OGGI ULTIMO APPELLO PER ROTTAMAZIONE TER

DI VIRGINIA MURRU

 

Ultimo ‘richiamo’ per i contribuenti che hanno aderito alla cosiddetta ‘rottamazione-ter’ e al ‘saldo e stralcio’ delle cartelle. Ma prima vediamo cos’è il “saldo e stralcio”.

Si tratta dei carichi che derivano dagli omessi versamenti dovuti in autoliquidazione, secondo le dichiarazioni annuali, nonché quelle originate dai contributi previdenziali a carico degli iscritti alle Casse professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi Inps.

Secondo le informazioni presenti nel sito dell’Agenzia delle Entrate, il ‘saldo e stralcio’ è stato introdotto dalla Legge n. 145/2028, e fa riferimento ad una “riduzione delle somme dovute per i contribuenti in grave e comprovata difficoltà economica”.

Riguarda solo le persone fisiche e alcune tipologie di debiti, che fanno riferimento a competenze affidate all’Agente della riscossione, a cominciare dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2017.

Sui carichi che provengono da versamenti omessi di contributi, e dovuti agli iscritti alle Casse previdenziali professionali, l’applicazione al saldo a stralcio è condizionata all’approvazione di una specifica delibera che ogni Cassa aveva l’onere di pubblicare sul proprio sito internet istituzionale, nei termini previsti, ossia entro il 16 settembre scorso, dandone debita comunicazione nella medesima data all’Agente della Riscossione tramite pec.

Come già accennato, il ‘saldo e stralcio’ fa riferimento solo a persone fisiche che si trovano in una situazione economica di comprovata difficoltà, ovvero:

  • Se il valore ISEE concernente il proprio nucleo familiare non va oltre i 20mila euro
  • Se alla data di presentazione della dichiarazine di adesione è stata presentata la procedura di liquidazione (art. 14-ter della Legge 27-01-2012 – n. 3).

Oltre a prevedere una riduzione degli importi dovuti, permette anche l’azzeramento di sanzioni e interessi di mora. Per l’accesso a questo diritto la Legge n.145/2018 ha fissato una scadenza, ed era quella relativa al 30 aprile scorso, come termine ultimo di chiamata per la presentazione della dichiarazione di adesione.

Il Decreto Legge n. 34/2019 – il Decreto Crescita – aveva riaperto i termini per l’adesione al ‘Saldo e stralcio’, fissando un nuovo termine di scadenza per la presentazione della domanda di adesione: il 31 luglio 2019.

La data del 2 dicembre 2019 – data odierna – permette dunque a tutti coloro che hanno aderito alla rottamazione ter e saldo e stralcio delle cartelle, il versamento della seconda rata (o della prima e seconda per i ritardatari). L’onere riguarda una platea di 1,8 milioni di contribuenti, su 15 milioni di cartelle e avvisi, che potranno versare gli importi previsti in modo agevolato.

Lo aveva fatto presente l’Agenzia delle Entrate-Riscossione – con comunicato diffuso tre giorni fa – che è prevista l’inefficacia della definizione agevolata per coloro che mancheranno di versare tali importi dovuti in modo insufficiente, o tardivo pagamento anche di una sola rata, oltre la tolleranza dei 5 giorni previsti per legge.

Il comunicato relativo al 29 novembre precisava anche le imminenti scadenze riguardanti la pace fiscale, si tratta degli ultimi giorni utili per il versamento della rata in scadenza in data odierna (2 dicembre 2019), per coloro che hanno aderito alla rottamazione ter e saldo e stralcio delle cartelle. Il termine è stato posticipato poiché il 30 novembre è un sabato, per questa ragione la scadenza è stata spostata al primo giorno utile successivo, e pertanto al 2 dicembre.

La platea degli interessati riguarda 385 mila contribuenti (con adesione al saldo e stralcio) e 267 mila saranno i ‘ritardatari’ della rottamazione ter, ossia coloro che hanno beneficiato della riapertura dei termini fino al 31 luglio scorso per la presentazione della domanda, il cui termine iniziale era quello del 30 aprile 2019.

Agli aventi diritto si aggiunge un’altra platea di circa un milione e 170 mila contribuenti, che hanno presentato dichiarazione di adesione alla rottamazione ter entro il 30 aprile, compresi i coloro che non hanno assolto l’onere del versamento della prima rata il 31 luglio scorso. Per queste categorie di contribuenti è previsto il rientro nel beneficio della rottamazione, versando però prima e seconda rata nel termine ultimo fissato per la data odierna, 2 dicembre. E ovviamente dovranno pagare la seconda rata coloro che hanno regolarmente versato la prima entro il 31 luglio.

Secondo i giorni lavorativi utili nel calendario di dicembre, con la tolleranza massima prevista di 5 giorni, saranno validi tutti i versamenti regolarizzati entro il 9 dicembre 2019. Andare oltre il termine, come si è visto,  invalida l’efficacia relativa alla definizione agevolata. La prassi prevede pertanto che l’azione di recupero sia esercitata dall’Agente della Riscossione.

Secondo le modalità previste dall’Agenzia, le rate del saldo e stralcio e rottamazione ter potranno essere versate tramite banca, sportelli ATM abilitati a questo genere di servizio, oppure tramite l’home banking, uffici postali, tabaccherie abilitate a Banca 5 Spa, e infine nei circuiti Sisal e Lottomatica, sullo stesso portale dell’Agenzia Entrate-Riscossione, mediate l’App Equiclick nella piattaforma PagoPa e sportelli.

Ma come ultima possibilità, il versamento potrà essere eseguito, secondo le indicazioni dell’Agenzia, anche tramite “compensazione con crediti commerciali non prescritti, certi liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture, appalti e servizi nei confronti della Pubblica Amministrazione”.

La grande platea di contribuenti che hanno aderito alla rottamazione ter e saldo e stralcio, che porterà all’erario circa 1,2 mld di euro, importo che si aggiungerà a quello già riscosso entro il 31 luglio scorso con la prima rata, per un valore pari 1,6 mld di euro. Il gettito complessivo atteso dai due provvedimenti concernenti la definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo, sarà pertanto una cifra stimata in 2,8 mld.

Il valore dell’incasso previsto è stato inserito nell’atto aggiuntivo tra Mef e Agenzia Entrate-Riscossione, ed è stato comunicato a novembre dal presidente Antonino Maggiore, nel corso della sua audizione a Montecitorio. Attraverso le sue dichiarazioni si è appreso che la scadenza del 31 luglio scorso ha prodotto, con la platea di contribuenti che hanno versato la prima rata, degli incassi superiori a quelli previsti, e ci si aspetta pertanto che con la scadenza del 2 dicembre i risultati complessivi conseguiti potrebbero superare di gran lunga le attese.

 

GUALTIERI: NON E’ OPPORTUNO CAMBIARE IL MES. BAGARRE IN AULA

DI VIRGINIA MURRU

 

Un fuoco di fila di accuse e polemiche sul Mes da parte delle opposizioni in Parlamento, neppure le rassicurazioni del premier Giuseppe Conte, le dichiarazioni di Pierre Moscovici e quelle del  ministro dell’Economia, sono state in grado di placare le proteste e la veemenza delle invettive contro il Governo. Non semplici diverbi o confronti accesi, questi giorni si è sfiorata la rissa tra i rappresentanti della maggioranza e le opposizioni.

Il ministro dell’Economia Gualtieri, in audizione  davanti alle Commissioni riunite di Finanze e Politiche Ue, a Palazzo Madama, è piuttosto diretto e mira al bersaglio delle accuse, senza circonvoluzioni di parole. Così si esprime, puntualizzando sull’infondatezza delle obiezioni che provengono dai banchi della Lega e Fratelli d’Italia:

“Che il Meccanismo europeo di stabilità costituisca un pericolo, e rappresenti un’insidia per la stabilità finanziaria dell’Italia, così come  l’essere considerato un’innovazione tra due categorie di Paesi, io lo trovo comico.”  Ha poi affermato che il cosiddetto ‘backstop’ (ovvero la possibilità che il Mes sia utilizzato dal Fondo per le Risoluzioni Bancarie), in sintesi aumenta i fondi fino a raddoppiarli al fine di salvare gli istituti di credito, e pertanto questo punto rappresenta semmai un vantaggio per l’Italia, non l’erta che intravedono le opposizioni. “Le informazioni al riguardo sono distorte, sicuramente non corrette” – aggiunge il ministro.

Gualtieri non ci sta all’informazione scorretta e non può che fare chiarezza sulle caratteristiche della riforma del Mes, sostenendo con forza che la modifica alle linee di credito precauzionale prevista non è quello spettro che si vuole presentare alla gente, ha ben altre funzioni. Dice infatti:

“Coloro che scrivono o affermano che la riforma del Trattato istitutivo del Fondo Salva-Stati introdurrebbe la norma inerente una supposta ristrutturazione automatica del debito, afferma il falso”

Ci sono state certamente spinte al riguardo da parte dei Paesi più forti, come la Germania, che pur ‘foraggiando’ il Fondo con  l’equivalente del 27% sul totale delle disponibilità (con una capacità di 650 miliardi di euro), e non avendo necessità di utilizzarli, avrebbe avuto l’interesse a creare vincoli, ma questa linea non ha prevalso, e pertanto i timori al riguardo sono ingiustificati.

Ed è bastato precisare per scatenare la rivolta delle opposizioni che hanno chiesto immediatamente chiarimenti da parte del premier, il quale dovrebbe ‘con urgenza’ riferire al riguardo in Aula, reo, secondo le accuse, di avere siglato accordi sulla riforma del Fondo-salva Stati, senza il parere del Parlamento. Accuse alle quali più volte il premier ha replicato con forza, e precisi riferimenti temporali sulle tappe seguite dal Mes nel suo iter di approvazione.

A nulla è servito che Gualtieri abbia sottolineato che il Mes non danneggerà in alcun modo l’Italia in quanto non ci sarà alcun automatismo sulle procedure previste, non mancando di fare osservare quanto sia inaudito che solo ora le opposizioni abbiano espresso tutto il loro rigetto adducendo giustificazioni che nei fatti non sussistono.

E per fugare ogni dubbio, a chi gli chiede se esista la possibilità di un rinvio del negoziato, egli risponde che non è possibile poiché il testo del Trattato è ormai chiuso. Non esiste neppure un vero negoziato sul testo, ma una discussione aperta sugli aspetti esterni.  E aggiunge che sarebbe addirittura controproducente per l’Italia fare slittare di due o tre mesi la ratifica, dato che il trattato semmai rischia di essere così modificato in peggio. “Il Governo, comunque – afferma Gualtieri – si atterrà alle disposizioni del Parlamento”.

Non si può nemmeno bersagliare indebitamente il ministro delle Finanze della Germania: il timore che egli intendesse trasformare il Mes in qualcosa che assolvesse le funzioni di un Ministero delle Finanze europeo, è infondato, forse ha tentato d’introdursi su questa strada, ma la sua proposta non ha avuto seguito, dato che il  cosiddetto Fondo Salva Stati non può, per regolamento interno, occuparsi di materie inerenti la Politica Economica dei Paesi membri.

Pertanto i poteri insiti nella Commissione europea non declineranno a favore di altre Autorità ‘tecniche’, qual è appunto il Mes.

Ma ormai le opposizioni non sentono ragioni, c’è un’esca pronta, e anche se non abbocca, si insiste nel mettere sotto accusa i vertici del Governo, ricorrendo ad invettive pesanti, definendo le dichiarazioni del ministro dell’Economia perfino ‘eversive’. Il premier Conte avrebbe approvato il testo definitivo della riforma senza l’avvallo preventivo del Parlamento, realtà, sempre secondo i rappresentanti della Lega e Fratelli d’Italia, che implicherebbe gravi responsabilità.

La destra ha promesso battaglia sulla questione, dichiarando che il 9 dicembre i loro parlamentari si faranno trovare a Bruxelles, per protesta contro la riforma del  Fondo Salva-Stati.

In tono di ultimatum, così hanno replicato rivolgendosi al Governo (tramite il presidente della Commissione Bilancio, Claudio Borghi, Lega):

“Il premier Conte deve rendere conto della decisione di approvare la riforma in Aula, non si può scavalcare il Parlamento su questioni così importanti, qualora non lo facesse l’avvocato del popolo dovrà cercarsi a sua volta un avvocato, perché noi lo porteremo in tribunale.”

Ricordiamo che il Mes è un’Organizzazione intergovernativa istituita tra il 2011/12, e agisce in ambito Eurozona col fine di supportare i Paesi in condizioni di emergenza di carattere economico (Si rese necessario allora per aiutare Irlanda e Portogallo, sull’orlo del default). Un semplice Fondo che i Paesi più abbienti dotano di risorse più consistenti rispetto a quelli più fragili.  Qualora si verificassero problemi economici, il Fondo è dunque pronto ad intervenire. In sostanza questi sono gli obiettivi che hanno portato alla sua istituzione, anche se in realtà il suo funzionamento interno è un po’ più complesso.

 

 

ISTAT. IN CALO A NOVEMBRE L’INDICE DI FIDUCIA DEI CONSUMATORI

DI VIRGINIA MURRU

 

Secondo le ultime stime dell’Istat, le famiglie italiane sono seriamente preoccupate per l’andamento dell’economia, evidente dal notevole calo dell’indice del clima di fiducia dei consumatori, che a novembre registra una flessione, passando da 111,5 a 108,5. L’indice di fiducia dei consumatori è ai minimi dal 2017.

Sempre secondo i dati Istat, invece, l’indice composito del clima di fiducia delle imprese evidenzia un lieve aumento: da 98,9 a 99,1. L’Istituto di Statistica fa notare che “la diminuzione dell’indice di fiducia dei consumatori è la sintesi di andamenti negativi di tutte le sue componenti: diminuisce il clima economico, passando da 127,2 a 116,3 – il clima corrente cala da 107,9 a 106,8, e il clima futuro va in contrazione da 116,1 a 110,2 – tranne quella personale, in cui l’indice aumenta in modo lieve: da 105,4 a 105,8.

Per quel che concerne le imprese, dal settore industriale affiorano segni d’incertezza; i servizi registrano invece una stabilità sostanziale degli indici. Diminuisce l’indice nel settore manifatturiero, nel comparto delle costruzioni. Nei servizi inerenti il mercato l’indice resta a quota 99,6 – senza variazioni rispetto al mese precedente. Anche il commercio al dettaglio risulta stabile.

Sul clima manifatturiero si riscontra una variazione negativa per quel che riguarda i giudizi sugli ordini e attese di produzione, da qui il deterioramento dell’indice. L’evoluzione negativa riscontrata nel comparto costruzioni, è stata causata dal peggioramento dei giudizi sugli ordini, e in particolare da un ‘deciso ridimensionamento delle attese sull’occupazione’.

Il comparto dei servizi di mercato segna un miglioramento dei giudizi e delle attese sugli ordini; in peggioramento invece i giudizi sull’andamento degli affari. La diminuzione (lieve) dell’indice di fiducia nel commercio al dettaglio, è causata dal deterioramento dei giudizi e delle attese sulle vendite, ma in miglioramento risultano i giudizi sulle scorte.

 

ALITALIA AL MOMENTO IN UNA DERIVA, L’ESECUTIVO NON TROVA ADEGUATE SOLUZIONI DI MERCATO

DI VIRGINIA MURRU

 

La Compagnia di bandiera italiana sta affrontando uno dei momenti più tormentati della sua storia, si è arreso anche il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, il quale in modo disarmante, davanti alla Commissione Industria, dichiara: “Al momento non esistono soluzioni di mercato”.

E lo sconcerto aumenta. E’ stata la decisione di Atlantia a condurre in questo vicolo cieco e ad aggiungere un altro capitolo al lungo repertorio di traversie della Compagnia italiana. Atlantia, uno dei soci del Consorzio che stava per concludere solo una settimana fa l’accordo che avrebbe acceso lo start sulla Newco, con una governance affidabile e tanti buoni progetti. Il rimpianto sulle riserve di Lufthansa certo restava, dato l’espresso rifiuto dei tedeschi di entrare a fare parte dell’equity, ma si poteva comunque lasciare una possibilità in un ‘cantiere’ aperto, e qualche sviluppo strada facendo poteva delinearsi, soprattutto se in termini di conti fossero emersi i risultati che si auspicavano.

Ci contava il Governo tramite il supporto diretto del Mef, FS, Delta, il vettore americano che aveva fiducia in quel convoglio di partner ormai fermo a pochi passi dal traguardo. Insomma tutto da rifare, e di proposte allettanti, in grado di cambiare sul serio la sorte della Compagnia italiana, nemmeno l’ombra, per ora. Solo ipotesi, idee che viaggiano nel buio dell’incertezza.

Intanto, Alitalia, che malgrado tutto produce utili incoraggianti – secondo il resoconto dei Commissari, costretti a fare slalom in termini di strategie nell’amministrazione straordinaria – continua anche imperterrita a divorare risorse: inghiotte 900mila euro al giorno. E accanto ai ricavi messi in rilievo dai tre Commissari spunta il passivo: nel 2019 la Compagnia avrebbe registrato 600 milioni di perdite.

Il Governo ha già deciso, poche settimane dopo il suo insediamento, di stanziare 400 milioni a supporto della Compagnia, ma devono ancora essere resi i 900 milioni del cosiddetto ‘prestito ponte’, anche quelli macinati in un vortice che  non si riesce a bloccare.

E allora quanto ci sta costando il vettore simbolo dell’Italia nel mondo? Possibile che tanto prestigio possa essersi dissolto dietro le pieghe di tanti, troppi errori di gestione? Non sembra verosimile che un Paese assediato dal turismo straniero – secondo le statistiche infatti, dal 2009 è aumentato del 35% –  Alitalia non abbia svolto quel ruolo strategico che dovrebbe essere quasi scontato. Come non si trovasse posto in casa propria, in una mensa bene apparecchiata.

C’è un rapporto diretto tra turismo e collegamenti, e non c’è da esserne fieri se Alitalia ha lasciato alle Compagnie  più blasonate la parte del leone sul mercato. Così i conti non tornano, e ad ogni ‘ripartenza’ corrisponde una ‘ricaduta’, nella voragine di una crisi diventata  ormai  male cronico che non si riesce a portare in remissione. Per questo il suo dossier è in perenne attesa di soluzioni. Alitalia resta la Cenerentola tra le Compagnie europee, che si presentano con  ben altra ‘grinta’.

L’esecutivo ora è molto cauto, ma secondo le dichiarazioni degli ultimi giorni non si vorrebbe tornare alla formula che si è appena chiusa, anche se resta la disponibilità di FS e Delta, e con il Mef pronto a fare parte della cordata, qualora in quel benedetto orizzonte s’intravedessero prospettive degne di questo nome.  Nelle ultime ore il premier Giuseppe Conte, accende un tenue bagliore nel tunnel in cui è stata lasciata la Compagnia di bandiera: “Stiamo valutando in questo momento delle alternative, si vedrà..”

E Patuanelli, sempre con prudenza, gli fa eco: “Stiamo valutando una serie di opzioni, ma è necessario farlo con attenzione. Di sicuro non ci sarà la proroga sul Consorzio che si era costituito, non c’è più possibilità per quella strada. Ma non ci sarà nemmeno una vendita di asset separati.”

Atlantia si è sfilata dalla cordata del Consorzio perché non si sentiva sufficientemente garantita col piano industriale; certo l’ingresso di Lufthansa nell’equity darebbe un volto solido alla governance, e più fiducia nel futuro. Ma la Deutsche Lufthansa AG, tra le più grandi al mondo (secondo i dati Iata ha 130 mila dipendenti, settima al mondo), il cui slogan è “Say yes to the world”, non gioca mai per perdere, e ritiene che al momento Alitalia non abbia le carte in regola in termini di affidabilità;  le tormentate vicende e i fallimenti ai quali si è esposta negli ultimi vent’anni non costituiscono le credenziali migliori per un partner così attento alle scelte di mercato.

Il management ha dichiarato infatti che prima di decidere un’eventuale coinvolgimento nell’azionariato, è necessario intervenire con una durissima ristrutturazione, in primis con esuberi pesanti al seguito (circa 5 mila unità da sacrificare al risanamento). Solo i piloti salverebbe eventualmente Lufthansa, questi esuberi sarebbero dirottati in altre Compagnie controllate dai tedeschi, per gli altri si aprirebbero le porte della disoccupazione. Conseguenza che i sindacati rifiutano con forza.

L’attuale mancanza di competitività non rende semplici le scelte del Governo sulla sorte della Compagnia di bandiera, da qui la proposta solo commerciale di Lufthansa, anche se il suo migliore destino sarebbe la privatizzazione, purtroppo non facilmente realizzabile.

Si sta valutando la possibilità di nominare un ‘supercommissario’, che sostituirebbe i tre attualmente in attività, ossia Stefano Paleari, Daniele Discepolo ed Enrico Laghi. Ma al momento si tratta di ipotesi, non tuttavia lontane da un’effettiva realizzazione.

Secondo il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, dopo il disastro Atlantia, occorre del tempo per trovare i puzzle veramente giusti, le idee corrono ancora e sempre sul possibile disgelo di Lufthansa, di sicuro è necessario trovare in tempi brevi quel partner internazionale del quale la Compagnia ha bisogno per ripartire con slancio. Alitalia merita un destino migliore, e una governance che non la porti ancora una volta sulla via del dissesto.

 

 

 

 

PROTOCOLLO D’INTESA ABI-SINDACATI: MUTUI SOSPESI ALLE VITTIME DELLA VIOLENZA DI GENERE

DI VIRGINIA MURRU

 

Una misura che in qualche modo fa ‘rima’ con la giornata odierna, oggi ricorre infatti “La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. L’Abi (Associazione bancari italiani), e le Confederazioni sindacali, hanno firmato un protocollo d’intesa per sostenere le vittime della violenza di genere, attraverso la sospensione di mutui in corso per la durata di 18 mesi.

L’intesa agevolerà le donne vittime di violenza, nel rimborso di eventuali crediti, iniziativa intesa come mezzo di contrasto alla violenza, che dovrebbe rientrare nell’ambito di misure più ampie ed efficaci da parte delle istituzioni, secondo il comunicato unitario delle segreterie nazionali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin.

Si legge al riguardo nel sito ufficiale della Cisl:

“Per questo  abbiamo unitariamente proposto ad ABI nel mese di ottobre di poter congiuntamente definire un protocollo che fosse un aiuto tangibile alle tante donne che coraggiosamente intraprendono un nuovo percorso di vita, per sé e per i propri figli, allontanandosi finalmente dagli abusi ed entrando nei percorsi di protezione, e che spesso sono in difficoltà economiche”.

In seguito all’istanza presentata dai sindacati l’Abi ha dimostrato sensibilità e volontà di offrire un sostegno attivo nei confronti delle vittime colpite da violenza di genere, anche col preciso intento di lanciare un messaggio forte in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, che, ripetiamo, ricorre proprio oggi 25 novembre. Dal dialogo con i sindacati è maturato l’accordo per la sigla di un protocollo diretto alla sospensione di mutui e finanziamenti riguardanti le donne vittime di violenza, inserite in percorsi certificati.

I sindacati ritengono che questo impegno sia un importante passo avanti, un altro, dato che, sia i sindacati che l’Abi, non sono nuovi ad iniziative di carattere sociale e culturale di questa rilevanza.

E infatti, proprio all’inizio del 2019, la cooperazione tra sindacati e Abi in temi di carattere sociale ha portato alla sottoscrizione della ‘Dichiarazione congiunta in materia di molestie e violenze di genere sui luoghi di lavoro’, il cui fine è quello di attivare una serie di misure volte al contrasto di ogni forma di violenza contro la donna, e pertanto a segnalare, prevenire e assistere le vittime coinvolte nel fenomeno. Tra le misure destinate alle vittime,  l’elevazione dell’uso del congedo orario o giornaliero.

Il protocollo siglato dai sindacati e Abi, per la data odierna, è un messaggio di presenza nei confronti delle vittime,  una iniziativa posta in essere per farle sentire meno sole e abbandonate dalla società.

Le donne che hanno rapporti di finanziamento con il settore bancario, hanno necessità di supporto “nei loro percorsi di libertà e ritrovata autonomia, e da oggi potranno sospendere la rata capitale dei mutui per il periodo del proprio percorso di protezione, fino a 18 mesi” – dichiara l’Abi.  Il protocollo avrà una validità di 2 anni, e si utilizzeranno tutti i canali idonei alla diffusione dell’informazione circa le iniziative intraprese, al fine di favorire l’adesione da parte delle vittime interessate.

Scrive la Cgil nel sito ufficiale, a commento della ricorrenza: “La violenza maschile contro le donne è un male antico e trasversale che interessa tutto il mondo e deve essere sradicato, garantendo così a tutte le donne il diritto alla libertà e alla dignità.”

CAUSA SCIOPERO, ALITALIA CANCELLA 137 VOLI, INTERVENTI STRAORDINARI PER IL 60% DEI PASSEGGERI

DI VIRGINIA MURRU

 

Com’era stato previsto, oggi parte lo sciopero proclamato dalle sigle autonome dei controllori di volo (Ast-Confsal – Cub Trasporti/AirCrowCommittee – Filt-Cgil, Fit Cisl, Uilt-Uil – Ugita e Assivolo Quadri). Sono stati cancellati 137 voli, e nonostante Alitalia avesse già diffuso la notizia sull’astensione dal lavoro per la giornata odierna, dalle 13 alle 17, negli aeroporti i disagi saranno inevitabili.

Attraverso un tweet la compagnia di bandiera ha indicato alcuni numeri gratuiti ai quali rivolgersi per le necessarie informazioni, anche dall’estero, oltre alla lista dei voli che sono stati cancellati.

Altre agitazioni sono previste nel settore del trasporto aereo, e di conseguenza Alitalia è intervenuta per la cancellazione di alcune tratte nazionali e internazionali.

Al fine di venire incontro ai passeggeri, Alitalia ha organizzato un piano straordinario, attraverso l’impiego di aerei in grado di accogliere un numero maggiore di viaggiatori, sia nei collegamenti nazionali che internazionali, con queste misure sarà possibile permettere al 60% circa dei passeggeri che avevano prenotato un volo, di raggiungere le proprie destinazioni.

Com’è noto già da alcune settimane, l’astensione dal lavoro proclamata dalle principali sigle sindacali, Filt-Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, per il 13 dicembre prossimo, si svolgerà regolarmente.

Intanto l’ottava proroga per la definizione dell’accordo tra i soci del consorzio sembra inevitabile, dovrebbe slittare ormai ‘a data da destinarsi’, per ragioni d’incertezza da parte di Atlantia, per la quale non sarebbero maturate a tutt’oggi le condizioni per una proposta vincolante. Le obiezioni riguardano il piano industriale, che non sarebbe abbastanza solido da garantire un futuro privo di rischi. 

Il premier Conte non intende accettare soluzioni industriali che prevedano ‘toppe’.

Dopo il passo indietro, si è spezzata la cordata a pochi giorni dall’intesa conclusiva. Non parte il Consorzio, disorientamento iniziale al Ministero dello Sviluppo Economico, ma inevitabile la reazione e la volontà di riprendere le redini per dare risposte convincenti. La verità è che quel ‘socio internazionale solido e affidabile’, al quale si aspirava per riprendere l’attività della Compagnia a pieno regime, e con un corso di governance regolare, non si è ancora trovato.

Le compagnie internazionali, considerati i trascorsi e le traversie che hanno determinato una crisi dietro l’altra, mettono in rilievo le loro riserve, e non rischiano d’investire se non mettendo sul tavolo condizioni durissime di ristrutturazione, che includono tagli di costi ed esuberi del personale.

Condizioni che urtano con gli obiettivi dei sindacati di categorie, i quali sottolineano nel corso dei confronti con il Governo, che non intendono accettare mannaie così pesanti per i lavoratori. Tutto questo mentre il Commissario Stefano Paleari, in audizione a Montecitorio, ha di recente comunicato che nel corso dei primi sei mesi dell’anno, la Compagnia ha prodotto ricavi pari a 1 mld e 443 milioni, registrando pertanto una crescita del 3% rispetto al 2018 (aumento tendenziale), e del 7,7% rispetto allo stesso periodo del 2017.

Il Commissario ha anche precisato che alla fine di settembre del corrente anno, la Compagnia aveva in cassa 310 mln, mentre quando è iniziata l’amministrazione straordinaria in cassa c’erano 83 milioni. Risultati da non sottovalutare, suscettibili di notevoli miglioramenti, allorché la Compagnia, con una cordata di soci interessati al suo potenziamento e sviluppo, ripartirà con una newco e prospettive più certe.

 

PERPLESSITA’ DELL’ABI SULLA RIFORMA MES, IL PREMIER E GUALTIERI RASSICURANO

DI VIRGINIA MURRU

 

Bufera di polemiche per la questione Mes, il cosiddetto Fondo salva-Stati, da parte delle opposizioni, dalle quali sono partite invettive dirette al premier Giuseppe Conte, sotto forma di obiezioni e accuse senza fondamento.

Conte si è disimpegnato dagli strali dei leader della Lega e di Fratelli d’Italia, con la consueta eleganza, non senza puntualizzare che egli non ha mai firmato accordi in ambito Ue senza prima informare il Parlamento. Si è trattato pertanto di ‘frecce al curaro’ lanciate senza cognizione di causa, che il premier ha definito autentiche falsità, segno inequivocabile delle ‘distrazioni’ di Salvini, poiché le tappe della revisione avrebbero dovuto essergli note. Note in quanto sono state inserite nelle carte dell’Ufficio rapporti con l’Ue a Montecitorio e in quelle del Servizio Studi al Senato.

La base dell’accordo sulla revisione è partita a dicembre 2018, al quale è seguita poi una dichiarazione al fine d’informare sull’accordo raggiunto dai ministri dell’Economia dei Paesi Ue (o Eurogruppo) proprio in materia di revisione del Mes, nel giugno scorso, quando Matteo Salvini, oltre che ministro degli Interni, era anche vicepremier.

Mentre il ministro dell’Economia R. Gualtieri, in audizione alla Commissione Finanze del Senato, ha replicato alle accuse del Presidente Alberto Bagnai (Lega) sulle supposte lacune di trasparenza nei negoziati riguardanti la riforma, affermando che “è stata un’occasione perduta, dato che una parte importante del lavoro è stata già concordata, negoziata e definita” proprio dal precedente esecutivo, esattamente il 21 giugno scorso.

Dell’iter l’ex premier è stato costantemente aggiornato,  le sortite di questi giorni non sono pertanto opportune.  Questa, in sintesi, la replica del premier, che non ama soffiare sul fuoco, e di norma rende sterili le insinuazioni senza lasciare spazio più del dovuto alle tensioni in ambito istituzionale.

L’approvazione finale della revisione del Mes è prevista per il mese prossimo. La riforma avrebbe in realtà un meccanismo un po’ contorto; di certo, attraverso gli ultimi accordi, s’intende sollecitare la tendenza degli Stati con i conti pubblici elevati ad intervenire con mezzi efficaci, tramite la ristrutturazione. Ai vertici del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), c’è pure il tedesco Klaus Regling, e non c’è da scommettere che farà sconti sullo stato del debito pubblico italiano.

Ma di cosa si tratta in realtà? L’obiettivo che ha indotto i leader dell’area euro ad avviare la riforma, è quello di creare un Fondo che dovrebbe sostenere i Paesi membri qualora si verificassero eventi aleatori di crisi finanziaria, con rischio default. Come si è accennato la riforma dovrebbe raggiungere il traguardo il prossimo dicembre, tramite l’approvazione del nuovo trattato nel corso del vertice europeo, secondo le intese raggiunte nel giugno scorso dall’Eurogruppo.

Quest’ultimo, nel corso degli ultimi meeting nei quali si è discusso della riforma, ha concordato che il Mes avrà a disposizione due mezzi fondamentali, ovvero: un canale di “credito precauzionale, condizionato”, ed un altro di “credito a condizioni rafforzate”, disponibili per i Paesi dell’area euro che abbiano i più importanti dati macro in ordine,  ma suscettibili d’essere aggrediti da shock improvvisi, non facilmente arginabili.

Il fondo dovrebbe permettere l’accesso a canali di credito destinati dunque agli Stati membri che affrontino situazioni interne di emergenza per quel che riguarda i mercati, ma anche una via di ‘soccorso’, come ultima ratio, per la crisi degli istituti di credito. Il Mes assumerà quindi caratteristiche e prerogative di un Fondo Monetario Europeo, assumendo anche le funzioni di muro in comune, in riferimento al Fondo di Risoluzione Unico (riguardante le banche in crisi).

La sua istituzione ha radici che affondano nella crisi devastante che colpì la Grecia, oltre una decina d’anni fa. Il Mes nacque proprio sulle ‘ceneri’ dell’economia greca (ma anche crisi acuta in Eurozona) per la quale fu creato il Fondo Europeo di stabilità finanziaria, istituito nel 2010 a questo fine, per aiutare questo Paese membro a riprendere le redini della sua economia.

Entrò effettivamente in attività due anni più tardi  (al vertice un tedesco, Klaus Regling), con una base finanziaria di capitale intorno ai 700 mld di euro. Non ci sono stati grandi ricorsi al Fondo, poco si è attinto, e infatti solo 80 mld sono stati utilizzati dagli Stati membri. In ordine di contribuzione, il nostro Paese risulta essere il terzo sostenitore, con versamenti pari a 14 mld di euro, più in alto ci sono Germania e Francia. E’ necessario in definitiva per accedere il rispetto severo dei criteri di Maastricht e del cosiddetto Fiscal Compact, con relativi parametri. Partendo dal rapporto debito-Pil inferiore al 60% (parametro esatto dalle Autorità Ue agli Stati membri), mentre il tasso di contenimento del debito in eccesso dovrebbe essere di 1/20 l’anno.

Da quando è stato istituito, il Mes ha contribuito comunque al ‘salvataggio’ di 5 Paesi, in primis, com’è noto, la Grecia, con diversi programmi di sostegno finanziario, poi Irlanda, Cipro, Spagna e Portogallo. Il Fondo concede il supporto finanziario sulla base di un’intesa precisa, ossia l’impegno a porre in essere riforme adeguate, sotto la supervisione e controllo di una Commissione formata dalla Bce e Fmi. Dunque una concessione legata a precise condizioni.

Importante precisare che, attraverso il Mes, si accede allo scudo salva-spread della Banca centrale europea. Tale meccanismo è stato posto in essere proprio per le ragioni di cui si è accennato, ossia per arginare la variazione del differenziale dei titoli di Stato nei Paesi della zona euro virtuosi, e comunque in difficoltà con i mercati, suscettibile di attacchi speculativi sul debito.

Questo meccanismo è stato definito anche ‘programma Omt’ (Outright Monetary Transaction), un programma di acquisto illimitato di titoli di Stato, lanciato nel settembre 2012,  quando Mario Draghi pronunciò la locuzione rimasta famosa: whatever it takes – qualunque cosa si possa fare per difendere l’Euro, ovvero la Bce è pronta a tutto.

Il Mes ‘riformato’ entrerà quindi in vigore appena il Parlamento dei 19 Stati dell’Eurozona lo ratificheranno, e sarà preceduto da un accordo formale da parte del Consiglio europeo a dicembre prossimo.

Il tedesco al vertice del meccanismo che regola il Mes, Regling, ha affermato che l’Italia, nonostante i problemi legati ai conti pubblici, ha un buon accesso ai mercati, ed avendo i fondamentali in ordine, non dovrebbe rischiare neppure nel breve-medio periodo, anche perché risulta  in attivo sulle partite correnti, pertanto difficilmente sentirà la necessità di fare ricorso al Mes. Eppure sia nel settore bancario  che in Parlamento si avverte un senso di dubbio e insicurezza al riguardo.

Cosa ne pensa Bankitalia della riforma? Secondo il Governatore Ignazio Visco, non dovrebbe di per sé essere una riforma con risvolti negativi, e infatti non ha espresso propriamente un giudizio sfavorevole, secondo fonti di Via Nazionale, e tuttavia mette in guardia da eventuali rischi in futuro per quel che concerne la funzionalità del sistema, poiché, a tutt’oggi, non esiste ancora una riforma generale sulla governance dell’area euro.

Il ministro dell’Economia Gualtieri, invece, negli ultimi giorni ha espresso la sua perplessità sulle concezioni distorte riguardo al Mes: “C’è parecchia confusione, ma in realtà nessun vero pericolo. Sul Fondo salva-Stati il Governo non si nasconde dietro un paravento, e nemmeno si accettano le accuse dirette della Lega”.

E aggiunge: “Le condizioni per avere accesso ai prestiti restano le medesime, non ci sono automatismi per la ristrutturazione del debito, non serve una ristrutturazione per accedere ai fondi, pertanto tutti gli allarmismi sono infondati.”

Ma l’allarme viene dall’Abi, e dal suo presidente, Antonio Patuelli, il quale non ha fiducia sulle proposte tedesche riguardanti la riforma, e si rivolge all’esecutivo in toni da ultimatum: “l’Italia deve tutelare il debito sovrano, altrimenti non lo acquisteremo più.” E’ evidente che vi sono dietro considerazioni e analisi complesse, ma questo esecutivo ha aperto i cantieri da soli due mesi, non si potrebbe esigere la bacchetta magica. Dopo le dichiarazioni  del ministro dell’Economia, l’Abi ha fatto sapere che, se le cose stanno in questi termini, non ci saranno polemiche.

Intanto a Bruxelles è passata la manovra 2020, e il premier Giuseppe Conte rassicura sul fatto che con la Commissione europea non ci dovrebbero essere urti,  si avverte un clima di reciproca fiducia.  Fiducia che non impedisce alla Commissione di sottolineare che esistono in ogni caso ‘margini di rischio per quel che concerne il rispetto del Patto di stabilità’, ed ecco il lasciapassare con riserva. Ossia si potrebbe incorrere in deviazioni anche rilevanti, se si considera un obiettivo di medio termine. Viene poi meno il rispetto sui criteri di riduzione del debito. Ma conforta il fatto che non siamo soli in graticola, ‘i disobbedienti’ sono diversi, come Spagna, Francia e Belgio.

Per dirla in soldoni siamo stati rimandati alla prossima primavera, quando la Commissione procederà ad un nuovo controllo dei conti, al fine di verificare che sia stato intrapreso un percorso di vero risanamento. Il premier continua ad esprimere ottimismo e dichiara: “Abbiamo lavorato per mettere a punto una manovra che riesce ad offrire più benefici ai cittadini, a famiglie e imprese, ai lavoratori, riuscendo a mantenere l’equilibrio nei conti. La manovra è solida ed espansiva, ma senza salti nel buio. Penso che con Bruxelles non avremo problemi.”

 

 

TU NON PIANGI, VENEZIA

DI VIRGINIA MURRU

 

Raffiche d’elementi
come folli maschere informi
vanno su piazze e calli
con sibili a imperversare-

Il cielo esplode d’impeto
sono energie contrarie
da spegnere, sedare.

Passeranno, sicuro passeranno
anche queste ombre funeste
sui colonnati eterei
di un’anima al confine
fra Oriente ed Occidente.

Non importa, Venezia
guarda quanto sei bella
splendente e Serenissima
malgrado le aspre carezze
di tumultuose acque –

e il mondo tutto trema, su quel fragile volto
che non piega il ginocchio al pianto.

Tu Venezia non muori,
stringi forte la Vita
giura alla terra e al mare
di vivere come le stelle.

Sola, sì t’hanno lasciato sola
senza scudi o ripari
con l’anima nera del mare
contenzioso antico
che mai ne ha sciolto il voto.

E ancora e ancora – il sole ti viaggerà sul volto
tra l’ingegno e le ombre di questa Umanità.

ALITALIA. FUMO NERO NEL CONSORZIO: ATLANTIA RITIRA LA PROPOSTA E SI RISCHIA L’OTTAVA PROROGA

DI VIRGINIA MURRU

 

 

Sembrava ormai un gioco di pedine in ordine, con un ‘tavolo’ decorosamente apparecchiato e pronto per l’accordo definitivo, ma all’ultimo momento Atlantia, gruppo Benetton, è andata via sbattendo la porta, adducendo, quale giustificazione, l’assenza delle condizioni necessarie per aderire al salvataggio della compagnia italiana. Il nuovo piano industriale non fornirebbe le dovute garanzie.

Un rifiuto che ha lasciato l’amaro in bocca a FS nel corso del board che si è tenuto ieri, 19 novembre. Nelle dichiarazioni dei rappresentanti di Atlantia, queste scarne parole:

“Non sussistono ancora le condizioni per siglare un accordo con il consorzio, non ci sono i presupposti per la presentazione di un’offerta vincolante”.

Il malessere del gruppo facente capo ai  Benetton (non è propriamente un mistero), è di altra natura, ossia qualcosa che somiglia molto ad un ricatto nei confronti del Governo, sfrutterebbe la situazione con una buona dose di opportunismo, per chiedere un passaggio ‘immune’ sulla concessione Autostrade. Rinnegando tutti gli impegni assunti in seguito alla tragedia causata dalla caduta del ponte Morandi.

C’è da giurare che al Governo siano abbastanza avveduti al riguardo, e che abbiano senza filtri annusato la vera aria che tira sugli intenti di Atlantia. Le reazioni dell’esecutivo non tarderanno a farsi sentire.

E si riparte con le incertezze, l’aleatorietà, una sorta di roulette russa che deve sempre riprendere in mano il filo conduttore di una procedura che porti a consolidare la cordata di partner uniti negli intenti, disposti a collaborare in armonia per il raggiungimento di un unico fine: la buona ripartenza all’insegna della solidità.

Ci doveva essere ancora qualche incertezza sul nuovo assetto del vettore, ma per pochi giorni, entro giovedì infatti avrebbe dovuto concludersi l’accordo con il consorzio di partner per la creazione della newco, con premesse e prospettive diverse, ma le traversie sembrano destinate a prolungare i tempi.

Occorreva poi un’altra decina di giorni per mettere a punto il solido piano industriale, proiettato in un futuro più stabile.

Intanto le Confederazioni sindacali che difendono i lavoratori, da Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Trasporto aereo, non ritengono ci sia la dovuta chiarezza sul nuovo assetto. Tempi eccessivamente lunghi per una crisi che sembra non vedere la fine, ma i sindacati intendono soprattutto  assicurare l’applicazione del contratto di settore, ed escludere esuberi. Per queste ragioni hanno proclamato uno sciopero di 24 ore, che si svolgerà il 13 dicembre.

Nulla da fare sui termini stabiliti per giovedì 21 novembre, ultimo giorno utile per fissare le regole dell’accordo, ormai saltato a quanto pare, e sulla via del rischio che porterà verosimilmente FS a presentare istanza per l’ennesima proroga.

Al momento non appare comunque semplice fare slittare i tempi previsti, poiché  l’ottava proroga in cui si potrebbe incorrere, ha in realtà il percorso minato dal vincolo all’accesso del cosiddetto ‘prestito ponte’ di 400 mln di euro, resi disponibili dal Governo per sostenere la fase di transizione della compagnia. Il punto fermo del finanziamento è infatti legato al vincolo della presentazione, nei termini stabiliti, del consorzio.

Condizioni saltate ancora una volta, perché non tutti in verità si sentono sicuri all’interno delle regole della newco, e i dubbi fermentano anche fino al ritiro delle proposte all’ultimo momento, tale è stata appunto la decisione di Atlantia. Così la nebbia sull’orizzonte delle soluzioni, che sembravano a portata di mano, secondo il ministro dello Sviluppo Economico, riprende ad infittirsi e a rendere incerto il domani della compagnia di bandiera.

Decisamente il nuovo esecutivo è costretto a remare in acque poco tranquille, già si stanno affrontando le rogne che riguardano il caso Ilva- e la società franco-lussemburghese ArcelorMittal, intricato e destabilizzante, trattandosi di uno stabilimento siderurgico che rischia di creare a Taranto seri problemi di occupazione, nonostante sia il più importante complesso del settore in Europa, per la produzione  e lavorazione dell’acciaio.

Atlantia semplicemente ha avvertito sensazioni d’insicurezza all’interno del consorzio e ha deciso di sfilarsene in tempo – secondo le dichiarazioni dei rappresentanti della famiglia Benetton – chiedendo ulteriore tempo per una decisione, poiché il piano industriale, così com’è stato formulato, non presenta premesse sufficienti. E così il fantasma a lungo scongiurato della liquidazione di Alitalia torna ad aleggiare, mentre i Commissari potrebbero anche cedere all’ennesima prova, e mandare tutto all’aria.

Occorrono certamente perseveranza e nervi saldi, in questa corsa ad ostacoli che allontana sempre il traguardo quando si credeva d’essere prossimi all’arrivo. La prima reazione all’infedeltà di Atlantia è proprio la tentazione di rifiutare l’ottava proroga.

Resta a questo punto l’impegno della società americana Delta, che intendeva investire 100 mln (pari al 10% in termini di azionariato) al fine di rilevare, in cordata con FS, Atlantia e il Ministero dell’Economia, Alitalia.

In questo quadro in cui è venuto meno l’assenso della società del gruppo Benetton, continua a fare la sua comparsa Lufthansa, interessata ad un accordo commerciale, che escluda la partecipazione al consorzio, ma sono comparse anche qui senza la dovuta determinazione. Proprio ora che il suo ingresso darebbe la dovuta fiducia ai commissari, per evitare la liquidazione. Lufthansa ha precisato sempre che non intende ‘trasfondere’ liquidità nella newco, non ha alcuna intenzione, insomma, di rilevare una quota del vettore – quindi non investire – più incline, come si è accennato, ad un accordo di partnership commerciale.

Al momento la prospettiva di un suo ingresso dalla porta principale, ossia nell’azionariato, sembra un miraggio, eppure Lufthansa avrebbe ali larghe e protettive per assicurare un futuro degno di questo nome alla compagnia di bandiera italiana. Ma la ristrutturazione come la intende la compagnia tedesca, prevede esuberi, intorno a 4/5 mila unità, nonché tagli di costi, condizioni che entrano in attrito con i presupposti dei sindacati, naturalmente contrari ad un sacrificio di questa portata.

Così si è espresso al riguardo una decina di giorni fa il segretario generale di Fit-Cisl, Salvatore Pellecchia:

“Al Ministero dello Sviluppo economico ci hanno sempre detto che non ci sarebbero stati esuberi e adesso ne spuntano migliaia?  Il Ministro ci convochi al più presto e ci faccia capire cosa sta succedendo. Per quanto ci riguarda, la nostra posizione non è cambiata e, secondo noi, qualora si evidenziasse anche un solo esubero, le soluzioni occupazionali andrebbero trovate all’interno del progetto di rilancio della compagnia di bandiera.

A questo punto non si può più attendere; vogliamo conoscere il piano industriale in modo da condividerne in anticipo i contenuti con le lavoratrici e i lavoratori di Alitalia. In particolare chiediamo di sapere quale è il modello di servizio previsto, quale sarà l’offerta commerciale, quanti aeromobili si vogliono mettere in campo e quali e quanti investimenti sono previsti, perché da questi dati si possono capire le intenzioni dei nuovi azionisti.
Altro tema molto importante è che siamo interessati ad apprendere da chi e come vogliono far gestire l’azienda: a questo giro non è ammessa la possibilità di commettere errori”.

Avrebbe vita dura un eventuale ingresso di Lufthansa nell’equity a queste condizioni.

Resta il fatto che Alitalia non ha ancora una ‘casa’ sicura, Delta offre una certa sicurezza, ma non investe più del 10%, non ha alzato l’asticella per un’offerta più consistente, il che non favorisce la soluzione per  una buona ripartenza. Il socio internazionale affidabile, e disposto a scommettere sull’efficienza della newco, deve forse essere ancora trovato.

 

EUROSTAT. IN ITALIA, A TRE ANNI DALLA LAUREA, LAVORA IL 59% DEI GIOVANI, IN UE L’83%

DI VIRGINIA  MURRU

 

Secondo l’ultimo rapporto Eurostat (European Statistical System) sull’occupazione dei giovani nell’Ue, risulta che l’83,5% di quelli compresi tra i 20-34 anni che hanno ottenuto con successo almeno un titolo di studio superiore al secondo livello d’istruzione, negli ultimi anni (1/3 anni), anche senza il conseguimento di ulteriori titoli, sono stati assorbiti dal mercato del lavoro.

Il report dell’Ufficio statistico dell’Unione Europea è stato pubblicato in occasione della giornata Internazionale degli studenti (International students’ day), che ricorre il 17 novembre di ogni anno.

In Italia, l’accessibilità al mercato del lavoro, a tre anni dalla laurea, risulta pari al 59,8%, e neanche a dirlo, questo dato macro è tra i più vulnerabili del quadro macroeconomico del Paese, risultiamo penultimi nella classifica Ue. La pubblicazione Eurostat mette in rilievo un aumento di 10 punti percentuali rispetto alle risultanze del 2014, ma in ogni caso siamo ben distanti dalla media europea (83,14% di giovani laureati occupati). I dati monitorano la situazione nel 2018.

Dalle analisi risulta che il tasso di occupazione è in aumento lungo il corso degli ultimi 5 anni da un dato relativamente ‘basso’ del 75% nel 2013, nel 2018 il tasso è aumentato per chi ha ottenuto di recente un titolo di studio universitario, sfiorando il 90%. Ma è  perfino più elevato in alcune regioni dell’Ue, soprattutto nella Repubblica Ceca, che risulta prima nella classifica per quel che concerne il tasso di occupazione in generale, con Germania, Olanda, Austria e Svezia. La regione tedesca di Niederbayern, nel sud-est del Paese, ha il primato nel tasso di occupazione dei giovani che hanno di recente (recent graduates) ottenuto un titolo di studio (il 98%).

Nella parte opposta della classifica, quella che riguarda le regioni dell’Unione europea con il più basso rate di occupazione in questa fascia di giovani, troviamo tre regioni del sud Italia: in primis la Sicilia, con appena il 27% di occupati, Basilicata e Calabria, entrambe con il 31%, e una regione della Grecia centrale, Sterea Ellada, con il 32%.

Dunque l’Italia risulta essere il Paese in coda alla classifica per quel che riguarda l’occupazione dei giovani che hanno conseguito negli ultimi tre anni un titolo di studio, e purtroppo non è una novità. Un dato che stride fortemente, quello della Sicilia, con appena il 27% dei giovani occupati in questo ambito, se rapportato alla regione della Germania ‘Niederbayern’, che invece evidenzia un tasso di occupazione pari al 98%, ossia quasi il 100% dei giovani che ottengono un titolo di studio di grado elevato, trovano il mercato del lavoro pronto ad accoglierli.

Studi in questo settore ne sono stati compiuti tanti anche da parte dell’Istat, sindacati e altri enti; i risultati sono in simmetria con quelli pubblicati da Eurostat. La conclusione è la stessa per ogni indagine compiuta in questo ambito: chi ha un livello d’istruzione elevato (livelli ISCED 5-8), ha maggiori chances di ottenere un secondo lavoro, rispetto a chi ha un livello medio-basso di istruzione.

Uno studio OCSE ha pubblicato un’analisi relativa ai dati sulla disoccupazione, mettendo in evidenza un tasso del 5,9% (Paesi Ue). Anche qui il trend sui migliori Paesi è il medesimo, con Germania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Belgio, Svezia, Estonia e Austria  che presentano le migliori performance sul mercato del lavoro, mentre Italia, Grecia e Spagna si collocano qui prime in classifica, col più alto indice in termini di tasso disoccupazione. I migliori sono quelli che nel volgere di una decina d’anni hanno stravolto in termini percentuali i loro dati risultati sui disoccupati, evidente segno di un andamento che ha fortemente favorito il quadro macroeconomico.

Secondo un’indagine dell’Osservatorio statistico dei consulenti del Lavoro, basato su dati Istat, in Italia, in generale, l’accesso al primo impiego è più semplice quando si possiede un titolo di studio come la laurea. Il 61% riesce a inserirsi nel mercato del lavoro, attraverso il proprio titolo. E le opportunità aumentano per i laureati, rispetto a quelli che hanno conseguito un titolo ‘secondario superiore’ o licenza media.

Altra conferma, ma resta il fatto che l’Italia non ha un humus fertile in questa direzione, e infatti  4 laureati su 10, a 30 anni di età, sono ancora senza un lavoro, o sottocupati.

Il tasso di disoccupazione rilevato nel 2017 in Italia, riguardante i giovani laureati, era pari al 6,5%, contro la media Ue del 4,6%.

Sono anche i resoconti di uno studio portato avanti dalla Cgil (Rapporto del dipartimento Welfare), dal quale risulta che ‘una laurea protegge dalla disoccupazione’. Una laurea aiuta i giovani ad inserirsi in tempi più brevi nel mondo del lavoro e li preserva dalla disoccupazione di lunga durata, meglio di quanto non riesca a fare una semplice licenza media o un titolo di maturità di un Istituto superiore. Dunque una sorta di scudo contro la mancanza di lavoro, il livello d’istruzione elevato funge da ‘ammortizzatore’ nel mercato del lavoro.

L’analisi della Cgil ha messo a confronto il periodo che va dal 2007 al 2018, e il primo riscontro che emerge dall’indagine riguarda il tasso di occupazione tra i giovani, che è più marcato tra quelli che hanno ottenuto un basso livello d’istruzione, soprattutto se si tratta di sola licenza media. Mentre il quadro migliora sensibilmente per i titoli più elevati, come la laurea.

Anche questi studi si basano sui riferimenti dei dati elaborati dall’Istat, e mettono in evidenza che il tasso di occupazione dei giovani  tra i 20-24 anni, con basso grado d’istruzione, è crollato in questo lasso di tempo di 18 punti percentuali, passando dal 50% del 2007 al 32% del 2018. Mentre non si sono riscontrate flessioni nel mercato del lavoro per i giovani laureati. Più o meno il medesimo trend seguono i dati riguardanti la classe di giovani dai 25-29 anni.

In crescita si rivela la disoccupazione di lungo periodo, soprattutto tra i giovani che decidono d’interrompere un percorso di studi. La Cgil nella sua ricerca sottolinea che un titolo di studi riduce i tempi d’ingresso o ricollocazione nel pianeta lavoro, e dunque i tempi della cosiddetta ‘gavetta’ o ‘anticamera’ lunga talvolta 24 mesi (e anche oltre) per i giovani con un basso grado d’istruzione.

Per quanto riguarda il numero dei laureati, l’Italia, tanto per cambiare, si trova ancora sotto la media Ue: si laurea solo il 22% dei giovani. Il dato è in aumento dal 2007, di circa 8 punti, ma resta sempre un risultato ‘umiliante’ per un Paese che è stato culla di civiltà in Europa.

Anche qui si parte da dati Istat, includendo nell’indagine sia i giovani dai 20-24 anni, sia quelli tra i 25-29 anni. Per chi è in possesso della sola licenza media, il tasso di disoccupazione ha fatto un balzo di oltre 10 punti (sempre nel periodo di riferimento, ossia 2007/18). Risulta in aumento anche tra i diplomati, mentre il gap resta ‘sotto controllo’, oscillando tra i 3 e i 5 punti percentuali per i giovani che hanno conseguito un diploma di laurea.