLITTO IN IRLANDA DEL NORD

La situazione è calda in Irlanda del Nord, le dimissioni del primo ministro irlandese, il repubblicano cattolico Martin McGuinnes, hanno automaticamente provocato la caduta anche della prima ministra unionista protestante Arlene Foster, poiché in base all’accordo di pace fra protestanti e cattolici le due comunità devono governare assieme spartendosi contemporaneamente i poteri.

L’accusa è ufficialmente di conflitto di interessi in un affare legato alla gestione sbagliata di un programma di incentivi a fonti di energia rinnovabili, ma nella realtà come si è potuto giungere ad una così profonda crisi dopo tanti anni di stabilità politica sembra essere dovuto ai contrasti sempre più profondi ed incolmabili tra unionisti e repubblicani seguiti al voto sull’Unione Europea che ha diviso le due comunità: i protestanti sono convinti di voler uscire dall’Europa, mentre i nazionalisti cattolici vorrebbero fare di tutto per restarvi.

Oggi la premier Inglese Theresa May esporrà il piano di Londra per affrontare la Brexit, un piano in 12 punti che secondo le indiscrezioni porterà al divorzio netto da Bruxelles e dal mercato unico europeo. L’attesa per il suo intervento è alta anche in Irlanda del nord e comunque si risolverà la crisi sarà davvero difficile ricucire la spaccatura nonostante le elezioni anticipate al 2 marzo decise dal governo centrale di londra.

Mentre unionisti e repubblicani litigano potrebbe aumentare il pericolo delle frange estremiste, dato che le ferite lasciate da trent’anni di guerra settaria non si sono ancora del tutto rimarginate ed i fanatici da ambo le parti potrebbero tornare attivi e riprendere a colpire in un’Irlanda del nord ancora molto fragile.

LA BREXIT RISCHIA DI RIACCENDERE IL CONFLITTO IN IRLANDA DEL NORD

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
La situazione è calda in Irlanda del Nord, le dimissioni del primo ministro irlandese, il repubblicano cattolico Martin McGuinnes, hanno automaticamente provocato la caduta anche della prima ministra unionista protestante Arlene Foster, poiché in base all’accordo di pace fra protestanti e cattolici le due comunità devono governare assieme spartendosi contemporaneamente i poteri.
L’accusa è ufficialmente di conflitto di interessi in un affare legato alla gestione sbagliata di un programma di incentivi a fonti di energia rinnovabili, ma nella realtà come si è potuto giungere ad una così profonda crisi dopo tanti anni di stabilità politica sembra essere dovuto ai contrasti sempre più profondi ed incolmabili tra unionisti e repubblicani seguiti al voto sull’Unione Europea che ha diviso le due comunità: i protestanti sono convinti di voler uscire dall’Europa, mentre i nazionalisti cattolici vorrebbero fare di tutto per restarvi.
Oggi la premier Inglese Theresa May esporrà il piano di Londra per affrontare la Brexit, un piano in 12 punti che secondo le indiscrezioni porterà al divorzio netto da Bruxelles e dal mercato unico europeo. L’attesa per il suo intervento è alta anche in Irlanda del nord e comunque si risolverà la crisi sarà davvero difficile ricucire la spaccatura nonostante le elezioni anticipate al 2 marzo decise dal governo centrale di londra.
Mentre unionisti e repubblicani litigano potrebbe aumentare il pericolo delle frange estremiste, dato che le ferite lasciate da trent’anni di guerra settaria non si sono ancora del tutto rimarginate ed i fanatici da ambo le parti potrebbero tornare attivi e riprendere a colpire in un’Irlanda del nord ancora molto fragile.

ALLE IMPRESE SVIZZERE PIACE LA DEMOCRAZIA

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Gli esempi di democrazia diretta nelle imprese non mancano certo nel mondo ed in Germania, lo stato già definito come “la locomotiva d’Europa”, questo si chiama “cogestione”, fornisce stabilità all’impiego ed avviene addirittura per legge, mentre da noi passa nel silenzio generale degli economisti italiani al governo che invece tendono a ridurre i diritti dei lavoratori e la loro stabilità.
Tutti sanno bene che la Germania è passata indenne, o quasi, anche alla riunificazione a seguito della quale è stato cambiato il Marco Tedesco dell’est, che non valeva la carta su cui era stampato, alla pari con quello dell’Ovest, da sempre tradizionalmente forte, eppure in questo paese così economicamente solito i lavoratori non sono hanno più diritti, ma le rappresentanze sindacali hanno persino un potere significativo nella gestione dell’azienda, anche se la giurisprudenza in materia di cogestione prevede il diritto di sola informazione, consultazione diretta e rappresentanza dei lavoratori nei processi decisionali, indicando precisamente quali siano gli ambiti decisionali per i quali i lavoratori devono essere informati, devono dare un’approvazione mediante votazione e quelli per i quali operano i loro rappresentanti.
Anche nella fredda e pragmatica Svezia, i lavoratori eleggono due o tre rappresentanti nel Comitato Esecutivo, ed hanno eventualmente altri referenti nell’audit aziendale, in Svizzera, invece, ultimamente c’è persino chi rivendica la democrazia diretta anche  sul posto di lavoro.
La Svizzera che tutti conoscono meglio per essere stata, ed in parte ancora esserlo, un paradiso fiscale, patria del formaggio e degli orologi, viene sperimentato da anni un modello di gestione aziendale per il quale i dipendenti possono nominare i loro superiori e se non sono contenti del loro operato, sfiduciarli.
Il tutto non in un’azienda famigliare, ma in una società che sviluppa software con più di 200 dipendenti nel Cantone San Gallo.
I titolari della società Umantis, dichiarano che il loro obiettivo è quello di migliorare l’ambiente lavorativo ma anche la produttività, per questo i loro dipendenti non si limitano ad eseguire gli ordini impartiti dai superiori ma vengono anche coinvolti in modo attivo in tutte le decisioni centrali per l’azienda.
Alla microfoni di Radio Svizzera Italiana il co-fondatore e presidente del consiglio di amministrazione di Umantis, Hermann Arnold, racconta che quattro anni fa aveva deciso di lasciare la direzione dell’azienda a favore del suo vice, “gli ho detto ti vedrei bene come mio successore, entrambi abbiamo però anche ritenuto che questo cambiamento doveva essere approvato dai collaboratori ai quali avrei potuto dire ‘ecco mi dimetto e questo è il vostro nuovo direttore’ ma non ci sembrava giusto ed abbiamo voluto sentire il parere del personale” e così, per la prima volta nel 2013, i dipendenti di Umantis hanno potuto designare il loro nuovo direttore. Da allora la nomina si ripete ogni anno e la prossima si terrà a fine mese.
Ma i dipendenti di Umantis non scelgono solo i membri della direzione, ma anche i responsabili delle varie divisioni e sono già capitate mancate riconferme: “anche per i dipendenti a volte non è facile togliere la fiducia ad un capo che si apprezza come persona ma che si ritiene non sia al posto giusto”, racconta Cornelia Huber del reparto vendite, aggiungendo che chi non viene rieletto solitamente rientra nel suo vecchio team.
Inoltre il personale,  fin dalla nascita dell’azienda avvenuta nel 2000, si esprime anche sulle nuove assunzioni, Arnold ha sempre sottoposto le decisioni strategiche agli impiegati ed afferma: “nel 2007/2008 anche noi siamo stati travolti dalla crisi e siamo stati costretti a risparmiare abbiamo proposto di ridurre lo stipendio dei membri della direzione del 20% e del 10% per tutti gli altri c’è stata una votazione e tutti hanno detto si”.
Il manager è un grande ammiratore della democrazia diretta elvetica e sostiene che strutture meno verticistiche e più democratiche rafforzano la motivazione e migliorano l’ambiente di lavoro e per questo ha recentemente deciso di estendere ulteriormente i diritti dei dipendenti introducendo in azienda il diritto di iniziativa e di referendum. “C’è ancora tanto da imparare e da fare, il mio obiettivo è quello di mettere a punto un modello di gestione aziendale che permette di creare un buon clima di lavoro per spronare tutti quanti a dare il meglio di se”.
Ma non sono solo rose e fiori, secondo il manager i dipendenti non hanno solo più diritti ma anche più responsabilità, “tentiamo di distribuire in modo equo i frutti del nostro lavoro, ma pretendiamo anche di più dai collaboratori visto che vengono coinvolti nel processo decisionale se c’è qualcosa che non funziona non possono semplicemente lamentarsi ed addossare tutte le colpe ai superiori il concetto piace ai dipendenti ciò che si ripercuote anche sull’andamento degli affari di Umantis nel 2000 quando è stata fondata l’azienda contava 4 collaboratori, oggi sono più di 200.”
Che dire, se la democrazia in azienda vale più della dittatura, forse varrebbe la pena di fare qualche riflessione anche nel nostro paese.

ALLE IMPRESE SVIZZERE PIACE LA DEMOCRAZIA

Gli esempi di democrazia diretta nelle imprese non mancano certo nel mondo ed in Germania, lo stato già definito come “la locomotiva d’Europa”, questo si chiama “cogestione”, fornisce stabilità all’impiego ed avviene addirittura per legge, mentre da noi passa nel silenzio generale degli economisti italiani al governo che invece tendono a ridurre i diritti dei lavoratori e la loro stabilità.

Tutti sanno bene che la Germania è passata indenne, o quasi, anche alla riunificazione a seguito della quale è stato cambiato il Marco Tedesco dell’est, che non valeva la carta su cui era stampato, alla pari con quello dell’Ovest, da sempre tradizionalmente forte, eppure in questo paese così economicamente solito i lavoratori non sono hanno più diritti, ma le rappresentanze sindacali hanno persino un potere significativo nella gestione dell’azienda, anche se la giurisprudenza in materia di cogestione prevede il diritto di sola informazione, consultazione diretta e rappresentanza dei lavoratori nei processi decisionali, indicando precisamente quali siano gli ambiti decisionali per i quali i lavoratori devono essere informati, devono dare un’approvazione mediante votazione e quelli per i quali operano i loro rappresentanti.

Anche nella fredda e pragmatica Svezia, i lavoratori eleggono due o tre rappresentanti nel Comitato Esecutivo, ed hanno eventualmente altri referenti nell’audit aziendale, in Svizzera, invece, ultimamente c’è persino chi rivendica la democrazia diretta anche  sul posto di lavoro.

La Svizzera che tutti conoscono meglio per essere stata, ed in parte ancora esserlo, un paradiso fiscale, patria del formaggio e degli orologi, viene sperimentato da anni un modello di gestione aziendale per il quale i dipendenti possono nominare i loro superiori e se non sono contenti del loro operato, sfiduciarli.

Il tutto non in un’azienda famigliare, ma in una società che sviluppa software con più di 200 dipendenti nel Cantone San Gallo.

I titolari della società Umantis, dichiarano che il loro obiettivo è quello di migliorare l’ambiente lavorativo ma anche la produttività, per questo i loro dipendenti non si limitano ad eseguire gli ordini impartiti dai superiori ma vengono anche coinvolti in modo attivo in tutte le decisioni centrali per l’azienda.

Alla microfoni di Radio Svizzera Italiana il co-fondatore e presidente del consiglio di amministrazione di Umantis, Hermann Arnold, racconta che quattro anni fa aveva deciso di lasciare la direzione dell’azienda a favore del suo vice, “gli ho detto ti vedrei bene come mio successore, entrambi abbiamo però anche ritenuto che questo cambiamento doveva essere approvato dai collaboratori ai quali avrei potuto dire ‘ecco mi dimetto e questo è il vostro nuovo direttore’ ma non ci sembrava giusto ed abbiamo voluto sentire il parere del personale” e così, per la prima volta nel 2013, i dipendenti di Umantis hanno potuto designare il loro nuovo direttore. Da allora la nomina si ripete ogni anno e la prossima si terrà a fine mese.

Ma i dipendenti di Umantis non scelgono solo i membri della direzione, ma anche i responsabili delle varie divisioni e sono già capitate mancate riconferme: “anche per i dipendenti a volte non è facile togliere la fiducia ad un capo che si apprezza come persona ma che si ritiene non sia al posto giusto”, racconta Cornelia Huber del reparto vendite, aggiungendo che chi non viene rieletto solitamente rientra nel suo vecchio team.

Inoltre il personale,  fin dalla nascita dell’azienda avvenuta nel 2000, si esprime anche sulle nuove assunzioni, Arnold ha sempre sottoposto le decisioni strategiche agli impiegati ed afferma: “nel 2007/2008 anche noi siamo stati travolti dalla crisi e siamo stati costretti a risparmiare abbiamo proposto di ridurre lo stipendio dei membri della direzione del 20% e del 10% per tutti gli altri c’è stata una votazione e tutti hanno detto si”.

Il manager è un grande ammiratore della democrazia diretta elvetica e sostiene che strutture meno verticistiche e più democratiche rafforzano la motivazione e migliorano l’ambiente di lavoro e per questo ha recentemente deciso di estendere ulteriormente i diritti dei dipendenti introducendo in azienda il diritto di iniziativa e di referendum. “C’è ancora tanto da imparare e da fare, il mio obiettivo è quello di mettere a punto un modello di gestione aziendale che permette di creare un buon clima di lavoro per spronare tutti quanti a dare il meglio di se”.

Ma non sono solo rose e fiori, secondo il manager i dipendenti non hanno solo più diritti ma anche più responsabilità, “tentiamo di distribuire in modo equo i frutti del nostro lavoro, ma pretendiamo anche di più dai collaboratori visto che vengono coinvolti nel processo decisionale se c’è qualcosa che non funziona non possono semplicemente lamentarsi ed addossare tutte le colpe ai superiori il concetto piace ai dipendenti ciò che si ripercuote anche sull’andamento degli affari di Umantis nel 2000 quando è stata fondata l’azienda contava 4 collaboratori, oggi sono più di 200.”

Che dire, se la democrazia in azienda vale più della dittatura, forse varrebbe la pena di fare qualche riflessione anche nel nostro paese.

PER FASSINA MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI

Il congresso di fondazione del partito non si è ancora tenuto, ma la discussione è già accesa all’interno di Sinistra Italiana, tanto che Stefano Fassina ha deciso persino di autosospendersi dal già nato gruppo parlamentare SI, ma avverte che non vuole strumentalizzazioni: “La discussione interna non può diventare occasione di battaglia congressuale. Dobbiamo trovare una posizione comune e costruttiva”.

La polemica sembra nascere dalla lettera inviata alla stampa dal capogruppo Arturo Scotto ed altri 15 parlamentari di Si a Giuliano Pisapia: “Quella lettera individua un problema vero, quello relativo al nostro posizionamento e al rapporto con il Pd, che però non può essere trasformato in un’iniziativa di battaglia congressuale. Di offese ne sono arrivate a valanga anche al sottoscritto, penso ad esempio a quando ero candidato a sindaco di Roma, ma un gruppo parlamentare serio ne discute e trova una posizione comune”.

L’on. Giovanni Paglia aveva definito sui social network gli estensori della lettera come “maggiordomi di Renzi” ed a chi chiede a Fassina se dopo il Pd voglia ora lasciare anche Sinistra Italiana, risponde: “Assolutamente no, il mio impegno continua sia nel partito che per il congresso fondativo di Sinistra Italiana a febbraio. Il punto è che dobbiamo imparare a discutere al nostro interno in modo più rispettoso”.

Dunque il congresso non sembra essere in discussione, infatti Fassina afferma che “il congresso si farà e servirà a fondare il partito e a chiarire da che parte stiamo, liberandoci da ogni ambiguità”,  il suo scopo, quindi è quello di chiarire le posizioni prima di cominciare con il piede sbagliato e prosegue dicendo “penso che si debba portare avanti una posizione di autonomia rispetto al Pd con un programma di profonda discontinuità programmatica sia dalla famiglia socialista europea dell’ultimo quarto di secolo e sia da quanto ha fatto il governo di Matteo Renzi in Italia”.

Non è quindi disponibile a diventare “la compagnia low cost del Pd”, preferendo uno stacco netto con il passato, “per ricostruire la rappresentanza del mondo del lavoro e del vasto e contraddittorio popolo delle periferie non è praticabile un rapporto con i democratici e nemmeno con l’area Campo progressista”.

Secondo Fassina  si deve stare “con quel popolo che reclama rappresentanza e che si è manifestato al referendum del 4 dicembre dicendo No. Propongo una politica di alleanze basata sui programmi, che non si preclude il rapporto con nessuno, nemmeno con il M5S”.

Sulla legge elettorale  si esprime considerando “meglio l’impianto proporzionale”, perché “garantisce i cittadini su chi li rappresenta” considerando la posizione di Matteo Renzi sulla scelta di un modello con il ballottaggio “una mossa tattica per poi arrivare a una mediazione”.

Per lui Renzi non ha cambiato direzione ,”il segretario PD rimuove la profondità dei problemi e conferma la linea di accreditamento del suo partito verso l’establishment. È surreale che Renzi continui a trovare di sinistra il Jobs act, penso che sia una scappatoia senza respiro il suo tentativo di motivare la valanga di No ricevuti dai giovani al referendum con l’eccesso di slide e la scarsa presenza di cuore: lui il cuore ce l’ha messo, ma batteva a destra”.

I sostenitori di Renzi non hanno tardato a reagire nel tentativo di alimentare la polemica e l’Unità ha subito titolato “Sinistra italiana, neanche è nata e già è divisa.”, ma per Fassina, che non vuole polemiche, è meglio soli che male accompagnati e, soprattutto, per il partito che sta per nascere sono necessarie chiarezza di azione ed iniziative.

TRUMP: INFANGANDO GLI ALTRI SI SEMBRA PIÙ PULITI

Sembra essere questa la strategia di insediamento del neoeletto presidente Trump, allontanare dall’America l’attenzione: in fondo se gli altri sono sporchi anche i nostri problemi sembreranno macchioline.

Così parlando con i quotidiani Bild (Germania) e Times (Inghilterra), attacca l’Europa, ed Angela Merkel in particolare, dicendo di lei «la rispetto e mi piace, ma credo che abbia fatto un errore catastrofico, lasciando entrare nel paese tutti questi illegali, nessuno sa da dove vengono, e lo scoprirete», e considerando l’Europa «un mezzo per raggiungere i fini della Germania», ha elogiato la Brexit, sostenendo che i Britannici sono stati pronti a reagire alla situazione ed anche la NATO non è stata risparmiata e definita «obsoleta».

Il segretario di Stato uscente John Kerry, però, ha difeso la Merkel definendo «coraggiose» le sue scelte sui profughi e preso le distanze da Trump definendo «inopportune» le sue parole.

Anche le risposte europee non si sono fatte attendere, senza però cadere troppo nella provocazione, Merkel risponde senza esitazione che «noi europei siamo padroni del nostro destino» e senza perdere la calma afferma anche che «quando Trump sarà in carica vedremo come potremo collaborare», nel frattempo dice di pensare «che noi europei abbiamo il nostro destino nelle nostre mani» e di continuare ad impegnarsi «affinché i 27 Stati membri collaborino in modo intenso e soprattutto rivolto al futuro».

La cancelliera aggiunge anche di voler aspettare l’insediamento del presidente americano per poter cooperare con la nuova amministrazione e vedere «che tipo di intese possiamo raggiungere», per Merkel la lotta al terrorismo è «una sfida globale», ma da tener nettamente separata dalla questione dei rifugiati.

Sulla NATO, Martin Schaefer, portavoce del ministero degli Esteri tedesco, ha detto in conferenza stampa che non è obsoleta ma un’istituzione «di grande significato per l’Europa e per tutti», mentre sul «dominio tedesco in Europa» di cui parla Trump ha voluto sottolineare che «l’Ue non è mai stata per la Germania uno strumento per raggiungere degli scopi, ma il destino di una comunità, rispetto al quale ci riconosciamo oggi più che mai».

Anche il presidente francese Hollande ha detto la sua e risposto che «l’Europa sarà sempre pronta a proseguire la cooperazione transatlantica ma questa si determinerà in funzione dei suoi interessi e dei suoi valori. Non ha bisogno di consigli dall’esterno che le dicano cosa fare».

Anche la Nato non tace, la portavoce Oana Lungescu afferma che «l’Alleanza è completamente fiduciosa sul fatto che la nuova amministrazione americana resti impegnata nella Nato», forte delle parole del segretario generale Jens Stoltenberg, che il 6 dicembre scorso ha dichiarato fiducia assoluta e garantita da un colloquio avuto con Trump poco dopo l’elezione, che «gli Stati Uniti vogliano conservare il loro impegno forte nella Nato, nei legami transatlantici e le garanzie di sicurezza per l’Europa».

È favorevole, invece, il parere di Dmitri Peskov, portavoce di Putin, che si è dichiarato d’accordo con Trump nel definire la Nato «una reliquia che difficilmente può essere definita moderna e in linea con le idee di stabilità e sicurezza», in quanto a sua parere avrebbe «come obiettivo sistemico lo scontro» ed affermato che non è attualmente in corso nessun negoziato sul disarmo nucleare.

Trump non sembra voler aspettare ad ingranare le marce alte e date le responsabilità che avrà da presidente americano speriamo che la sua partenza non sia subito “col botto”.

PER FASSINA MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Il congresso di fondazione del partito non si è ancora tenuto, ma la discussione è già accesa all’interno di Sinistra Italiana, tanto che Stefano Fassina ha deciso persino di autosospendersi dal già nato gruppo parlamentare SI, ma avverte che non vuole strumentalizzazioni: “La discussione interna non può diventare occasione di battaglia congressuale. Dobbiamo trovare una posizione comune e costruttiva”.
La polemica sembra nascere dalla lettera inviata alla stampa dal capogruppo Arturo Scotto ed altri 15 parlamentari di Si a Giuliano Pisapia: “Quella lettera individua un problema vero, quello relativo al nostro posizionamento e al rapporto con il Pd, che però non può essere trasformato in un’iniziativa di battaglia congressuale. Di offese ne sono arrivate a valanga anche al sottoscritto, penso ad esempio a quando ero candidato a sindaco di Roma, ma un gruppo parlamentare serio ne discute e trova una posizione comune”.
L’on. Giovanni Paglia aveva definito sui social network gli estensori della lettera come “maggiordomi di Renzi” ed a chi chiede a Fassina se dopo il Pd voglia ora lasciare anche Sinistra Italiana, risponde: “Assolutamente no, il mio impegno continua sia nel partito che per il congresso fondativo di Sinistra Italiana a febbraio. Il punto è che dobbiamo imparare a discutere al nostro interno in modo più rispettoso”.
Dunque il congresso non sembra essere in discussione, infatti Fassina afferma che “il congresso si farà e servirà a fondare il partito e a chiarire da che parte stiamo, liberandoci da ogni ambiguità”,  il suo scopo, quindi è quello di chiarire le posizioni prima di cominciare con il piede sbagliato e prosegue dicendo “penso che si debba portare avanti una posizione di autonomia rispetto al Pd con un programma di profonda discontinuità programmatica sia dalla famiglia socialista europea dell’ultimo quarto di secolo e sia da quanto ha fatto il governo di Matteo Renzi in Italia”.
Non è quindi disponibile a diventare “la compagnia low cost del Pd”, preferendo uno stacco netto con il passato, “per ricostruire la rappresentanza del mondo del lavoro e del vasto e contraddittorio popolo delle periferie non è praticabile un rapporto con i democratici e nemmeno con l’area Campo progressista”.
Secondo Fassina  si deve stare “con quel popolo che reclama rappresentanza e che si è manifestato al referendum del 4 dicembre dicendo No. Propongo una politica di alleanze basata sui programmi, che non si preclude il rapporto con nessuno, nemmeno con il M5S”.
Sulla legge elettorale  si esprime considerando “meglio l’impianto proporzionale”, perché “garantisce i cittadini su chi li rappresenta” considerando la posizione di Matteo Renzi sulla scelta di un modello con il ballottaggio “una mossa tattica per poi arrivare a una mediazione”.
Per lui Renzi non ha cambiato direzione ,”il segretario PD rimuove la profondità dei problemi e conferma la linea di accreditamento del suo partito verso l’establishment. È surreale che Renzi continui a trovare di sinistra il Jobs act, penso che sia una scappatoia senza respiro il suo tentativo di motivare la valanga di No ricevuti dai giovani al referendum con l’eccesso di slide e la scarsa presenza di cuore: lui il cuore ce l’ha messo, ma batteva a destra”.
I sostenitori di Renzi non hanno tardato a reagire nel tentativo di alimentare la polemica e l’Unità ha subito titolato “Sinistra italiana, neanche è nata e già è divisa.”, ma per Fassina, che non vuole polemiche, è meglio soli che male accompagnati e, soprattutto, per il partito che sta per nascere sono necessarie chiarezza di azione ed iniziative.

TRUMP: INFANGANDO GLI ALTRI SI SEMBRA PIÙ PULITI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Sembra essere questa la strategia di insediamento del neoeletto presidente Trump, allontanare dall’America l’attenzione: in fondo se gli altri sono sporchi anche i nostri problemi sembreranno macchioline.
Così parlando con i quotidiani Bild (Germania) e Times (Inghilterra), attacca l’Europa, ed Angela Merkel in particolare, dicendo di lei «la rispetto e mi piace, ma credo che abbia fatto un errore catastrofico, lasciando entrare nel paese tutti questi illegali, nessuno sa da dove vengono, e lo scoprirete», e considerando l’Europa «un mezzo per raggiungere i fini della Germania», ha elogiato la Brexit, sostenendo che i Britannici sono stati pronti a reagire alla situazione ed anche la NATO non è stata risparmiata e definita «obsoleta».
Il segretario di Stato uscente John Kerry, però, ha difeso la Merkel definendo «coraggiose» le sue scelte sui profughi e preso le distanze da Trump definendo «inopportune» le sue parole.
Anche le risposte europee non si sono fatte attendere, senza però cadere troppo nella provocazione, Merkel risponde senza esitazione che «noi europei siamo padroni del nostro destino» e senza perdere la calma afferma anche che «quando Trump sarà in carica vedremo come potremo collaborare», nel frattempo dice di pensare «che noi europei abbiamo il nostro destino nelle nostre mani» e di continuare ad impegnarsi «affinché i 27 Stati membri collaborino in modo intenso e soprattutto rivolto al futuro».
La cancelliera aggiunge anche di voler aspettare l’insediamento del presidente americano per poter cooperare con la nuova amministrazione e vedere «che tipo di intese possiamo raggiungere», per Merkel la lotta al terrorismo è «una sfida globale», ma da tener nettamente separata dalla questione dei rifugiati.
Sulla NATO, Martin Schaefer, portavoce del ministero degli Esteri tedesco, ha detto in conferenza stampa che non è obsoleta ma un’istituzione «di grande significato per l’Europa e per tutti», mentre sul «dominio tedesco in Europa» di cui parla Trump ha voluto sottolineare che «l’Ue non è mai stata per la Germania uno strumento per raggiungere degli scopi, ma il destino di una comunità, rispetto al quale ci riconosciamo oggi più che mai».
Anche il presidente francese Hollande ha detto la sua e risposto che «l’Europa sarà sempre pronta a proseguire la cooperazione transatlantica ma questa si determinerà in funzione dei suoi interessi e dei suoi valori. Non ha bisogno di consigli dall’esterno che le dicano cosa fare».
Anche la Nato non tace, la portavoce Oana Lungescu afferma che «l’Alleanza è completamente fiduciosa sul fatto che la nuova amministrazione americana resti impegnata nella Nato», forte delle parole del segretario generale Jens Stoltenberg, che il 6 dicembre scorso ha dichiarato fiducia assoluta e garantita da un colloquio avuto con Trump poco dopo l’elezione, che «gli Stati Uniti vogliano conservare il loro impegno forte nella Nato, nei legami transatlantici e le garanzie di sicurezza per l’Europa».
È favorevole, invece, il parere di Dmitri Peskov, portavoce di Putin, che si è dichiarato d’accordo con Trump nel definire la Nato «una reliquia che difficilmente può essere definita moderna e in linea con le idee di stabilità e sicurezza», in quanto a sua parere avrebbe «come obiettivo sistemico lo scontro» ed affermato che non è attualmente in corso nessun negoziato sul disarmo nucleare.
Trump non sembra voler aspettare ad ingranare le marce alte e date le responsabilità che avrà da presidente americano speriamo che la sua partenza non sia subito “col botto”.

LUXOTTICA: NON È PIÙ SOLO UNA MONTATURA

Leonardo Del Vecchio, “patron” di Luxottica non ha bisogno di occhiali, ci vede sempre bene, da quando ha iniziato la sua avventura con la società di Agordo.

Oggi lo scopo è fondere il leader delle montature con quello delle lenti. Perché? La risposta è nel comunicato del gruppo che dice che con questa operazione nascerà «un player integrato dedicato alla cura della vista e a creare un’esperienza di livello superiore per il consumatore. Insieme, Essilor e Luxottica saranno in una posizione migliore per offrire una risposta ai bisogni relativi alla vista di 7,2 miliardi di persone, 2,5 miliardi delle quali non hanno ancora accesso a una correzione visiva».

La stima del nuovo gruppo è di generare nel medio termine sinergie di ricavi e di costi per un ammontare tra i 400 e i 600 milioni di euro e di sviluppare ulteriormente l’integrazione ed i ricavi nel lungo termine.

La fusione ha un valore di 50 miliardi e si prospetta come la seconda operazione di fusione più importante cross border in Europa.

Del Vecchio dichiara di aver sognato questa fusione “da 50 anni”, aggiungendo che «Con questa operazione si concretizza il mio sogno di dare vita ad un campione nel settore dell’ottica totalmente integrato ed eccellente in ogni sua parte. Sapevamo da tempo che questa era la soluzione giusta ma solo ora sono maturate le condizioni che l’hanno resa possibile».

Per il presidente e CEO di Essilor, Hubert Sagnières, il progetto «si basa su una motivazione semplice: rispondere meglio ai bisogni di un’immensa popolazione mondiale relativi alla correzione e alla protezione della vista, unendo due grandi società, una dedicata alle lenti e l’altra alle montature».

Insomma il mercato degli occhiali è ancora grande ed il gruppo punta diritto ad esso, il termine dell’operazione è stimato per fine 2017, sapremo allora se si sia trattato solo di una “montatura”.

LUXOTTICA: NON È PIÙ SOLO UNA MONTATURA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Leonardo Del Vecchio, “patron” di Luxottica non ha bisogno di occhiali, ci vede sempre bene, da quando ha iniziato la sua avventura con la società di Agordo.
Oggi lo scopo è fondere il leader delle montature con quello delle lenti. Perché? La risposta è nel comunicato del gruppo che dice che con questa operazione nascerà «un player integrato dedicato alla cura della vista e a creare un’esperienza di livello superiore per il consumatore. Insieme, Essilor e Luxottica saranno in una posizione migliore per offrire una risposta ai bisogni relativi alla vista di 7,2 miliardi di persone, 2,5 miliardi delle quali non hanno ancora accesso a una correzione visiva».
La stima del nuovo gruppo è di generare nel medio termine sinergie di ricavi e di costi per un ammontare tra i 400 e i 600 milioni di euro e di sviluppare ulteriormente l’integrazione ed i ricavi nel lungo termine.
La fusione ha un valore di 50 miliardi e si prospetta come la seconda operazione di fusione più importante cross border in Europa.
Del Vecchio dichiara di aver sognato questa fusione “da 50 anni”, aggiungendo che «Con questa operazione si concretizza il mio sogno di dare vita ad un campione nel settore dell’ottica totalmente integrato ed eccellente in ogni sua parte. Sapevamo da tempo che questa era la soluzione giusta ma solo ora sono maturate le condizioni che l’hanno resa possibile».
Per il presidente e CEO di Essilor, Hubert Sagnières, il progetto «si basa su una motivazione semplice: rispondere meglio ai bisogni di un’immensa popolazione mondiale relativi alla correzione e alla protezione della vista, unendo due grandi società, una dedicata alle lenti e l’altra alle montature».
Insomma il mercato degli occhiali è ancora grande ed il gruppo punta diritto ad esso, il termine dell’operazione è stimato per fine 2017, sapremo allora se si sia trattato solo di una “montatura”.