LA GERMANIA EVITA LA RECESSIONE TECNICA: TERZO TRIMESTRE, PIL +0,1%

DI VIRGINIA MURRU

 

Contro le previsioni degli analisti, l’economia della Germania nel terzo trimestre 2019 risulta in crescita, è riuscita a bypassare le incertezze che provengono dagli scenari globali, conflitti dovuti alla politica dei dazi portata avanti dagli Usa, e instabilità sul versante geopolitico.

Per il Paese definito da sempre ‘la locomotiva’ dell’economia in area euro (ma anche di tutta l’Ue), non si è trattato in ambito economico di un anno cominciato all’insegna dell’espansione; per due trimestri consecutivi si è verificato un rallentamento, ed al terzo, qualora si fosse ripetuto il trend, avrebbe portato la Germania in recessione tecnica.

Al di là delle attese dunque il Pil è nuovamente in fase di lieve accelerazione, +0,1% rispetto al trimestre precedente, anche se analisti ed esperti hanno ancora tante riserve su questo segnale positivo che ha invertito una rotta ormai negativa, non solo per l’economia tedesca, ma anche per l’Unione europea. Su base annua, secondo i dati pubblicati, il Pil è aumentato dello 0,5%.

E c’è una ‘rettifica’ sul dato relativo al secondo trimestre: la contrazione del Pil era stata valutata dello 0,1%, ma è stato rivisto al ribasso: -0,2%. Sono differenze che non autorizzano a sperare ad una parentesi chiusa definitivamente, le incertezze permangono.

L’ottimismo è cauto, l’economista tedesco Carsten Brzeski (Chief Economist di ING) afferma senza mezzi termini:

“La recessione in Germania è stata relativamente evitata, perché di fatto si trova in uno stato di stagnazione”.

Gli fanno ecco gli analisti di Capital Economics: “La recessione è stata solo rimandata, ad oggi  non si può sostenere che sia stata realmente evitata, certamente il dato del terzo trimestre va in positivo, ma non ci sono buone prospettive per i successivi”.

Sempre secondo il parere degli analisti, la leggera riscossa della crescita è da attribuire all’aumento dei consumi privati e pubblici, oltre che all’export. Ma riscontri positivi vengono anche dagli investimenti nel settore edile, mentre negativo è stato quello riguardante gli investimenti fissi in beni d’investimento.

La domanda interna ha dunque reagito con vigore, e guidato questo guizzo di crescita, nonostante la fragilità del settore industriale destinato all’export. Nel quadro dei dati macro c’è tuttavia del relativismo, che è poi la chiave della spirale che ha determinato la contrazione nel Pil. Certo la domanda interna è stata il driver di questa inversione di marcia, ma non convince ancora, secondo i dati statistici, l’indice di fiducia dei consumatori, che risulta in calo, al quale corrisponde anche quello sulla disoccupazione, destinato ad aumentare nei prossimi due trimestri.

Ci sono delle emergenze di carattere strutturale da affrontare per la ripresa di un ritmo che sia in grado di scuotere i settori più importanti dell’economia, da quello manifatturiero a tutti gli altri che rientrano in un quadro macroeconomico più stabile.

Secondo gli stessi economisti tedeschi, queste sono ombre destinate ad allontanarsi con il tempo ed interventi mirati, non è un fulmine scatenato da semplici movimenti ciclici, da riversare solo sulle incertezze e condizionamenti di carattere globale. I fondamentali dell’economia tedesca sono solidi, ma evidentemente risente dell’inefficienza di settori importanti, quale quello industriale, e per i dovuti ‘aggiustamenti’ si dovrà accettare nel breve periodo la ‘caduta’ di prestigio della potente locomotiva.

Ci sono questi enigmi nell’economia tedesca, che sorprendono. Ci sono sofferenze  nel settore finanziario e bancario, altrimenti non si spiegherebbe la crisi ormai decennale (e anche più profonda) di istituti di credito d’importanza mondiale, quali Deutsche Bank e Commerz Bank, per le quali invano il Governo tedesco ha sperato in una fusione, andata in fumo proprio nella scorsa primavera.

 

 

MANOVRA. MINISTRO GUALTIERI: DA GENNAIO PER TANTE FAMIGLIE ASILO NIDO GRATUITO

DI VIRGINIA MURRU

 

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in audizione a Palazzo Madama, ha espresso ottimismo sul quadro macroeconomico italiano, nonostante l’economia globale abbia evidenziato da oltre un anno la tendenza al rallentamento, in gran parte  legata a  scenari d’instabilità geopolitici e tensioni  scaturite dalle politiche protezionistiche degli Usa.

Secondo le dichiarazioni del ministro le previsioni a breve termine, nonostante le incertezze sul piano internazionale, hanno negli ultimi mesi rivelato segnali che risultano incoraggianti. In rilievo una lieve ma importante crescita registrata nel quarto trimestre, che potrebbe essere più positiva di quella prevista nella Nota di aggiornamento al Def (stimata dello 0,1%).

Sulle previsioni di crescita diversi dati lampeggiano cautamente in ‘verde’, tra questi c’è sicuramente il differenziale di rendimento, che ha ripreso un corso più accettabile (più che dimezzato rispetto ad un anno fa), un evidente e chiaro messaggio dei mercati che avvertono maggiore sicurezza e fiducia nella politica economica seguita dall’attuale esecutivo.

Il ministro Gualtieri si dice fiducioso per quel che concerne i lievi stimoli di crescita, che dovrebbero proseguire in meglio nel 2020, tanto che un aumento dello 0,6% è alquanto razionale, non azzardato, e potrebbe essere anche superato.

Le ragioni dell’ottimismo derivano dalle misure inserite nella manovra 2020, che ha preso un piglio deciso riguardo alla riduzione della pressione fiscale, la quale è orientata al contenimento rispetto a quella tendenziale, “ma – precisa il ministro – ci sarà anche una riduzione delle tasse rispetto ad un anno fa. La pressione fiscale resta invariata al 41,9%, ma bisogna considerarla al netto di misure quali quelle di contrasto all’evasione o il differimento delle Dta ( Deferred tax assets o imposte differite attive o attività per imposte anticipate) e dunque si otterrà come risultato una riduzione pari a 7 miliardi, rispetto all’anno precedente.”

C’è un cauto sentore di ‘ripartenza’ dell’economia, dovuto in gran parte alla fiducia sui riflessi che sarà in grado di produrre la nuova direzione nel programma di politica economica. Il riferimento è agli incentivi per la moneta elettronica, nonché la ‘lotteria’ degli scontrini, la semplificazione fiscale e lotta all’evasione contributiva, con le sanzioni al seguito per chi evade. Pertanto il Decreto Fiscale (DL 26 ottobre 2019 – n. 124), con la Legge di Bilancio, contribuiranno ad un ‘risveglio’ dell’economia.

Entrambi i provvedimenti fanno parte di un pacchetto unico, che mira a dare una spinta propulsiva al Paese, con misure d’intervento volte a contrastare l’inefficienza e l’evasione, attraverso strumenti d’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei pagamenti.

Quantificando il frutto di queste misure, si rileva che, per esempio, quelle anti-evasione porteranno all’erario 3 miliardi di euro in più, che saranno investiti in sostegni alle famiglie e ai lavoratori, nonché welfare. Uno degli obiettivi della Legge di Bilancio è il rilancio degli investimenti pubblici e privati, per i quali è previsto il più importante piano d’investimenti strategici da decine d’anni a questa parte, con l’obiettivo della riconversione dell’economia in chiave sostenibile. Gli interventi, in questo settore, sono tanti e tutti incisivi.

Nell’audizione al Senato, il ministro Gualtieri annuncia anche un’altra gradita novità a beneficio delle famiglie italiane: a decorrere dal primo gennaio prossimo, per tante famiglie l’asilo nido sarà gratuito, a tutela dei requisiti di quelle che presentano livelli minimi di reddito. Il numero dei posti disponibili sarà incentivato, e questo agevolerà di conseguenza l’occupazione femminile, oltre a migliorare la situazione nel mezzogiorno. In complesso saranno stanziati per questo fine circa 3 mld di euro.

Il ministro dell’Economia puntualizza sulle recenti affermazioni di Matteo Salvini, riguardo alle attenzioni che l’esecutivo ha rivolto alle famiglie, attenzioni che sarebbero insignificanti:

“Salvini sostiene che si tratta di una presa in giro per le famiglie, al di là delle parole ci sono i fatti: nella Legge di Bilancio abbiamo destinato 630 milioni per il prossimo anno, 3 mld nel quadriennio fino al 2022.”

Cita poi l’art. 41 del DDL Bilancio sul ‘Fondo assegno universale’ a beneficio della famiglia, tempi più lunghi per il ‘congedo paternità’, assegno di natalità, gratuità asilo nido per la maggior parte delle famiglie.

Sul  ‘programma’ relativo ai pagamenti digitali, l’esecutivo ha scelto la cautela su entrate aggiuntive. Ma certamente ci sarà un aumento del gettito, il quale costituirà la base per l’incremento del fondo destinato alla riduzione della pressione fiscale, e quindi il contenimento del carico su imprese e famiglie.

Per quel che riguarda i provvedimenti relativi alla ‘plastic tax’ e auto aziendali, il ministro ha precisato che sono suscettibili di miglioramenti. E’ previsto per giovedì 14 novembre il vertice di Governo, convocato dal premier Giuseppe Conte.

Il ministro Gualtieri tiene a sottolineare (nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Senato e Camera) i benefici derivanti per i conti pubblici dal calo dello spread. Afferma in proposito: “è stato calcolato che il risparmio sarà dell’ordine di 2,7 mld per il corrente anno, ormai recuperato, e di circa 6,7 mld il prossimo anno. Mentre per il periodo 2019/22, il Paese potrebbe acquisire un dividendo di credibilità che si aggira sui 38 miliardi di euro. “

Ci sono alcuni interventi di Italia Viva, molto vigile e critica nei confronti del Decreto Fiscale, che riguardano la cancellazione della stretta sugli appalti prevista dalle norme anti-evasione.

Un grande sforzo, secondo il ministro, è stato compiuto a favore degli Enti locali, in particolare sulla razionalizzazione della tassazione, in primis l’unificazione Imu/Tasi in un solo tributo, intervento volto ad assicurare ‘l’invarianza’ di gettito, e pertanto non graverà in misura maggiore sul contribuente.

Sulla manovra, il ministro dell’Economia sostiene in un’intervista d’essere fiducioso che sarà approvata senza ‘essere snaturata’ nel suo impianto, e che si troverà un modo ragionevole per superare le criticità.

Dichiara ai microfoni di Huffington Post:

“Eravamo consapevoli che si trattasse di una manovra d’emergenza, e il primo obiettivo era quello di sterilizzare le clausole Iva, evitandone l’aumento. Su questo punto, comunque, auspicare a tutti i costi che il risanamento industriale si riversi interamente sullo Stato, è solo un’illusione; ovviamente non può sussistere.”

Avrebbero potuto esserci dei problemi nell’iter parlamentare seguiti dai due provvedimenti cardine del Governo. Il riferimento è alla manovra 2020 e al decreto fiscale, ad essa collegato. I presidenti delle Commissioni Finanze al Senato, e Bilancio al Montecitorio, sono rispettivamente Alberto Bagnai e Claudio Borghi, entrambi della Lega, che avrebbero potuto piazzare un ‘ordigno’ sul passaggio della manovra e del decreto, tramite ostruzionismo durante la sessione Bilancio. La maggioranza però, avendo intuito il pericolo, è riuscita  ad aggirare gli ostacoli agendo sui tempi del calendario previsto.

Il decreto fiscale al Senato non dovrebbe avere problemi; per quel che riguarda la Camera, la Manovra avrà 10 giorni di tempo per eventuali modifiche. Il rischio dell’ostruzionismo deriva dal fatto che i due presidenti delle Commissioni delle quali si è accennato non sono cambiati con l’assetto politico del nuovo esecutivo, per legge ci sarà il ‘ricambio’ a metà legislatura.  I presidenti in questione hanno il potere di analizzare e valutare l’ammissibilità degli emendamenti, il che avrebbe potuto tradursi in una strada piena di chiodi per l’iter della Manovra in sessione di Bilancio, essendo i due parlamentari della Lega ora all’opposizione.

Per l’iter a Montecitorio, alla Commissione Finanze c’è Carla Ruocco del Movimento 5S, e qui blocchi non ce ne saranno di sicuro. Si discute adesso sugli emendamenti, e il decreto giungerà in aula il 25 del corrente mese. Il decreto fiscale collegato alla Manovra 2020 vedrà l’approvazione definitiva nei primi giorni del prossimo mese. Il possibile bersagliamento del presidente leghista si dovrebbe quindi prevenire.

I vari passaggi in Parlamento della Legge di Bilancio sono iniziati al Senato, ma anche qui il passaggio dovrebbe essere immune da tentativi di ostruzionismo, in quanto presidente della Commissione Bilancio è sempre un parlamentare 5 Stelle, ossia Daniele Pesco. Il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti e l’esame del testo in aula dovrebbe cominciare nei primi giorni di dicembre. Il sì di Palazzo Madama è previsto alcuni giorni dopo. E la Camera avrà a disposizione appena dieci giorni per eventuali modifiche. Si può giocare molto su questi interventi della maggioranza, sempre col fine d’impedire ‘manovre’ di blocco da parte dell’esponente della Lega, Claudio Borghi.

L’iter continuerà ancora con il ritorno al Senato, per l’approvazione definitiva sono previsti pochi giorni, prima che i lavori siano sospesi per la sosta natalizia. La Manovra sarà comunque approvata, secondo i termini di legge, entro il 31 dicembre prossimo.

Intanto, secondo i dati pubblicati nel sito del Ministero dell’Economia, migliorano le entrate per l’erario.

Si legge al riguardo:

“Il mese di settembre registra un notevole incremento di gettito pari a 6.994 milioni di euro (+23,6%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. L’andamento è stato influenzato dalle entrate delle imposte autoliquidate con un gettito IRPEF pari a 4.888 milioni di euro (+3.875 milioni di euro) e IRES pari a 3.329 milioni di euro (+2.476 milioni di euro), legato alla proroga al 30 settembre dei termini di versamento di tutte le imposte autoliquidate per i soggetti che svolgono attività economiche per le quali sono stati approvati gli indicatori di affidabilità (ISA).”

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ECONOMISTA FABIO PANETTA A GENNAIO NEL BOARD DELLA BCE

DI VIRGINIA MURRU

 

La nomina dell’economista Fabio Panetta, attuale direttore generale della Banca d’Italia, a nuovo membro del Comitato esecutivo della Bce, è stata sostenuta dall’Eurogruppo, ossia dai ministri delle Finanze dell’Eurozona (Ecofin), che ha espresso parere favorevole.

La candidatura è stata prima sottoposta al Consiglio europeo (composto dai capi di Stato o di Governo), che ha espresso parere favorevole, e poi al Parlamento europeo,  quindi al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea.

La notizia è stata riportata nel sito ufficiale della Bce, nel quale si legge al riguardo:

“Il Consiglio direttivo della Bce ha adottato un parere relativo alla raccomandazione del Consiglio dell’Ue, sulla nomina di un membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale. Il Consiglio direttivo non ha sollevato obiezioni, poiché Fabio Panetta, il candidato proposto, è persona di riconosciuta competenza ed esperienza professionale nel settore della politica monetaria e bancario in generale, così come richiesto dall’Art. 283 – paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.”

L’economista italiano sostituirà Bonoit Coeuré, membro dell’esecutivo uscente,  il cui mandato di otto anni non è rinnovabile, e pertanto lascerà la carica il 31 dicembre prossimo.

Fabio Panetta farà dunque parte del Comitato esecutivo, nel board si occuperà di politica monetaria, sostenendo la linea Draghi, in sintonia con la presidente Christine Lagarde, fresca di nomina all’Eurotower (il cui mandato è cominciato il 1° novembre). Tra le sue funzioni il Comitato si occupa dell’attività dei Governatori, in particolare la preparazione dei lavori  (Paesi area euro), e dunque il Direttore Generale di Bankitalia farà parte della ‘cabina di regia’ della Banca centrale europea.

Il Comitato è responsabile della politica monetaria in area euro, e della ‘linea programmatica’ in termini di misure adottate in questo ambito. Esso è composto  da un Presidente, vicepresidente e altri 4 membri, secondo il mandato non rinnovabile per la durata di otto anni.

Il Comitato esecutivo della BCE è quindi responsabile dell’attuazione della politica monetaria della zona euro, definita dal Consiglio direttivo della BCE. Il board è composto dai Governatori delle Banche Centrali dei Paesi che rappresentano l’Eurozona e dai sei membri del Comitato esecutivo.

L’Italia è stato l’unico Paese che ha presentato una candidatura, gli altri non hanno avanzato proposte in merito (la scadenza era prevista per il 25 settembre scorso). Sul piano ufficiale, il mandato dell’economista italiano sarà ratificato entro il 31 dicembre, termine ultimo per la conferma della nomina, che tuttavia non dovrebbe ormai sollevare obiezioni da parte delle Autorità preposte. L’ultima parola passerà tuttavia al Consiglio europeo, il quale voterà la nomina di Panetta a maggioranza qualificata, dopo avere consultato il Parlamento europeo e il Consiglio direttivo della BCE.

Non vi sono dubbi su questa scelta di ‘merito’, non dunque frutto di pressioni sugli organi che hanno liberamente espresso il loro positivo parere. L’economista romano, classe 1959, nell’asse Lagarde sarà uno dei ‘colombi’ che faranno da contrappeso agli ‘sparvieri’, coloro che da sempre hanno remato contro la politica monetaria espansiva seguita dall’ex Presidente della Bce, Mario Draghi.

Fabio Panetta  ha alle spalle una carriera di primo piano, in rilievo la sua esperienza nell’ambito della Politica Monetaria , nel settore finanziario e bancario in generale. La sua formazione ha avuto come base gli studi in Economia all’Università Luiss all’inizio degli anni ’80. Dopo la laurea ha seguito il Master di ‘Science in Economics’ alla London School of Economics e quindi un dottorato di ricerca in Economia e Finanza alla Business School di Londra.

Alcuni anni più tardi, verso la metà degli anni ’80, ha lavorato presso Bankitalia,  dopo vent’anni di carriera negli uffici della Banca centrale è stato nominato Capo Servizio Studi di Congiuntura e Politica Monetaria. Passato poi nel 2011 alla Direzione Centrale per il coordinamento e integrazione nell’Eurosistema. L’anno seguente, ha ricoperto la carica di Vicedirettore Generale, nomina che gli ha permesso di frequentare gli ambienti finanziari dell’Eurozona, quindi della Bce, in quanto rappresentante della Banca d’Italia.  Esperienza che si è ampliata, sempre in qualità di rappresentante della Banca centrale italiana, ad altri Organismi internazionali, quali FMI, BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali, con sede a Basilea), OCSE, G10.

Panetta ha all’attivo numerose pubblicazioni su riviste scientifiche di carattere economico (nazionali e internazionali) , basterebbe citare ‘The Journal of Money’, Giornale degli Economisti,  Journal of Finance, Journal of Banking and Finance, tanto per citare le più prestigiose.

A partire da maggio del corrente anno  riveste la carica di Direttore Generale della Banca d’Italia, oltre che Presidente dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni. E’ membro del Consiglio di vigilanza, del Meccanismo di vigilanza unico europeo, il cui start operativo risale alla fine del 2014.

 

 

 

IPSOS. SOLO IL 19% DEI GENITORI PUO’ AIUTARE I FIGLI AD ACQUISTARE LA CASA

DI VIRGINIA MURRU

 

Secondo un’indagine Ipsos ‘Welfare familiare – analisi delle famiglie italiane’, sostenere i figli nelle spese di acquisto di una casa, per la maggioranza degli italiani diventa un’aspirazione da ‘terno al lotto’, aspettativa da affidare agli eventi più aleatori della vita, dato che la realtà non permette di realizzare il sogno più normale per una famiglia.

In base ai numeri emersi dalla ricerca, risulta che i fortunati, ossia la percentuale di coloro che non hanno necessità di ricorrere al mutuo di un istituto di credito per ottenere la propria casa, è passata dal 46% negli anni ’70, al 19% nei primi anni del terzo millennio, una curva che si è progressivamente abbassata man mano che in Italia i movimenti ciclici di crisi in ambito economico si sono succeduti, soprattutto a partire dagli anni ’80, con maggiore intensità. Attualmente circa il 70% delle famiglie vive in case di proprietà, ma non sarà così per le giovani generazioni.

E tuttavia, se può essere di conforto, il problema concernente il costo degli immobili, l’accesso agevole al mutuo per l’acquisto della prima casa, non è stato semplice negli ultimi trent’anni neppure negli altri Paesi dell’Unione europea, e nemmeno negli Usa:  già la crisi dei mutui subprime nel 2007 è stato semplicemente la deflagrazione di un ordigno nel settore immobiliare e in quello finanziario, che ha messo in evidenza i  meccanismi contorti del credito e del mercato immobiliare.

E’ emersa in particolare la difficoltà  quasi insormontabile di una coppia o di una famiglia, di acquistare l’immobile, perché i prezzi, in proporzione al reddito (soprattutto quello derivante da lavoro dipendente), sono ben più elevati, e i tassi d’interesse sui mutui non sono di solito a portata di tasca per chi percepisce uno stipendio medio/basso. Ma è bene ripetere che  questo non un male endemico della società italiana, va ben oltre confine.

Diventa pertanto sempre più arduo per una coppia che aspira all’indipendenza dai propri genitori, accedere ad un bene essenziale qual è quello di una casa, nella quale si vorrebbe formare una famiglia, crescere i propri figli. I costi per l’acquisto  sono diventati col tempo sempre più  inaccessibili, anche quando si può contare sul reddito di entrambi i conviventi.  Il mercato immobiliare, nonostante una sostanziale flessione dei prezzi negli ultimi anni, è ancora sulla cima di una piramide irta di ostacoli, per chi sogna di liberarsi dal vincolo delle spese per il canone mensile.

Sempre secondo la ricerca Ipsos, solo il 23% degli italiani con redditi elevati riesce a offrire ai propri figli la casa quando decidono di lasciare la famiglia per formarne una propria.  Il problema è  lo squilibrio tra redditi minimi o comunque bassi, e i prezzi invece alti del settore.  Questi  sono i muri che creano ostacoli, nonostante la propensione al risparmio delle famiglie italiane, ciò che viene meno è la capacità di risparmio per una destinazione che richiede ingenti risorse, e qualora si decida il ricorso al mutuo, sono le rate elevate a scaraventare nell’incertezza le scelte.

La casa dunque, per un’alta percentuale di italiani, è ancora un miraggio da rincorrere con strategie ed espedienti quasi mai semplici. Di sicuro, qualora si prenda la strada del mutuo, il vincolo diventa pesante, non di rado per decine d’anni, e gli impegni con la banca sono uno scoglio nel budget della famiglia che impone limiti, rinunce, senza scampo per chi vive col salario di  lavoratore dipendente.

Afferma Stefania  Conti, analista Ipsos:  “La propensione al risparmio da parte degli italiani c’è, ma il contributo delle precedenti generazioni per l’acquisto di una casa da destinare al proprio figlio o nipote, è sempre meno incisivo: non ci sono le risorse necessarie.  Per l’auto il discorso è diverso, perché più accessibile, genitori e nonni continuano in ogni caso a sostenere le giovani coppie, ma non in modo costante, tale da garantire la pianificazione per l’acquisto di una casa.”

Per questo la curva – in termini percentuali dei giovani fortunati, che tramite l’aiuto dei familiari d’origine possono permettersi una casa – è scesa inesorabilmente dagli anni ’70 ad oggi.

Secondo un’indagine portata avanti dal Cresme, intorno alla metà degli anni ’60, per avere accesso alla casa erano sufficienti  1,5 annualità, oggi ne servono dieci volte tanto. Per l’acquisto di una casa nei grandi centri urbani, all’epoca bastavano 3,6 annualità, oggi un piano d’acquisto è praticamente impensabile, anche proporzionalmente, con mezzi equivalenti.

L’atteggiamento dei genitori, quando sono in grado di offrire una casa ai propri figli, tende ad essere ‘protettivo’, nel senso che è venuta meno la fiducia nel buon senso delle nuove generazioni, e per questo mantengono le redini  di questa risorsa fondamentale.

I controlli sono giustificati dal fatto che i figli potrebbero, una volta intestata la casa, rivenderla per un fine meno nobile, anche solo per la disponibilità di un fondo di liquidità. Per prevenire a volte si ricorre al diritto di usufrutto, o una quota di comproprietà, in questo caso si limita il ‘libero arbitrio’ del figlio qualora decidesse di vendere.

A volte la fiducia nei figli è solida, e si sceglie d’intestargli l’immobile per evitare un costo piuttosto pesante qual è quello dell’Imu, e le tasse d’acquisto sulla seconda casa; ma così si previene anche l’imposta di successione, che è diventata abbastanza salata.

Ci sono gli espedienti ‘giusti’ quando esistano le premesse per l’acquisto dell’immobile destinato ai figli, certamente è un disimpegno notevole sul piano fiscale per il genitore, anche se, le ‘vecchie’ generazioni hanno una consapevolezza molto maggiore del valore che la casa rappresenta, certamente perché vengono da stili di vita molto diversi.

MANOVRA 2020: IN RILIEVO TAGLIO DEL CUNEO FISCALE E BLOCCO AUMENTI IVA

DI VIRGINIA MURRU

 

Il Consiglio dei ministri ha approvata la Legge di Bilancio e il Decreto fiscale 2020, ancora in corso l’iter della Legge di Manovra, che ha portato al varo della Legge di Bilancio e al decreto fiscale.

La prima bozza della Legge di bilancio diffusa nelle ultime ore consta di 93 articoli, il testo è stato analizzato e concordato durante il vertice di Governo, dal cui dibattito sono scaturiti ulteriori accordi con alcune significative novità, tra le quali la cedolare secca per gli affitti a canone concordato: si è stabilito che resterà del 10%.

E’ una manovra ambiziosa, che per la prima volta tiene conto anche del rispetto dell’Art. 36 della Costituzione, sul diritto del lavoratore a percepire un salario minimo che permetta una buona e decorosa sussistenza per sé e la propria famiglia. La prima bozza della Legge di Bilancio tiene conto del sostegno alle famiglie attraverso il ‘bonus bebè, bonus facciate, bonus Cultura, tanto per citare alcuni degli interventi, non quelli tuttavia fondamentali.

Il primo obiettivo da perseguire prevede almeno tre punti base:  blocco dell’aumento dell’Iva, attraverso misure di copertura che a questo fine sono state individuate, il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori in busta paga (e una riduzione sui contributi a carico delle imprese, soprattutto per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, a contratto), i cui riflessi positivi prenderanno avvio il prossimo anno, mentre per il 2021 gli interventi dovrebbero essere più rilevanti.

In ‘cantiere’ c’è anche uno dei punti più dibattuti: il salario minimo, che sta molto a cuore al M5S, a garanzia di tutela dei lavoratori il cui trattamento economico non risulta equo. La tutela in questo ambito riguarda in particolare i lavoratori non dipendenti, non di rado professionisti esposti a forme di abuso e sfruttamento.

Per quel che concerne le risorse destinate al taglio del cuneo, si prende in considerazione la rimodulazione del cosiddetto ‘bonus Renzi’ di 80 euro, estendendolo ad una più ampia platea di beneficiari.

C’è la riduzione dei contributi in busta paga, orientato verso il decollo del salario minimo, interventi a favore di giovani e disoccupazione giovanile. Si stima che questi interventi potrebbero richiedere risorse pari a circa 15 miliardi, da ripartire in un triennio. Il ‘bonus cuneo fiscale’, per famiglie fino a 26mila euro di reddito, da ricevere in busta paga a luglio prossimo (il cosiddetto bonus vacanza) dovrebbe essere d’importo pari a 240 euro. Mentre per le famiglie con redditi superiori a 35mila euro, il bonus sarebbe di 500 euro.

Per il 2020 l’esecutivo Conte-bis ha previsto un impiego di 3 miliardi per il taglio del cuneo, precisando che allo Stato, ogni ‘punto’ di cuneo in meno sugli occupati stabili, costa 2,5 miliardi di euro.  Queste risorse dovrebbero sostenere alcune misure a favore dei lavoratori: un aumento di 15 euro al mese per coloro che hanno un livello di reddito lordo annuo che va dagli 8mila euro ai 24mila, e percepisce comunque il bonus di 80 euro.

Non significativo in termini di agevolazioni per i redditi minimi, e tuttavia è sempre una forma di sostegno, suscettibile in un triennio di migliori agevolazioni. Avranno diritto ad un aumento di 33 euro mensili coloro che percepiscono in un anno un reddito lordo tra i 24mila e i 26.600 euro, per i quali il bonus ‘Renzi’ è ridotto.

Per l’altra fascia, ossia per chi percepisce un reddito che supera i 26.600 euro, fino ai 35mila, e non ha diritto al ‘bonus Renzi’ di 80 euro, l’aumento sarebbe di 95 euro al mese.

Il salario minimo è stato già dallo scorso anno il cavallo di battaglia del M5S, ‘vessillo’ storico (dal 2013) delle sue strategie d’intervento sulle classi meno abbienti, già obiettivo implicito della formula ‘reddito di cittadinanza’. Si tratta certo di una conquista, tenendo presente che quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea hanno già introdotto questa misura nei loro ordinamenti.

Tema dunque caro al Movimento, che ha di conseguenza rivolto l’attenzione ai salari più precari con l’intento di portarli ad un livello almeno più accettabile. Il presupposto è che ogni lavoratore abbia diritto di percepire un salario dignitoso, non inferiore ai diritti sanciti dai Contratti Collettivi Nazionali (CCNL), e dunque non inferiore ai 9 euro lordi per ora di retribuzione.

Con l’attuazione di questa misura finalmente sarà in concreto applicato anche l’Art. 36 della nostra Costituzione, il quale sancisce proprio il diritto, per ogni lavoratore, ad un salario minimo che garantisca la sua sussistenza e quella dei familiari.

Il disegno di legge sul salario minimo staziona al momento in Senato,

Secondo il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Gualtieri, la manovra 2020 seguirà una tendenza espansiva nelle misure di politica economica. Il ministro Gualtieri difende la manovra dai tanti spunti critici emersi ultimamente, e non solo da parte delle opposizioni.

Afferma al riguardo il ministro:

“Certo alcune misure intraprese possono anche deludere, ma è necessario puntare il focus su una base di partenza piuttosto difficile, in quanto il quadro di finanza pubblica ‘ereditato’ è ostico e complicato. Si è partiti con il fine primario di scongiurare l’aumento dell’Iva, avendo chiaro il concetto che, qualora si fosse lasciata aperta questa porta, la manovra avrebbe avuto un effetto sicuramente recessivo. Ma la nostra battaglia è quella di riportare i conti pubblici su un terreno di marcia meno drammatico, in modo progressivo, ovviamente. Intendiamo per questo fare compiere passi significativi e importanti al nostro Paese.”

L’aumento dell’Iva sicuramente è stato il passaggio più impegnativo e duro del programma economico di Governo, ma si tratta di un rischio incombente, che richiederebbe risorse ingenti (circa 23 miliardi di euro), e pertanto si doveva bloccare questa deriva finanziaria. Gualtieri, e lo stesso premier, si dichiarano ottimisti circa lo sviluppo che nei prossimi anni deriverà dalle scelte dell’esecutivo. Il fine primario è quello di fare ‘risorgere’ l’economia un po’ asfittica dell’attuale congiuntura e di proiettare il Paese in un sentiero di crescita più degno delle sue effettive risorse.

Gualtieri, circa le misure volte all’incentivazione della moneta elettronica, rassicura gli esercenti sostenendo che sono pronti gli interventi per alleggerire il carico delle imposte: ci sarà il prossimo luglio un credito d’imposta, finalizzato all’attenuazione dei costi sostenuti dagli esercizi commerciali a fronte dei pagamenti con carta.

Matteo Renzi, critico sulle misure di carattere fiscale, ha poi aggiustato il tiro  riguardo alla manovra e il decreto fiscale da poco pubblicato in Gazzetta.

Dichiara in proposito: “Il Governo che ho guidato io ha sempre avuto particolare attenzione al grado di pressione fiscale, e ci siamo adoperati per agevolare  famiglie e imprese, evitando aumenti di tasse. Sulla manovra ci sono state inevitabili dibattiti per questioni critiche, ma alla fine mi pare che ora ci sia un migliore equilibrio sul piano fiscale, anche perché su alcuni aspetti il Governo è tornato sui propri passi. Apprezzo gli sforzi compiuti dal ministro Gualtieri, in particolare su certi ‘microbalzelli’ che non rendevano onore all’esecutivo, soprattutto quello che riguardava le auto aziendali..”

Bisogna dire che una decina di giorni fa il ministro dell’Economia mal tollerava l’obiezione sui ‘microbalzelli’, che ha definito peraltro delle autentiche ‘bufale’.

E infatti difende a spada tratta le misure per arginare la pressione fiscale:

“Questa è una manovra che taglia le tasse e fa risparmiare 18 miliardi sullo spread.”

Come dargli torto sullo spread, se si pensa solo all’incubo dello scorso anno proprio in questo periodo, quando il differenziale di rendimento aveva superato i 350 punti base. Per quasi un anno comunque i livelli si sono tenuti piuttosto alti, e com’è noto le conseguenze hanno peggiorato la situazione già deleteria del debito pubblico. Non si è trattato di un ‘passaggio’ indolore, lo spread quando raggiunge limiti di guardia automaticamente alza il rendimento dei titoli, il che si traduce in ulteriore esborso di risorse.

Sulle polemiche riguardanti le misure fiscali, l’eurodeputato PD, Brando Bonifei (Capo delegazione PD a Bruxelles), ha spezzato una lancia a favore del Governo, così si è espresso in proposito:

“Ma quale manovra delle tasse.. si tratta invece di una Legge di Bilancio che tenta di arginarle segnando una svolta in questo senso. E’ necessario giudicare obiettivamente, all’interno e fuori dalla maggioranza, con il senso della responsabilità. Secondo Bonifei il Governo sta operando bene, tenendo anche presente la base di partenza, estremamente precaria in termini di risorse e di crescita.” E’ un parere importante, dato che questo giovanissimo rappresentante, a Bruxelles, certamente ha l’opportunità di cogliere da vicino le impressioni che sta suscitando la politica economica il nuovo esecutivo.

Secondo il parere espresso dall’ex premier Paolo Gentiloni – fresco di nomina a Commissario degli Affari Economici e Monetari nella Commissione Europea – intervistato su La7 (a Otto e mezzo), ha riconosciuto che l’Italia sta provando ad attraversare un ‘ponte’ difficile, per raggiungere una sponda più sicura sul piano economico e dei conti pubblici.

Così si è espresso: “A Bruxelles non c’è particolare ‘morbidezza’ nei confronti dell’Italia, ma ritengo che l’Ue sia sollevata dal fatto che il nuovo esecutivo risponda con migliore affinità agli obiettivi comuni. Avere uno dei sei Paesi fondatori, quale l’Italia è, con un Governo che lo scorso anno andava in direzione contraria sul piano internazionale e dei rapporti con le autorità di Bruxelles, era considerato molto negativo. Ora il sentire è cambiato, si avverte nell’Ue l’impressione chiara che l’Italia sia tornata a quella Storia d’intenti comuni, e questa è una strada che certamente porterà del bene anche sul piano economico.”

Parafrasando, qualora ce ne fosse bisogno, significa che quando si rema in tanti verso un unico obiettivo, e ad un tratto uno dei rematori è orientato verso una direzione contraria, le conseguenze possono essere negative per tutti.

 

 

 

 

CENTRO STUDI CGIA: A NOVEMBRE GLI ITALIANI VERSERANNO ALL’ERARIO 55 MILIARDI

DI VIRGINIA MURRU

 

Il Centro Studi Cgia Mestre (Associazione Italiana Artigiani e Piccole Imprese) fa il punto sull’incidenza delle tasse nel portafogli degli italiani nel mese di novembre. Come di consueto il risultato degli studi e dati rilevati dal Centro sono stati resi noti tramite  comunicato stampa, e pubblicati nel sito ufficiale.
Novembre sarà piuttosto pesante in termini di ritenute ai dipendenti, lavoratori autonomi e collaboratori, secondo gli studi Cgia; tra acconti Iva-Ires-Irpef e addizionali comunali e regionali Irpef, i cittadini verseranno all’erario circa 55 miliardi di euro. Non per nulla novembre è stato anche definito ‘il mese delle tasse’. Di norma il flusso derivante dalle scadenze fiscali si concentra tra giugno/luglio, e nel secondo semestre tra novembre-dicembre. Nel 2018 – fa notare l’Ufficio Studi – il gettito tributario complessivo aveva raggiunto i 500 miliardi di euro, nei due periodi dell’anno cruciali per il pagamento delle imposte.
Secondo le dichiarazioni del coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zebeo “una parte rilevante di imposte dovrà essere versata proprio nel corrente mese dalle imprese, e rappresentano ‘una partita di giro’, quali ad esempio l’Iva e le ritenute relative ai dipendenti. Ma si ritiene che una parte anche consistente di imprenditori, nell’ambito delle piccole imprese, affronteranno difficoltà per quel che concerne gli impegni e le scadenze fiscali.”
Le cause di questi ‘rallentamenti’ sul rispetto delle scadenze derivano da problemi di crescita nell’economia in generale, che hanno poi determinato lo slittamento dei versamenti al fisco, proprio per ragioni di lacune  in termini di liquidità. Disagi emersi non solo ai danni dell’erario, ma anche sul piano dei rapporti commerciali tra imprese private, con le immancabili conseguenze a catena sul piano finanziario.
Le imprese esercitano pressioni sugli organi competenti affinché il problema concernente l’ammontare complessivo del gettito sia affrontato in tempi rapidi, nonché le complicazioni derivanti dal quadro normativo del sistema fiscale italiano.
Afferma al riguardo il Segretario Renato Mason:
“Con un fisco più semplice e trasparente potrebbe lavorare più agevolmente anche l’Amministrazione finanziaria, certamente in modo più efficiente al fine di contrastare evasione ed elusione. Esiste ad oggi una giungla di norme, decreti, regolamenti e circolari esplicative nel nostro ordinamento tributario, che rende più complesso, e a volte inestricabile sul piano giuridico, l’attività degli addetti ai lavori. E non solo:  disagi anche a carico degli stessi operatori del fisco, nonostante rappresentino uno dei comparti più ‘virtuosi’ di tutta l’Amministrazione pubblica.”
Per quel che attiene l’orientamento in termini numerici, l’imposta più onerosa per imprese e lavoratori autonomi questo mese resta l’Iva, che da sola comporta un’entrata per l’erario d’ importo pari a 15 miliardi di euro. Segue l’acconto Ires sulle società di capitali (quali Spa, Srl, Cooperative e altre). Le Società Cooperative verseranno un anticipo al  fisco pari a 13,3 miliardi di euro. Mentre i lavoratori dipendenti e collaboratori, mediante i rispettivi datori di lavoro, contribuiranno, secondo le ritenute, per un importo di 11,9 miliardi di euro.
Per le aziende e per i percettori di altre fonti di reddito (quali fitti, plusvalenze, lavoro occasionale e altri), invece l’acconto Irpef sarà pari a 6,2 miliardi di euro. L’Irap (o Imposta regionale sulle attività produttive), invece andrà incontro ad un prelievo fiscale di 6,1 miliardi. I Governatori delle regioni potranno avvalersi, per la gestione della spesa, dell’addizionale regionale Irpef, di circa 1 miliardo di euro, e invece peseranno sulle tasche dei lavoratori autonomi le ritenute pertinenti alla categoria, che si stima possa essere di poco inferiore ad 1 miliardo.
A livello di enti locali andranno  a favore dei Sindaci le addizionali comunali Irpef, sulle quali è prevista un’entrata di circa 413 milioni di euro. L’erario incasserà 190 milioni dalle ritenute dei bonifici delle detrazioni Irpef.

ACCORDO FIAT CHRYSLER E PSA GROUPE, IL NUOVO COLOSSO DELL’AUTOMOTIVE

DI VIRGINIA MURRU

 

Questa volta, dopo qualche riserva da parte del Gruppo PSA, nonché traversie derivanti dal fatto che il Governo francese anche qui ha le mani in pasta, finalmente il ‘matrimonio del secolo’ sembra sia arrivato al momento del reciproco ‘sì’. Dopo il fallimento delle trattative con Renault, e l’indecisionismo che ne era conseguito a maggio scorso, in seguito alla proposta di ‘merger’ di FCA, ora il confronto con il francese PSA groupe dovrebbe andare a buon fine.

Si tratta di una fusione tra due colossi, che nell’ambito dell’automotive diventerà il quarto gruppo in termini di eccellenza nella produzione a livello mondiale, la creazione del super-brand è scontata.

Dichiara Carlos Tavares (alla guida della nuova società):

«Questo asse crea un significativo valore per tutti gli stakeholder e apre ad un futuro brillante per la società risultante dalla fusione»

Da parte sua, Mike Manley, Ceo di FCA, gli fa eco:

«Sono soddisfatto perché avrò l’opportunità di lavorare con Carlos e il suo team su questa aggregazione che ha tutte le carte in regola per apportare significativi cambiamenti nel settore. Abbiamo una lunga storia di cooperazione di successo con Groupe Psa e sono convinto che, insieme, potremo creare una società leader nella mobilità a livello globale».

Soddisfatto anche il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, il quale questa volta “accoglie favorevolmente” il progetto di fusione tra i due gruppi e dà la sua benedizione, e tuttavia, lo Stato francese, azionista di Psa, resterà “particolarmente vigile” sulla tutela dell’apparato industriale in Francia.”

Questi gli estremi di una  nota diffusa dal Ministero dell’Economia francese.

Un matrimonio tutt’altro che morganatico, dato che entrambi i partner porterebbero una solida dote nel nuovo gruppo, e soprattutto i vantaggi del nuovo ‘ménage’ sarebbero garantiti: una fusione tra giganti ‘alla pari’ in termini di potenzialità produttiva. Nelle trattative, ormai a buon punto, è previsto che la nuova Società sarà detenuta per il 50%  dagli azionisti di FCA e l’altro 50% da PSA groupe, il che significa che si stanno già tracciando le basi per una governance equilibrata.

PSA è l’acronimo di “Peugeot Société Anonyme”, il gruppo viene dalla fusione di Peugeot S.A. con Citroen SA; Peugeot SA,  nel lontano ’74, acquisì il 38% di Citroen e due anni più tardi avvenne la fusione con Michelen, che all’epoca navigava in pessime acque, praticamente sull’orlo del fallimento, portando la partecipazione al 90%. Da qui derivò così PSA (Peugeot Société Anonyme), modificato poi alcune volte fino alla sigla definitiva di Groupe PSA.

Non vi sono dunque più riserve da parte del Governo francese, il comunicato di FCA e PSA annunciato in una nota congiunta è ufficiale, queste nozze “s’hanno da fare”, e non ci sarebbero al momento più ostacoli. L’obiettivo è la sfida che pongono le nuove tecnologie, quelle più avanzate nell’ambito della mobilità sostenibile.

I mercati sono cauti, comunque orientati al rialzo su FCA, assolutamente ottimisti sui risultati di questo importante evento nel settore automobilistico di rilevanza globale, mentre l’opposto nella seduta di stamane avveniva nella Piazza di Parigi, con PSA in calo di circa il 10%.

Sul sito FCA è stato pubblicato il comunicato ufficiale sulle trattative in atto tra il Gruppo Italo-americano e quello francese: “Groupe PSA e FCA progettano di unire le forze per creare un leader mondiale in una nuova era della mobilità sostenibile.”

Il confronto, secondo le note diffuse da FCA, è tuttora in atto, e traccia un percorso preciso per la creazione di un nuovo ‘aggregato’, di dimensioni e risorse globali, appunto, in rapporto di parità tra i due colossi per quel che concerne la detenzione delle azioni.

Entrambi i gruppi, dopo opportune valutazioni e analisi, hanno risolto di compiere questo passo in primis sulla base di considerazioni di carattere tecnico, in un settore che marcia a velocità sostenuta nell’ambito dell’innovazione, in continua, rapida evoluzione. Le sfide partono dalla ‘mobilità connessa, elettrificata, condivisa e autonoma’.

La Società derivante da questa fusione punterà  in primis sulle energie da destinare alla ricerca e allo sviluppo, senza perdere di vista il suo ecosistema globale al fine d’incentivare l’innovazione e bypassare agevolmente le sfide attraverso investimenti mirati.

Le prospettive di questa aggregazione creano i presupposti per la creazione del quarto costruttore del settore su base mondiale, secondo il target di vendite, che sfioreranno i 9 milioni di veicoli prodotti in un anno.

La holding, attraverso una politica di ottimizzazione dei costi, trarrebbe vantaggio dai margini tra i più elevati nel mercato in cui opera, pertanto punterà sulla solidità di quello Usa in particolare per quel che riguarda FCA (e più in generale America del Nord), oltre ad America Latina. Mentre per quel che concerne PSA Groupe la base è il mercato europeo. Questa ‘unione aristocratica’ trarrebbe altresì vantaggio e forza dal prestigio dei brand dei due gruppi nei segmenti ‘luxory, premium, veicoli passeggeri mainstream, SUV, truck e veicoli commerciali leggeri’, incrementando la potenzialità e competitività sul mercato globale.

Altri vantaggi indiscussi derivanti dalla fusione riguardano lo sviluppo delle competenze, quindi il ‘know-how’ di entrambi i ‘partner’, orientando conoscenza ed esperienza del settore nell’ambito delle nuove tecnologie che stanno caratterizzando il terzo millennio per quel che riguarda la mobilità sostenibile. E pertanto con l’esigenza di rendere la produzione ‘eco-compatibile’. La propulsione elettrificata in questa direzione è la naturale conseguenza di queste ricerche, combinata alla guida autonoma e la connettività digitale.

In gioco ci sono anche le ‘sinergie annuali a breve termine’, con una stima intorno ai 3,7 miliardi di euro, con rassicurazioni ai sindacati sulla forza lavoro, che non dovrebbe essere sacrificata da tagli dolorosi, né chiusure di stabilimenti.

Alla base della governance ci sarebbe un ‘management team’, che coopera congiunto per il raggiungimento degli obiettivi, di comprovata efficienza e successo.

Il Consiglio di Amministrazione della holding capogruppo olandese, secondo il comunicato FCA, ha già tracciato una linea di convergenza su un assetto equilibrato della rappresentanza, con maggioranza di consiglieri indipendenti. Il Presidente ‘targato’ FCA, è della dinastia Agnelli, ossia John Elkann, mentre CEO sarebbe Carlos Tavares.

Il Consiglio di Sorveglianza di Peugeot S.A. e il Consiglio di Amministrazione Fiat Chrysler Automobiles N.V., pertanto, hanno convenuto all’unanimità di unire le loro energie per il conseguimento di una ‘piena aggregazione dei rispettivi business’, su condizioni paritetiche (50/50).

I Consigli dei rispettivi gruppi hanno concesso il mandato ai loro team di portare a termine l’accordo per il raggiungimento, presumibilmente entro novembre prossimo, di un ‘Memorandum of Understanding’ vincolante. Il piano di aggregazione del business dei due gruppi è il risultato di intensi incontri e confronti tra i ‘management team’ delle due parti.

Insieme sono giunti alla conclusione che vi sia una logica affine per un piano audace e intraprendente nel settore automobilistico. Tutto questo condurrebbe alla creazione di un Gruppo leader nel mondo in grado di cogliere le opportunità con successo, attraverso la gestione efficace delle sfide che la nuova era della mobilità propone.

Dalle vendite stimate (circa 9 milioni di autoveicoli all’anno), deriverebbe un ricavo congiunto di circa 170 miliardi di euro, con utile operativo corrente che dovrebbe superare gli 11 miliardi di euro.

Data l’importanza che rivestono nel settore i due colossi dell’automotive, la notizia della conclusione degli accordi non può che avere suscitato interesse da parte della stampa a livello internazionale.

Alcuni titoli:

“Peugeot owner in merger talks with Fiat Chrysler” (Peugeot in trattative di fusione con Fiat Chrysler) The Guardian

“Peugeot, FCA accelerate merger talks” Reuters – (Peugeot e FCA accelerano le trattative sulla fusione”

Fiat Chrysler and PSA, Maker of Peugeot, to Merge” – (Fusione tra Fiat Chrysler e Psa) New York Times

“Fiat Chrysler and Peugeot parent PSA in merger talks” – (Fiat Chrysler e Peugeot in trattative di fusione) Financial Times

GOOGLE CERCA IL RILANCIO CON IL WEARABLE

DI VIRGINIA MURRU

 

Alphabet, società che controlla Google, ha lanciato un’offerta per l’acquisizione della società Usa che produce dispositivi da ‘indossare’ Fitbit, con l’obiettivo di entrare nel consistente mercato dei rilevatori di attività fitness-sportiva. Le trattative sull’acquisizione sarebbero in corso, ma nulla trapela sul suo esito. L’interesse di Google nella produzione di ‘orologi sportivi’, è quella di portare in crescita la divisione hardware.

 

Google è un gigante che primeggia tra i motori di ricerca e nell’advertising, ‘eclettico e multitasking’, Alphabet, tuttavia, la sua holding,  mostra segni di cedimento sul piano della solidità, poiché risultano in calo gli utili, e in rapporto alle entrate si riscontra un aumento nei costi.

 

L’acquisizione dovrebbe permettere al gigante della tecnologia statunitense di entrare nel grande mercato di dispositivi per la fitness e ‘smart-orologi’ (smartwatcher). Secondo l’Agenzia Reuters, che non riporta le fonti né l’entità dell’offerta in gioco, al momento non c’è alcuna certezza che la trattativa in corso si concluda con un accordo.

 

Da quando è stato lanciato il primo tracker, o ‘accessorio’ per attività sportiva nel 2009, la tecnologia wearable è in progressiva crescita, ed è destinata a diventare sempre più popolare in futuro.

Attualmente Google coopera con altri big dell’alta tecnologia nel settore, come Samsung ed Apple per sistemi avanzati nella produzione di smartphone,  ma non aveva mai diretto l’attenzione ai dispositivi werable (da indossare).

Sia Google che Fitbit non hanno commentato le notizie diffuse dalla stampa, né rilasciato dichiarazioni in merito.

E tuttavia i mercati hanno reagito positivamente a questi ‘rumors’: le azioni Fitbit hanno evidenziato un rialzo del 40% dopo la notizia sulla potenziale acquisizione.

 

 

PUBBLICATO NELLA GAZZETTA UFFICIALE IL DECRETO FISCALE 2020

DI VIRGINIA MURRU

 

Il provvedimento ufficiale e definitivo è stato appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale N. 252/2029 (ieri 27 ottobre), dopo il vaglio del Presidente della Repubblica, che lo ha firmato. Entra così in vigore il decreto fiscale 2020 – decreto legge N. 124/2019, collegato alla Legge di Bilancio.

Con i suoi 60 articoli il Governo ha diretto il focus sulle misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva (e all’uso del contante), ma tra gli esperti del fisco sono già in atto discussioni e polemiche sui reali intenti del Governo, dato che in realtà le nuove norme sembrano orientate in primis al recupero di risorse. Attraverso l’entrata a regime dei provvedimenti si prevede infatti di portare nelle casse dell’Erario circa 3 miliardi di euro in termini di gettito aggiuntivo, in virtù del controllo esercitato sull’evasione tendenziale dei contribuenti.

Tra le novità che cambieranno le abitudini degli italiani c’è il calo di soglia del contante, e un inasprimento delle pene sugli anni di carcere per gli evasori, ma è prevista anche l’abbassamento della soglia al di là della quale scatteranno le manette. Tra i cambiamenti l’incentivazione all’uso della moneta elettronica, con la cosiddetta ‘lotteria degli scontrini’, una per l’esercizio commerciale e l’altra per il consumatore, previsto allo scopo un finanziamento di 45 milioni di euro.

Ci sono già diversi esponenti politici che si oppongono al carcere per gli evasori, in primo piano il vice ministro dell’Economia Antonio Misiani, il quale sostiene che per ridurre l’evasione il passaggio cruciale è l’incentivazione della moneta elettronica, non il codice penale. Misiani è del parere di ‘rivedere’ anche la tassa sulle bibite gassate.

Difende comunque le misure della manovra, e infatti dichiara in merito al quotidiano Repubblica:

“Si tratta di una manovra che risparmia agli italiani la ‘Salvini tax’, che considera ‘il tratto distintivo della manovra’ poiché evitando il disinnesco delle clausole di salvaguardia Iva, si risparmia in media alle famiglie oltre 540 euro”.

Se i primi a mettere in discussione l’efficacia delle misure contenute nel decreto fiscale, sono gli stessi esponenti politici che sostengono il Governo, significa che sussistono ragioni e criticità che si potevano in qualche modo contenere o ridurre. E non si tratta solo dell’inasprimento delle pene agli evasori, è lo ‘spirito’ stesso dei provvedimenti che sfiorano eccessi suscettibili di critiche, anche severe negli ambienti degli ‘addetti ai lavori’ nel versante tributario.

E’ pur vero che in seguito alle conseguenze della disastrosa politica economica posta in essere dal precedente Governo – con pesanti risvolti per le finanze dello Stato e aumento dell’indebitamento – il nuovo esecutivo sente l’urgenza di recuperare risorse, ma forse la lotta per il contrasto all’evasione diventa quasi un fine ‘subalterno’ rispetto a quello di colpire il contribuente, già piuttosto tartassato, anzi tra i più ‘bistrattati’ in Europa.

Certamente un anno di rivolta dei mercati finanziari, e lo spread che ha marciato a velocità sostenuta per tutta la durata del precedente esecutivo, ha causato danni e non ha sicuramente contribuito ad alleggerire il debito pubblico. Il rimedio doveva essere una pillola amara, e questo era già nell’aria, in fin dei conti a pagare gli errori e la mancanza di efficienza degli amministratori pubblici sono sempre i cittadini.

Secondo gli esperti tuttavia, il decreto, così com’è strutturato, rischia di ‘aggredire’ i piccoli contribuenti, quindi le famiglie e le imprese. Meno le multinazionali, per esempio, che se la sono sempre cavata a buon mercato gli anni scorsi con le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate, versando, tramite patteggiamento, il 20% circa dell’importo esatto dalle Autorità italiane, ovvero spiccioli. Google, Facebook, Amazon e altre multinazionali, hanno usufruito di questi ‘maxi condoni’, mentre il contribuente, in proporzione subisce un trattamento ben più severo.

Per i giganti del web la verità è che l’Italia è un gran bel paradiso fiscale, e lo dimostra il fatto che per il 2018, i big dell’hi-tech hanno versato solo 37 milioni di euro: si argomenta poi intorno ad Airbnb, Uber, Facebook, Apple, Amazon e altre. Di fatto restano privilegiate rispetto alle grandi imprese del Paese, che in proporzione versano ben più di questi giganti. Così Facebook, Google, Apple e Amazon hanno patteggiamento 825 milioni di versamenti all’erario, quale risarcimento per la mancanza di ‘compliance fiscale’ negli anni passati. Quasi una beffa.

Sono considerazioni che incidono poi sulle critiche ai provvedimenti anti-evasione, che dovrebbero davvero essere più aspri per queste big del web, le quali concludono affari sostanziosi nel Paese, ma finora hanno fatto di tutto per bypassare le norme sul Fisco italiano. Bisogna dire, se può confortare, che l’Italia non è la sola ‘vittima’ delle multinazionali, con redditi enormi, e basterebbe pensare ad Amazon..

Che cosa cambia ancora il decreto fiscale appena pubblicato in Gazzetta? Tanto, le compensazioni fiscali sono un punto importante, certamente tra i meno graditi al contribuente, in quanto tali compensazioni richiederanno tempo per essere recuperate. Con un credito che superi  le 5mila euro, per esempio, qualora s’intendesse utilizzarlo in compensazione, è necessario in primis richiedere l’intervento di un commercialista che dovrà apporre il cosiddetto ‘visto di conformità’, quindi attendere la presentazione della dichiarazione dei redditi. Ed è necessario il decorso di 10 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione fiscale di riferimento.

La novità sulle compensazioni consiste sul fatto che si estende ciò che attualmente è previsto per la dichiarazione IVA anche a quella dei redditi, Irap e modello 770. Pertanto un doppio vincolo alla possibile compensazione.

Di fatto, una persona fisica che reclama un credito fiscale nel corrente anno, non potrà utilizzarlo prima del terzo trimestre del 2020, e a giustificazione di questo ritardo, ci sono le varie procedure burocratiche d’intralcio e i relativi controlli. Pertanto nella successiva dichiarazione di giugno si dovrà versare l’acconto, il compenso arriverà più avanti e a giugno non lo si potrà utilizzare.

Non c’è da rallegrarsene: anziché rendere più elastica e snella ogni procedura, si tende a complicarla, ma in questo caso (quasi sempre tuttavia è così, basti pensare ai rimborsi Inps..) ad avvantaggiarsene è lo Stato, e non certo quale ‘effetto collaterale’ involontario. E’ pertanto difficile parlare di evasione fiscale quando i provvedimenti per il contribuente risultano così contorti.

Altra nota non meno dolente riguarda le ‘maxi sanzioni’ sui modelli F24, per i quali un errore può costare caro: si parte da mille euro di sanzione per ogni modello ‘di scarto’, e non è neppure consentito avvalersi del ‘cumulo giuridico’, norma che permette di ridurre le sanzioni nel caso di errori multipli involontari dello stesso tipo.

Il decreto ha previsto controlli sui dati delle fatture elettroniche eseguite dall’Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, che diventano strutturali: su tali controlli (sui file relativi alle fatture elettroniche) si può procedere in un arco di tempo di otto anni.

Come si è accennato è un sistema fiscale che perfino gli esperti, i quali ogni giorno si misurano con queste norme, trovano complicato e profondamente ingiusto, in quanto colpiranno molto più facilmente i piccoli contribuenti e risparmieranno i giganti dell’hi-tech.

In 60 articoli sono dunque contenute  alcune delle misure principali della manovra, tranne le nuove tasse su bibite gassate e plastica, e neanche il cosiddetto ‘premio della befana’, per chi pagherà da luglio con la carta. Né lo stop all’aumento dell’Iva, tutti i provvedimenti attesi nella Legge di Bilancio. Salta anche la norma che dava accesso ai fondi della cooperazione da parte delle imprese operanti nel settore della difesa.

Mentre arriva una riduzione del secondo acconto di Irpef Irap e Ires delle dichiarazioni per le partite Iva che applicano gli Isa, ossia gli indici che hanno sostituito gli studi di settore. Infine trova posto nel decreto il rifinanziamento di 400 milioni del prestito per Alitalia che vuole sostenere l’ultimo fase della cessione della Compagnia aerea.

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BCE. CON L’ULTIMA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO SI CONCLUDE IL MANDATO DI MARIO DRAGHI

DI VIRGINIA MURRU

 

Oggi Mario Draghi presiederà l’ultima riunione del board, prima di lasciare le consegne nelle mani di Christine Lagarde, fresca di nomina a nuovo Presidente della Banca Centrale Europea.

Negli ultimi giorni diversi rumors hanno annunciato il nuovo piano relativo alle misure di politica monetaria. Secondo queste indiscrezioni gli acquisti di asset oscilleranno tra i 500 e i 1.000 miliardi di euro. In data odierna si preciseranno, nel corso dell’ultima conferenza stampa che terrà il presidente uscente tra alcune ore, le modalità degli acquisti, se si tratterà solo di titoli di Stato o anche di società, la durata degli stessi e la portata mensile.

E’ ovvio che queste dichiarazioni vagliate dal Consiglio Direttivo della Bce incideranno sul sentiment dei mercati nei mesi successivi. Come accade da ormai diversi anni con la forward guidance, soprattutto da quando il presidente Draghi ha scelto d’intervenire in area euro con l’introduzione del Qe, e un piano di allentamento monetario che si era prefisso, quale primo obiettivo, di raggiungere un target d’inflazione ‘prossimo’ al 2%, ma anche d’incentivare l’economia della zona euro.

Ci sono stati movimenti in positivo dell’inflazione negli anni scorsi (2016/17), così come una spinta propulsiva della crescita economica in Eurozona, ma poi situazioni d’instabilità di carattere globale hanno condizionato le dinamiche cicliche per quel che concerne l’assetto dell’economia nei Paesi dell’area. Il Presidente Draghi del resto ha sempre messo in rilievo l’incertezza derivante dalle politiche protezionistiche del Governo americano, che non hanno risparmiato i Paesi dell’Ue, e creato attriti tra le due superpotenze, ossia con la Cina, bersaglio numero uno nella politica dei dazi seguita dagli Usa. Le situazioni geopolitiche in Iran, le tensioni in Medio Oriente e i tanti focolai di guerra, non contribuiscono a creare un clima di stabilità sul piano internazionale.

A settembre il Consiglio Direttivo della Banca Centrale aveva deciso un taglio dei tassi e un rilancio della politica monetaria espansiva, con relativo acquisto di asset volto a scuotere l’economia dell’Eurozona.

E tuttavia dalla riunione odierna del Consiglio Direttivo, alla quale seguirà la consueta conferenza stampa, si attendono ulteriori dichiarazioni in merito alla politica monetaria della BCE. Evento atteso e importante, come si è accennato, per il passaggio di consegne alla Presidenza: sulla scomoda poltrona della BCE arriva dunque Christine Lagarde, alla quale l’esperienza in ambito finanziario non manca di certo, dato che lascia la guida del Fondo Monetario Internazionale.

Negli ultimi mesi le tensioni e divergenze nel Consiglio Direttivo della Bce sono state palpabili, l’impressione è che Draghi si lascerà dietro incognite e contrapposizioni sulla linea programmatica seguita dalla politica monetaria, che ha sempre incontrato forti opposizioni soprattutto dai rappresentanti dei Paesi del Nord, in particolare i tedeschi, da sempre in contrasto con le misure di accomodamento monetario.

Ripartirà dunque fra tante polemiche il Qe, ad un ritmo di 20 miliardi di euro al mese, sembra che questi parametri siano ormai fissati, e oggi su tali direttive il presidente Draghi non dovrebbe comunicare nulla di nuovo.

Secondo Reuters ci sarebbero 5 importanti quesiti utili ai mercati sugli sviluppi degli importanti eventi riguardanti la BCE.

Il primo verte sulle eventuali iniziative o possibili novità che potrebbero essere rivelate nella riunione di oggi, al di là di ciò che è stato dichiarato, ma esperti ed economisti non prevedono cambiamenti di rilievo. Lo spazio del confronto sarà occupato dal cambio di guardia alla Banca Centrale. Non mancheranno valutazioni sulle aspettative concernenti il tasso d’inflazione, dal quale non sono attese variazioni rilevanti. Non mancherà, dato il clima che si è creato nel Consiglio Direttivo, chi farà notare lo scarso contributo in termini di crescita economica che apporterà il nuovo orientamento di stimolo adottato con la reintroduzione del Qe.

Il secondo quesito mette proprio l’accento sulle divisioni interne alla Bce, ma ormai Draghi sta per ‘mollare gli ormeggi’, e sarà la nuova presidente Lagarde a cercare di ridurre lo spazio delle divergenze in questo spartiacque di vedute, che non hanno reso facile la presidenza Draghi. Gli esponenti politici e delle relative Banche centrali sono i più ostili alla politica di acquisto di obbligazioni. Non sarà facile neppure il mandato di Christine Lagarde, l’”italiano”, malgrado i contrasti interni, è andato avanti a ‘colpi’ di maggioranza, ora il nuovo assetto dipenderà dalla visione che la ‘new entry’ ha della politica monetaria, anche se, in tante circostanze, le convergenze con Mario Draghi sono state pubblicamente evidenti.

La terza domanda utile ai mercati, secondo Reuters, riguarda i dettagli da mettere a punto sull’acquisto di asset. Per quel che riguarda la sottoscrizione di titoli governativi tedeschi, alla Bce resta circa un anno. I Paesi più ostili al Qe sono Francia e Germania, ma è noto che un terzo dei responsabili politici non concordano con la politica monetaria espansiva, che non avrebbe prodotto risultati positivi di riflesso in termini economici, e sarebbe anzi controproducente per la crescita e l’inflazione.

Un altro interrogativo più che interessante riguarda gli istituti di credito e il tiering’.

Per il tiering sui depositi, ossia sulle riserve eccedenti di liquidità, a settembre la Bce ha alzato la commissione a -0,5%, con l’intento di proteggere l’area euro dalla tendenza al rallentamento dell’economia globale, per la quale s’intravedono anzi ombre di recessione.

La Bce ha inoltre concesso un’esenzione da questa commissione su ogni deposito che superi di sei volte le riserve obbligatorie di un istituto di credito, tramite il tasso differenziato sui depositi.

Queste iniziative della Banca centrale, tuttavia, sono state interpretate come un indiretto ‘inasprimento monetario’, che potrebbe limitare le aspettative su ulteriori tagli dei tassi.

E infine l’ultimo quesito riguarda le attese per il messaggio finale del presidente uscente, Mario Draghi.

Anche se il suo discorso, per certi versi – considerato l’orientamento chiaro sulla politica monetaria rivelato negli ultimi mesi – potrebbe quasi apparire scontato. Nessuno si aspetta giustificazioni sul suo operato, del quale ovviamente è stato pienamente convinto, insieme alla maggioranza che ne ha sostenuto le scelte, ma ci sarà verosimilmente un resoconto che concluda in ‘leggerezza’ di toni e considerazioni il mandato, senza inutili ricorsi alle ragioni di chi ha cercato di ostacolarne le misure negli otto anni di permanenza alla Banca Centrale. Nulla di eclatante, o di retorico quindi ci dovrebbe essere nel discorso ‘di addio’ del Presidente uscente.

Intanto i mercati in Europa sono ottimisti, aprono in positivo e proseguono in mattinata in rialzo, chiude in rialzo anche la Borsa a Tokyo, con l’indice Nikkei che ha chiuso gli scambi a +0,55%, a 22.750 punti.

A Piazza Affari l’indice FTSE Mib continua la seduta in positivo, +0,67%. Le indicazioni già tratteggiate a settembre dalla Bce incoraggiano le contrattazioni, in forte rialzo il gruppo Saipem, in seguito alla diffusione dei risultati trimestrali; benissimo anche per STM (STMicroelectronics NV).

Bilancio positivo dunque per le Piazze del Vecchio Continente, galvanizzate dall’annuncio sullo stop delle sanzioni Usa alla Turchia, coinvolta nella mattanza in Siria. Al momento i mercati hanno giudicato positivo anche il possibile rinvio della Brexit da parte dell’Unione europea. L’euro guadagna qualcosa sul biglietto verde: sale a quota 1,113.

Stabile lo spread, che oscilla nelle ultime settimane tra i 130/138 punti base.