SE NON CAPISCO LE DONNE

DI PIERLUIGI PENNATI

Dedicato a chi dice che non capisco cosa significa essere donna e dover subire delle “violenze”.

Moltissimi anni fa ero molto giovane, avevo 19 anni, ed avevo conosciuto una ragazza davvero molto bella, bionda (tinta) alta e formosa, ero invidiato da tutti gli amici.

Un giorno mi chiede di accompagnarla da un produttore a Lugano, a lei piaceva cantare e questo “signore” aveva una casa discografica.

Arriviamo sul posto e saliamo nell’appartamento dove aveva l’ufficio, entriamo insieme, chiacchieriamo di progetti canori e copertine per una decina di minuti e poi lui chiede alla mia amichetta di seguirlo nella saletta di registrazione adiacente per registrare un breve provino da mandare ai tecnici del suono.

Spariscono dietro una porta e resto solo nell’ufficio.

Nessun suono dall’altra parte della porta, solo un tenue sottofondo musicale che poteva anche provenire da altrove.

Passano dieci minuti e comincio a spazientirmi, così esploro l’appartamento: grandi vetrate sul lago, quadri sparsi, qualche copertina di dischi alle pareti, una grande teca di vetro in un angolo contenete della sabbia rossastra sulla quale era evidente un grande segno a forma di otto: una mostruosa tarantola giaceva in un angolo… insomma stranezze senza un filo logico, in fondo è un produttore, sarà stato eccentrico.

Dopo quasi un’ora la porta si anima e rientrano, lei sembra accaldata ed ha la cintura, che portava sopra i jeans attillati, allacciata al contrario, lo ricordo bene, perché era molto particolare, come si usava ai tempi, e la fibbia era capovolta.

Cosa hanno fatto in quel tempo?

Non so, ma eravamo entrambi maggiorenni ed indipendenti.

Passano alcuni giorni e lei mi parla di amiche che per lanciarsi nello spettacolo fanno orgie, vere e brave artiste, costrette a competere in quel modo per accaparrarsi l’attenzione del personaggio più influente, qualcuna, addirittura, fuma hashish od assume altro durante gli incontri.

Non so di più, sparì un pomeriggio dopo solo 15 giorni che ci si conosceva: andai a prenderla a casa e la sua coinquilina mi disse che era andata a prendere il sole nella villa di un amico che aveva una bella piscina…

Non la cercai più, anche lei non lo fece e l’amica, incontrata ancora una volta per caso, mi disse che stava pensando alla sua carriera e che certamente  avrei capito, dato che noi uomini siamo tutti maiali allo stesso modo.

Ho capito, ma non siamo tutti maiali allo stesso modo, pensai che fosse una reazione ad averle resistito quando ancora mi accompagnavo all’amica, ma forse mi sopravvalutavo ed oggi mi ricredo.

Qualche anno dopo fu la mia volta, conobbi un facoltoso personaggio, ricco e di buona famiglia, persino cavaliere dello SMOM, che poco alla volta si interessò a me sempre più, mi disse di essere gay e che il suo fidanzato non lo capiva, io si che ero comprensivo e, soprattutto, sprecato, con la mia intelligenza potevo ambire a molto meglio, lui mi avrebbe mostrato come.

Non lo vidi più dopo aver gentilmente declinato alcuni inviti nelle sue ville…

Oggi sbarco il lunario come tanti, sottoposto ad un capo affidabile, che dice sempre si, preferibile ad un assertivo come me, che dice spesso no, sia io che la mia amichetta non abbiamo fatto carriera e soldi, non so la mia amichetta, ma io sono contento della mia vita, tante fatiche, tante delusioni e poche soddisfazioni, ma le poche soddisfazioni valgono certamente molto più delle tante delusioni, perchè una cosa non mi è mai mancata: un profondo rispetto e stima per me stesso.

Non so se diventerò mai ricco e famoso, ma certo so che non lo diventerò rinunciando alla mia dignità ed indipendenza di essere umano: potete imprigionare il mio corpo, seviziarmi e torturarmi, potete costringermi a chiedere pietà, ma non avrete mai la mia libertà, non sarò mai disposto a diventare vostro schiavo.

Chi accetta compromessi per bruciare le tappe non si rispetta e stima, come può chiedere rispetto e stima agli altri?

Dai, ora fatemi nero con il maschilismo e l’insensibilità, che però non centrano nulla.

ALITALIA. 7 PLICHI CON RELATIVE PROPOSTE D’ACQUISTO ALL’ESAME DEI COMMISSARI STRAORDINARI

 

DI VIRGINIA MURRU

 

Il clima di fiducia è diverso rispetto al mese di giugno scorso, quando era stata aperta la data room per i soggetti che avevano presentato manifestazione d’interesse verso l’ex compagnia di bandiera italiana.

Alitalia è diventata un obiettivo un pò più allettante per le grandi compagnie aeree, Lufthansa compresa, che ha disdegnato a lungo la prospettiva di un eventuale acquisto, anche di alcuni asset.

Ora arrivano nelle mani dei Commissari straordinari 7 offerte, i plichi, che contengono proposte vincolanti per la compagnia italiana, sono stati portati allo studio notarile Atlante Cerasi di Roma, dopo la scadenza dei termini previsti.

Al vaglio, tra le altre, le proposte della britannica EasyJet e Lufthansa, non interessate alla rilevazione ‘in blocco’ di Alitalia, ma ad alcune ‘attività’. In quei 7 plichi ci potrebbe essere il futuro dei 12 mila dipendenti del vettore tricolore, ma proprio su questo versante saranno inevitabili tagli anche dolorosi in vista di un solido risanamento.

Com’è noto, Ryanair si è ritirata dalla gara circa un mese fa, quando è esplosa la crisi che ha indotto il vettore irlandese a sospendere migliaia di voli fino a marzo prossimo, e forse oltre. Il management ha infatti dichiarato alcune settimane fa, che “saranno eliminati dall’agenda tutti gli impegni che non riguardino l’emergenza in corso, e dunque anche l’interesse verso Alitalia; né saranno presentate ulteriori offerte sull’aviolinea.”

In altri versanti, secondo le dichiarazioni dei vertici di EasyJet, non vi sarebbero certezze circa un accordo o una reale transazione, la sua offerta, pertanto, è sospesa su alcune condizioni che influenzeranno le negoziazioni. Anche EasyJet è interessata all’acquisto di un lotto, o parti di attività, non a quello totale della compagnia

Offerta certamente interessante quella proposta dal colosso Lufhtansa, il cui importo si aggira sui 500 mln di euro, e riguarda l’aviation (il lotto che suscita più interesse), ossia il personale, con piloti e flight attendants, la flotta e gli slot.

La proposta Lufthansa prevede misure già temute circa personale di volo, che secondo i tedeschi dovrebbe essere dimezzato, in particolare quello di terra (l’handling), che presenta esuberi inconciliabili con il possibile futuro assetto della compagnia. Un’altra condizione riguarda la limitazione delle attività di corto e medio raggio. Il vettore tedesco chiede inoltre una più precisa definizione del ruolo dell’ex azionista di minoranza, Etihad. Dopo il ritiro di Ryanair, infatti, si prevede che l’asse Etihad-Lufthansa acquisti maggiore forza nelle trattative.

Le due compagnie hanno in mano progetti in comune (oltre ad Airberlin); arabi e tedeschi hanno lanciato quest’anno una partnership nell’ambito del catering, del valore di 100 mln di dollari, ma ambiscono anche a collaborazioni che interessano la riparazione, manutenzione e revisione degli aeromobili. Alitalia, dunque, non è il solo campo in cui si confrontano.

Condizioni da ‘pesce grande’ che intende dare qualche morso a quello più piccolo, ma sceglie le parti migliori, questo è del resto il pragmatismo e il rigore tedesco, sul quale, tuttavia, il governo sta riflettendo, o meglio, cercando di mettere le mani avanti: la mannaia sul taglio del personale è di un rigore inaccettabile. Per questo si sta tentando di rinviare gli accordi, presumibilmente ad aprile, dopo le elezioni politiche nel Paese.

Lufthansa non ha fretta, ma rende noto il fatto che la compagnia italiana, strutturata così com’è, non può essere accettata, e tanto meno un ‘handling’ (personale di terra) di 6 mila dipendenti, assolutamente da ridimensionare, secondo il diktat del vettore tedesco. Allo stesso tempo non s’intende rinunciare al bersaglio strategico che l’Italia rappresenta: “l’Italia è il secondo mercato più importante per noi, dopo gli Usa” – ha dichiarato di recente il Ceo del gruppo, Carsten Spohr, al Corriere della Sera.

Il gruppo Lufthansa, sempre in competizione con la compagnia low cost Ryanair – che detiene il 13% del mercato europeo, contro il loro, che è del 9% – sta facendo di tutto per surclassare il vettore irlandese, per esempio investendo qualche miliardo su Eurowings, divisione con costi ridotti.

Di recente ha rilevato Air Berlin, con la sua flotta e 3 mila dipendenti. Ma non è mai abbastanza per questo colosso dell’aviazione, e l’interesse nei confronti di Alitalia è certo, la loro presenza in Italia s’intende incrementarla, ma gli accordi sono vincolati a condizioni ben precise.

Intanto i plichi contenenti le proposte di acquisto vincolanti, sono state portate dal notaio Nicola Atlante, presso lo studio legale Gianni Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, qui saranno prese in esame le offerte di acquisto. Già si sa che le proposte riguardano l’acquisto di ‘pezzi’ di attività di Alitalia, e questo è l’aspetto meno allettante. Di certo non esultano i dipendenti, e neanche i sindacati che li tutelano.

E tuttavia la prospettiva da scongiurare resta quella dei tagli all’occupazione: il personale rischia d’essere dimezzato.

Intanto, dei 600 milioni del cosiddetto ‘prestito ponte’ concesso dal governo, ne sono stati utilizzati una novantina. Gli ulteriori 300 mln, messi a disposizione sempre dal Governo Gentiloni, andranno in un Fondo garanzia, come ammortizzatore in caso di fallimento.
Insomma saranno mesi durissimi, quelli che aspettano Alitalia, l’incertezza fibrillerà fino ad aprile, quando il suo destino si delineerà con orizzonti più certi.

Per i tre Commissari straordinari, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, si va al prossimo anno, con l’obiettivo di migliorare, nell’interesse della compagnia, l’offerta definitiva; in particolare si punta alla vendita con lotto unico, piuttosto che separare i due lotti ‘aviation’ e ‘handling’.

Verso giugno prossimo, si arriverà al ‘closing’, e si attenderà quindi il parere dell’Antitrust, prima di conoscere il reale destino dell’ex compagnia di bandiera italiana.

CDM. APPROVATO IL DECRETO FISCALE, DOMANI PRESENTAZIONE DELLA LEGGE DI BILANCIO

DI VIRGINIA MURRU

E’ stato approvato il decreto fiscale, in vista della legge di bilancio che lunedì sarà presentata dal Cdm, nell’ambito della manovra 2018 (sarà solo la prima tranche). La legge di Bilancio sarà poi trasmessa a Bruxelles, ma l’attende anche l’esame di Camera e Senato.

L’approvazione, secondo la dichiarazione della ministra Anna Finocchiaro, è ‘salvo intese’, potrebbe pertanto essere rivista prima di passare alle Camere.
Si riconfermano (come anticipato da Padoan nelle scorse settimane), le sanatorie sulle cartelle fiscali, la cosiddetta ‘rottamazione bis’, nonché la proroga con rifinanziamento del prestito ponte destinato ad Alitalia: si aggiungeranno (ai 600 mln già stanziati) 300 milioni.

Per quel che concerne la rottamazione bis, si tratta dei ruoli fiscali e contributivi di pertinenza del corrente anno, da gennaio a settembre. Sono state previste massimo 5 rate, l’importo delle rate deve essere ripartito in modo uguale, i mesi di competenza saranno: luglio, settembre, ottobre, novembre e febbraio 2019. Sarà stabilito un accordo in merito con l’agente della riscossione entro marzo 2018, mentre il termine ultimo per le adesioni dei contribuenti è fissato per il 15 maggio prossimo. Per coloro che avessero omesso di versare le rate di luglio e settembre, i termini sono stati prorogati fino alla fine di novembre.

Secondo il ministro Padoan, la sanatoria sulle liti pendenti dovrebbe portare nelle casse dell’Erario 250 milioni. Il ministro dell’Economia ritiene ‘compatta e solida’ la legge di bilancio, e si dichiara fiducioso sull’esito della discussione alla quale sarà sottoposta a breve in Parlamento.

La riapertura della sanatoria arriva anche sul versante delle rateazioni, che anch’esse saranno soggette a rottamazione. I contribuenti che hanno saltato il pagamento delle rate relative alle vecchie cartelle, potranno beneficiare di questa proroga, con la precedente disciplina non era consentito, si perdeva il diritto.

Del dl fa parte anche una nuova norma ‘anti-corvo’, per alzare una barricata contro le scalate ostili; le norme sul golden power, infatti, prevedono poteri speciali quando si presenta l’insidia di investimenti ‘predatori’ provenienti dall’estero. Si tratta di una norma cara al ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e agisce contro i ‘predatori’ di quote azionarie che vengono da Paesi terzi.

La norma stabilisce infatti che, al superamento della soglia, chi investe ha l’onere di trasmettere una ‘lettera d’intenti’, nella quale, in modo trasparente, si mettono in chiaro gli intenti, appunto, al fine di prevenire manovre poco limpide. Dopo il contenzioso tra Mediaset e Vivendi, il Governo ha ritenuto opportuno disciplinare queste evenienze, evitando spiacevoli sorprese alle aziende ‘vittime’ di queste mire da parte di imprenditori stranieri.

Troverà applicazione nel contenzioso Vivendi-Tim, ma non sarà l’unico caso, la norma disciplina e contempla situazioni simili. In via di definizione ora gli interventi del Cdm su questo caso specifico, verrà messa in atto una delibera al riguardo dalla Presidenza del Consiglio proprio lunedì 16 ottobre, quando sarà presentato anche il disegno di legge di bilancio.

Nella delibera della Presidenza del Consiglio ci saranno condizioni di trasparenza ben precise concernenti la gestione di Telecom Italia Sparkle, che è controllata da TIM, e si occupa dei cavi sottomarini internazionali. La delibera è stata avviata in concerto con il Ministero della Difesa e  degli Interni, e la collaborazione del Ministero per lo Sviluppo Economico.

Il decreto fiscale prevede, come il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva già annunciato, la sterilizzazione Iva per il prossimo anno, in programma 1 miliardo. La legge di bilancio stabilirà le misure per questo processo di contenimento delle aliquote, che sarebbero scattate nel 2018, per un importo di 15,7 miliardi.

500 mln sono stati invece assegnati, tramite il Fondo di garanzia, alle piccole e medie imprese, di questi 300 sono destinati al 2017, i restanti 200 al prossimo anno. Il decreto tiene anche conto delle catastrofi naturali, e pertanto sono state sospese le tasse nell’area intorno a Livorno, di recente colpita dall’alluvione.

Una novità del decreto fiscale riguarda l’intermediazione della SIAE, ossia quelle norme che disciplinano il diritto d’autore. Gli organismi di gestione collettiva (associazioni no profit) potranno rappresentare i propri tesserati e difenderne i diritti, senza chiedere l’intervento della Siae, prima d’ora obbligatorio.

Un’altra disposizione del decreto si occupa del credito d’imposta per l’avvio di una campagna pubblicitaria (tramite giornali o radio e TV). Il beneficio relativo al credito d’imposta è rivolto ai lavoratori autonomi e imprese, per investimenti di competenza del secondo semestre 2017. Il credito d’imposta, che è del 75%, viene applicato sulle quote incrementali degli investimenti, rapportate all’anno precedente. Arriva fino al 90% per start-up e piccole imprese.

Sarà esteso a tutte le società controllate dalla Pubblica Amministrazione lo ‘Split payment’; si tratta, in spiccioli, del nuovo meccanismo di liquidazione IVA, che era stato previsto dalla Legge di Stabilità di due anni fa (la Legge 190/2014), poi revisionata con DL 50/2017.

La nuova normativa riguarda gli enti pubblici nazionali, regionali e locali, fondazioni (partecipate della PA) e società controllate in modo diretto o indiretto da qualunque amministrazione pubblica.
Tra le disposizioni del decreto c’è anche il rinnovo del finanziamento delle missioni internazionali, oltre ad assunzioni straordinarie per le forze dell’ordine (polizia). In questo ambito stabilisce che, la carica dei generali, avrà una durata massimo di 3 anni e non sarà suscettibile di proroghe.

Sono previste in questo ambito 5.590 assunzioni entro la fine del 2017, più alcune migliaia da reclutare tramite concorsi che si svolgeranno entro il 2019. E’ in sintesi la risposta del governo alle proteste dei sindacati di polizia, Vigili del fuoco e agenti penitenziari, che tramite la Consulta di sicurezza, hanno chiesto interventi più incisivi. Oltre 5 mila nuovi assunti andranno a potenziare le forze dell’ordine.

Un milione di euro per il triennio 2018/20 sarà stanziato per il personale delle Prefetture in missione all’estero per l’adempimento dei relativi accordi internazionali, riguardante la lotta contro il terrorismo, ed emergenze in materia d’immigrazione.

IL NOBEL PER L’ECONOMIA 2017, RICHARD H. THALER, E LA ‘TEORIA DEL PUNGOLO’

 

DI VIRGINIA MURRU

 

Quest’anno il Nobel per l’Economia è stato assegnato ad un ‘professor’ di scienze comportamentali all’University of Chicago Booth School of Business, per gli studi sui comportamenti economici (e la finanza comportamentale), ma è anche ricercatore associato del National Bureau of Economic Research.

Thaler è il noto autore e assertore della “Teoria del pungolo”. Questi studi costituiscono ormai una branca dell’Economia Politica, che fonda le sue basi su concezioni di carattere psicologico, in quanto spiega l’irrazionalità delle scelte nei comportamenti umani, guidati da flussi d’ impulsi emotivi che non di rado influenzano l’andamento dei mercati.

E’ infatti l’aspetto puramente umano, secondo gli studi portati avanti da Thaler in questo versante per decenni, ad avere il potere di orientare l’esito delle contrattazioni (per esempio), e non è certo un’eccezione che il panico agisca come una raffica causando autentici crolli in Borsa. Abbiamo visto cosa è accaduto nel gennaio 2016 nei mercati di Shenzhen e Shanghai, e l’effetto domino che ha causato nei mercati dell’Occidente, e a livello globale.

Reazioni simili possono interagire su altri mercati, espandere quest’onda d’urto come fosse un cerchio concentrico che si propaga in modo irrazionale, a volte difficile da controllare. Eppure dietro il panico o l’euforia dei mercati, vi sono queste onde emotive scatenate da dichiarazioni di alti esponenti della finanza, da rappresentanti politici, o da situazioni d’instabilità geopolitica.

Tutto ciò che filtra in questo grande impluvio finanziario, può scatenare tempeste o esaltare gli investitori, dipende ovviamente da quelli che sono gli input che provengono da orizzonti sensibili.

I mercati sono uno degli aspetti analizzati e studiati da Thaler, è in generale il comportamento del singolo e della collettività ad essere oggetto delle sue ricerche.

Gli studi sulle teorie di Thaler hanno riscontrato un notevole successo e sono stati applicati di recente non solo negli States (Nudge è stato un libro simbolo durante la campagna elettorale di Obama), ma anche in Europa. Thaler ha prestato la sua opera in qualità di consulente ‘tecnico’ nel governo Cameron e ha quindi creato il “Behavioural Insights Team”, uno staff che ha contribuito a mettere in pratica la teoria del paternalismo libertario.

I suoi principi di scienza comportamentale, orientati sull’economia e la finanza, sono stati divulgati attraverso una pubblicazione del 2008, scritta a quattro mani con il giurista Cass Sunstein, e intitolata ‘Nudge (pungolo), la spinta gentile’.
L’opera spiega quanto sia importante orientare le scelte del singolo o di un gruppo di persone, affinché i risultati siano ponderati e soddisfacenti, indirettamente anche per la società e il governo che la rappresenta (paternalismo libertario).

Scelte che contribuiscono a migliorare il proprio stile di vita, risultando più consapevoli, perché dietro vi operano esseri umani, vero punto di partenza per ogni valutazione di carattere politico ed economico. Thaler ha in definitiva messo al centro dei suoi studi l’uomo, avvalendosi di ricerche in ambito psicologico e sociologico.

Già le grandi aziende hanno adottato strategie di economia comportamentale per influenzare i consumatori e persuaderli a scegliere un certo prodotto. Una semplice pubblicità, del resto, con tutte le ricerche di marketing che si porta dietro, assolve un ruolo di questo tipo, perché è in fin dei conti una sollecitazione, non puro orientamento.

Secondo il professore dell’University of Chicago, ‘gli esseri umani compiono scelte poco mirate, perché influenzati da una serie di comportamenti inadeguati, viziati da pregiudizi cognitivi, in tante direzioni: dalla scelta dell’istruzione, a quella della salute, alle valutazioni di un investimento, un mutuo, fino a errori che implicano conseguenze anche più serie.

Thaler non è il pioniere degli studi sulla finanza comportamentale, già Adam Smith, con l’opera ‘Teoria dei sentimenti morali’, illuminò il processo dei comportamenti psicologici individuali che guidano le scelte, specialmente in ambito economico e finanziario. Ed altri seguirono la traccia di questi studi, fino a che, Kahneman e Tversky, diedero una svolta con l’opera “Decision Making Under Risk”.

I due autori si avvalsero di tecniche particolari, attinenti alla psicologia cognitiva, per spiegare i nodi che determinano l’impulso decisionale. Seguendo questa logica, le teorie economiche partono dal presupposto che gli individui svolgono un ruolo razionale ben preciso nel mercato.

Eppure vi sono oscillazioni di reazioni all’interno dei mercati, tali da implicare e chiamare in causa la finanza comportamentale. Il panico di perdere i soldi investiti, per esempio, che magari rappresentano i risparmi di una vita, sembra sia tre volte più incisiva dell’esaltazione di una speculazione andata a buon fine.

I mercati funzionano non di rado tramite flussi di emozioni che viaggiano in modo ‘sotterraneo’ (in apparenza), per questo nessuno si stupisce quando c’è la corsa all’acquisto di un titolo, perché si segue il branco, e non ci si volta indietro, spesso, anzi, non si prendono nemmeno le dovute precauzioni, seguendo un’adeguata informazione. E’ così che esplodono le cosiddette ‘bolle speculative’.

Dietro la scienza relativa alla finanza comportamentale vi sono studi svolti ‘sul campo’, tramite test o sondaggi, con il supporto della stessa medicina, per arrivare a comprendere il complesso universo degli impulsi che portano l’individuo a compiere scelte davanti a situazioni incerte, comunque poco chiare.
Si è riusciti ad individuare, tramite ricerche mirate, le aree del cervello implicate nel processo ‘decisionale’, e dunque si è trovato un riscontro concreto, con questi studi ancora empirici, purtroppo, perché non danno certezze assolute nei risultati.

L’individuo, in quanto singolo, può compiere scelte in modo autonomo, ma spesso è il risultato di naturali influenze di carattere sociale a spingerlo verso una direzione piuttosto che in un’altra. In definitiva si direbbe che è l’inconscio collettivo di Jung a svolgere il suo ruolo anche negli ostici scenari dell’economia e della finanza, dove il terreno è tempestato di ‘mine’.

Gli studi di Thaler iniziarono negli anni ’70, mettendo in discussione le teorie economiche classiche, le quali partivano dal presupposto che l’equilibrio perfetto si potesse raggiungere attraverso il punto d’incontro (perfetto) tra domanda e offerta. Mentre gli attori economici si pongono l’obiettivo di massimizzare i vantaggi e il profitto dalle operazioni e scelte compiute, naturalmente portando al minimo i costi.

Thaler ha dimostrato che si tratta di assetti convenzionali: la realtà compie altri percorsi. Gli esseri umani possono essere divisi in due grandi categorie, secondo l’economista:
gli Econs – che sono assolutamente razionali, e in grado di effettuare scelte ponderate,
e gli Humans – cioè il resto dell’umanità. Un’umanità che ha tutte le informazioni e la giusta ‘segnaletica’ per compiere scelte idonee alle proprie esigenze, dal semplice prodotto di un supermercato, al medico più competente, alla banca più efficiente, al mutuo più conveniente.

Eppure, nonostante la razionalità della ragione (it’s hard to make good decisions), ci lasciamo prendere la mano da influenze che non risultano governabili dall’arbitrio. Thaler ovviamente, concentra le sue ricerche sulla seconda categoria, ossia un prototipo d’individuo che rappresenti la società.

Il professore, insignito del più alto riconoscimento in ambito internazionale, non ritiene positivi i comportamenti puramente razionali derivanti dai modelli economici imperanti, e per sottolinearne l’importanza, ha dichiarato che la somma in denaro del Premio Nobel (9 milioni di corone svedesi, circa), “la spenderà nel modo più irrazionale possibile..”

ABBANDONATO DALL’INPS L’AZIENDA GLI PAGA LO STIPENDIO

Succede a Cesenatico, lui compirà 22 anni tra un mese ed è malato gravemente, ricoverato in ospedale l’INPS considera finito il periodo di diritto alla malattia e gli taglia il sostentamento, ma per fortuna, questa volta, non solo i colleghi di lavoro, ma anche i titolari dell’azienda per cui lavorava si indignano e continuano a pagargli lo stipendio.

Ha scoperto di essere malato del Sarcoma di Ewing, una forma tumorale che si sviluppa prevalentemente a livello osseo, fin dall’età di 11 anni e nonostante le difficili e lunghe terapie è riuscito a diplomarsi ed ad essere assunto dall’azienda Siropack Italia S.r.l. di Cesenatico con la mansione di terminalista.

La Siropack conta circa 30 dipendenti ed all’epoca dell’assunzione non aveva l’obbligo di assumere persone disabili, i titolari, Rocco De Lucia e Barbara Burioli, però commentano: “Prima che sopraggiungesse l’obbligo di assumere una persona diversamente abile, non abbiamo avuto dubbi a puntare su di lui, nella convinzione che il lavoro potesse dargli un ulteriore stimolo per continuare a combattere la sua battaglia personale è un ragazzo infinitamente disponibile e positivo, per questo la sua presenza ha rappresentato, fin dal suo arrivo, un valore aggiunto per tutta l’azienda”.

In un tempo nel quale non solo le aziende, ma persino gli organi dello stato sociale voltano le spalle alle persone nel nome del profitto e del contenimento dei costi, trovare qualcuno che ancora crede nel valore umano non è solo commovente, ma apre una speranza per il futuro.

“La nostra azienda considera quanto subito dal giovane una profonda ingiustizia – continuano i titolari – Siamo rimasti commossi dalla sensibilità dei nostri circa 30 dipendenti, che si sono resi subito disponibili al pagamento di una colletta, ma abbiamo stabilito che sarà la proprietà a provvedere al suo sostentamento, là dove gli organi preposti alla tutela dei lavoratori hanno deciso di voltare le spalle a chi si trova nel bisogno”.

La vicenda ha avuto inizio nel marzo scorso, quando la malattia ha costretto il ragazzo a sottoporsi ad un intervento di rimozione di un polmone che lo ha costretto anche ad lunga e difficile convalescenza ancora in corso e, nonostante le necessità di degenza, l’Inps è intervenuta azzerando lo stipendio che Siropack versava regolarmente al proprio dipendente a partire dalla busta paga di settembre, considerando terminati i giorni di malattia concessi.

I titolari, dell’azienda, che collabora da ormai da due anni, sostenendo vari progetti di ricerca, con l’Istituto Oncologico Romagnolo che lo ha in cura, hanno subito ritenuto trattarsi di “un atto arbitrario e lesivo nei confronti di un ragazzo che sta combattendo contro un tumore e che, come tutti i suoi coetanei, nella quotidianità deve affrontare spese, anche importanti, e progettare il suo futuro”.

Anche il sindaco di Cesenatico, Matteo Gozzoli, avvertito della notizia, è subito intervenuto contattando i titolari della ditta per complimentarsi del “grande gesto che hanno compiuto insieme ai dipendenti dell’azienda” e promettendo che farà di tutto per sensibilizzare le istituzioni, “Porto il caso in Parlamento e Regione” ha detto, accogliendo l’appello lanciato dai suoi datori di lavoro: “Nei periodi in cui il suo stato di salute gli ha permesso di svolgere la propria mansione all’interno della nostra azienda,  si è dimostrato un lavoratore volenteroso, nonché un ragazzo umile e generoso, per questo non possiamo permettere che questa decisione renda ancor più difficile la sua situazione. Agiremo con tutti i mezzi a nostra disposizione per sostenerlo e dimostrargli la nostra vicinanza, ed allo stesso tempo sensibilizzare le autorità competenti affinché i lavoratori come lui possano essere trattati con maggiore umanità”.

Umanità, forse è questa quella che dovremmo recuperare, prima di leggi elettorali e bilanci dello stato.

SE FUORI C’É LA RIVOLUZIONE IO MI BEVO UN ROSATELLUM

Qualcuno prima o poi se ne dovrà accorgere, una guerra civile è già in atto dietro le quinte, anche se tenuta lontana dal grande pubblico e nell’indifferenza di chi ancora pensa al consumo senza considerare il proprio futuro.

I fatti parlano chiaro, per la seconda volta nella storia repubblicana è in atto una enorme crisi sindacale, segno di un disagio che non è più controllabile con mezzi tradizionali: la concertazione ed i provvedimenti tampone hanno fallito.

I sindacati tradizionali arretrano, i giornali hanno parlato ad inizio anno di 700 mila tessere perse dalla CGIL, che ha oltre la metà degli iscritti che non sono occupati, pensionati ed altro, in particolare la FIOM è in caduta libera nonostante sia  tradizionalmente il “sindacato dei lavoratori” per eccellenza, perdendo consenso ed iscritti con una crisi ed un’emorragia imponente a favore dei sindacati autonomi, USB in testa che da questa situazione trae il principale vantaggio crescendo esponenzialmente.

Resiste la CISL, sostanzialmente stabile nei numeri anche se in lieve calo con i delegati, forte anche della sua base nel pubblico impiego, mentre la UIL, nonostante le ristrutturazioni e gli accorpamenti dovuti ai cali di introiti, è persino in leggera crescita, con incrementi anche del 30% dei delegati nelle grandi industrie metalmeccaniche e sbilanciando i rapporti di forza che producono un panorama sindacale nuovo che dovrebbe far pensare molto attentamente a cosa sta succedendo nel nostro paese.

Gli esuberi, le svendite, i subappalti e le migrazioni industriali sono ormai dilaganti e sotto gli occhi di tutti: non esiste una località italiana dove non vi sia un’azienda che dichiara la crisi o che comunque licenzia e ridimensiona.

I contratti di solidarietà, le procedure di “accompagnamento” alla pensione e gli aiuti sociali non sono più sufficienti, anche perché la solidarietà si dà quando si ha disponibilità in eccesso, e non è più il caso, la pensione sta diventando un miraggio irraggiungibile per tutti e gli ammortizzatori sociali sono ormai stati estinti dalla riforma Fornero.

Cosa resta?

La disperazione: per questo sempre più gli scontenti si rivolgono al sindacalismo di base, fatto non di grandi strutture, uffici e funzionari, ma di persone che fanno parte dei lavoratori in sofferenza e che cercano di organizzare i propri colleghi attraverso il volontariato e sfruttando i pochi permessi a disposizione delle rappresentanze aziendali.

Nessuna grande struttura e pochi mezzi, solo persone che, facendo parte esse stesse dei lavoratori in crisi, comprendono meglio i problemi delle loro realtà e cercano di ottenere giustizia, solidarietà e rispetto per la loro dignità.

Questa situazione ha cambiato anche il modo di protestare e fare sindacato, non più riunioni ufficiali in tavoli cui non sono invitati, ma presidi e guerre tra poveri, come è successo il primo agosto a Linate  e Malpensa quando i lavoratori che perdevano il posto di lavoro hanno impedito spontaneamente le operazioni della cooperativa che aveva preso l’appalto e li stava sostituendo.

Mano d’opera con pochi diritti che veniva sostituita da mano d’opera senza diritti, nell’indifferenza di chi, privilegiato e spesso nelle stanze del potere, pensa che il mondo si possa cambiare comprimendo i diritti degli altri in favore dei propri.

Questo atteggiamento non è solo stato attuato dallo stato fascista e quindi contrario principi costituzionali repubblicani, ma persino autolesionista perché farà presto mancheranno le risorse per tutta la nazione, consegnandola a nuovi padroni totalitari.

Solo un anno fa, davanti ai cancelli della società di spedizioni GLS di Piacenza, un lavoratore moriva  sotto le ruote del camion di un “crumiro” durante un picchetto per impedire le attività aziendali di sfruttamento e vessazione dei lavoratori.

Meno di un mese fa un altro incidente scampato ed oggi, un po’ dappertutto, ci sono picchetti e presidi in difesa della sicurezza, della dignità e dei diritti che molto tempo fa i lavoratori ancora avevano e che sono ora trascurati in nome di un profitto che sta uccidendo la classe lavoratrice, in particolare quella più debole costituita dalla massa che compie lavori a supporto e/o preparazione delle attività più “nobili”.

Questa massa di lavoratori è oggi la più grande e meno considerata di tutte le categorie, è quella che traina il mercato del lavoro, ma anche quella che sta morendo in favore delle grandi multinazionali che negano diritti e libertà ed impiegano persone ricattandole con strumenti di legge, come il Jobs Act, che pur di lavorare finiscono per accettare condizioni di schiavitù e sudditanza di fatto ed uccidendo nel contempo la nostra economia.

Secondo i dati dell’Inps relativi al primo trimestre 2017, vi sono più occupati rispetto allo stesso periodo del 2016, ma calano i contratti a tempo indeterminato ed aumentano i licenziamenti, mentre vi è un vero e proprio boom di contratti che applicano il Jobs Act.

Secondo i dati del sindacato USB, le aziende licenziano per poi riassumere con le nuove formule legali: sgravi fiscali e precariato attirano i datori di lavoro che in questo modo ricattano i lavoratori comprimendone le retribuzioni ed aumentando le prestazioni gratuite “non dovute” di chi vede il proprio posto di lavoro minacciato.

Mentre nelle periferie dilaga non più il solo malcontento, ma addirittura la disperazione, mentre i lavoratori lottano tra loro per accaparrarsi le ultime briciole di sopravvivenza rinunciando ai propri diritti, mentre l’economia reale è ormai ridotta al lumicino in favore della grande ed imperscrutabile finanza virtuale, in parlamento il problema principale in Parlamento sembra essere la legge elettorale.

Serve una ripresa delle coscienze prima che dei lavori parlamentari, serve che chi governa, specie se di sinistra, recuperi i valori repubblicani più veri, quelli che ci hanno fatto scappare dal fascismo che affamava il popolo togliendogli risorse in modo davvero vicino a quello che vediamo oggi: comprimendo diritti e pensando di conoscere i bisogni del popolo meglio del popolo stesso.

Siamo andati così avanti che siamo tornati indietro, per proseguire potrebbe essere necessario arretrare un po’, almeno al tempo in cui i diritti rispettavano ancora la dignità della persona.

Qualsiasi sarà la legge elettorale, questa volta, serve invertire la tendenza, andare a votare in massa pensando al nostro futuro comune, l’alternativa al voto potrebbe essere solo un’altra guerra civile che sarebbe meglio evitare.

FMI: ACCELERAZIONE DELLA RIPRESA A LIVELLO GLOBALE, ITALIA IN CRESCITA

DI VIRGINIA MURRU

 

Il FMI, nel ‘Global Financial Stability Report 2017, è positivo sui risultati della ripresa a livello globale, ma invita alla cautela e alla vigilanza, a non ‘compiacersi’ degli obiettivi raggiunti, sottovalutando le vulnerabilità che ancora sussistono nel sistema.

Secondo le valutazioni dell’Istituto di Washington, è stato, ed è fondamentale, il sostegno della politica monetaria espansiva (Qe), e pertanto si ritiene importante proseguire ancora in questa direzione, fino a quando l’eurosistema non sarà in grado di svincolarsene senza creare conseguenze sul piano finanziario. Si legge infatti, nel report di ottobre 2017:

“The Global Financial Stability Report (GFSR) finds that the global financial system continues to strengthen in response to extraordinary policy support..” (Il ‘Report sulla stabilità finanziaria globale, constata che il sistema finanziario globale continua a rafforzarsi, in risposta alla politica di supporto straordinaria).

I punti fragili del sistema economico mondiale sono stati riassunti in 5 punti, tra i quali il protezionismo, la volatilità bassa dei mercati, e il debole tasso d’inflazione, che in diversi paesi (Europa in primis), è distante dal target, ossia del 2%, obiettivo delle banche centrali.

E poi l’ottimismo delle stime: l’economia europea è avviata verso una crescita del 2,1%, invece il target relativo all’inflazione del 2% slitta al 2022, con traguardi intermedi tra l’1,4% (nel 2018) e l’1,5% nel 2017. A fare fibrillare i ‘forecast’ sono anche i ‘Non performing loans’, ossia i crediti deteriorati, quelle sofferenze bancarie che tanti disastri hanno creato nel sistema finanziario dell’Ue.

E poiché proprio l’assetto finanziario è vulnerabile alle incertezze geopolitiche che filtra il sistema, l’attenzione è puntata sull’instabilità politica che sta causando la richiesta di secessione della Catalogna, la quale potrebbe fungere da detonatore per altre aree dell’Europa sensibili su questo versante.

L’analisi del Fmi tiene conto anche di queste variabili, i risultati si considerano soddisfacenti, ma persistono ‘correnti’ contrarie, che, se non tenute sotto controllo, potrebbero sovvertire un quadro proiettato verso la crescita. Christine Lagarde, Direttore Generale del Fmi, insiste sull’importanza della cooperazione a livello globale, a non erigere steccati sul piano internazionale: è necessario andare avanti e non percorrere sentieri autonomi che chiamano in causa il protezionismo, pressoché inconcepibile in piena era di globalizzazione.

Non si fanno allusioni, nel report, ma certamente la politica degli Usa non è vista nell’ottica della stabilità e della cooperazione.

Secondo l’istituto americano, l’Italia ha compiuto notevoli passi avanti, e infatti le stime di crescita sono state riviste al rialzo per il corrente anno, mentre nel 2018 ci sarà una contrazione pari allo 0,4%, sarà dunque dell’ordine dell’1,1%.

Una divergenza non di poco conto con le stime del Def, che invece ha previsto lo stesso livello di crescita anche per il prossimo anno. Il tasso di disoccupazione sta rientrando, secondo il Fmi, verso argini meno drammatici, ma resta ancora un dato sensibile dell’economia italiana. Come del resto non si può ancora dire solido il comparto bancario, se si porta dietro una zavorra di Npl che equivale al 30% del totale riscontrato negli altri paesi europei.

E tuttavia, a livello generale, in Eurozona, i crediti deteriorati restano un problema irrisolto, nel primo trimestre dell’anno in corso risultano pari al 5,7%, in diversi paesi hanno raggiunto picchi che superano il 10%.

A rendere meno vigorosa la crescita in Italia, contribuisce anche il debito (soprattutto), perenne emergenza dei conti pubblici del Paese, il Fmi prevede che nel 2017 si attesterà al 133% (era 132,6% lo scorso anno), il Fondo prevede un miglioramento nel 2018: il debito pubblico sarà ridotto a 131,4%. Anche qui discordanza con la Nota di aggiornamento del Def, che è più ottimista circa la possibilità di ridurne la portata.

Un’Italia promossa in fin dei conti con riserva, sono questi i nodi che impediscono di esprimere auspici migliori per il futuro, le stime non possono essere del tutto positive finché non si interverrà per sanare i punti deboli del nostro sistema economico.

BCE. POSITIVI GLI ESITI SUGLI STRESS TEST CONDOTTI DALL’EBA NELLE BANCHE EUROPEE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Autorità Bancaria Europea (EBA), ha eseguito gli stress test sui bilanci delle banche europee di fine esercizio 2016; l’Eurotower si è dichiarata soddisfatta dell’esito positivo di questi risultati, le banche hanno risposto bene a queste ‘sollecitazioni’.

Gli stress test rappresentano un fondamentale mezzo di controllo sulle capacità di tenuta dei maggiori istituti di credito europei; si considerano situazioni finanziarie avverse, ma  effettivamente, non hanno un alto grado di probabilità di verificarsi.

Le Autorità di vigilanza europee adottano questi metodi di analisi da anni, ormai. Lo stress test sui bilanci delle banche europee (relativi alla fine del 2016), hanno avuto il fine di accertare la tenuta delle banche in esame, dato che in prospettiva c’è, per i successivi 3 anni, un possibile aumento dei tassi d’interesse:  ci si aspetta infatti dalla Bce un cambiamento della politica monetaria (misure di tapering).

Se questo aumento dei tassi auspicato si verificasse – secondo le risultanze della Vigilanza – ciò avrebbe come conseguenza l’incremento del margine d’interesse, al quale seguirebbe un’altra reazione, che porterebbe in decremento il valore del capitale, ossia dell’equity.

Aumentando di 200 punti base i tassi, il margine d’interesse andrebbe ad aumentare del 4,1% nel corrente anno, del 10,5% entro il biennio 2018/19, anche se, come si è accennato, andrebbe in decremento il valore dell’equity, che sarebbe del 2,7% considerato a livello aggregato.

Con queste premesse, sostiene la Banca Centrale Europea, ci si aspetta che, in considerazione dei maggiori rischi, ogni singola banca chieda un capitale maggiore; si tratterebbe di una reazione comunque circoscritta, non sul piano globale.
Il metodo con cui si applicano gli esercizi di stress test, possono essere diversi e cambiare a seconda del paese ‘in esame’ con l’andare del tempo.

La procedura attuale riguardante i test è piuttosto rigorosa, sia perché è proiettata in un triennio, e dunque uno spazio temporale più ampio (per esempio rispetto a quelli seguiti dalle Autorità statunitensi), e sia per le caratteristiche concernenti i metodi applicati.
Gli stress test possono anche definire esigenze immediate d’incremento patrimoniale, ma sono risultati che vengono impiegati dalla Vigilanza per fini di ordinari processi di controllo e supervisione.

L’EBA – Autorità Bancaria Europea – si prefigge, con l’utilizzo di questi metodi, di verificare la stabilità del sistema finanziario europeo, e di regolare il funzionamento  e l’efficienza dei mercati finanziari, individuandone quindi le possibili vulnerabilità, i rischi e le tendenze.

Le funzioni dell’Eba, in ambito europeo, vengono svolte in collaborazione con il CERS, ossia Comitato Europeo per il Rischio Sistemico, i test ai quali le banche sono sottoposte, hanno il fine d’individuare le reali capacità degli istituti di credito di affrontare emergenze, comunque situazioni negative dei mercati.

Elaborando questi dati, l’Eba può prevenire condizioni di rischio e in ogni caso contribuire alla valutazione del rischio sistemico (finanziario) in ambito europeo.
Gli stress test seguono una procedura ‘bottom-up’, alla base vi sono metodiche e scenari analizzati tramite una stretta collaborazione con il CERS, oltre che con la Bce e la Commissione europea.

MOODY’S: L’ITALIA NON MERITA UNA PAGELLA PIU’ BRILLANTE..

DI VIRGINIA MURRU

 

L’Agenzia Moody’s non si lascia condizionare dall’entusiasmo del momento, l’outlook sull’Italia è negativo e il rating non va oltre Baa2. Estrema prudenza nelle valutazioni, permangono considerazioni d’incertezza verso il futuro e le prossime elezioni politiche.

Secondo l’agenzia di rating, che non è mai stata di ‘manica larga’ nei confronti del bel paese, il futuro Governo, verosimilmente, potrebbe essere ‘un precario’ non in grado di assicurare la stabilità politica della quale il Paese ha estremo bisogno, per ingranare una marcia di crescita più decisa.

Ci dovrebbero essere garanzie precise per quel che concerne le scelte di politica economica coraggiosa espresse dall’attuale Governo, con un’incentivazione delle riforme strutturali, e il rafforzamento del settore bancario.
In sintonia con altri dati macro fondamentali per consolidare la crescita.

Moody’s riconosce tutti gli sforzi compiuti dal Governo negli ultimi quattro anni, ritiene buona anche la crescita dell’1,5% del Pil per l’anno in corso e il 2018, rivelatosi ‘oltre le aspettative’, sottolinea. Ma non basta: per una pagella più brillante, è necessario dimostrare impegno e risultati più convincenti, secondo l’Agenzia di rating.

Insomma, nessun voto d’incoraggiamento, il Paese dovrà dimostrare di meritarselo con coerenza e impegno nei prossimi anni, una volta avviata la nuova legislatura. Moody’s insiste sulla necessità di risanare i conti pubblici, il debito è molto alto, e proprio qui il prossimo Governo dimostrerà di sapere stare al timone.

Abbattere questo mostro che schiaccia l’economia deve diventare un imperativo, considerato che sottrae risorse fondamentali, anche a causa della ruota infernale di interessi che produce. Bisogna fermarlo e ridurlo in maniera più efficace, sia pure graduale, solo così i margini di manovra diventeranno più elastici, tali da rendere più agevole la spesa e l’incentivazione degli investimenti.

IL LOW COST NON E’ PIU’ LA STRATEGIA VINCENTE DELLE COMPAGNIE AEREE

 

DI VIRGINIA MURRU

 

La strategia del low cost, applicata da tanti vettori in Europa (e non solo), nonostante si sia rivelata vincente per anni e anni, ora è inesorabilmente in crisi. Qualcosa si è spezzato nella giungla di questo mercato, dove le dinamiche della concorrenza decidono la supremazia delle compagnie che dimostrano di reggere gli urti della competitività, perché in fin dei conti sono più resilienti, più corazzate finanziariamente.

Per troppo tempo abbiamo messo alla gogna Alitalia, l’ex compagnia di bandiera, addebitandole ogni responsabilità, mentre si assisteva ad un susseguirsi di crisi e dissesti, che nel volgere di alcuni decenni, da vettore di prestigio internazionale, si è esposta al declino, cancellando anno dopo anno le credenziali di efficienza e invulnerabilità sulla ‘quota’ di mercato che si è conquistata.

Dalle stelle alle stalle, da un padrone all’altro. Eppure le altre compagnie di bandiera europee non hanno avuto ali propriamente d’acciaio, e le notizie di cedimenti non sono state poi una rarità nella compagine dei vettori europei più solidi negli anni della crisi.
Ora c’è da dire che stanno recuperando, dopo serie riflessioni sull’esigenza di tagliare i costi e di migliorare la gestione. Per non collassare hanno messo in atto strategie volte a ridurre gli sprechi, anche tramite il contenimento degli stipendi al personale.

Una delle ragioni che hanno portato più volte Alitalia sull’orlo del fallimento, è stato proprio il trattamento economico di cui beneficiano i dipendenti, in particolare piloti e comandanti.

Le compagnie di bandiera, e quelle al di fuori del perimetro del low cost, hanno assimilato diverse lezioni.

Per questo nuovo assetto finanziario più solido, per una governance più garantita ed efficiente, la Borsa le ha premiate, se si considera come riferimento l’inizio dell’anno, i titoli di alcune compagnie hanno fatto balzi davvero considerevoli, si allude ad Air France Klm, il cui titolo è salito del 163%, British Airways, del 38%, Lufthansa, del 98%..
In questo clima di ripresa e consolidamento delle grandi compagnie tradizionali, come mai le big del low cost, che sembravano inossidabili e inaffondabili, si trovano davanti all’abisso della crisi? Una crisi che magari non sarà irreversibile, ma che, inevitabilmente, si presenta come una spia rossa lampeggiante, ed impone una revisione del concetto ‘low cost’.

C’è da fare il punto su un allarme che nemmeno Ryanair può più celare dietro ‘il riposo dovuto ai piloti’ e ‘lo studio per il rispetto della puntualità sugli orari’, quando la verità è più amara, e riguarda invece la fuga dei piloti verso ripari più gratificanti, non solo sul versante del trattamento economico. Tutto da rivedere? Possibile, se da questi acquitrini Mister Michael O’Leary si vuole allontanare, insieme a tutta la numerosa tribù.

Il quotidiano irlandese ‘The Irish Independent’, parla di ‘migrazione’ verso la compagnia low cost ‘Norwegian’, che sembra godere ottima salute, e ha spalancato le sue porte a 140 piloti di Ryanair, offrendo loro contratti molto più allettanti.

E la lista non sarebbe così ‘esigua; infatti, secondo le risultanze dell’associazione dei piloti irlandesi, Ialpa, sarebbero invece 718 i comandanti che hanno trovato riparo altrove, in compagnie ancora più compiacenti, come quelle cinesi e arabe. Se questi dati fossero confermati, sarebbe davvero tutto da rifare, e non resterebbe che un senso di stupore e scalpore, perché davvero, con i risultati conseguiti dal vettore irlandese nel 2016, sembrava che quel cielo fosse libero e immune dal termine ‘crisi’. Il low cost sembrava anzi il parafulmine della crisi.

E infatti lo scorso anno si è chiuso con cifre da record: prima di tutto il vettore irlandese si conferma in Italia la prima compagnia aerea, sia in ambito nazionale che internazionale. Ryanair, e già si sapeva, è il principale operatore degli scali aeroportuali italiani.

E veniamo ai numeri (nel 2016): 32.615.340 passeggeri, che segnano una crescita in positivo del 9,8%, rispetto al 2015. Non cifre che preludono una crisi quasi imminente. Eppure, siamo sulla soglia. Mentre ad Orio al Serio Ryanair fa la parte del leone, e detiene l’80% del traffico passeggeri. Vi lavorano 7.500 dipendenti, senza considerare l’indotto, che sfiora i 25 mila.
Ora la ‘big company’ farà la sua pausa di riflessione, come tutte le crisi che si rispettino, al malessere serio, seguirà un protocollo di cura che sia confacente al caso, ma non è pensabile, né tanto meno auspicabile, che un gigante di questa portata possa collassare. Perderà qualche unghia, userà un’impietosa mannaia, e ad essere sacrificati saranno magari migliaia di dipendenti. Ma è ragionevole pensare che potrà tornare a spiccare il volo con la consueta sicurezza.

Nessuno, in ogni caso, avrebbe mai potuto ipotizzare una crisi del settore low cost, che delle strategie di ottimizzazione dei costi ne ha sempre fatto una carta vincente. Non ‘All of a sudden’, dicono nel Regno Unito per ‘Monarch Airlines’, vettore (low cost) che gestiva una buona fetta del mercato in Europa, e che facendo un bel po’ di rumore è uscito di scena, perché finito nel vortice della bancarotta. E’ un turbinare continuo negli ultimi mesi, soprattutto intorno alle compagnie del low cost; ignorare questo planare raso terra di eccellenze, il cui ‘brand’ ha sempre rappresentato una garanzia per i passeggeri, non è più possibile.

Difficile capire le origini di questi cedimenti, alcune cause sembrano evidenti, ma tante si celano nella fitta rete di dinamiche che regolano il mercato, una giungla, quasi.
Secondo il prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale alla Luiss, “abbassare i prezzi in modo così selvaggio, per difendersi dalla concorrenza, a scapito del personale di volo e della qualità dei servizi, non può produrre buoni risultati nel lungo periodo.

I costi con i quali ci si misura, portano inevitabilmente alle difficoltà.” Le ragioni, secondo il prof. Pozzi, sarebbero da ricercare anche sulla liberalizzazione del trasporto aereo, che ha portato a sviluppare un nuovo assetto normativo, il quale favorisce la concorrenza, ma produce dipendenza nel mercato. Gli investimenti pubblici negli aeroporti, per rendere più agevoli gli scali, hanno favorito fino ad ora i vettori del low cost, perché hanno anche finanziato la disponibilità di nuove rotte.

Intanto Ryanair ora deve pensare a svincolarsi dagli artigli della Codacons e della Procura di Bergamo, visto che la Magistratura non intende fare finta di nulla, dopo gli annunci shock della compagnia sulla sospensione di centinaia di migliaia di voli.

Ryanair, non è una novità, con la politica di prezzi ‘low cost’, ha costruito la sua fortuna, ora però dovrà fare i conti con un procedimento istruttorio aperto dall’antitrust, a causa di presunte iniziative commerciali sleali, violando, secondo l’Authority, il Codice del Consumo. Il vettore irlandese dovrà vedersela anche con l’inchiesta dei magistrati della procura di Bergamo, in seguito all’esposto di Codacons, dopo la decisione di cancellare migliaia di voli.

Quest’ultima ha deciso di tutelare i passeggeri, ‘scaricati’ senza troppi riguardi, i quali potranno costituirsi come parte offesa nel procedimento in corso, e saranno assistiti tramite una richiesta di rimborso e/o risarcimento che ognuno di loro potrà indirizzare a Ryanair. Gli interessati possono scaricare ‘una nomina di persona offesa’ individuale, con questa procedura saranno sicuramente riconosciuti i diritti di ogni passeggero danneggiato.

E in graticola, come si è accennato, c’è anche Monarch, oltre ad un’ecatombe di fallimenti di piccole compagnie, che sono scese nell’arena, ma non hanno retto il confronto: i passeri, del resto, davanti alle aquile, prima o poi finiscono per diventare prede, e infatti molte di loro sono state reclutate da vettori più forti, sia in termini di flotta che di profitti.
Monarch Airlines, compagnia del Regno Unito, pochi giorni fa ha dichiarato fallimento, e non è stato facile per l’aviazione civile britannica accettarne il crack, anche perché ha piantato in asso 110 mila passeggeri, mentre altri 300 mila si ritroveranno con i voli annullati, e un ticket da rimborsare.

Il Governo britannico ha provveduto al noleggio di alcune decine di aerei, per riportare in Gran Bretagna i passeggeri bloccati all’estero a causa della cancellazione dei voli. Mentre Ryanair scopre nel giro di pochi mesi che piove in casa, per Monarch Airlines non è una novità, lo spettro della crisi incombeva da anni. Come Alitalia ha subito tante trasfusioni di liquidità, si pensa che le tratte verso la Turchia e l’Egitto, nelle quali aveva quasi il monopolio, abbiano subito un ingente calo di passeggeri, e questa sia stata la breccia attraverso la quale è passata la crisi.

La Monarch Airlines, con base all’aeroporto londinese di Luton, è stata pertanto costretta alla sospensione di tutti i voli. Questa volta il malessere è serio.
Ora è in amministrazione controllata, le sue sorti non sono state ancora definite, occorrerà del tempo, ovviamente, anche perché 3 mila lavoratori non si rassegneranno ad essere scaricati come valige in un angolo. I dirigenti della compagnia non risparmiano le frecce al veleno al Governo May, per il modo in cui è stata gestita la crisi fino ad ora, e c’è poi l’incognita Brexit, che non si sta rivelando essere, come si illudevano i sostenitori del ‘leave’, quel favo di miele che avrebbe finalmente reso felici i sudditi di S.M.

Eppure la crisi che attraversa l’aviazione civile non riguarda solo l’Europa, negli Usa, le difficoltà ci sono eccome. Anche negli States c’è carenza di piloti (in Europa, secondo gli esperti, ne mancherebbero circa 50 mila). La compagnia ‘Horizon Air’ è stata indotta a cancellare oltre 700 collegamenti ad agosto scorso, ed entro un ventennio si stima che sono necessari più di 600 mila boeing. Ma la grande lacuna restano i piloti, la loro formazione, l’integrazione nell’organico.

In piena era di globalizzazione, l’Europa non poteva essere l’unico continente ad essere coinvolto in questo fenomeno, che sta peraltro creando notevoli disagi ai passeggeri.

IL RIO DELLE AMAZON NELL’EUROPA DISUNITA

 

Si chiama Unione Europea, ma ognuno fa un po’ quello che gli pare, almeno fino ai confini faticosamente imposti dalla comunità di stati, confini quasi sempre economici, aiuti di stato, scambi commerciali e moneta unica, al punto che la fiscalità può essere in concorrenza, ma il debito di un paese non può essere compensato con quello degli altri, sbilanciando offerta e domanda all’interno del gruppo di stati associati.

Ieri ce ne siamo accorti con Ryanair, che pur avendo sede in uno stato membro dell’Unione sfugge ai controlli fiscali ed anche alle regole sull’occupazione di tutti gli altri stati membri, pagando tasse inferiori ed applicando contratti di lavoro che altrove all’interno della comunità sarebbero considerati illegali, oggi alla ribalta, invece, è Amazon che, come ha dichiarato la Commissaria UE alla Concorrenza, Margrethe Vestager, «Grazie ai vantaggi fiscali concessi dal Lussemburgo ad Amazon circa tre quarti degli utili di Amazon non sono tassati. In altri termini, Amazon ha potuto pagare 4 volte meno tasse rispetto alle altre società locali sottoposte alle stesse regole fiscali nazionali. È una pratica illegale rispetto alle regole Ue in materia di aiuti di Stato: gli Stati UE non possono accordare alle multinazionali dei vantaggi fiscali selettivi a cui le altre società non hanno accesso».

Circa 250 milioni di euro che Amazon deve pagare, anzi “restituire”, secondo l’Unione, al Lussemburgo per evitare che lo stato venga multato per concorrenza sleale.

Una situazione assurda in un sistema apparentemente mai stato veramente sotto controllo e che oggi sta cominciando ad evidenziare tutte le sue falle, su tutte l’evidente disomogeneità delle regole all’interno del gruppo di stati dove quattro libertà fondamentali sono garantite: la libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali e della prestazione dei servizi.

Come sia possibile garantire tutto ciò con regole differenti in ogni stato è davvero un mistero e le evidenze sembrano dare torto a chi pensa che l’Europa sia davvero Unita.

La cifra è certamente scandalosa, bisogna però chiedersi cosa nasconda il fatto che uno stato possa “rinunciare” a 250 milioni di euro in favore di un’azienda, dato che, escludendo che si tratti di un favore tra amici, qualche tornaconto questa rinuncia lo deve pur produrre e se questo tornaconto sono il resto delle tasse che in questo modo non sono pagate ad altri… allora abbiamo davvero un problema.

Il sistema di rinunciare a parte delle entrate pur di accaparrarsi il resto evidenzia una lotta fratricida in una comunità che dovrebbe essere di amici ed omogenea, una cosiddetta guerra tra poveri che certo non doveva essere lo spirito con cui fu pensata inizialmente la Comunità degli Stati d’Europa, ma che ha finito per diventare quasi una necessità di sopravvivenza in un ambiente dove lo stato “virtuoso” non aiuto lo stato “bisognoso”, ma lo costringe a rinunce ancor maggiori, come nel caso eclatante ed ormai sopito della Grecia, tuttora affamata dai debiti e lasciata sola ad affrontarli.

Così in questa Europa che ci permette di evitare di cambiare moneta in ben 19 stati differenti non ci consente di avere una vita armoniosa al suo interno, un solo prefisso telefonico, un solo sistema fiscale ed un solo unico governo capace di armonizzare, nella speranza di semplificarle, le norme comuni quotidiane.

Ieri Ryanair, oggi Amazon e domani chissà, forse Google o Facebook, ma il problema dell’unificazione delle norme e delle condizioni resta appeso: per ora lo scandalo è solo che il Lussemburgo, badate bene non l’incolpevole Amazon, è stata apparentemente sleale con i suoi confratelli.

VIA LIBERA DEL PARLAMENTO SU NOTA DI AGGIORNAMENTO E SCOSTAMENTO BILANCIO

DI VIRGINIA MURRU

 

Il Senato approva in data 4 ottobre, con risoluzione di maggioranza, la Nota di Aggiornamento al Def e scostamento dal pareggio di bilancio. A sostegno della Nota di programmazione economica presentata dal Governo, è emersa una forte maggioranza (è stata assoluta, e avrebbe comunque superato l’esame anche con una maggioranza semplice), visto che hanno votato a favore 164 senatori. I contrari sono stati 108, più un astenuto.

Mentre, poco più tardi, l’Aula ha dato il via libera al Governo sullo scostamento dal pareggio di bilancio; la maggioranza è stata più ampia perché sostenuta anche dal gruppo Mdp, passa dunque con 181 favorevoli e 107 contrari. Con l’approvazione si rende possibile l’aggiustamento strutturale pari allo 0,3% per il prossimo anno, intervento che rientra nella Nota di aggiornamento al Def. Per questa approvazione era necessaria, secondo l’art. 81 della Costituzione, la maggioranza assoluta.

Anche il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, esprime la sua soddisfazione in un tweet: “il voto del Senato è all’insegna della responsabilità e stabilità”. E dichiara ‘che non sarà una manovra depressiva per il sistema’.
Il Movimento democratici progressisti si sono astenuti lasciando l’Aula, i suoi esponenti non convergono sostanzialmente sulla linea programmatica del quadro economico-finanziario relativo alla prossima legge di Bilancio. Non erano stati peraltro accolti i sette emendamenti presentati precedentemente. Votato a favore, ‘per senso di responsabilità verso il Paese’, 12 esponenti del gruppo di Verdini.

Hanno però espresso il voto a favore, nella seconda votazione riguardante l’autorizzazione allo scostamento dal pareggio di bilancio, i 16  senatori del Mdp hanno infatti votato coesi per il sì.
C’è stato poi anche l’’ok’ a Montecitorio, con 358 sì e 133 no sull’autorizzazione allo scostamento di bilancio, per il quale si è espresso a favore anche Mdp. In seconda votazione ampio assenso alla risoluzione di maggioranza relativa alla Nota di aggiornamento del Def (i favorevoli sono stati 318 e i contrari 135), ma, come avevano annunciato, gli esponenti Mdp, si sono astenuti.

Mdp non concorda su diversi punti, come la mancanza di interventi sulle privatizzazioni, le quali, secondo il Movimento, avrebbero permesso un più agevole contenimento del debito. Non vi è convergenza sulle iniziative di carattere strutturale, che ritengono fragili, mancherebbe una visione chiara sulla Sanità, alla quale sarebbero state destinate risorse insufficienti, considerando poi che in ambito europeo siamo di alcuni punti percentuali al di sotto della media. Pierluigi Bersani non vuole sentire parlare di superticket.

Il Governo, al riguardo, ha manifestato comunque apertura sull’ipotesi di una revisione, ma in prospettiva ci sono ancora tante battaglie, anche se, in generale, i parlamentari della Sinistra hanno dimostrato senso di responsabilità, e questi atteggiamenti possono sostenere il Paese più dell’ostruzionismo e della sterile opposizione.

Le iniziative del quadro programmatico sono proiettate su un clima di crescita, innovazione e progresso, considerato il favorevole assetto congiunturale degli ultimi anni, e del 2017 in particolare. Le performance dell’economia, secondo le risultanze dei dati diffusi dall’Istat (ma anche dalle varie Agenzie di rating), sono andati al di là di ogni ragionevole aspettativa. Sono queste le fondamenta di un processo proiettato nel futuro, dove tuttavia il presente, attraverso scelte mirate, è importantissimo, per aprire orizzonti nuovi di crescita e permettere al Paese di allontanarsi definitivamente dalla palude della crisi.

Tante le misure del Governo contenute nel quadro di programmazione economica, alla luce dell’ottimismo imperante e delle nuove prospettive in cui è proiettata l’economia del Paese. E’ prevista una ‘crescita inclusiva’ per le classi meno abbienti, promette il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il ministro assicura che il paese ha imboccato la via della svolta, e  non c’è da preoccuparsi circa la ‘dipendenza’ dal Qe, il cui effetto non può essere ritenuto una ‘droga’ dalla quale è difficile affrancarsi.

“Lasciamo il Paese – afferma Padoan –  con un lungo percorso di riforme e interventi che ci hanno permesso di abbandonare le sabbie mobili della recessione, lasciamo un’eredità forte al prossimo Governo, al quale spetterà il compito del transito, del passaggio all’autonomia per ciò che concerne la politica monetaria espansiva portata avanti dalla Bce, che indubbiamente ha dato una mano al Paese.
La crescita va avanti, il settore bancario procede con maggiore sicurezza, anche se – precisa – il sentiero è stretto e le risorse ancora limitate. Ma si può migliorare, non pecchiamo di ottimismo.”

Secondo il ministro, la fine del Qe, attesa a breve, non deve preoccupare, a patto che in futuro si continui a perseverare nel campo delle riforme strutturali, e le iniziative volte alla riduzione del debito. Questo impegno è fondamentale per proseguire su un percorso di crescita.
Nel 2016 risulta cresciuto anche il reddito disponibile delle famiglie italiane.

Ed eccole le ‘cifre’ più importanti del Def:

Sostegno alle famiglie e potenziamento degli assegni per i figli; proroga sulla riduzione, fino al 10%, della cedolare secca sugli affitti, con l’impegno di allungare l’intervento anche sui proventi che derivano dagli affitti non destinati ad uso abitativo. Nelle politiche di sostegno alle famiglie vi è l’intento di favorire la crescita demografica, l’Italia è uno dei paesi interessati al fenomeno del calo delle nascite.

Per ciò che attiene agli interventi previsti per il settore sanitario, così tanto contestati dalle opposizioni, c’è la disponibilità a riesaminare i criteri concernenti le norme sul superticket, con misure di revisione graduali, e col presupposto di agevolare gli assistiti sui costi, già di per sé un versante piuttosto travagliato e discusso. Ed è proprio una condizione che la maggioranza ha praticamente imposto al Governo per il Def, sulla risoluzione relativa alla Nota di aggiornamento.

L’opposizione insiste anche  sulla necessità di investimenti in ambito sanitario, da attuare nel volgere di un triennio, dato che le risorse destinate non sono ritenute sufficienti per il settore.
Il Governo ha mostrato disponibilità per una revisione in meglio degli interventi sul sistema Sanità, anche nell’ottica di misure che rendano più dinamica ed efficiente l’assistenza sanitaria.

Intanto la legge di bilancio dovrà essere approvata entro il 20 ottobre, e la bozza trasmessa alla Commissione dell’Unione europea entro il 15 ottobre.
Nella manovre ci sarà spazio per circa 2,5 mld di spesa e 6 mld di entrate. Si deve tenere conto anche della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, la quale, secondo gli intendimenti del ministro Padoan – precisati nella Nota di aggiornamento al Def – sarà compensata con misure intorno allo 0,5% del Pil, ed interesserà sia la spesa pubblica che le entrate. La manovra, complessivamente, sarà pertanto di 8,5 mld, dei quali 6 riguardano le entrate e 2,5  tagli alla spesa.

Il ministro dell’Economia spiega che nella manovra non è previsto l’aumento dell’Iva, anch’esso tanto dibattuto, “ci sarà attenzione verso il sostegno ai soggetti più fragili e dunque verso la povertà, in un’ottica di rispetto verso gli impegni presi con l’Ue.”

Secondo l’Istat, il debito pubblico, comunque drammatico, sarà, per l’anno in corso, pari a 131,6%, rapportato al Pil, mentre nel 2018 si riscontrerà una contrazione, e, sempre in rapporto al Pil, sarà di 129,9%, ma qui anche i decimali rappresentano importi considerevoli. Secondo le affermazioni di Padoan, nel volgere di un quinquennio  o poco più, l’imposizione fiscale sarà ridotta di circa 20 mld; i tagli a beneficio del contribuente riguardano l’Ires, il bonus Irpef, eliminazione della Tasi per la prima casa.

Il ministro Padoan, come si è visto, assicura anche l’eliminazione delle clausole Iva, totalmente, insieme alle accise. Per i compensi si potrà attingere dai margini di deficit pari a 6 decimi di punto, il che, tradotto in cifre, equivale a 10 mld. Resterebbero altri 5 mld di clausole senza relativa copertura, ma si pensa di riuscire a trovare gli spazi necessari nella legge di bilancio, così come per altri ambiti.

E’ chiaro che queste manovre richiedono sacrifici, secondo il ministro, e non manca mai ultimamente, di sottolineare che si procede ancora su un ‘sentiero stretto’. Per questa ragione, per via delle risorse limitate, il pareggio di bilancio sarà conseguito nel 2020, e non nel 2019, come si pensava fino al secondo trimestre del 2017.

BANKITALIA: LA RIDUZIONE DEL RAPPORTO TRA DEBITO E PIL E’ UN IMPERATIVO

 
DI VIRGINIA MURRU
Mentre è ormai prossima la scadenza sul mandato del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al momento l’Istituto mette al vaglio i dati e le analisi sulla favorevole congiuntura economica del Paese.
 
Il Vicedirettore generale, Luigi Federico Signorini, in audizione alle Commissioni di Bilancio della Camera e del Senato (su Nota aggiornamento al Def), sottolinea questo clima di ottimismo, e il trend di crescita previsto anche nell’ultimo trimestre del 2017.
 
Afferma Luigi Signorini:
 
“l’aggiustamento dei conti pubblici e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil deve essere un ‘imperativo’, e, alla luce dei risultati conseguiti negli ultimi anni, anche possibile, alla portata dell’attuale congiuntura”.
 
Dunque, secondo il Vicedirettore generale di Bankitalia, questo obiettivo deve essere considerato in un’ottica quasi ‘ingiuntiva’ per l’italia. La riduzione graduale del debito, che ha raggiunto proporzioni ormai allarmanti (oltre 2.400 mld), è fondamentale per dare un senso a tutti i segnali verdi che il semaforo della nostra economia sta riflettendo. Le manovre di politica economica e di bilancio – secondo Signorini – dovrebbero armonizzarsi in una linea di simmetria tale da non compromettere la crescita in atto, e allo stesso tempo tenendo conto dell’esigenza di controllo e riduzione del debito.
 
“E’ un sentiero stretto – commenta Luigi Federico Signorini, ma rispetto al passato è più percorribile, perché le premesse e l’assetto dell’economia italiana permettono misure e vie più agevoli, perché diversa è la congiuntura e le condizioni di mercato.”
 
Del resto, ormai da mesi, è anche la formula chiave del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Circa la Nota al Def, il Vicedirettore Signorini, sostiene che l’’analisi di sensibilità’, volta a sondare gli effetti di un possibile shock alla crescita (e ai tassi d’interesse), collima con le analisi espresse dalla Banca d’Italia: ossia che la tendenza alla contrazione del debito proseguirebbe anche nel medio periodo, precisando però che questo percorso sarebbe in salita, e in termini di riduzione, la percentuale sarebbe per ovvie ragioni inferiore.
 
E aggiunge che il Governatore della Banca d’Italia, al riguardo, ha già parlato in alcuni recenti interventi, di studi mirati, più precisamente di simulazioni rapportate alla velocità di contrazione tra debito e Pil, in linea con ipotesi di crescita diverse, e le relative reazioni dei tassi d’interesse.
 
Queste analisi hanno messo in rilievo il fatto che è possibile, nel medio termine, procedere alla riduzione del debito.
Vale anche la pena ricordare che l’aggiustamento strutturale del Pil è stato definito dello 0,3% (per anno), misura che consentirà al governo italiano di perseverare con manovre di politica economica tali da ridurre in modo costante il rapporto deficit/Pil, nonché la stabilizzazione che riguarda il rapporto debito/Pil (dinamiche che viaggiano quasi in tandem..), e che già nel 2017 dovrebbe dare i risultati attesi.
 
E’ possibile intraprendere questa importante strada di contenimento del debito, anche secondo Giorgio Alleva, presidente dell’Istat (economista e statistico di prestigio internazionale), anch’egli in audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il quale sottolinea, a sua volta, le condizioni favorevoli dell’economia, che dovrebbero perdurare, e anzi migliorare nell’ultimo trimestre dell’anno, sostenuta dalla domanda d’investimenti in macchine e attrezzature.
 
Gli fanno eco anche gli ultimi dati sul mercato delle auto, divulgati dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture: a settembre c’è stato un incremento nelle vendite pari all’8,13%, rapportato a settembre del 2016. Nel corso dei primi nove mesi dell’anno (e in rapporto allo stesso periodo del 2016), la crescita in termini di vendite è stata del 9%.
 
A corredo dei buoni segnali che vengono dai diversi orizzonti dell’economia, vi sono i dati macro, che consolidano questa tendenza incoraggiante, come la crescita del tasso di occupazione (anche giovanile), che ad agosto scorso, secondo gli ultimi dati Istat diffusi il 2 ottobre, continua a presentare un trend in crescita, +0,2% – rispetto al mese precedente. In termini di cifre, pari a +36 mila. I dati mettono in evidenza la tendenza alla crescita emersa negli ultimi mesi. Secondo i dati Istat, pertanto, il tasso di occupazione sale al 58,2%. Aumento lieve, ma importante.
 
Tutto questo mentre da Palazzo Koch e dalla Corte dei Conti arriva un monito: “non si torni indietro sulle pensioni”.

LO SCIOPERO CHE NON C’È

 

Centinaia di voli cancellati, aeroporti in tilt, tangenziali bloccate e nessuno sciopero annunciato, come mai?

La ragione è che si è trattato dello sciopero generale dei trasporti proclamato dal sindacato di base USB e che, come per tutti gli scioperi dei sindacati di base che danno fastidio al governo, non è stato battuto dai quotidiani nazionali, quelli che sopravvivono con le sovvenzioni dello stato.

Alganews, senza sovvenzioni, totalizza quotidianamente un numero di lettori superiore a molti di essi, ma, ovviamente, se lo dice uno di questi le cose cambiano, diventa subito importante anche un pettegolezzo.

ANSA non batte la notizia se non per un trafiletto dovere di cronaca, altrimenti che agenzia stampa è?

Repubblica ed il Mattino comunicano che a Napoli la tangenziale è in tilt, sciopero locale?

La Nazione riporta disagi negli aeroporti di Firenze e Pisa, Milanotoday rischio per bus e tram.

Fine della cronaca di una giornata di normale disinformazione, nessun’altra testata ne è al corrente.

Eppure lo sciopero in Italia sottostà a moltissime regole e vincoli, al punto che scioperare è diventato difficilissimo: per prima cosa si deve dire ufficialmente alla controparte di essere arrabbiati per qualcosa ed esperire un primo obbligatorio tentativo di conciliazione, se questi non va bene, si deve ripetere l’incontro alla presenza della prefettura o del governo, a seconda se si tratta di un conflitto locale o nazionale, infine si può scioperare per sole 4 ore e poi per un massimo di 24 con preavvisi di almeno 13 giorni ed altrettanti tra uno sciopero e la proclamazione del successivo… quindi se si fanno i conti per bene sono almeno due mesi che lo sciopero di oggi era in preparazione, eppure nessuno sa nulla, nemmeno quei giornalisti tanto bene informati da sapere che in Oregon un gattino non riesce più a scendere da una pianta ed è stato salvato da un eroico anziano di passaggio…

Sarebbe facile dare la colpa ai social ipnotici od alla disattenzione generale alle cose serie, ma se oggi fa più sensazione un bebè che ride a crepapelle e non ci si scandalizza più per i soprusi sui lavoratori la colpa è solo nostra, che non sappiamo più reagire a nulla, pigri ed assuefatti al messaggio che ci propinano i governi che nessuno, oltre a loro, ci possa salvare, avviandoci verso un baratro inevitabile se non reagiremo in massa.

La rivoluzione di domani si può fare senza armi, sarà sufficiente tornare indietro di trent’anni, a quando le banche di affari erano separate dalle banche commerciali e quando i diritti dei cittadini e dei lavoratori erano garantiti e non negati attraverso norme aggiuntive e vessatorie.

Cancelliamo il Jobs Act, la legge Biagi e le varie riforme del lavoro, via libera alle tutele integrali e rispetto della persona prima che delle banche, forse produrremo meno PIL, ma saremo certamente più sereni e soprattutto via libera allo sciopero sotto tutte le sue forme: chi sciopera non si diverte, perde tempo e salario, mediamente tra 80 e 100 euro, non si spreca denaro se non si è davvero convinti che sia necessario, non è un giro sulla giostra od una gita fuori porta.

Oggi migliaia di lavoratori hanno scioperato con fatica e sofferenza, per farlo hanno dovuto costruire un percorso difficile che realizza l’assurdo che se lavori ti possono licenziare quasi senza preavviso e se vuoi scioperare devi dirlo in anticipo e poi andare comunque a lavorare e persino quando scioperi perché ti stanno licenziando ti vorrebbero obbligare a lavorare fino a quando non avrei più un lavoro… se non è assurdo tutto questo!

Ma la cosa più interessante è la motivazione con la quale USB ha proclamato uno sciopero generale nazionale ed altri due scioperi di sindacati di base sono già previsti per fine ottobre: si sciopera per rivendicare il diritto di sciopero!

È il caso di riflettere se non siamo davvero arrivati al capolinea, ormai non si rivendica più salario perché manca lavoro e stabilità, non si chiedono maggiori tutele perché mancano i diritti di base e si sciopera per poter continuare scioperare, cioè rivendicare l’unico strumento di lotta efficace dei lavoratori… assurdo.

Sullo sciopero si basano le civiltà industriali moderne, è stata approvata la legge 300/70, quelle forse più famosa in Italia, quella denominata “lo statuto dei lavoratori”; festeggiamo l’8 marzo, il primo maggio ed altre date che ci dovrebbero ricordare come siano stati in passato superati grandi soprusi attraverso questo strumento di lotta, mentre chi ancora oggi difende i diritti della base è costretto a rivendicarne il diritto ormai negato.

Lo sciopero di oggi è perfettamente riuscito nonostante il silenzio stampa, moltissimi dei lettori di Alga lo potranno riconoscere, muoversi oggi non è stato facile un po’ ovunque, e la disinformazione ha regnato sovrana: pochi articoli e su edizioni locali per scelte “imperscrutabili” dei grandi editori.

Quello che però è certo è non faremo alcun passo avanti se continueremo a mettere “mi piace” alla notizia del gattino dell’Oregon e non ci scandalizzeremo più per i nostri diritti negati: per ogni utente che oggi non si è potuto muovere c’è almeno un lavoratore oppresso, precario o licenziato, non “altri” soggetti invisibili, ma tanti noi stessi che attraverso la nostra indifferenza ci trascinano nel baratro con loro.

Oggi dare solidarietà a chi sciopera per il lavoro ed i diritti significa cercare di evitare che questi vengano sempre più negati e sempre più irreparabilmente anche a noi.

Pensiamoci.

LA CENSURA NON PUO’ ESSERE LA MATITA ROSSA DELLA CORRETTA INFORMAZIONE

DI VIRGINIA MURRU

Il blog “Remocontro” – testata giornalistica molto seguita – ieri è stato oscurato dalla censura. I dirigenti di Facebook, con i loro droni, evidentemente passano al vaglio l’informazione che raggiunge le maglie strette del network, e avendo riscontrato dettagli non conformi ai loro ‘criteri’ di valutazione della correttezza, sono intervenuti.

Con un provvedimento ‘esemplare’: una settimana di oscurità, il blog non potrà diffondere gli articoli via Facebook fino a punizione conclusa.
Queste non sono lezioni da impartire ad una società civile, non vengono dalla fonte della libertà d’espressione alla quale siamo stati formati.

Si pensava che ‘censura’, all’alba del terzo millennio, fosse solo un ‘reperto archeologico’ (d’epoche non poi tanto remote), tuttavia ci sentivamo autorizzati a cancellarla dalla memoria, perché esorcizzata dal tempo, retaggio di un passato nemmeno tanto lontano, ma non più degno d’essere ‘traslata’ nel nuovo millennio.

E invece certe calamità vanno oltre le pietre miliari della storia, attraversano con inquietante immunità il nostro tempo, percorrono a velocità supersonica le autostrade telematiche della  comunicazione, e colpiscono bersagli che hanno solo il torto di portare avanti i valori impliciti nella libertà di pensiero.

E siamo costretti, ancora, nella galassia dell’informazione, a fare appello all’art. 21 della Costituzione, che sembra un ‘dettaglio’ scontato, e invece è sempre una buona sentinella per i fondamentali diritti umani sui quali si fondano i presupposti di una società civile.

Remocontro è una fonte d’informazione gestita peraltro da giornalisti che hanno alle spalle lunghi anni d’esperienza professionale, certamente una garanzia di correttezza e qualità, per quel che concerne gli articoli diffusi in rete. Leggendo l’articolo di Ennio Remondino, non si riesce a capire quale sia la ragione del provvedimento dei dirigenti di Facebook, lo sconcerto è grande, perché a questo punto, si rischia di precipitare nel girone infernale degli interrogativi senza risposta.

In apparenza, infatti, una motivazione sensata non esiste, non si riscontrano offese, riferimenti allusivi e tendenziosi, rimandi alle concezioni discutibili dell’Islam sui diritti umani riguardanti le donne. Poi, ‘la virtù del dubbio’, porta a ragionare sulle cause che hanno determinato e acceso la miccia della censura, e si conclude che solo l’azzardo, l’idea di mettere in risalto una semplice notizia che ha viaggiato velocemente nel web, è stato ritenuto, forse, un atto d’irriverenza.

L’ironia, ingrediente naturale della libertà d’espressione, ha reso l’articolo non ‘commestibile’ per certi palati sensibili, ma tant’è: nella mannaia della censura esiste talvolta un peccato originale che si chiama ‘rispetto della verità’.

La censura è un valore che viaggia al contrario, quasi teoria degli opposti, in un clima di tolleranza e rispetto della libertà di pensiero e opinione; non ‘rema contro’ per regolare gli eccessi, pure possibili in un regime di piena democrazia, ma perché tiene conto di una gerarchia di valori che ha simmetrie diverse in altri versanti.

In definitiva perché si difendono altre ragioni, che trascendono; intanto perché non sono limpide.
Nell’articolo si esprimono opinioni favorevoli, e non potrebbe essere altrimenti, verso la scelta operata dal principe saudita Salman, di concedere la libertà di guidare l’auto alle donne. Si sottolinea l’entusiasmo delle donne a Riad, che sono scese in piazza, insieme a tanti uomini (buon segno, decisamente), per festeggiare, a suon di clacson, questa svolta epocale per l’ortodossia del Wahabbismo Sunnita.

L’articolo mette in rilievo il clima da Medioevo in cui i diritti delle donne devono misurarsi, e questa felice intuizione del giovane principe, che ancora deve salire al potere, segno di lungimiranza, lacerazione di quella cortina d’acciaio in cui languiscono i diritti umani: una speranza della quale si doveva parlare. Si tratta di un avvenimento di grande importanza, un evento da celebrare, anche in Occidente.

Allora, non è piaciuto il rimando al Medioevo? Si doveva parlare d’Illuminismo, in riferimento al regime di Riad? In un clima di democrazia si chiamano le cose per nome, a volte perfino col cognome.

Non si ravvisano offese di alcun genere nell’articolo, ben altro corre in forma di raffica nel linguaggio del web, e basterebbe soffermarsi sui commenti nei confronti del radicalismo islamico, per comprendere che la gente non mette in bilancia le parole quando deve esprimere un’opinione.
C’era la verità sostanziale dei fatti, che poi è tutto per la deontologia professionale di un giornalista.

L’Arabia Saudita, grande alleata di Washington, è uno scacchiere sensibile nel Mediterraneo, forse, qualora si fosse puntato l’osservatorio sull’Iran, paese islamico a maggioranza sciita, l’eco avrebbe potuto essere diverso. A questo punto è lecito ragionare, dato che non si ha nemmeno il diritto di conosce il motivo della censura.

L’articolo pubblicato nel blog di ‘Remocontro’, firmato da Remondino, è davvero asettico, non reca nemmeno traccia di offesa diretta o indiretta, a questo punto tutti siamo suscettibili di censura e degni d’essere ‘perseguiti’ via web.

Non riconosciamo queste vie contorte della libertà d’espressione. Scorre sangue e lacrime dietro questi valori. Noi, in Italia, pensavamo d’avere lasciato la censura dietro il filo spinato di un regime autoritario che ha chiuso i suoi battenti nel ’45. Credevamo, anzi ne eravamo convinti, nonostante le difficoltà in cui si muove la stampa in Italia, e gli oltre cento giornalisti costretti a svolgere il proprio lavoro sotto scorta (perché minacciati dalla criminalità organizzata).

E nonostante fossimo consapevoli che siamo il fanalino di coda in Europa per quel che concerne la libertà di stampa. Malgrado questo, ci si illudeva d’essere al di là della sponda, oltre quel muro, nel quale troppi eroi sono stati immolati.

QUELLA SOTTILE ACREDINE TRA MARIO DRAGHI E JENS WEIDMANN

DI VIRGINIA MURRU

 

Le dichiarazioni di Mario Draghi, nel corso dell’audizione alla Commissione Affari Economici del Parlamento europeo, seguono quelle del Governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale, per l’ennesima volta, ha espresso il suo dissenso circa la politica monetaria espansiva seguita dalla Bce.

Weidmann non ha mai realmente concordato con queste misure, non propriamente ortodosse per la Bce, in quanto ritiene eccessivi e massici gli interventi di acquisto di bond, idonei solo nel caso in cui il sistema affronti situazioni congiunturali di depressione economica, con impatti deflattivi tali da rendere necessari meccanismi di stimolo monetario.

L’assetto economico in Eurozona è peraltro cambiato, e in modo positivo negli ultimi due anni, paesi che arrancavano a causa dei problemi legati ai conti pubblici, hanno fatto progressi notevoli (tranne poche eccezioni), conformandosi ai parametri di Maastricht. Pertanto la logica ‘draghiana’ del <whatever it takes>, secondo il falco tedesco della Bundesbank, non avrebbe più senso.

Non converge in particolare sugli obiettivi del Qe, attualmente terapia intensiva per riportare in ordine lo stato dell’inflazione. Weidmann ha peraltro il sostegno di tutto l’establishment politico e finanziario tedesco, in primo piano proprio gli esponenti di AfD (partito di euroscettici e xenofobi che ora, con oltre 90 seggi, siederanno nel Bundestag), i quali non hanno esitato a presentare ricorso alla Corte tedesca, pur di mettere in discussione l’operato della Bce e del Presidente Draghi, contro la politica di acquisto degli asset.

Dietro c’è anche un altro falco della finanza tedesca, il ministro Wolfgang Schaeuble (praticamente, insieme a Weidmann, ‘nemici’ storici di Draghi, anche se di recente ha dimostrato più solidarietà all’Eurotower) che ha sempre criticato la linea di politica economica seguita dalla Bce. Politica economica, appunto.

Weidmann sostiene che la Banca centrale europea dovrebbe occuparsi di politica monetaria, non di politica economica, la quale dovrebbe essere pertinenza esclusiva degli Stati. Per colpire Draghi, dunque, i falchi tedeschi si sono appellati agli espedienti di carattere giuridico, ma la Corte europea ha poi dato ragione all’Eurotower.

Il Presidente della Bundesbank, inoltre, non tiene conto dei dati pubblicati pochi mesi fa dalla Bce, numeri che mettono in rilievo i vantaggi acquisiti, e non i danni subiti dalla Germania tramite le misure di politica monetaria.

E paradossalmente è stata proprio la Banca centrale tedesca a concludere che, gli interventi di acquisto di bond, hanno permesso alle casse di Berlino un risparmio di ben 240 mld, in termini di tassi d’interesse.

E potrebbe finire qui ogni abile dissertazione dell’establishment tedesco, si può solo aggiungere che i paesi interessati dalle operazioni di acquisto più ingenti, sono proprio le maggiori economie dell’Eurozona, ossia la Germania, con acquisti mensili pari a 12 mld, la Francia, con 10 mld, e l’Italia con poco meno. Sono in fin dei conti questi paesi i più importanti azionisti della Bce.

La conclusione, che piaccia o no a Berlino e a Herr Weidmann, è che il programma di acquisti è stato motivato da ragioni di crisi ed emergenza in area euro, si possono considerare proporzionali, come si è visto, dato che i tre paesi citati, contribuiscono al capitale della Bce in misura certamente maggiore rispetto agli altri.

Il problema di fondo è forse la sottile acredine che serpeggia tra due paesi in particolare, Germania e Italia, non a caso Mario Draghi è ‘l’italiano’ non gradito, che si vorrebbe quanto prima sostituito proprio con Weidmann alla guida dell’Eurotower.

Un continuo imperversare di polemiche contro la politica monetaria seguita dall’’italiano’, che è diventato, specie negli ultimi due anni, quasi un tiro al bersaglio per gli esponenti della finanza tedesca. Una lunga partita, che indispettisce peraltro i ‘nemici’ dichiarati delle misure monetarie espansive, perché Draghi è imperturbabile, fila dritto per la sua strada, e non si fa condizionare dai tuoni e fulmini che arrivano in Eurotower, la cui sede è giusto a Francoforte..

In un’intervista televisiva, che risale a due giorni fa, Weidmann, nonostante tutto, riprende la solita solfa sull’inopportunità dell’impiego del Qe, poiché, secondo le sue argomentazioni, l’area euro è fuori emergenza, dopo 17 trimestri consecutivi di crescita. E a proposito delle sue immutate teorie dichiara:

“L’acquisto di titoli dovrebbe essere un mezzo da sfruttare solo nei casi di vera emergenza, quando ci si trova a gestire situazioni di deflazione, compresi salari e prezzi che vanno in calo. Ma non si può concepire con l’attuale congiuntura, il Qe non si può usare per controllare il tasso d’inflazione. “

E poi rincara la dose con una requisitoria a lui molto cara:

“La Bce non può accollarsi anche i margini di rischio riguardanti i singoli Stati, dovrebbe semplicemente vigilare sulla stabilità dei prezzi. Solo le autorità della finanza pubblica degli Stati membri, dovrebbero occuparsi del rifinanziamento del loro debito e delle misure di aggiustamento dei conti pubblici.”

“Gli Stati, però – aggiunge – non hanno saputo cogliere queste opportunità, non hanno sfruttato al massimo la politica dei tassi bassi per un’efficace riduzione del grado d’indebitamento. Purtroppo i riscontri non sono quelli attesi, si è fatto poco in questo versante della politica economica dei singoli Stati.

ELEZIONI TEDESCHE IL GIORNO DOPO, COSA NE PENSA LA STAMPA ESTERA

 

Secondo Christin Brauer di N24, “Molti dei tedeschi hanno votato per la continuità”, “Circa il 25 per cento degli aventi diritto non hanno espresso il proprio voto. Potendone tener conto nei risultati delle elezioni il partito dei non votanti sarebbe la seconda forza in campo.”

Ma se in patria non mancano critiche e timori la stampa estera è molto attenta a queste elezioni tedesche, il risultato è analizzato soprattutto alla luce dei grandi cambiamenti in atto un po’ dovunque, “El País“, dalla Spagna, scrive che “in un mondo ormai pervaso dai timori indotti da Trump, Erdogan e Kim Jong-un, Angela Merkel si distingue per il suo messaggio di stabilità.”

Secondo il giornale, nonostante il crollo degli elettori “Merkel ha l’assertività necessaria di cui c’è bisogno in questo tempi difficili in ambito internazionale.”

Dalla Francia “La Croix” si concentra sulle amare perdite che CDU / CSU hanno dovuto subire e pensa che Angela Merkel ora deve trovare un partner di coalizione per una non facile “maratona” post elettorale.

Per l’austriaco “Die Presse” il risultato è dovuto alla politica tedesca sui rifugiati, “La Germania si è spostata verso destra. Con due anni di ritardo gli elettori tedeschi hanno presentato la loro dichiarazione per la crisi dei rifugiati. E il solo problema che ha reso così forte Alternativa per la Germania (AfD). Considerando la sua palese mancanza di leadership e le sue ricorrenti gravi lotte sul letamaio della storia, in un contesto politico differente i nazionalisti di destra si sarebbero da tempo sciolti, tuttavia, il malcontento sulla politica di apertura delle frontiere di Angela Merkel e l’immigrazione di massa ha dato nuova vita a questo movimento anti-euro che era già moribondo”.

L’austriaco “Der Standard” sostiene che si tratti del “solito affare”, l’unico possibile in Germania.

“La Germania è già da molto tempo senza un raggruppamento nel Bundestag, ma quando si sente quello che molte di queste persone AfD dicono, come di “pulizia” natirale, esclusione e “Stop il culto della colpa”, è grave. Non si deve dimenticare che tutto ciò accade in quel paese che una volta ha subito il terrore nazista ed ora questi rappresentanti del popolo seduti nel Bundestag, il cuore della democrazia, terranno i loro discorsi. Chi credeva tutto poteva continuare come prima, si deve ora ricredere.”

Secondo “Le Monde“, Francia si tratta di “Un risultato deludente per Angela Merkel”

“Rieletta per il quarto mandato affianca il cancelliere a Konrad Adenauer ed Helmut Kohl, ma”, dice il quotidiano, “l’esito deludente dei conservatori tedeschi potrebbe essere persino peggiore del minimo storico raggiunto dalla signora Merkel nel 2009.”

La Croix“, Francia, rincara: “Un primo posto amaro per Angela Merkel”

“Anche se l’Unione tra CDU e CSU di Angela Merkel ha vinto le elezioni parlamentari”, “perde nove punti percentuali rispetto al 2013. Nella sede del partito a Berlino, l’umore era nero.” “Per il partito cristiano-democratico di Angela Merkel ora una inizia una nuova maratona inizia”, nella quale “È necessario trovare partner per una coalizione.”

Per “Le Figaro“, Francia, “La destra radicale si è affermata”.

“Angela Merkel aveva creduto che la popolarità dell’AfD sarebbe morta verso il basso, una volta che la crisi dei rifugiati fosse finita. Il flusso di rifugiati è diminuito drasticamente, ma si è affermata la destra radicale. Ora e per molto tempo non dovrebbero scomparire dal panorama politico tedesco “.

Il “The Guardian“, dal Regno Unito, titola: “I risultati delle elezioni dovrebbero far riflettere”

“L’aumento della AfD è preoccupante, non c’è dubbio. Ed è un segno di crescente frammentazione politica. Si introduce un elemento di veleno e di polarizzazione per chiunque si aggrappi a una democrazia liberale, si deve pensare ad una politica federale della Germania “.

Il “The Times“, Inghilterra, pensa che “Il quarto mandato potrebbe essere avvelenato”

“Il quarto mandato in Germania non è senza precedenti, ma potrebbe essere avvelenato come il suo ex mentore, Helmut Kohl, aveva già sperimentato alla fine del suo governo. Molti ritengono addirittura che la Merkel non riuscirà a restare in carica per tutta la legislatura. L’avvento dell’AfD nel Bundestag, segna la prima volta dal 1960 che un partito al politicamente all’estrema destra è rappresentato in Parlamento ed anche se non v’è alcun pericolo immediato, perché tutti gli altri partiti si rifiutano di formare con esso un governo, essi chiederanno fastidiosamente e con costanza misure più severe contro i migranti.”

“La linea di fondo vede ancora Angela Merkel vincente con un governo da fare e che si preannuncia instabile fin dall’inizio, tuttavia, deve lottare, applicando una vigorosa politica di cambiamento, piuttosto che ritirarsi.”

Secondo il “New York Times“, Stati Uniti d’America, “I colloqui di coalizione dureranno a lungo”.

“Nonostante la loro vittoria Merkel ed i conservatori non possono governare da soli, il che rende probabile che la vita politica del Cancelliere sarà più complicata. La forma e il contenuto di una nuova coalizione di governo richiederanno settimane difficili negoziati. ”

Il “Washington Post“, Stati Uniti d’America, titola “La Merkel dovrà cambiare la sua politica”.

“Gauland e altri candidati AfD hanno usato slogan che sono stati ampiamente percepiti come scandalosi in tutta la campagna, ma alcuni dei loro elettori di domenica hanno espresso la speranza che la presenza del loro partito costringerà la Merkel a cambiare la sua politica recente”.

La Svizzera “NZZ” pensa che “La Merkel non può continuare come prima”

“La forte performance dei partiti minori FDP e AfD non permette al vincitore delle elezioni Merkel, di continuare semplicemente come prima. I due nuovi partiti in parlamento possono mettere la destra sotto pressione e influenzare le politiche del prossimo governo ed il Cancelliere, come un partner di governo o dall’opposizione. A tal fine, l’AfD ha l’obbligo di chiarire il loro corso e di posizionarsi come parte del tutto borghese nel Bundestag. Il partito tenderà a mantenere l’immagina squallida di destra che ha avuto durante la campagna elettorale, giocando con le idee razziste e protestando con l’opportunità di avere una diretta influenza sulla politica tedesca.

 

TERREMOTO AFD AL 12,8 %,. MA LA MERKEL RESTA IN PIEDI

 

Dal nostro inviato in Germania.

Angela Merkel si appresta ad entrare nella leggenda ma il suo record è offuscato da un vero e proprio terremoto politico: l’onda populista che sta attraversando l’Europa non ha risparmiato la Germania e l’AfD con il 12,8% dei suffragi, nonostante i suoi soli 4 anni di vita, diventa il terzo partito tedesco producendo una grande rivoluzione nello scenario politico del paese.

Prima di lei solo Helmut Kohl aveva governato per quattro mandati e complessivamente 16 anni, ora Angela Merkel, la ragazza dell’Est, si appresta ad eguagliarlo, ma a caro prezzo, quella che si appresta all’orizzonte non è più solo una Grosse Koalition, ma addirittura una possibile Riesen (gigante) Koalition, dopo che l’SPD, il partito dello sfidante principale, Martin Schulz, ha registrato il peggior risultato degli ultimi decenni attestandosi al 20,6%.

Commentando gli esiti del voto Schulz ha detto che per l’SPD ”è tempo di tornare all’opposizione” ed ha dichiarato in un’intervista alla radio ARD di voler rimanere leader del partito anche dopo questa storica sconfitta elettorale, ma non sarà presidente della fazione nel Bundestag: “Io non parteciperò alla presidenza della fazione, ma mi concentrerò completamente sul rinnovo del partito”, ha detto domenica in un’intervista ARD.

Angela Merkel, sorpresa per il risultato elettorale, non si è però persa d’animo e si è appellata alla responsabilità dell’SPD per governare fino a Natale, quando pensa di essere pronta con il nuovo governo che, in assenza di SPD, sembra già destinato ad adottare la formazione detta Jamaica, per i colori dei partiti partecipanti, con FDP e Verdi.

L’AfD, forte del risultato, starebbe già pensando ad un comitato d’indagine contro la cancelliera.

Anche il presidente dell’Istituto di Ricerca Economica di Monaco (IFO), Clemens Fuest, pensa che la coalizione “Giamaica è la risposta appropriata”, “il nuovo governo dovrebbe concentrarsi sull’istruzione e la ricerca, sulla digitalizzazione e sulla globalizzazione dell’economia, sulla politica dell’energia e sul clima e sull’integrazione europea. – ha detto – Il FDP ha espresso chiaramente un trasferimento nella zona euro, i Verdi piuttosto per esso. Queste differenze nella politica economica, tuttavia, possono essere colmate “.

Ma non tutti sono sorpresi, il ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, interfvistato sull’argomento ha detto, all’agenzia di stampa APA, che “il risultato non mi sorprende molto”, la ragione per la scarsa performance dell’Unione e il successo dell’AfD alle elezioni del Bundestag risiederebbe nella politica sui rifugiati del governo federale, “c’è molta insoddisfazione con la posizione del governo nella politica dei rifugiati in Germania”, ha aggiunto, “La crisi dei rifugiati non è stata presa sul serio da molti politici e partiti tradizionali in Europa”.

Mentre ancora si spogliavano i voti centinaia di persone dimostravano già a Colonia contro l’AfD, secondo la polizia, una marcia di protesta promossa dal comitato nazionale “Il nazionalismo non è un’alternativa”, ha attraversato il centro cittadino, un gruppo iniziale di 300 partecipanti ha avviato la marcia che si è conclusa in modo pacifico con oltre 700 persone al seguito.

Anche la superstabile e conservatrice Germania è ora al bivio, l’ingresso massiccio di AfD in parlamento creerà non pochi fastidi alla cancelliera che ha ora davanti solo due alternative: la grande coalizione con la SPD, ch eperò sembra non essere possibile per le resistenze del partito, l’alleanza giamaica con CDU / CSU, FDP e Verdi.

Dopo quattro anni di assenza, i liberali sono tornati al Bundestag con circa il dieci per cento, mentre i partiti di collegamento dei Verdi hanno raggiunto circa il nove per cento.

Nel grafico i risultati complessivi da ARD.

SALVATORE ROSSI, DIRETTORE BANKITALIA: ” IL SISTEMA CREDITIZIO E’ UNA FORESTA PIETRIFICATA”

DI VIRGINIA MURRU

 

Si è appena concluso a Courmayeur il convegno che ha avuto per oggetto l’ordinamento bancario e le sue trasformazioni, al quale hanno partecipato esperti e operatori dell’alta finanza, analisti e studiosi, rappresentanti del settore bancario e delle autorità di vigilanza.

Importante e atteso l’intervento di Salvatore Rossi, direttore di Bankitalia. Il fine era quello del confronto su tematiche che hanno affrontato lo stato dei mutamenti, in ambito giuridico, aziendale ed economico, che la ‘troika’ europea, tramite l’ordinamento bancario e le sue riforme, ha espresso nel sistema del credito, nel campo dell’attività propria delle imprese, e tramite il ventaglio di interventi a tutela dei risparmiatori.

Dunque luci e ombre di queste trasformazioni, risultato di un conflitto contro l’ultima crisi che ha attanagliato l’Europa.

E di crisi, inevitabilmente, si è parlato nel corso del convegno, il direttore generale di Banca d’Italia, a questo riguardo ha fatto osservare:

“L’economia italiana non andava a gonfie vele neppure prima che fosse interessata dalla crisi finanziaria globale del 2008, sul piano strutturale il sistema produttivo era fragile, non in grado d’incrementare lo sviluppo, generare innovazione ed efficienza. A tutto questo si aggiungeva la vulnerabilità di un sistema sbilanciato verso le banche”.

Ha poi definito ‘foresta pietrificata’ il sistema creditizio italiano, già affetto da problemi gestionali e di governance. Le inefficienze si alimentavano tra loro, producendo incertezza e instabilità, secondo il direttore generale di Bankitalia. Le soluzioni apparivano lontane, di non facile approdo. E poi il resto fa parte delle vicissitudini economiche travagliate degli anni della crisi, fino al 2014, anno in cui l’Italia ha ricominciato a sperare, a lasciare lentamente quel pantano che aveva condotto alla soglia della recessione economica.

Gli esperti nel convegno di Courmayeur  hanno messo in rilievo le trasformazioni dell’ordinamento bancario negli ultimi cinque anni, le implicazioni riconducibili all’integrazione europea, che hanno segnato profondamente i ‘distretti’ più peculiari del settore, dunque la vigilanza, la crisi bancaria e la corporate governance.

In Italia il guado è stato attraversato, con tutte le difficoltà e le lotte degli ultimi anni, dove il cittadino è stato tutt’altro che immune, eppure, nonostante i progressi e la maggiore solidità del settore bancario, persistono le incertezze, ci sono ancora margini di esposizione al rischio, e per questa ragione, la vigilanza non deve venire meno.
Così si è espresso al riguardo il direttore generale di Bankitalia:

“Quando si prende un malessere virulento, avendo l’organismo più fragile, si corrono seri rischi: l’Italia li ha corsi. Solo ora ne sta venendo fuori, con tendenze incoraggianti, anche se ancora non decisive”.

BCE. NELL’ULTIMO BOLLETTINO LE CONCLUSIONI DEGLI ESPERTI SULL’ECONOMIA DELL’EUROZONA

DI VIRGINIA MURRU

L’ultimo bollettino della Bce (n. 6 – 2017), conferma le conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio Direttivo in data 7 settembre scorso, ossia che è in atto un’espansione economica nei paesi dell’Ue in generale, e in Eurozona in particolare, ma alla crescita del primo semestre dell’anno in corso, non corrisponde ancora una vigorosa dinamica nell’aumento dei prezzi.

Da qui le ragioni della cautela, e la scelta di rimandare le misure di riduzione dello stimolo monetario, attese e quasi date per certe, nei prossimi mesi. La Bce ritiene ancora necessari interventi di acquisto di titoli, e pertanto, considerato anche il tasso d’inflazione, che stenta a raggiungere il target del 2% (le stime per i prossimi anni non sono poi al rialzo), per ora sono stati rinviate le misure di tapering.

Si legge al riguardo nel bollettino diffuso dall’Eurotower:

“Le misure dell’inflazione di fondo hanno registrato un lieve aumento negli ultimi mesi, ma nel complesso rimangono su livelli contenuti.
Di conseguenza, è ancora necessario un grado molto elevato di accomodamento monetario per consentire l’accumularsi graduale di spinte inflazionistiche e sostenere la dinamica dell’inflazione complessiva nel medio periodo. Il Consiglio direttivo ha pertanto mantenuto invariato l’orientamento di politica monetaria e deciderà in autunno riguardo alla calibrazione degli strumenti di politica monetaria nel periodo successivo alla fine dell’anno.”

Le ragioni sono da ricercarsi nel sostegno che gli interventi di politica monetaria esercitano nella domanda interna. Secondo i dati formulati dagli analisti della Banca centrale, l’aumento del Pil in termini reali, in ambito Eurozona, è stato dello 0,6% (rispetto al trimestre precedente che era dello 0,5%).

E’ in definitiva la domanda interna che ‘traina’ il Pil, la quale, a sua volta, come già si è accennato, è sostenuta dagli interventi di Qe. Una serie di variabili dipendenti che, a conti fatti, esprimono lo stato di crescita attuale nell’area euro. Ci sono ovviamente altri fattori in gioco, come la spinta esercitata dai consumi privati sul tasso di occupazione, influenzato anche dalle riforme del mercato del lavoro e dal maggiore benessere delle famiglie.

La Bce fa anche rilevare la ripresa degli investimenti, incoraggiati da favorevoli tassi di finanziamento, e da un incremento del reddito d’impresa. Nel breve periodo, secondo le analisi della Banca centrale europea, la tendenza alla crescita e le buone condizioni congiunturali, si consolideranno, esportazioni comprese, dato che a livello globale si registra una ripresa generalizzata dell’economia, che favorirà l’export in Eurozona.

Secondo gli esperti dell’Eurotower, le stime macroeconomiche dell’area euro, formulate nel mese in corso, prevedono un incremento del Pil in termini reali pari al 2,2% (per il 2017), e dell’1,8% per il 2018, mentre andranno all’1,7% nel 2019. Gli analisti dell’Eurosistema hanno pertanto rivisto al rialzo le stime per il 2017, mentre per i prossimi anni le previsioni restano pressoché invariate. I rischi al ribasso sulla crescita sono da attribuire a fattori ‘esogeni’ di carattere internazionale, e alle dinamiche dei mercati valutari.

L’inflazione nel mese di agosto, secondo la stima preliminare dell’Eurostat, e in base alle misure sullo IAPC (ovvero Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo), si è attestata all’1,5%, in aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente. Sono le risultanze degli aumenti dei beni energetici, e dei prodotti alimentari ‘trasformati’. L’andamento dei prezzi correnti del petrolio, ed energetici in generale, si rifletterà sull’inflazione, inevitabilmente.

Nell’ultimo trimestre le misure dell’inflazione di fondo hanno messo in rilievo un esiguo aumento, ma dovrebbero riflettere un trend al rialzo più convincente. Secondo le stime preliminari di Eurostat, l’inflazione, al netto di alimentari ed energetici, si attestava all’1,2% ad agosto, senza rilievi rispetto al mese precedente, ma con un incremento pari allo 0,4% rispetto alla media dell’ultimo trimestre 2016.

Nel medio termine, secondo il bollettino della Bce, l’inflazione di fondo nell’area euro aumenterà in modo costante, perché incentivata dalle misure di stimolo monetario, e dalle dinamiche prodotte dall’espansione economica in atto, la quale, a sua volta, implica un aumento dei salari.

Il bollettino mette anche in evidenza che, lo stato di disavanzo di bilancio nell’area, andrà a ridursi nell’’orizzonte temporale’ che riguarda il triennio 2017/19. Le ragioni di questo importante miglioramento sono legate alle favorevoli condizioni cicliche, e al contenimento della spesa per interessi.

Secondo le stime formulate dagli esperti della Banca centrale, a settembre “il rapporto fra disavanzo pubblico e PIL nell’area dovrebbe scendere dall’1,5 per cento del 2016 allo 0,9 per cento nel 2019. I disavanzi strutturali non sono tuttavia in calo, nonostante dinamiche di crescita positive.”

Considerando i risultati delle analisi, il Consiglio direttivo della Bce è pervenuto alla conclusione che è necessario perseverare nelle misure di accomodamento monetario, quale garanzia durevole dei tassi d’inflazione, che siano almeno prossimi al 2%. Resteranno quindi invariati i tassi d’interesse, e si prevede che restino tali anche oltre ‘gli acquisti netti di attività’.

In Italia risulta in calo il tasso di disoccupazione, ma al momento non può essere considerato ‘significativo’, anche perché non rientra in una linea di coerenza con i tre parametri di riferimento della Bce, ossia:

‘calo del tasso di disoccupazione in 3 anni’ – ‘la percentuale della diminuzione della disoccupazione nel periodo considerato’ – ‘la persistenza, dopo 5 anni, del tasso di disoccupazione, che deve risultare più basso di quello iniziale’.

Criteri non soddisfacenti per i dati riguardanti l’Italia, e invece favorevoli per paesi come Irlanda, Slovacchia, Spagna e Portogallo.
Il bollettino sottolinea l’importanza dell’immigrazione e le sue implicanze sulla forza lavoro. Si tratta, secondo la Banca centrale, di un ‘effetto considerevole’, uno stimolo positivo riscontrato in particolar modo in due paesi dell’area: Italia e Germania.

L’immigrazione, secondo le conclusioni della Bce, nel corso della ripresa, ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa’. Importante l’afflusso di forza lavoro dai nuovi stati membri dell’Ue, provenienti dall’Europa orientale. Il riflesso positivo è stato piuttosto evidente in Germania e Italia, ma anche in altre economie minori dell’area.

Il bollettino sottolinea quindi il contributo positivo di immigrati e donne, ‘protagonisti’ della crescita economica in Eurozona. Il fenomeno dell’immigrazione, secondo gli analisti Bce, sorregge la spinta del mercato lavoro; è necessario anche mettere in rilievo il fattore involutivo legato all’invecchiamento della popolazione europea, realtà che rischia di diventare critica soprattutto in Germania, nel volgere di pochi decenni.

Si controllano gli squilibri derivanti dall’invecchiamento della popolazione europea, anche con l’accoglienza di nuove energie nel campo del lavoro, ed è in virtù di queste dinamiche che cresce il tasso di popolazione occupabile.
L’universo femminile ha, a sua volta, svolto un ottimo ruolo nella ripresa. C’è un maggiore impiego di donne nel mercato del lavoro, la causa è singolare, ma non poi tanto, e in ogni caso si tratta di dati statistici:

la specializzazione delle donne e la maggiore facilità d’impiego, dipende anche dal fatto che l’istruzione risulta più alta in termini percentuali, rispetto a quella rappresentata dall’altro genere.

 

ELEZIONI IN GERMANIA. VERSO UNA NUOVA GROSSE KOALITION

 

La cancelliera tedesca Angela Merkel non si sbilancia sulle alleanze del dopo voto e nemmeno Martin Schulz sembra avere intenzione di lasciar trapelare qualcosa. Una Grosse Koalition sembra essere dunque ancora all’orizzonte.

Il problema principale potrebbe essere la crescita dei consensi che sembra registrare Alternative Für Deutschland (AFD), un partito nazionalista e anti-immigrati nato nel 2013 che dal 7-8% dei consensi nel sondaggi di due mesi fa è passato oggi all’11-12.
Il timore che la sera del 24 settembre i consensi raccolti dal movimento di estrema destra possano essere significativi per il governo ha fatto dichiarare al capo della Cancelleria Peter Altmaier (CDU) che i cittadini scontenti dovrebbero evitare di recarsi alle urne piuttosto che scegliere l’AFD.

L’episodio, riportato dalla stampa tedesca, è stato registrato martedì in una video-intervista con il quotidiano “Bild” quando alla domanda se fosse meglio non votare piuttosto che votare AFD, ha risposto “Ma certo”. “L’AFD sta dividendo il nostro paese, sfrutta le preoccupazioni e le paure della gente e credo che un voto per l’AFD non possa essere giustificato, almeno per me.”, Altmaier non ha detto apertamente di non votare, ma ha sostenuto che “è anche così che gli incerti esprimono un parere”.

Il leader della fazione SPD Thomas Oppermann ha prontamente criticato le dichiarazioni dicendo al quotidiano “Bild”, “Mi sembra sbagliato consigliare ai cittadini di non votare per non fornire elettori all’AFD”, mentre il candidato di AFD Alexander Gauland ha replicato: “Sono fantastici i democratici! Ora un membro del governo federale sta persino chiedendo il boicottaggio delle elezioni”.

Uno dei possibili problemi dei rilevamenti è che in ogni caso gli elettori potrebbero essere restii a dichiarare ai sondaggisti un voto di questo tipo, così la co-leader di AFD, Alice Weidel, sostiene che il partito potrebbe persino superare il 20% diventando la seconda forza in Parlamento, davanti alla SPD.

Sebbene ritenuto generalmente improbabile, un’impennata anche solo al del 12% dei nazionalisti genererebbe un grande terremoto nel panorama politico tedesco, terremoto che Angela Merkel sostiene non ci si possa permettere. La stessa Merrkel ha criticato nuovamente le scelte SPD per aver tenuto una coalizione con il partito di sinistra: “I socialdemocratici possono purtroppo chiedere a chi vogliono e quando vogliono, non è mai possibile escludere il rosso-rosso-verde” e pensa che questo sia profondamente sbagliato. “Non ci possiamo permettere esperimenti in questi tempi difficili”, ha aggiunto, tuttavia, nei sondaggi, l’SPD, la Sinistra ed i Verdi non dovrebbero poter attualmente contare su una maggioranza.

Anche il capo della FDP Christian Lindner ha attaccato l’AFD descrivendolo come una macchina populista di provocazione che non è interessata a lavorare sui concetti e sui testi giuridici ed ha dichiarato martedì al “Neue Osnabrücker Zeitung”: “L’AFD è certamente pericoloso, perché incita la nostra gente all’unità razziale, culturale e religiosa e combatte la diversità”.

Schulz, invece, dice di voler affidare la responsabilità della migrazione e dell’integrazione al Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali ed ha dichiarato a Stoccarda, al Congresso dell’Associazione tedesca dei giornalisti (BDZV), che era sbagliato che l’argomento fosse un’appendice del Ministero dell’Interno, proponendo l’istituzione di un “Ministero del lavoro e degli affari sociali, la migrazione e l’integrazione”.

Inoltre, lunedì sera nella trasmissione ARD “Wahlarena”, tra le altre cose ha anche promesso che avvierà un cambiamento di corso della cancelleria già durante i primi 100 giorni di governo, il “Reutlinger General-Anzeiger”, ha detto Schulz, “si può finanziare con i fondi necessari sia dall’assicurazione per l’assistenza che con le tasse, inoltre si deve discutere e guardare a ciò che è pratico …”

A pochi giorni dal voto lo scenario post-elettorale della Germania si prospetta quindi davvero complicato, è quasi scontato che Angela Merkel verrà riconfermata cancelliera, dato che tutti i sondaggi danno in netto vantaggio, attorno al 36-38%, la sua Unione Cdu-Csu, ma per il resto l’incertezza è totale e sarà determinata dal risultato che i socialdemocratici (SPD) di Martin Schulz, previsti tra il 20% ed il 25%, otterranno e dalla sorpresa di AFD, che, come detto potrebbe superare ed anche di molto il 12% sbilanciando tutte le possibili coalizioni ed imponendo una loro presenza in una larghissima coalizione di governo con l’Unione, che potrebbe creare grandi problemi ad angela Merkel che, invece, punta ad una grande stabilità e continuità, al punto da aver dichiarato che se vincerà le elezioni Schaeuble sarà confermato ministro delle finanze.

Anche Schaeuble , che è in carica dal 2009, è candidato alle elezioni di domenica ed è molto apprezzato dai tedeschi per la sua strenua difesa dell’austerità imposta alla Grecia ed ad altri paesi dell’area dell’euro in difficoltà, poiché sarebbe proprio questa sua posizione intransigente in difesa del rigore di bilancio in Europa che avrebbe consentito alla Germania di evitare le sbandate capitate ad altri Paesi. Angela Merkel, nel festeggiare lunedì il settantacinquesimo compleanno del ministro, lo ha elogiato definendolo un uomo «di convinzioni e di azioni» e dallo «spirito mai rassegnato».

Secondo i sondaggi della tedesca Wahl Navi i due gruppi più grandi si uniranno dopo le elezioni del Bundestag, l’87% degli intervistati ne sono convinti: il CDU / CSU vincerà la maggior parte dei seggi, il secondo posto, con il 77% degli intervistati a favire, spetta alll’SPD, ma anche circa un ventesimo degli elettori vede l’AFD come il secondo partito più rafforzato dopo le elezioni, mentre il 5% degli intervistati pensa all’FDP.

La terza determinante forza politica tedesca è la questione vera: l’elettorato e gli esperti si interrogano molto su questo aspetto ed il 30% degli intervistati pensa che proprio l’AFD sia in gara per la vetta, mentre il 24% degli intervistati vedono la FDP vincente lasciando indietro Sinistra e Verdi con rispettivamente il 17% ed il 16%.

WEB TAX . FINE DEI PRIVILEGI FISCALI PER LE MULTINAZIONALI DELL’E-COMMERCE

DI VIRGINIA MURRU

 

‘L’unione fa la forza’, sulla scia del vecchio adagio comincia la sfida ai comportamenti elusivi delle web company, ovvero i colossi dell’economia digitale che fanno affari d’oro con le transazioni on line, ‘dribblando’ il fisco dei paesi europei in cui operano, e trasferendo gli utili nei cosiddetti paradisi fiscali.

Ormai queste multinazionali sono conosciute da tutti, perché si avvalgono della rete per i loro traffici commerciali. Si allude a Google, Facebook, Amazon, Airbnb, Apple, Booking, Ebay, tanto per citare le più note, ma l’elenco va oltre. Ora sono nel mirino dell’Unione Europea e dell’Ocse, e c’è da scommettere (che sia la volta buona..) che si riuscirà finalmente ad inchiodarle alle loro responsabilità nei confronti del fisco.

Intanto i paesi più forti dell’Eurozona, hanno preso accordi recentemente per indurre l’Ue ad approvare un disegno di legge sulla web tax, che non lasci scampo o vie di fuga alle multinazionali americane fedifraghe (la maggior parte sono proprio targate Usa), così che i loro profitti non transitino altrove, dopo avere realizzato ingenti fatturati nei paesi dell’Unione europea (ma non solo, ovviamente).

Con il preciso intento di bloccare l’evasione fiscale di questi colossi, Italia, Francia, Germania e Spagna hanno programmato un incontro nella capitale dell’Estonia, a Tallinn, il 15 e 16 settembre prossimi, per discutere delle strategie che saranno messe in atto per porre fine all’’impunità fiscale’ di cui le multinazionali hanno finora goduto.

Il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, insieme ai colleghi Le Maire (francese), Wolfgang Schaeuble (tedesco), Luis de Guindos (spagnolo), hanno sottoscritto un accordo congiunto, un paper comune, al fine d’intraprendere i provvedimenti necessari per obbligare le grandi web company a corrispondere il dovuto al fisco nei paesi europei in cui fatturano miliardi.

Seguendo anche l’esempio della Francia, che ha presentato un conto salato a Google alcuni mesi fa, e ora a Microsoft, per gli incassi sulla pubblicità on line. Conti che vanno dai 600 mln al miliardo.

Il Mef, che proprio in questo periodo cerca di reperire ovunque risorse per fare fronte all’aggiustamento strutturale dei conti – in vista degli impegni assunti con l’Ue, dalla quale ha ottenuto il dimezzamento della correzione richiesta, ossia lo 0,3 punti (l’Ue chiedeva lo 0,6) di saldo strutturale del Pil nel 2018 (con la prossima legge di bilancio, in autunno) – potrebbe trarne vantaggio.

Padoan, sta pensando già di tassare gli utili sulla pubblicità delle multinazionali, attraverso un intervento fiscale che ha qualche attinenza con la ‘cedolare secca’.

In definitiva, le quattro principali economie dell’Eurozona, chiedono di equiparare sul piano fiscale il fatturato di competenza di ciascuno di questi stati, evitando le fughe rocambolesche dei profitti con espedienti illegali, tramite le società del gruppo. E basterebbe calcolare anche un’aliquota minima sul fatturato per rendere più equo il ritorno verso l’erario, certamente oltre gli importi quasi simbolici versati finora.

In gioco c’è la regolare residenza fiscale, visto che finora le multinazionali hanno contato proprio su questo stratagemma. Per questo i quattro ministri insistono sul fatto che si è transatto fin troppo sui loro adempimenti fiscali, veramente irrisori. Padoan sostiene che “non è più possibile la tolleranza, dato che le web company compromettono con i loro comportamenti iniqui i principi di sostenibilità ed equità fiscale dell’Ue”.

I ministri hanno provveduto a trasmettere una copia del documento al Commissario per la Fiscalità dell’Unione, ossia Moscovici, il più agguerrito nella lotta contro l’evasione.
Non siamo indietro solo in Italia in materia di lotta contro l’evasione, è un problema che attanaglia un po’ tutti i paesi europei, e non solo. Gli Usa, infatti, con la nuova amministrazione, vocata al protezionismo esasperato, non collaborerà con l’Ue per le misure fiscali in dirittura d’arrivo contro le “over the top” americane.

Hanno cominciato gli inglesi nel 2015 ‘aggredendo’ Google (la Google tax), alla quale hanno imposto il 25% sul fatturato superiore ai 10 mln. Ma anche l’Italia ha reagito, sui fatturati originati dalla pubblicità on line che superano i 50 mln.

Attraverso gli accordi comuni, i 4 principali paesi dell’Ue, intendono esercitare una maggiore pressione fiscale, e rendere più efficaci i provvedimenti legislativi che saranno adottati a breve. In fondo si tratterebbe di responsabilizzare questi colossi, e indurli ad una compliance spontanea, senza necessità di interventi coattivi, che andrebbero poi a scapito delle società stesse, le quali incorrerebbero in sanzioni non più soft, come finora è accaduto, ma piuttosto pesanti.

Tuttavia il 7 giugno scorso è stata firmata la convenzione multilaterale tra più di 60 paesi Ocse sulla web tax. La convenzione ha il fine di contenere l’evasione fiscale delle big web company, con iniziative giuridiche di carattere internazionale e accordi multilaterali, volti a rendere più efficace anche la normativa esistente.

Gli accordi presi a giugno (e firmati a Parigi), definiti con la sigla Beps, ossia ‘Base erotion and profit shifting’, stabiliscono che gli stati firmatari potranno avvalersi della loro autorità per indurre le multinazionali a versare le tasse nel paese in cui si generano i profitti derivanti dalle transazioni on line e relativa fatturazione.

Con la convenzione esiste già un argine per contenere gli slalom fiscali di questi colossi che finora hanno consentito di mettere al riparo miliardi su miliardi in paesi con una normativa compiacente. Come già si sapeva, gli Usa non hanno firmato.

Quello che conta per la convenzione è il trasferimento sul piano multilaterale, di un insieme di accordi che si propongono di combattere lo ‘shopping fiscale’ dei grandi gruppi nel web, e dunque la tendenza di tradurre altrove la base imponibile, nonché gli utili societari, dai paesi in cui si originano a quelli che hanno una normativa fiscale bassissima, quando non nulla.

Il fatto è che questo genere di elusione causa danni enormi agli stati di ‘competenza’ e alle loro finanze pubbliche. Secondo le stime dell’Ocse, i danni globali si aggirerebbero intorno ai 200 mld di dollari.
In Italia, paladino della webtax è stato, nel 2013, un esponente politico del PD, Francesco Boccia, che ha voluto la sua introduzione per obbligare le big web company a versare le imposte indirette sui loro profitti derivanti dai traffici commerciali nel nostro paese, e che  non fanno regolare uso di partita Iva.

Cos’è dunque la web tax di cui si parla spesso negli ultimi mesi?

Semplicemente è un’iniziativa di carattere giuridico-fiscale che mira a regolamentare la tassazione sulle multinazionali che operano nel web, al fine di garantire ‘equità fiscale e concorrenza leale’.
E infatti la proposta di legge mira alla ‘ratio nel contrastare l’evasione delle transazioni on line, non registrate secondo le regole del paese di competenza dell’e-commerce, diretto o indiretto, e che pertanto sfugge al regolare regime di tassazione’.

E non è che queste ‘big’ non possano permetterselo. Si stima che grandi colossi come Facebook, Nintendo, Yahoo, eBay, Amazon, Expedia e tanti altri, nel complesso, capitalizzino circa 3mila miliardi di euro. Tanto per avere un’idea, si tratta di un importo sei volte superiore alla capitalizzazione della Borsa di Milano, del cui listino fanno parte circa 400 società..

VACCINI. IL GOVERNO PENSA AL RICORSO CONTRO IL VENETO

DI IMMACOLATA LEONE

 

“Senza vaccini non si entra a scuola”,
queste le parole della ministra Lorenzin in risposta al decreto della Regione Veneto, sulla moratoria dei vaccini, che concede una deroga di due anni sull’obbligatorietà dei vaccini nelle scuole per i bambini da 0 a 6 anni.
La ministra della salute è seriamente intenzionata ad impugnare la decisione del Veneto, perchè anche se in materia di sanità possono mettere mano sia lo Stato che le Regioni, secondo la ministra lo Stato ha competenza assoluta sulla salvaguardia della salute, che nulla ha a che vedere con la sanità.
“Ci riserviamo tutte le azioni di nostra competenza, il decreto del Veneto non è sostenibile. Se derogano di due anni, si assumono la responsabilità di quello che può accadere in ogni struttura e ai singoli alunni. L’epidemia di morbillo non è finita. Nel 2017 sono stati oltre 4.300 i casi, non c’è altro da aggiungere per spiegare la gravità della situazione“.

Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha immediatamente risposto piccato: “Non facciamo questi provvedimenti per cercare la rissa o creare epidemie, li facciamo perché applichiamo la legge fatta dalla Lorenzin e secondo i miei autorevoli tecnici la nuova legge ci permette di mettere in piedi una moratoria affinché ci sia un atterraggio morbido rispetto a quanto prevede la legge”.
“La nostra risposta sta nei fatti: siamo tra le regioni con il maggior numero di vaccinazioni, e questo grazie alla nostra politica decennale a favore di una vaccinazione informata.
Lorenzin minaccia la migliore Sanità d’Italia. Se ci saranno epidemie non saranno certo in Veneto, ma nelle regioni dove non si vaccina. Coercizione crea abbandono vaccinale”

Anche l’assessore alla Sanità del Veneto è scettico sul’eventualità di epidemie dal momento che, la stessa regione è tra quelle che registrano il maggior numero di vaccinazioni all’anno, grazie a politiche di vaccinazione informata,che puntano a colloqui con i genitori senza l’obbligo delle vaccinazioni.
Forse non tutti sanno , ma nella regione Veneto i bambini non vaccinati frequentano classi con copertura chiamata “di gregge” non inferiore al 95%.

Intanto tra il botta e risposta della ministra e del governatore, le scuole tutte riapriranno i battenti tra martedi e mercoledì 12 e le famiglie hanno intasato le ASL, gli studi medici e le segreterie delle scuole per riuscire a districarsi nel dedalo dei documenti da presentare.

COSA SUCCEDE NELLE ALTRE REGIONI?

– In Lombardia, il governatore Roberto Maroni ha concesso una proroga di 40 giorni per chi non è riuscito a mettersi in regola.
– In Alto Adige si pensa ad una proroga transitoria di un anno, tutti i ragazzi tra 0 e 16 anni riceveranno, o hanno già ricevuto, una lettera della Asl con l’elenco delle vaccinazioni mancanti, e di quelle già eseguite. Nel frattempo i ragazzi potranno frequentare tutti corsi educativi.
– Nelle Marche ed in Basilicata è stata direttamente la regione a mandare le lettere alle famiglie non in regola.
– In Umbria le lettere sono state inviate direttamente dalle Asl, e per chi ha fatto tutti gli adempimenti necessari ha dovuto solo riempire un modulo di autocertificazione
– A Napoli gli ambulatori Asl sono risultati insufficienti, rispetto alle richieste delle vaccinazioni da parte delle famiglie, , la confusione ha generato malumori che hanno portato le Asl ad implementare il personale specializzato.
– A Palermo, momenti di tensione da parte di genitori “agitati” per la presunta mancanza di vaccini, hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.
Così in Sicilia è arrivata l’interessante iniziativa del camper itinerante, dove medici ed infermieri, dietro presentazione del tesserino delle vaccinazioni, presteranno le vaccinazioni obbligatorie.

E LA MINISTRA FEDELI?
La ministra dell’istruzione Valeria Fedeli qualche giorno fa in una intervista sulle pagine di Repubblica ha cosi dichiarato : “La Lombardia, che concede una proroga, è semplicemente fuorilegge. Non ci sarà nessun rinvio dopo la scadenza ultima del 10 settembre, su questo io e la mia collega Beatrice Lorenzin siamo fermissime”.

 

Se consumen las dosis adecuadas. Quien sufre mas estrenimiento. Cosa devo fare e cosa devo mangiare. Oui, en moyenne. cialispascherfr24.com C e qualche attinenza.

SCHULZ SORPRENDE. MA MERKEL SEMBRA ANCORA FAVORITA

Per il duello televisivo tra Angela Merkel e Martin Schulz, andato in onda il 3 settembre 2017, le quattro principali reti televisive tedesche volevano accordarsi con i rispettivi rappresentanti sulle modalità di messa in onda con lo scopo di ottenere un “dibattito TV” per il 2017 drammaticamente nuovo, con blocchi da 45 minuti ed un ingresso comune nel programma che favorisse una struttura più chiara e più spazio per la spontaneità e la discussione.

I rappresentanti della Cancelliera hanno però rifiutato di partecipare in queste condizioni, così il modello utilizzato è stato approssimativamente quello del 2013: coppie di moderatori, prima Maybrit Illner (ZDF) e Peter Kloeppel (RTL)  ed a seguire Sandra Maischberger (ARD) e Claus Strunz (ProSieben / SAT.1), che hanno alternato le loro domande in trasmissione senza accordi sostanziali su questioni concrete per favorire comunque spontaneità ed indipendenza giornalistica.

Il risultato è stato un modello divertente, ma un po’ più difficile da gestire del previsto, con il candidato SPD, Martin Schulz, che ha lottato con la cancelliera Angela Merkel cercando spesso di metterla nei guai.

Il motto di Martin Schulz è sembrato essere “chi non ha molto da perdere, può osare di più”, così ha cambiato spesso le carte in tavola sorprendendo per le affermazioni spesso in contrasto con le politiche del suo partito ed arrivando persino a generare un momento di puro stupore quando ha affermato che “quando sarò Cancelliere, annullerò i negoziati di adesione all’UE,” riferendosi chiaramente alla Turchia ed in netto contrasto con la posizione della piattaforma SPD, concludendo che questa è anche la posizione tradizionale dell’Unione che la Merkel da cancelliera non ha (ancora) applicato.

Ma Angela Merkel non si è fatta influenzare troppo dallo sfidante che ha replicato con una tattica ovvia, ma efficace, e ha risposto sempre prontamente a qualunque spostamento di argomento di Schulz, persino quando ha violentemente attaccato i manager delle industrie automobilistiche per la vicenda diesel, sostenendo che vi è stata una “perdita di fiducia senza uguali”, non si è fatta sorprendere replicando con prontezza “sono furiosa!”.

Secondo gli osservatori tedeschi Schulz ha lottato controllando gli attacchi ed influenzato il conflitto che ha avuto, come ci si aspettava, come tema dominante la politica interna sui rifugiati e l’integrazione, argomento sul quale la Merkel a ricevuto le maggiori critiche degli ultimi tempi e che ha finito per occupare la metà dell’intero tempo del dibattito.

Martin Schulz, ha avuto toni critici sull’argomento, definendo come un “compito generazionale” l’integrazione di più di un milione di nuovi arrivati e rivolgendosi chiaramente agli ex elettori fondamentali dell’SPD nella classe operaia dove, nelle recenti elezioni statali, il partito ha avuto le maggiori perdite.

Angela Merkel ha però difeso con energia la politica sui rifugiati che ha tenuto negli ultimi due anni, considerando un propria colpa solamente il non essersi occupata adeguatamente ed in tempo delle strutture dei campi profughi nelle regioni di crisi, ma anche non di aver mai sottovalutato il problema.

Durante il dibattito sono stati toccati temi di politica internazionale, Turchia, Corea del Nord ed Islam, sono invece mancati completamente i temi della formazione e della digitalizzazione, solo accennata alla fine dalla cancelliera, rivelando un approccio tradizionalista e conservatore di entrambi i candidati sugli scottanti temi delle politiche sociali interne, argutamente evitatati, mentre il momento più irritante è stato quando, trattando di religione ed Islam, Martin Schulz ha citato un filoso dicendo che “al di là del giusto e dello sbagliato, c’è un luogo dove tutti ci incontriamo”, alludendo all’aldilà ed entrando in evidente confusione, dalla quale ha cercato di uscire dichiarando che la frase avrebbe dovuto chiudere le sue osservazioni ed era stata detta troppo presto.

A fine dibattito il presentatore RTL Peter Kloeppel ha azzardato l’ipotesi di un secondo incontro per la settimana successiva, immediatamente cassata dalla Merkel.

Nonostante le novità e la tensione si può affermare che il dibattito ha avuto uno stile tradizionale, ognuno ha cercato di usare gli elementi nei quali si sentiva più forte, Merkel sembra aver convinto di più di Schulz, d’altro canto cambiare è sempre un’incognita, e la cancelliera ha dalla sua dati che, sebbene non siano del tutto merito suo perché dipendono in gran parte dalle politiche del suo predecessore Gerhard Schröder (SPD), sono inoppugnabili, come il dato di disoccupazione, oggi al 5,7% per il quale ha affermato “Invece di cinque milioni di disoccupati, di quando ho assunto l’incarico, ora abbiamo 2,5 milioni di disoccupati, dei quali un milione sono disoccupati di lunga durata”.

Dati grezzi, ma di grande impatto che sono stati uniti alla considerazione che nonostante il diktat europeo sia di mandare le persone in pensione a 70 anni, la linea ufficiale della CDU è di non prevedere “di aumentare ulteriormente l’età pensionabile. Siamo ora ad un’età pensionabile di 67 anni”, che, come concordato con l’SPD, sarà introdotta gradualmente.

Dalla parte di Schulz, in genere, sembrano essere state più apprezzate le affermazioni populiste, come sul tasso di criminalità in aumento dove ha detto che “la Sassonia è la zona con la con il più alto tasso di criminalità”, ma anche a Berlino il tema è sensibile avendo realizzato nel 2016 il peggior record di tutti gli stati e delle principali città tedesche, nonostante un lieve calo generale della criminalità nazionale.

L’ultima parola, però, sembra essere stata della cancelliera che nelle sua dichiarazioni finali ha lamentato che il tempo non era stato purtroppo sufficiente per parlare compiutamente dei prossimi quattro anni e ha velocemente accennato alle sfide del futuro digitale ed ai successi del passato: “dall’esperienza degli ultimi anni e la curiosità per il nuovo, vogliamo fare in modo che la Germania sia ancora un paese moderno per i prossimi dieci anni”.

Merkel, ha quindi dichiarato di voler lavorare, ” per voi e con voi “, chiudendo con la frase “sono sicura che possiamo farlo insieme”.

Martin Schulz ha invece concluso il dibattito parlando di “un momento di transizione”, per il quale è necessario il coraggio di un cambiamento che deve modellare il futuro e non somministrare il passato, per Schulz è compito dell’Europa stabilire la giustizia, la sicurezza e la pace nel mondo e rafforzare le democrazie in una “idea di una Germania europea in un’Europa forte, per la quale ho combattuto tutta la mia vita.”

Il bilancio finale, però, ha visto molte convergenze di programma nonostante le apparenti distanze, a partire dalla scelta di abiti di colore blu per entrambi gli sfidanti che ha reso piatte le immagini lasciando più spazio alle parole, Günther Jauch, uno dei più popolari presentatori televisivi tedeschi, ha parlato di spettacolo che rischia ancora una volta una di portare ad una grande coalizione.

Secondo Jauch il dibattito televisivo è stato soprattutto una delusione, per lui Martin Schulz è stato poco aggressivo ed anche se non ha risposto alla domanda diretta su un’eventuale alleanza post elettiva, Jauch ha scritto lunedì mattina sul quotidiano Bild “dal momento che a parlare sono due politici di professione, non mi libero dal sospetto che i potrebbero lavorare insieme e senza problemi in un governo” convinto che “questo duello ha dimostrato ciò che ci minaccia: altri quattro anni in una grande coalizione sotto la Merkel”.

Molti anche i sondaggi e le opinioni divergenti su chi abbia realmente vinto la sfida, le elezioni, ovviamente, scioglieranno ogni dubbio, ma per il momento, anche se gli analisti danno Schulz in testa, secondo il sondaggio lanciato on line per i telespettatori della trasmissione, Merkel “ha convinto di più”.

PAZZA L’IDEA: COMPRIAMOCI ALITALIA

DI PIERLUIGI PENNATI

 

Non capisco, tutti gli analisti parlano di conti in ordine, azienda sana e costi del personale e di gestione persino inferiori a molti concorrenti, ma mal governata, dopo il fallimento dei manager delle clientele politiche quello dei “capitani coraggiosi”, una compagnia da sempre nelle mani, a detta di chi ha analizzato la situazione, di incapaci, almeno nelle politiche e strategie di riempimento dei posti.

Ora, dopo aver già pagato una volta per scongiurare il problema sociale di migliaia di licenziamenti, siamo comunque chiamati da governati espressione di una classe politica agonizzante e mai legittimata da un voto costituzionalmente valido, a pagare comunque, quindi di nuovo, producendo l’effetto di produrre costi doppi per lo stesso problema.

Ma, già, Alitalia è oggi privata e non si può toccare.

Privata, come erano privati i conti correnti dai quali un primo ministro ha deciso una mattina a sorpresa di prelevare una “una tantum” senza che nessuno potesse reagire.

Privata, come private sono le persone che avevano stipulato un contratto con un’assicurazione, l’INPS, che prevedeva dei termini per ottenere una pensione e che un altro primo ministro ha cambiato senza dare la possibilità di recesso e che un altro, dopo di lui, ha allungato di botto mettendo persino sulla strada migliaia di famiglie, quelle dei cosiddetti “esodati”, con la disinvoltura di chi importa poco del prossimo e pensa solo a conti malati e senza anima.

Privata, come sono private ed intoccabili le proprietà dei potenti, mentre quelle delle masse di poveri e “normali” possono essere sacrificate.

Uno dei governi che più ha provocato problemi ai lavoratori degli ultimi decenni, quello di Renzi, ha voluto a tutti i costi vendere aziende di stato che non erano in crisi e producevano utili record, come ENAV, ed ha riorganizzato quelle che lo erano efficentandole, come Finmeccanica che accorpando tutte le aziende controllate ha trasformato un gruppo in perdita in un’azienda che sta sul mercato, ed ira, dopo aver fatto il contrario di quello che il buon senso suggeriva, tramite Gentiloni, si rifiuta l’unica soluzione che potrebbe salva Alitalia ed i suoi 12.000 dipendenti, la statalizzazione.

Serve, sembra, solo riempire gli aerei, quindi una strategia commerciale adatta, possibile che in Italia non ci sia nessuno capace di farla?

Non ci credo. Credo invece che sarebbe molto meglio evitare altri costi sociali riprendendo il controllo di una compagnia oramai sana.

Non vuole farlo lo stato? Lo facciano i suoi cittadini: compriamoci Alitalia!

Non serve molto, possiamo farlo e sarebbe un buon investimento tanto che io sono disposto a fare da apripista mettendoci la prima quota, ma davanti a tutti dovrebbero esserci i dipendenti, con una quota del loro TFR potrebbero formare una base solida su cui i sindacati potrebbero contare per aprire la sottoscrizione pubblica: chi non vorrebbe comprarsi Alitalia?

Serve solo organizzazione, coraggio e cogestione, la formula vincente di partecipazione dei dipendenti, non dei sindacati, alla gestione aziendale che fa volare le quotazioni di BMW, Porche e Mercedes, una forma di co-partecipazione dei dipendenti alla gestione aziendale che dove è applicata nel mondo porta solo frutti e benefici per tutti, gli azionisti ed i dipendenti, che in questo caso sarebbero anche azionisti.
I sindacati deputati dovrebbero essere CUB ed USB, i due sindacati che hanno convinto più di 7.000 dipendenti sul totale a votare no all’accordo che prevedeva solo tagli e licenziamenti, ora gli stessi sindacati che predicano la statalizzazione potrebbero guidarne la “privatizzazione popolare”.

La vogliono tutti, ma a pezzi, solo il governo miope, dopo averne già pagato i costi sociali, non la rivuole? Comperiamola noi, intera!

PENSIONE MINIMA PER LA NUOVA GENERAZIONE PERDUTA

DI IMMACOLATA LEONE

 

C’era una volta una vita, con un lavoro anche umile, ma pulito e pagato, una vita vissuta e sopravvissuta, con speranze, sogni e illusioni, fino ad arrivare alla tanto agognata pensione, quella vera però, quella che ti dava la dignità di vivere anche da anziano dopo una vita di sacrifici.
Oggi i sessantacinquenni sono sempre di più, con una pensione bassa che rasenta il ridicolo, che fanno rinunce disumane e con un numero imprecisato di figli e nipoti che si appoggiano ad essa.

L’imbuto del’INPS fa acqua da tutte le parti, il cambio del sistema retributivo a quello contributivo ha abbassato ancora di più le pensioni, le riforme su riforme non hanno trovato nulla di nuovo se non la genialata di allungare l’età pensionabile.
I lavoratori di oggi, soprattutto i precari, coloro che conoscono solo “per sentito dire” un lavoro stabile, vivono nel limbo dell’attesa rassegnata di qualcosa di concreto dallo Stato, che nulla fa e poco pensa per far fronte a questa metastasi epocale.

In questo quadro si inserisce la “succosa” notizia che il ministro Giuliano Poletti, seduto in contemplativa, sta pensando ad un generoso assegno minimo di 650 euro per i giovani di oggi, futuri pensionati.
Con il sistema odierno i giovani raggiungeranno l’età pensionabile “solo nel caso abbiano maturato una pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale, circa 670 euro, l’idea è quella di abbassare questo tetto a 1,2 volte. Con un sistema di garanzia che assicuri in ogni caso un assegno mai inferiore ai 650 euro, indipendentemente dai contributi versati”.
Il pensiero va anche ai pensionandi di oggi, si deve abbassare la soglia di reddito indispensabile per il pensionamento anticipato, “cioè una volta raggiunti i contributi necessari e prima dell’età pensionabile standard, a 63 anni e 7 mesi. Attualmente è di 2,8 volte l’assegno sociale”.

Ovviamente non c’è fretta, la proposta non è proprio urgentissimma come sottolineato anche dal ministro Poletti: “Il tema è all’ordine del giorno, è in discussione e continueremo a discuterlo ma il problema non si configura domani mattina. Faremo altri incontri a settembre: il 5 sarà sarà un tavolo tematico sul lavoro, il 7 pensioni e donne e il tagliando sui provvedimenti già emessi (Ape sociale), poi la settimana successiva il 13 settembre”.
La Camusso, leader Cgil, facendo capolino dalle sue stanze, ha espresso la sua insoddisfazione su un tema che non tiene conto delle aspettative di vita dei pensionandi.

A parte il chiacchiericcio continuo delle parti, che a voler essere cinici uno stipendio garantito ce l’hanno, il problema è serio.
Il sistema pensionistico si basa su due pilastri fondamentali, cioè il versamento di un contributo mensile obbligatorio lavoratore-azienda calcolato come una percentuale sul reddito imponibile e la erogazione di un assegno solo dopo aver versato per almeno 43 anni e averne 63 di età.
Ovviamente piu è alto lo stipendio, quindi il reddito imponibile, e più è alta la contribuzione nel “montante contributivo”.
Questo sistema è per coloro i quali abbiano la fortuna di avere il famoso posto fisso, scatti di anzianità e gli adeguamenti salariali periodici.

Per i figli della diseguaglianza generazionale, dei voucher, dei contratti a tempo determinato, il discorso cambia, loro avranno lavorato di più, ammazzandosi con tre lavori al giorno, ma si ritroveranno con una manciata di contributi versati ed una pensione miserabile.
Lavorato di più, guadagnato meno dei genitori e con un finale ignobile.
Secondo il Fondo monetario internazionale in Italia si guadagna meno di 20 anni fa. Certo che se la discontinuità comporta che prima dei 70 anni non si raggiunge il minimo numero di anni contributivi e i salari sono bassi, la pensione arriverà quando sarai una cariatide o magari muori prima e il problema si è risolto da sè.

Ma che senso ha pensare alle pensioni tra 30/40 anni quando è la disoccupazione oggi, giovanile e non, il vero problema?
E’ troppo complicato riuscire a garantire un lavoro continuativo con paghe oneste e dignitose ai “giovani”?

E’ così difficile ridurre il carico fiscale e contributivo di imprese e lavoratori?
Creare iniziative che facilitino l’incontro tra il capitale umano in uscita dal sistema dell’istruzione e le effettive necessità del sistema economico?
Si, è difficile quando si ha un’economia sclerotica, il mercato del lavoro inerte, l’incertezza del diritto, l’ inaffidabilità dei governi, una mentalità gerontocratica dove i più anziani, anche se meno competenti, sono ancora considerati come più ‘sapienti’, una mentalità familistica/nepotistica, squilibri territoriali molto marcati, corruzione endemica, e una classe politica ed amministrativa corrotta, anacronistica, tecnicamente incompetente, interessata alla banale e semplice conservazione dei propri interessi privati.

Si, è proprio la politica nostrana che non ha considerazione dei suoi giovani, eppure ogni cambiamento , ogni trasformazione parte proprio da loro.
Li chiamano i millenials, sono nati in piena rivoluzione digitale, ma vivono durante la più grande crisi economica dalla Depressione degli anni ’30.

SCONGIURATI ALTRI SCIOPERI A SORPRESA A LINATE E MALPENSA

In un video i lavoratori dell’aeroporto documentano quello che sta succedendo in attesa che scoppi di nuovo la protesta: le aziende violano le norme per permettere la sostituzione del personale a basso costo.

Quello che succede nel video è significativo: un solo dipendente di AGS  carica i bagagli nella stiva di un aereo della compagnia low cost egiziana Almasria Universal Airlines e solo alla fine del carico si intravede l’arrivo di un secondo addetto che comunque non sembra prendere parte alle operazioni di carico.

I sindacati spiegano che nel filmato appare un Airbus 319 e che in questo caso “Di norma servirebbero tre addetti per caricare la stiva di un aeromobile 319: un addetto deve stare a terra al nastro bagagli, un altro deve stare all’imbocco della stiva per passare i bagagli e un terzo all’estremità della stiva per sistemarli nel modo più opportuno e sicuro” ed invece nel filmato appare un solo operatore che sale e scende dal nastro, prassi normalmente non sarebbe consentita.

AGS non è una compagnia qualunque, ma la società a cui fa riferimento «Alpina», la cooperativa contro la quale le otto sigle sindacali si sono mobilitate da mesi e che il primo di agosto ha fatto scattare la protesta spontanea che ha paralizzato il traffico aereo negli scali milanesi, questa denuncia parla chiaro, l’utilizzo di un solo operatore che preleva i bagagli dal carrello per metterli sul nastro, abbandonando incustodito l’ingresso della stiva e gettando con fretta e nervosismo i bagagli in fondo alla stiva, secondo i sindacati, è un «modo di operare» decisamente «contrario ad ogni regola di sicurezza sul lavoro ed espone l’operaio al rischio di infortuni oltre a sottoporre i bagagli dei passeggeri ad un trattamento a dir poco discutibile. Troppo facile fare concorrenza in questo modo, facendo lavorare un solo operaio quando ne occorrerebbero tre».

Ora il filmato è stato inviato alle autorità aeroportuali nel tentativo di far arrivare alla società un formale ammonimento, ma il rischio che le assemblee programmate potessero far parlare ancora degli scali paralizzando il traffico in mezza Europa, ha suggerito ad ENAC, l’autorità aeroportuale, di sospendere ulteriormente le licenze delle società subentranti fino al 25 settembre, data nella quale i tribunali si esprimeranno presumibilmente, nel merito dei ricorsi presentati sulle liceità dei subappalti.

Una buona notizia in attesa della prossima agitazione o che si possa risolvere felicemente una vertenza nella quale non si vorrebbe far scioperare più nemmeno a chi perde il posto di lavoro e per la quale sarebbe sufficiente almeno non cambiare.

MIGRANTI ECONOMICI DALLA PELLE CHIARA

Leggo dell’ennesima polemica sui migranti e non riesco a trattenermi, la critica è che costoro viaggiano con denaro e telefonini e spesso sono ben vestiti, mentre i nostri migranti dei secoli scorsi non lo erano, inoltre sarebbero le avanguardie di intere famiglie che investono su di loro e quindi ancora più dannosi…

Ora, a parte che nei secoli scorsi la tecnologia era differente e sono sicuro che potendo anche i nostri avi sarebbero partiti con un telefonino per avvertire la famiglia che li avrebbe seguiti, io però mi chiedo spesso cosa pretendiamo, vogliamo denaro e vita comoda per noi e se possibile sprechiamo senza ritegno e pretendiamo che altri non facciano lo stesso?

Se fossimo noi a dover migrare partiremmo senza un telefonino e soldi a sufficienza per il viaggio?

E se fossimo l’avanguardia di una intera famiglia rifiuteremmo l’aiuto dei parenti?

Criticabili o meno i migranti sono tutti uguali e tutti lo specchio dei tempi che vivono, andiamo in vacanza per una settimana con valigie che basterebbero per un intero mese a tutta la famiglia e pretendiamo che gli altri viaggino nudi e senza soldi, eppoi cosa vuol dire migrante economico, che i nostri figli non possono impiegarsi a Wall Street perché non sono americani?

E di Marchionne ne vogliamo parlare? Lo rifiutano solo perché ha del denaro e vuole lavorare in una nazione senza averne la cittadinanza?

I latini dicevano pecunia non olet, infatti profuma e tutti la vogliono, purché sia tanta e solo per loro.

Non scherziamo, io non sono buonista, ma nemmeno forcaiolo, cosa centra se uno scappa da una guerra o cerca lavoro, una priorità bisogna darla, ma credere che tutto si risolva erigendo muri è davvero assurdo, anche perché il muro lo abbiamo già eretto noi ai nostri figli, che con il sistema economico e legislativo che abbiamo permesso si instaurasse in Italia non vogliono più fare lavori sottopagati e sfruttati, per questo non si trova più personale alberghiero e per le pulizie, perché i nostri giovani italiani quei lavori vanno a farli in Austria, Germania, Olanda e qualsiasi altro posto dove salario, diritti e dignità sono ancora rispettati.

Provenire da una foresta dove la gente sparisce per un nonnulla è già scappare da una guerra, così come andare a lavorare all’estero per i nostri figli, che scappano dalla guerra che ogni giorno facciamo ai nostri diritti, permettendone la compressione e la negazione al punto che solo chi proviene da aree più oppresse della nostra ormai accetta la situazione.

I migranti vanno dove possono stare meglio, per questo tutti i figli dei miei amici studiano e lavorano all’estero: migranti economici dalla pelle chiara!

ISCHIA. MA LA COLPA NON E’ SOLO DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO

DI PIERLUIGI PENNATI

 

Dopo l’emergenza, la gioia per i salvataggi e poi le polemiche inutili, così adesso la colpa del terremoto è diventata il degrado del sud e dell’abusivismo edilizio di Ischia.

Io stesso ho affermato, ed ancora affermo, che il cambiamento parte da noi, quindi gli abitanti di Ischia, ma anche quelli di Vipiteno e del resto del mondo, sono i primi responsabili del buono o del cattivo andamento delle proprie città, ma affermare che i crolli sono dovuti solo all’abusivismo dilagante è davvero troppo.

Anni fa, a Milano, crollò un palazzo d’epoca senza preavviso, tra le macerie morirono delle persone, abitanti dell’edificio, il gestore del bar che si trovava al piano strada ed alcuni avventori dell’esercizio. La colpa? Infiltrazioni di acqua poco evidenti e quindi trascurate, il terremoto non era stato necessario per abbatterlo, ci aveva pensato da solo.

Così anche la palazzina di Ischia, sotto la quale sono rimasti intrappolati i bambini salvati ieri, era un edificio di inizio secolo e non “abusivo”, semmai trascurato, ma quanti di noi hanno fatto una seria manutenzione antisismica all’edificio in cui abitano negli ultimi venti anni?

Ah, già, da noi non è zona sismica, invece Ischia lo è…

Noi assolti e “gli altri condannati, eppure l’Italia ha la maggior parte del territorio considerato “zona sismica” a vari livelli di pericolo, quindi tutti siamo coinvolti in una seria e necessaria pianificazione, ma i terremoti, come tutti gli altri elementi della natura, seppur possibili non sono sempre esattamente prevedibili e le azioni preventive non sempre attuabili in tempi ragionevoli.

Ne consegue che se il terremoto, non una eruzione od uno smottamento anch’esso possibili sull’isola, hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il dilagante abusivismo di Ischia, le morti, almeno in questo caso, non sono a questo ascrivibili, anche se la tendopoli, quella si, ne è direttamente conseguente.

Cittadini assolti?

Niente affatto, nessuno è assolto e tutti siamo responsabili, persino chi scrive, la società è fatta per questo, per dare vicendevole sostegno e distribuire responsabilità e non solo per cercare altri colpevoli del momento: se a Ischia è avvenuto un terremoto non è colpa di nessuno, ,a se a Ischia ci sono abusi edilizi è colpa di tutti ed insieme vanno definiti e risolti.

Due situazioni differenti con due diverse soluzioni, prevenzione anti-sismica, anti-idrogeologica, anti-eruttiva la prima, repressione delle condotte sbagliate la seconda.

Così da qualche giorno abbiamo tutti “scoperto” che ad Ischia ci sono abusi edilizi, di questo passo tra non molto diranno persino che “miracolosamente” sono state scoperte acque termali e tutto passerà ancora una volta nel cosiddetto “dimenticatoio”, resteranno gli abusi vecchi, ne sorgeranno di nuovi e quasi tutti saranno felici e contenti: appuntamento tra una cinquantina di anni al prossimo terremoto prevedibile.

Ma in definitiva, cos’è esattamente un “abuso edilizio” e, soprattutto, quali rischi comporta?

Esempi di abusi edilizi ne abbiamo avuti ed ancora ne abbiamo a iosa, un abuso edilizio è una costruzione contro la legge, una legge che a sua volta tiene conto di differenti fattor, facendo si che una casa antisismica può essere abusiva se eretta in una riserva naturale tanto quanto una casa non stabile può esserlo in un luogo che ha ottenuto la licenza, vanno quindi distinti gli abusi e classificati per quello che sono: rischio sismico, rispetto di norme ambientali, architettoniche, igieniche, etc.

Ad Ischia il problema maggiore sembra essere quello ambientale, cui si somma il rischio sismico, ma non solo, risultandone un abuso generale difficilmente classificabile singolarmente, aggiungendo a questi abusi quelli che negli ultimi tempi sono classificati come “abusi di necessità”, vale a dire una contraddizione in termini: come può una cosa “necessaria” essere un abuso?

La soluzione è semplice, si tratta di abusi, vale a dire edifici privi di licenza edilizia o con licenza parziale, senza dei quali una famiglia senza altri mezzi dovrebbe vivere all’aperto od in tenda, quindi in “stato di necessità”.

Come definire e condannare queste situazioni di abuso? Semmai l’abuso è fatto da chi consente la costruzione di “mostri” di cemento di fronte a bellezze naturali e non consente a costoro, in stato di necessità, di edificare una piccola casa, con il risultato che, considerazione su considerazione, si scopre che il fenomeno è complessivo e spesso globale, sommando o sovrapponendo in modo complicato e confuso le necessità dei cittadini, sovrani secondo costituzione, al rispetto per ambiente, le amministrazioni incapaci od interessate ed gli affaristi sempre pronti dietro l’angolo ad approfittare di qualsiasi situazione.

Oggi assolvere o condannare per un terremoto è un esercizio inutile, guardare al domani con spirito costruttivo e pianificatore è molto meglio, perché mentre si discute dell’abusivismo di Ischia odierno, domani 24 agosto 2017 sarà un anno che ad Amatrice qualcuno vive ancora in tenda dopo l’evento di magnitudo 6.0 che ha devastato la sua casa e se in Italia si documentano morti per terremoti da quando l’uomo registra la sua memoria è anche vero che molti piani di prevenzione sono già disponibili, con relative stime di costi, enormi, ma necessari.

Secondo molti di questi studi, per “mettere in sicurezza” tutti gli edifici italiani con una buona approssimazione di efficienza servirebbero almeno 850 miliardi di euro, lasciandoci solo due alternative: cominciare a raccoglierli e spenderli bene od aspettare il prossimo terremoto per poter trovare altri responsabili e piangere i nostri morti.

A questo servono gli investimenti, se sapremo convincerci di essere il nostro futuro, potremo imparare dal nostro passato per usare il presente affinché il domani possa essere un oggi migliore.

TERREMOTO. IL MOSTRO DI ISCHIA E DEI CAMPI FLEGREI

DI PIERLUIGI PENNATI
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A Ischia c’è un mostro, anzi, ci sono tanti mostri e non tutti risiedono sull’isola: sono tutti coloro che continuano a pensare che i problemi siano da rincorrere e non da prevenire e che quello che fanno loro debba sempre essere speciale e giustificato rispetto a quello che fanno tutti gli altri.
Così, un giorno, una scossa di terremoto di 3.6, portata dai sismologi a 4.0 per l’effetto di amplificazione locale, fa crollare palazzine e cornicioni uccidendo persone e ferendone altre, quando, in condizioni “normali”, questo non dovrebbe assolutamente accadere.
Già, condizioni normali, cosa significa?
Significa che Ischia è una miniera d’oro a cielo aperto, ad Ischia l’oro si chiama mare, montagna e sottosuolo termale in un ambiente isolano che rende difficile scappare e quindi a bassa piccola criminalità, che rende tutto il territorio terreno di sfruttamento e possibile bersaglio della criminalità organizzata, quella che non si vede per le strade ed opera dalle case, dagli uffici e sfrutta tutto e tutti senza guardarsi troppo attorno.
La cosa potrebbe sembrare non troppo grave, se non fosse che nello stesso posto si concentrino i tre più grandi rischi della nazione, quello vulcanico, Ischia è un vulcano attivo dell’area flegrea che potrebbe eruttare in qualsiasi momento, quello idrogeologico, con continue frane e smottamenti, e quello sismico, non prettamente legato all’attività vulcanica, ma a quella tettonica, già avvenuto disastrosamente in passato quando le vittime furono oltre 2000.
Davanti a questa evidenza non possiamo pensare che il mostro sia sottoterra, ma sopra di essa, si chiama abusivismo e pressapochismo interessato, due elementi che congiuntamente producono un territorio devastato da cemento fragile, brutto da vedere e che si sbriciola al minimo colpo di vento.
Ma il problema non è solo ad Ischia, è dappertutto, anche se in questa zona è forse più esteso, tutti sanno che il Vesuvio prima o poi esploderà e che l’attesa dell’evento a Napoli potrebbe essere paragonabile a quella della città di San Francisco, che aspetta il Big Ben dalla Faglia di Sant’andrea.
L’esperto vulcanologo della New York University Flavio Dobran, ha scritto solo pochi mesi fa, in un suo studio documentato, “All’improvviso il Vesuvio che sonnecchia dal 1944 esploderà con una potenza mai vista. Una colonna di gas, cenere e lapilli s’innalzerà per duemila metri sopra il cratere. Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di 7 chilometri spazzando via case, bruciando alberi, asfissiando animale, uccidendo forse un milione di esseri umani. Il tutto, in appena 15 minuti”.
Quando?
Statisticamente le eruzioni su larga scala avvengono una volta ogni mille anni, quelle su media scala una volta ogni 4-5 secoli e quelle su piccola scala ogni 30 anni, quindi, sempre secondo l’esperto, se consideriamo che “l’ultima gigantesca eruzione su larga scala è quella descritta da Plinio il Vecchio: quella che il 24 agosto del 79 dopo Cristo distrusse Ercolano e Pompei uccidendo più di duemila persone. La più recente eruzione su media scala è quella del 1631, che rase al suolo Torre del Greco e Torre Annunziata, facendo 4 mila morti in poche ore“, potremmo essere più vicini all’evento di quanto si possa immaginare.
Cosa fare?
La vicenda non è semplice, dato che la ragione vorrebbe una cosa, il cuore un’altra e l’interesse senza ragione e cuore da tanto, troppo tempo spadroneggia quasi indisturbato e con la complicità delle persone che vivono nelle stesse zone a rischio incriminate.
Eppure qualche soluzione potrebbe esserci, forse non definitiva, ma efficace, bisognerebbe cominciare a pensare che il cambiamento e la ricostruzione nascono da noi e prima che qualcosa crolli, bisognerebbe smettere di sperare che “statisticamente” ci possa andare bene e cominciare a sviluppare uno spirito collettivo per il quale i diritti ed i doveri sono condivisi e di tutti e non solo diritti nostri e doveri altrui, lo stato siamo noi, anche se ci vogliono far credere diversamente, per governare bene si deve partecipare con coerenza e senso di giustizia alla vita pubblica affinché tutti ne possiamo godere.
Fare le cose “secondo le regole” non è prerogativa degli stupidi, ma puro egoismo, se tutti costruissimo edifici adatti alla località in cui sorgono, se tutti evitassimo di sfruttare selvaggiamente il territorio, se tutti ci comportassimo onestamente non ci sarebbe bisogno di cercare alcun colpevole per i mali che ci affliggono, ma cercheremmo solo soluzioni ai problemi che si manifestano.
Il mostro non è fuori di noi, non è nel sottosuolo, in un temporale o dentro un vulcano, il mostro risiede dentro di noi, è fatto di egoismo stupido ed ingiustificato, di indifferenza ed insensibilità, di miope visione del futuro e dell’idea che noi si sia sempre dalla parte della ragione e gli altri dal torto, possiamo batterlo, ma solamente cominciando da noi stessi.

FERNANDO ALVAREZ: IL VINCITORE É CHI SA FERMARSI

DI PIERLUIGI PENNATI
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I Mondiali di nuoto Masters di Budapest non sono certo tra le gare più seguite, eppure, se i suoi partecipanti si allenano come e forse più degli atleti più giovani e non sono meno determinati a vincere, ci sono gare che non si possono disputare, sono le gare contro se stessi, contro il rispetto della persona, della vita e della morte.
Così Fernando Alvarez, 71 anni, dopo essersi allenato molto e con grande determinazione a voler vincere le sue gare, non ha comunque potuto fare a meno di provare rispetto per le vittime dell’attentato di Barcellona che ha sconvolto il mondo e non avendo trovato notizia di un fuori programma nelle mail ricevute dal comitato organizzatore gli ha scritto chiedendo un minuto di silenzio prima delle gare.
Non ha ottenuto nessuna risposta, ma non si è perso d’animo, prima della gara ha parlato con la giuria e con la direzione, ma ancora nulla da fare: non c’è tempo da perdere, nemmeno un minuto, un minuto di rispetto.
Così gli attempati atleti si dispongono sui blocchi e gli arbitri danno il via. Alvarez, però, resta immobile sul suo piedistallo prendendosi un minuto di concentrazione e raccoglimento in segno di rispetto per le vittime, per lui il rispetto per l’uomo non può gareggiare con la semplice voglia di vincere una gara atletica.
Terminato il minuto di silenzio parte regolarmente e termina la sua prova.
Tutto normale, la gara è vinta, ma non quella contro altri uomini, quella contro le coscienze indifferenti di tutti.
Alvarez non ha avuto la medaglia d’oro, ma il pubblico ed i media gliela hanno assegnata lo stesso, pochi ricorderanno chi ha vinto la gara dei muscoli, tutti ricorderanno il gesto di Alvarez che resterà per sempre negli annali di uno sport che qualche volta fa propaganda e qualche altra volta si rivela cinico ed indifferente.
Oggi sappiamo che almeno per uno sportivo vincere è meno importante che rispettare il prossimo.
Questo era forse il valore olimpico voluto da Pierre de Coubertin nel fondare i moderni Giochi olimpici, quel “l’importante non è vincere, ma partecipare” del vescovo Ethelbert Talbot, da lui rilanciato, aveva ed ha esattamente questo sapore: il rispetto prima di tutto.
Per Fernando Alvarez “Certe cose non valgono tutto l’oro del mondo”, purtroppo il numero delle persone che la pensano come lui sembra ridursi di anno in anno.
Chapeau, Fernado Alvarez.

EBREI E DOCCE, QUANDO IL DIALOGO POTREBBE FARE LA DIFFERENZA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Le parole ebreo e doccia evocano spesso gli orrori delle Shoah, ma questa volta non centra nulla, il fatto è accaduto all’Aparthaus Paradies di Arosa, sulle Alpi svizzere: i proprietari hanno affisso due cartelli nella struttura, uno in piscina, per invitare gli ospiti ebrei a farsi la doccia prima di immergersi, ed uno in cucina, dove venivano istituiti turni per l’accesso al frigorifero da parte degli ebrei.

Una famiglia di religione ebraica ha lamentato incomprensioni fin dall’inizio: “All’arrivo in hotel abbiamo detto alla direttrice che siamo ebrei e lei ci ha detto che in questo periodo arrivano molti ebrei. Non le abbiamo detto niente perché non volevamo cominciare una lite”, ma alla vista dei cartelli non si sono potuti più trattenere ed hanno immediatamente informato la vice ministro degli esteri di Tel Aviv, Tzipi Hotovely che senza altre formalità ha chiesto in fretta alla struttura le scuse ufficiali per “questo atti di antisemitismo della peggiore specie” ed ha informato l’ambasciatore israeliano in Svizzera di richiedere una condanna formale da parte del governo.

Per la Vice Ministro israeliana “l’antisemitismo in Europa è ancora una realtà e dobbiamo garantire che la punizione per incidenti come questi serva da deterrente per chi ha ancora il germe dell’antisemitismo”.

Anche la reazione Svizzera non si è fatta attendere, il ministro degli Esteri Elvetico ha subito replicato che la Svizzera “condanna il razzismo, l’antisemitismo e ogni tipo di discriminazione”.

Ma non è finita qui, il centro Simon Wiesenthal ha chiesto di “chiudere l’hotel dell’odio e punire la sua direzione”, una richiesta è stata rilanciata a Booking.com per ritirare l’Aparthaus Paradies dalle sue proposte e metterlo su di una “lista nera“ e sulla piattaforma change.org è stata poi lanciata una petizione per chiedere la chiusura dell’hotel Aparthaus Paradies  “se non cambierà atteggiamento in relazione ai clienti ebrei, che devono essere trattati come tutti gli altri ospiti”.

Una tempesta immediata ed un incidente diplomatico sfiorato tra le due nazioni, ma secondo la direttrice della struttura, i cartelli sono stati affissi per ragioni precise e che nulla hanno a che fare con l’antisemitismo, anzi, proprio i clienti ebrei sarebbero i benvenuti e sempre numerosi, sostenendo che gli avvisi si erano resi necessari dopo aver “notato che alcuni fanno il bagno in piscina senza prima fare la doccia. Altri clienti mi hanno chiesto di fare qualcosa e ho scritto un po’ ingenuamente questi cartelli, avrei fatto meglio a rivolgermi a tutti i clienti in generale”.

Niente antisemitismo, quindi, ma ragioni igieniche alle quali anche gli ebrei ortodossi, che si fanno il bagno con la maglietta, si devono attenere per rispetto di tutti.

Il secondo cartello, in cucina, con la scritta “I nostri clienti ebrei hanno accesso al frigorifero solo dalle 10 alle 11 e dalle 16,30 alle 17,30. Speriamo comprendiate che il nostro personale non può essere disturbato senza sosta”, sempre secondo la direttrice serviva a regolamentare l’accesso al frigorifero privato della struttura durante gli orari di servizio del personale dipendente, che non è presente al di fuori di quelli indicati, a causa del fatto che ai clienti ebrei, e solo a loro, in aggiunta al frigorifero a disposizione di tutti gli ospiti viene concesso anche l’uso del frigorifero dello staff per agevolare le loro abitudini alimentari dovute alla scelta religiosa.

Anche questa volta nessuna discriminazione, anzi, un ampliamento degli spazi non concesso ad altri, un beneficio che dimostrerebbe che sebbene, la direzione dell’hotel ha certamente commesso una grande leggerezza nell’apporre quei cartelli così espliciti, qualche volte sarebbe meglio iniziare con il parlare con chi hai vicino e cercare di chiarire la situazione prima di scatenare una guerra internazionale tra governi, razze e religioni.

Così resta oscuro il perché la vice ministro degli esteri di Tel Aviv, l’ambasciatore israeliano in Svizzera, il ministro degli Esteri Elvetico, il centro Simon Wiesenthal, Booking.com e la piattaforma change.org abbiano saputo della cosa prima della direzione dell’hotel.

Ovviamente fin qui le scuse le hanno fatte i presunti antisemiti, i presunti intolleranti sono ancora a piede libero.

Il dialogo è alla base di tutto, pratichiamolo.

BUON FERRAGOSTO, MA NON PER TUTTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Mentre ci accingiamo a trascorrere una delle più antiche festività italiane, istituita nientemeno che 2032 anni fa, nel 18 a.C. dall’imperatore Augusto da cui trae il nome e che significa “Feriae Augusti” (il riposo di Augusto), ci sono migliaia di poveri lavoratori costretti a lavorare per noi.
Non parlo di coloro che servono a garantire servizi pubblici davvero essenziali e senza dei quali ci sarebbero disastri e problemi, ma di quei “poveri” lavoratori, spesso vessati e sottopagati, che sono realmente costretti dai loro datori di lavoro ad essere a nostra disposizione per il nostro piacere, che spesso piacere nemmeno è, ed in particolare quei lavoratori che tengono aperti in questi giorni festivi i centri commerciali, i supermercati e gli outlet, che ormai non chiudono più nemmeno a natale e capodanno.
Due, massimo tre giorni di chiusura all’anno, 48 ore settimanali, spesso anche di più e non sempre pagate, e competizione aperta tra chi riesce ad impiegarsi comunque, a qualunque costo, si deve pur sbarcare il lunario con un costo del lavoro abbassato drasticamente da disoccupazione ed immigrazione.
Nemmeno nell’antica Roma avevano osato tanto: Augusto, oltre all’evidente scopo propagandistico sulla sua persona, aveva aggiunto il Ferragosto ad altre festività già presenti nello stesso mese, in particolare i Consualia, cui fu legato fin dall’inizio, che era un periodo di meritato riposo e festeggiamenti per celebrare la fine dei lavori agricoli, dedicati a Conso che, nella religione romana, era il dio della terra e della fertilità.
L’antico Ferragosto, quindi, era un premio per chi già lavorava duramente tutto l’anno ed originariamente cadeva il 1º agosto congiungendo tra loro le feste del mese e generando gli Augustali, un adeguato periodo di riposo per recuperare le forze dopo le grandi fatiche nei campi.
Fu la Chiesa Cattolica a spostarlo al 15 di agosto, per far coincidere l’importante ed irrinunciabile ricorrenza laica con la festa religiosa dell’Assunzione di Maria, cui anche il Duomo di Milano è dedicato, e da oltre due millenni è una festa intoccabile, nessuno può lavorare a Ferragosto, cattolico o laico che sia.
La tradizione, originata fin dalla sua istituzione, vuole che questo giorno siano di festa e gioia conviviale, persino il “Palio dell’Assunta”, che si svolge a Siena il 16 agosto, è una reminiscenza delle antiche corse di cavalli romani che si tenevano in quella giornata, ma alla fine, dopo quasi due secoli, ce l’abbiamo quasi fatta: in nome di un consumismo che ci sta consumando anche la festa italiana più antica sta per essere cancellata, almeno per i molti che, pur non essendo essenziali per la sopravvivenza del genere umano, sono oggi costretti a lavorare sottomessi e dare la possibilità a chi è ancora libero di fare shopping invece che trascorrere la giornata all’aperto, approfittando del bel tempo.
Di questo passo, prima o poi la festa sarà abolita anche per tutti gli altri, ormai il ferragosto non ha più senso per nessuno, i gremitissimi centri commerciali non vendono comunque a sufficienza per ripagarsi gli straordinari ed i costi festivi ed il sapore finto di questi luoghi sta piano piano sbiadendo anche l’illusorio piacere di una passeggiata e di un gelato nei loro viali.
Il retroscena è spesso terribile, nascosto dalle vetrine luccicanti, i lavoratori degli esercizi sono spesso “stagionali” o precari, sottopagati e senza diritti, sotto il ricatto dell’allontanamento immediato senza tutele del lavoro, tra l’indifferenza di tutti coloro che non vogliono sapere cosa succede agli “altri”, almeno fino a quando gli altri non saranno essi stessi.
Grande o piccolo che sia l’imprenditore oggi vuole sempre di più al minor costo, anzi gratis, spesso infrangendo i diritti dei propri dipendenti che sono sempre più disposti a privarsene per necessità ed affamando sempre più la popolazione di lavoratori in una società dove chi paga le tasse è stupido e debole e chi ricatta i propri dipendenti si sente intelligente e potente.
Oggi è ferragosto, nei paesi più industrializzati d’Europa non si lavora nemmeno nei festivi, tanto meno in giornate come queste, in quelli decadenti invece sì, si lavora spesso anche a Natale e capodanno riducendo le feste a meri eventi commerciali.
Possiamo davvero considerarci fortunati a vivere in un paese di questo tipo?
Personalmente credo che il lavoro vada sempre rispettato, qualunque esso sia, perché è sempre dignitoso quando è svolto dall’uomo, il lavoro di un automa non è né nobile né dignitoso, è solo lavoro, ma quando è un essere umano a svolgerlo acquista un valore differente e non solo economico: oggi siamo così abituati a non rispettare più il lavoro degli altri che a poco a poco anche il nostro lavoro sta perdendo di dignità e nobiltà senza che ce ne rendiamo pienamente conto.
Se il progresso è avere i negozi aperti la domenica, Natale e Ferragosto, allora viva il regresso, se questo serve a recuperare quei valori umani che persino i romani imperiali, quelli con potere di vita e di morte sul popolo, non negavano ai propri sudditi ai quali, invece, riconoscevano la dignità di lavoratori istituiendo per loro nuove feste e non altri turni forzati.
A Natale, quest’anno, chiediamo dignità per chi lavora ed oggi, Ferragosto, andiamo al mare od ai monti, non nei centri commerciali: il recupero della nostra umanità passa anche da questi piccoli gesti.

UOVA CONTANTAMINATE, MA CI SALVA IL MADE IN ITALY

DI PIERLUIGI PENNATI
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Una volta tanto il Made in Italy è una garanzia anche in patria e non soltanto per la qualità dei manufatti o per il loro gusto, ma anche per l’autosufficienza delle risorse, infatti,  il se 2 agosto l’Olanda ha scoperto un lotto contenente Fipronil, vietato dalle leggi europee, nell’azienda olandese Chickfriend ed arrestato due dirigenti, l’Italia è tra i paesi fortunati che praticamente non importano uova potendole produrre quasi interamente sul suolo nazionale.
Secondola Commissione Europea “Anche l’Italia ha ricevuto uova” dalle aziende in esame, ma il ministero della Salute ha assicurato che non risultano distribuzioni contaminate sebbene siano stati comunque confiscati articoli mai messi in commercio per prevenirne la vendita.
Il Fipronil, il cui nome chimico è fluocianobenpirazolo, è un insetticida ad ampio spettro che disturba l’attività del sistema nervoso centrale dell’insetto impedendo il passaggio degli ioni cloruro attraverso il recettore del GABA ed il recettore del Glut-Cl, ciò causa la ipereccitazione dei nervi e dei muscoli degli insetti contaminati.
La sostanza viene usata prevalentemente per la prevenzione contro le pulci ed antiparassitario per gli animali da compagnia, il suo veleno, la cui concentrazione è volutamente blanda nei prodotti in commercio, ha una lenta attività d’azione per evitare che l’insetto avvelenato muoia immediatamente e faccia prima rientro nella sua colonia liberando l’organismo che infestava e diventando un “untori” per tutta la sua colonia.
Pur essendo categoricamente vietato nei trattamenti anti-pulci di animali destinato al consumo umano, perchè secondo l’Oms è pericoloso per fegato, reni e tiroide, per causare problemi all’uomo occorrono alte dosi di prodotto e non dovrebbe essere il caso dell’attuale scandalo alimentare.
Le persone esposte al Fipronil a forti dosi si possono osservare ipereccitabilità, irritabilità, tremori e, ad uno stadio più grave, letargia e convulsioni.
I sintomi sono reversibili, una volta terminata l’esposizione la sostanza si assorbe lentamente attraverso l’intestino e siccome non è noto un antidoto specifico i medici consigliano una lavanda gastrica per ridurre l’assorbimento  ed un purgante salino o carbone attivo.
Secondo la UE i Paesi dell’Unione coinvolti, compreso l’Italia, sono il Belgio, i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia, il Regno Unito, l’Austria, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia e la Danimarca, a cui si devono aggiungere Svizzera e Hong Kong.
Una volta tanto, però, l’Italia è libera da questo rischio sia per la possibile limitata concentrazione di prodotto nei nostri alimenti, compreso quelli di pasticceria, sia per la produzione quasi interamente nazionale di uova: quando il Made in Italy ti salva la vita.

STIAMO DIVENTANDO TUTTI MIGRANTI ECONOMICI

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Laurea magistrale a pieni voti in ingegneria civile, ottima conoscenza della lingua tedesca e buona della lingua inglese, gradita esperienza Erasmus, disponibilità a trasferte in Italia ed estero, contratto di 6 mesi, 600 euro netti al mese, ticket restaurant per ogni giorno lavorato, zona Grugliasco”.
L’annuncio è di maggio, ma ancora la foto impazza sulla rete come fonte di ilarità tra chi del dramma vede solo l’assurdità ridendone invece di scandalizzarsi o lo strumentalizza contro gli immigrati “mantenuti dallo stato”.
L’indignazione immediatamente seguita all’annuncio ne ha provocato il ritiro e la rettifica ed a seguito degli insulti e delle richieste di chiarimenti piovute nei loro uffici, la società si è affrettata a dichiarare che «L’annuncio non è nostro perché noi non facciamo annunci su cartaceo e stiamo cercando di capire come ci sia finito. Cerchiamo un ingegnere con quelle caratteristiche ma solo per uno stage post-laurea».
Si tratta della società Gruppo Dimensione, multinazionale con sede italiana a Torino, che – è scritto nel loro sito – «svolge attività di consulenza e servizi altamente specializzati nel campo dell’ingegneria civile e degli impianti tecnologici.»
La vice presidente, Marie Chantal Manenc, ha subito precisato che la richiesta riguardava  «solo un tirocinio, serve per qualificare il candidato, insegnandogli quello che all’università non si impara, e per valutare l’opportunità di assumerlo», poi, se il periodo di stage si conclude favorevolmente, l’azienda assume il candidato «Con un contratto di apprendista» e «per quelli che sono all’estero siamo sui 2400-2.500 euro. Netti, eh!»
Nulla di strano, quindi, la legge viene pienamente rispettata e così grazie alle nuove norme sul Jobs Act, le tutele crescenti e gli apprendistati, un laureato super qualificato deve lavorare per quasi quattro anni a condizioni da terzo mondo per riuscire ad avere un contratto che si avvicina al “normale”, dato che vivere in trasferta all’estero per 2.550 euro netti al mese non sembra certo una retribuzione stellare e per le destinazioni italiane, solo probabilmente dato che non viene dichiarato, ancora meno.
Qualcosa deve essere andato storto quando è stata approvata la legge attuale, i giovani, se non cambiano ancora le condizioni e dopo tutto questo peregrinare ed avere difficoltà, dovranno lavorare fino a 70 anni e forse più per poter avere una pensione, la cui “normalità” viene messa costantemente discussione, posizionando le condizioni ed il mercato del lavoro italiano tra quelli “da terzo mondo”.
Pur essendo comparso solo sul sito del Comune di Torino nella sezione InformaLavoro, senza menzionare che i 600 euro fossero da ritenersi compenso per uno stage, e solo una volta in formato cartaceo, l’eco mediatica sembra aver fatto comunque il suo dovere e se l’azienda ha sostenuto ufficialmente che «questa faccenda è un disastro per l’immagine del gruppo», dopo le telefonate di insulti della prima ora sono state da essa ricevute «all’incirca una cinquantina» di candidature con i requisiti richiesti, che ora «andranno valutati in modo più approfondito».
Il bilancio finale è che al di là dell’indignazione istantanea e le risa dei qualunquisti l’annuncio ha attirato l’attenzione e quasi 50 laureati altamente qualificati si sono dichiarati disposti, al di là di tutto, ad entrare in competizione per lavorare quasi gratis solo per riuscire poi a guadagnare quanto un operaio specializzato.
Per completezza di informazione riporto che in un’indagine comparsa il 18/11/2014 sul Sole 24 Ore, la differenza delle retribuzioni tra Italia e Germania portava già differenze dal 40 al 70% in più rispetto all’Italia e, solo per fare un esempio la retribuzione media di un operaio generico italiano stimata in 29.523 Euro l’anno diventava 49.507 Euro sul suolo tedesco e con un welfare state certamente più elevato.
Sembra di capire che qualcosa da noi non sta andando come ci hanno prospettato e se i nostri ragazzi guardano all’estero è perché là, la mano d’opera, è meglio retribuita, considerata e produce più dignità e stabilità del lavoro, trasformando di fatto tutti noi in “migranti economici”.
Non volevamo che le nostre aziende emigrassero all’estero, così costringiamo ad andarci le nostre migliori risorse, mentre da noi ormai solo chi proviene da paesi dove le condizioni sono ancor meno favorevoli accettano le condizioni di vita al limite della dignità che le aziende nostrane oggi offrono “a norma di legge”.
Dite a Renzi e Salvini che senza rispetto nessuno starà mai a casa propria, tutti, prima o poi, cercheranno un posto dove vi sia maggiore “giustizia sociale” rispetto “a casa loro”, per andare avanti, qualche volta bisogna tornare indietro, almeno ai tempi in cui in Italia i diritti e la dignità dei lavoratori erano ancora valori da salvaguardare.

PIGNORATI BENI PER 10 MILIONI, &amp;quot;BUTTIAMO TUTTO IN VACCHI&amp;quot;

DI IMMACOLATA LEONE
 
Gianluca Vacchi, noto imprenditore bolognese, re dei social, di Instangram e noto per il suo ego smisurato, come ammesso da lui stesso, ha problemi economici.
Notizia seria, per noi comuni mortali, diffusa oggi dai quotidiani del gruppo QN, Quotidiano Nazionale, la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno e Quotidiano.net.
Da un debito iniziale di 30 milioni, della First Investments spa, di cui Vacchi è amministratore unico, ed il successivo mancato pagamento della restante parte di 10 milioni, il Banco Popolare, ora Banco BPM, in seguito ad una fusione, ha iniziato le azioni esecutive per entrare in possesso di alcuni beni, barche, ville, azioni, ed alcune quote di un esclusivo golf club, appartenenti a Vacchi.
Azioni partite gia nel dicembre del 2015, data della terza rata insoluta, ed oggi divenute esecutive.
Gianluca Vacchi, fresco cinquantenne, nasce molto bene, la sua famiglia è a capo di un’azienda,l’IMA, l’impresa familiare fondata da suo padre negli anni Sessanta, produttrice di oggetti di nicchia, ma assolutamente indispensabili: cioè macchine che confezionano prodotti cosmetici e farmaceutici, oggi azienda leader a livello mondiale.
A trent’anni lascia l’azienda di famiglia e si butta nel duro mondo degli affari, compra 12 aziende, le “risolleva” e poi le rivende, spaziando nei settori più disparati: dai camper, agli oblò per lavatrici, agli orologi Toy Watch, diviene anche il primo fondatore in Europa di un’azienda di last minute.
“Enjoy” è il suo motto, il suo stile di vita, il suo pensiero unico è rendere pubblica su Instangram , facebook e youtube, ogni momento della sua “regale” vita, delle sue bellissime fidanzate, del suo tempo libero, dei suoi amici, dei suoi tatuaggi, del numero di addominali fatti, dei suoi balletti con la fidanzata del momento, le ospitate come dj nelle discoteche, i suoi abiti gialli, rosa, tutti perfetti sul suo fisico scolpito.
Insomma una gran figata di vita, invidiata e ammirata, a seconda dei casi, anche quando entra in casa inforcando la sua Harley.
Sono sincera, fino a sei mesi fa non conoscevo Gianluca Vacchi, quando per un caso fortuito, mi imbatto in un suo video, in cui lo si vede uscire da una specie di involucro, poi ho scoperto trattarsi di una camera di crioconservazione, cioè un macchinario che porta il corpo a delle temperature sottozero per sentirsi giovani mantenendo la pelle soda.
Vacchi, esce dalla camera di crio indossando una bizzarra mutanda col bozzo, visibilmente infreddolito, ma sempre col suo sorriso smagliante, comincia a a ballare e a mimare un ballo lap dance.
Trovandolo molto bizzarro, l’ho cercato sul social facebook ed ho visto questo giovanotto attempato, sorriso smagliante, occhiali che fanno tanto figo, e improponibili abbigliamenti, da lui perfettamente indossati, come un divo di Hollywood ecco.
Poi non paga, leggo i commenti dei comuni mortali, tanta ammirazione per lo sfoggio di una vita patinata e impossibile e tanto tanto livore per la sua fortuna.
Ma, come tutti sanno, la dea fortuna è bendata, ed essendo uscito dalla sua visuale, adesso finisce tutto in “Vacchi” .

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ALITALIA É SANA MA SI (S)VENDE LO STESSO

DI PIERLUIGI PENNATI
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I nodi sono venuti al pettine da tempo e forse i lavoratori che hanno respinto in massa il piano di ristrutturazione con 2.000 licenziamenti, su 12.000 impiegati, sapevano già che i loro ulteriori sacrifici erano inutili: Alitalia è sana ed il problema è solo gestionale, ma viene ceduta ugualmente all’asta.
Che qualcosa non andasse lo si era capito da subito, solo un paio di settimane dopo il voto di fine aprile che cassava l’accordo raggiunto da CGIL CISL e UIL, il docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, Antonio Bordoni, a seguido di uno studio commissionato da un editore affermava che “Gli stipendi sono più bassi, con più passeggeri per dipendente. Il problema? Contratti di servizio onerosi e poco sviluppo nel lungo raggio”.
L’obiettivo dello studio non era attribuire delle colpe, ma cercare di capire se dopo la bocciatura del piano industriale questo potesse essere riproposto da qualunque possibile nuovo assetto azionario e, quindi, cercare di evitarlo.
Il rifiuto dei tagli aveva immediatamente portato i benpensanti a bollare i dipendenti come “furbetti del cartellino”: privilegiati che non volevano rinunciare a nulla, nullafacenti che avevano portato al collasso la compagnia e volevano continuare a farlo, ma non era così, il costo del lavoro non centrava nulla, dato che Alitalia era “Meglio di Air France, Lufthansa e British” secondo Bordoni.
I lavoratori spesso lo sanno prima degli analisti e del pubblico, chi percepisce uno stipendio sa quanto guadagnano i colleghi di altre compagnie e quante ore di lavoro realizzano, come e con quale sforzo, e nessuno di loro aveva mai detto che, dopo la prima grande ristrutturazione, la situazione Alitalia fosse da lager, ma nemmeno da paese del bengodi, consapevoli di non essere in una situazione di grande privilegio rispetto ad altre compagnie, se non per il maggior rispetto della loro dignità, che in qualche concorrente sembrerebbe a rischio, e della stabilità di impiego, il posto fisso e dignitoso era già un valore sufficiente.
Dopo il piano di ristrutturazione che prevedeva essenzialmente solo tagli al personale, il sindacato USB aveva sostenuto da solo la campagna contro di esso e, contraddicendo ogni pronostico, aveva avuto ragione riuscendo a convincere oltre 5.000 lavoratori il cui posto di lavoro non era toccato dal piano di ristrutturazione ad esprimersi contro di esso per dare prospettive a tutti.
La ragione più profonda del rifiuto, probabilmente, è stata vista nel fatto che a furia di ridurre le risorse si uccide il lavoro, così come il contadino che riduceva il pasto del proprio asino fino a quando trovandolo morto disse “accidenti, proprio adesso che aveva imparato a non magiare e non mi costava più nulla”.
Chi ha votato sapeva bene, e senza essere un economista, che i tagli non sono mai temporanei, si taglia oggi per tagliare ancora domani, senza fine e fino alla perdita del posto di lavoro, un posto che, a quanto pare, era stabile e non minato da problemi di costi, ma solo da politiche sbagliate sulla gestione dei contratti di servizio.
Bordoni, nel suo studio, afferma anche che uno dei grandi problemi riguarda le commissioni da pagare sui biglietti, che per Alitalia sono una volta e mezzo quello che pagano i concorrenti, e che questo potrebbe essere dovuto ad una mancata capacità di negoziazione dei costi delle commissioni a causa di possibili incapacità manageriali, incapacità criticate in maggio senza perifrasi anche dal commissario Luigi Gubitosi e dal ministro Calenda.
Inoltre, sempre secondo Bordoni, nonostante il prezzo medio dei biglietti di Alitalia sia molto concorrenziale sulle rotte fra 800 e 1200 chilometri, il tasso di riempimento degli aerei è deludente, facendo pensare che forse abbassare le tariffe su quelle distanze, dove c’è la concorrenza delle compagnie aeree «low cost» e dei treni superveloci, sia uno sforzo inutile e persino dannoso, aggiungendo alla poca capacità negoziale con i fornitori, errori di strategia globale.
Tra questi, rileva servirebbero più aerei sulle rotte intercontinentali, di cui Alitalia non si è dotata nemmeno quando è entrato il socio forte Etihad «Perché l’Unione europea ha imposto a Etihad di fermarsi al 49% dell’azionariato. Se Etihad avesse acquisito una quota più alta, avrebbe investito molto di più, anche nell’acquisto di aerei a lungo raggio».
Quindi spese eccessive per i servizi, politiche tariffarie discutibili ed investimenti mancati, tutte voci ascrivibili al management e non alle maestranze che però rischiano ancora di essere gli unici a farne le spese.
Ma qui si tratta anche di cultura e di obiettivi, in una società in cui la dignità dei lavoratori non è più un valore da salvaguardare e si pensa solo a se stessi è impensabile anche solo immaginare che un dirigente possa provare vergogna per il suo operato e dimettersi: se sbaglia è sufficiente licenziare un po’ di personale e tutto torna a posto, con i risparmi immediati si paga la sua ricca buonuscita e lo si manda a far danni da un’altra parte.
Questo sembra essere anche quello che sta succedendo ad Alitalia, dopo il caso della “bad company”, a carico dello stato, e della “new company”, semi regalata ai “capitani coraggiosi” o “patrioti”, come furono definiti dall’allora premier Berlusconi per la cordata realizzata per salvare l’italianità della compagnia di bandiera, si pensa oggi non ai dipendenti ed alle loro famiglie, ma solo a fare cassa, vanificando ogni sforzo passato e senza individuare colpevoli, ma solo vittime: i lavoratori.
I ogni caso se il costo del lavoro e il numero di passeggeri per dipendente in Alitalia sono migliori, anzi molto migliori, di quelli delle concorrenti Air France, Lufthansa e British Airways ed il costo medio di ogni dipendente di Alitalia è di neanche 49 mila euro, rispetto a quello compreso fra i 70 mila e gli 81 mila euro delle grandi compagnie concorrenti e dovuto ad anni di tagli ed al ricorso al lavoro precario, il problema resta: cosa fare nel futuro?
Per volontà squisitamente politica la vendita pare oggi inevitabile, rischiando di disperdere altra forza lavoro a vantaggio di investitori stranieri senza troppi scrupoli, anche se la notizia degli ultimi giorni è che la cessione Alitalia, almeno, non dovrebbe vedere spacchettamenti, o quasi: i tre commissari straordinari Laghi, Gubitosi e Paleari hanno pubblicato il primo agosto il bando per la vendita prevedendo solo due opzioni per i possibili acquirenti, la vendita in blocco della compagnia aerea o la cessione separata della parte handling, dividendo la parte volo dalla parte terra.
In Francia il leader considerato più liberista d’Europa tutela il lavoro e statalizza i cantieri navali STX per proteggerli dal rischi speculazione e pensando al loro futuro, in Italia si cercano compratori ad ogni costo senza nemmeno considerare gli eventuali piani strategici, soldi freschi e nessuna previsione per il personale.
Ma qualcuno una soluzione ce l’ha e la grida da tempo con tutta la voce che possiede: Francesco Staccioli, dell’ Esecutivo Nazionale Lavoro Privato dell’Unione Sindacale di Base USB Trasporto Aereo, a proposito della vendita dichiara che pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”, preludendo ad una statalizzazione della compagnia.
Per USB, unico sindacato che insieme a CUB si era schierato fin dall’inizio contro i tagli del piano industriale ed escluso da tutti i tavoli di trattativa, la soluzione sarebbe quindi statalizzare nuovamente Alitalia promuovendo una gestione più competente e qualcuno nel sindacato arriva persino ad invocarne la “cogestione”, realtà applicata da moltissimi anni in aziende economicamente solide come le tedesche BMW e Mercedes e dove la partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili ne migliora in continuazione competitività ed l’efficienza senza penalizzare troppo i lavoratori.
“Il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia”, continua Staccioli riferendosi all’impossibilità di statalizzare dovuta ad un presunto stop dell’Unione Europea, “Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Il destino di Alitalia, purtroppo, è nelle mani di un governo che fino ad ora ha salvato le banche con miliardi di euro pubblici per “salvaguardare i risparmiatori”, ma quando si è trattato di salvaguardare il lavoro è sembrato chiudere gli occhi e dimostrare incapacità di guardare lontano, creando precarietà e compressione di diritti in un’ottica miope per le future generazioni, in fondo se i conti dovessero andare bene oggi sarebbe merito di chi governa oggi, ma se il lavoro si svilupperà domani sarà merito di chi sarà al potere domani e nessuno lavora per dare meriti ad altri.
La questione resta la stessa, è meglio realizzare subito od investire per il futuro?
Auguri Alitalia, abbiamo bisogno di pensare a domani.

NON SOLO CERVELLI IN FUGA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A quanto pare molti cervelli sono fuggiti da molto tempo, in particolare quelli di chi, pensando di essere il più furbo, supporta la devastazione del nostro paese favorendo lo sfruttamento e le vessazioni nel mondo del lavoro.
Ormai non sono più solo i cosiddetti “cervelli” a scappare dall’Italia, ma anche la mano d’opera, più o meno specializzata, che serve alla nazione per supportare l’economia dello stato ed in particolare una delle nostre industrie più importanti e redditizie: il turismo.
Favorito da un rapporto uno ad uno con gli impiegati e dai contratti a termine per le stagioni, il mercato della mano d’opera hoteliera non è immune allo sfruttamento dilagante, con offerte di lavoro che si trasformano in veri e propri ricatti per sottopagare il personale, approfittando del suo stato di necessità.
Schiavi, più che impiegati, alle dipendenze di molti albergatori e ristoratori senza troppi scrupoli.
È questa la storia di due lavoratrici tra i tanti, Maurizia e Antonella i loro nomi, che dopo un solo mese di superlavoro non pagato hanno avuto il coraggio di lamentarsi con chi le sfruttava e sono state cacciate seduta stante dall’hotel dove lavoravano senza possibilità di scampo, dovendo persino riparare per la notte nei locali di una associazione di volontariato ed ora la loro lamentela è diventata una forte denuncia.
A seguito di situazioni simili, non sempre denunciate e non sempre facili da segnalare, anche nell’industria del turismo gli operatori specializzati preferiscono ormai rivolgersi all’estero, dove un minimo di legalità e dignità dell’uomo sono ancora rispettate e la storia delle due coraggiose è così solo la punta dell’iceberg che sta cominciando ad emergere.
Se in altri settori lo sfruttamento sommerso è di più facile emersione per la complicità di una maggior concentrazione di persone in un’unica impresa che favorisce la solidarietà, nell’industria alberghiera e della manutenzione di stabili ed appartamenti i piccolissimi gruppi di lavoro di singoli operatori lo rendono incontrollabile ed elevatissimo ed è spesso frenato solo dall’etica dei datori di lavoro, che non essendo un requisito obbligatorio è maggiormente presente dove, spesso per ragioni culturali, la pratica dello sfruttamento del lavoro non è solo un divieto legale ma è mal vista nella società civile e pertanto meno praticata.
Così se gli italiani di oggi rifiutano alcuni tipi di lavoro, specie nella mautenzione e pulizia degli immobili, forse non è solo perché, per parafrasare una nota ministra, sono choosy (schizzinosi), ma anche  soprattutto perché i lavori cosiddetti “umili” o meno qualificati sono anche i più sfruttati e sottopagati.
Le lamentele denunciate da Maurizia e Antonella sono ben conosciute agli uffici vertenze sindacali, si tratta generalmente della mancata fruizione giorno libero, delle ore di straordinario non retribuite e che spesso arrivano a pareggiare le ore di lavoro minando la salute e dimezzando di fatto la paga rispetto al pattuito, della mancata assegnazione di un alloggio temporaneo, che aumenta i costi di soggiorno che dovrebbero, invece, essere inclusi nel contratto di servizio, del demansionamento di fatto, con l’assegnazione di compiti “accessori” di pulizia, facchinaggio e quant’altro non dovuti e non inclusi nel contratto, e della frequente nocività dei luoghi di lavoro della quale non si può discutere pena l’immediato licenziamento.
Ma se il lavoro non fosse così sfruttato ed i contratti di lavoro fossero dignitosi, quanti italiani sarebbero oggi contenti anche solo di poter pulire le latrine?
Purtroppo la dignità del lavoro, qualsiasi esso sia, non è più considerata nemmeno un optional e non solo in certe umili professioni, è emblematico il caso del lavoratore costretto ad urinarsi addosso alla FIAT di Chieti e se Maurizia e Antonella, impiegate per la stagione estiva sulla riviera romagnola, hanno avuto il coraggio di denunciare lo sfruttamento affrontando il licenziamento, centinaia di migliaia, e forse ancor più, di lavoratori, non lo fanno per non perdere anche quelle poche risorse che hanno faticosamente raggiunto.
Non c’è nessun Welfare, nessun diritto di cittadinanza che porti un colore della pelle od una nazionalità, quello che oggi subisce uno qualsiasi di noi lo subiremo domani tutti noi: negli anni ’70 andava di moda pensare che fosse normale pagare un lavoratore od una lavoratrice filippina di meno, ancorché, in quegli anni, in regola con le tasse, oggi ci lamentiamo dei cervelli in fuga, questi non sono altro che il risultato del generale disinteresse a quello che “succede agli altri”.
Non sono religioso, ma credo nell’etica della reciprocità come valore morale fondamentale e se il celebre rabbino Hillel, vissuto molto prima di Cristo lo aveva già capito e scriveva «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia.», forse dovremmo interrogarci su quanto più socialismo ci sia nella religione rispetto a quanto oggi è riposto nella democrazia costituzionale degli stati, il nostro compreso.
Platone, ancor prima, sosteneva che «Una delle punizioni che ti spettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori», se la pensiamo ancora come lui dovremmo riflettere molto attentamente sul continuare a scandalizzarci per quanto succede ad “altri” senza che “noi” si muova un dito.
Se davvero vogliamo che i cervelli, e tutto il resto dei loro corpi, restino a casa nostra dovremmo cominciare a pensare di più in modo sociale, collettivo e lungimirante.
Il nostro futuro è già nel nostro oggi.

ALITALIA È PRONTA PER IL BANCHETTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo avevano già annunciato nella riunione con i sindacati del  27 luglio scorso e tre giorni dopo lo hanno reso ufficiale: i tre commissari straordinari incaricati dal governo hanno emesso il bando definitivo per la vendita di Alitalia SAI e Cityliner, confermando il termine per la presentazione delle offerte vincolanti per il prossimo 2 ottobre.
Nel bando, articolato e circostanziato, si evidenzia la previsione di priorità per le offerte che garantiscano l’unicità aziendale, senza, però disdegnare la vendita della compagnia a pezzi che possano essere acquisiti da soggetti diversi e, secondo alcuni sindacati, la sorpresa nello spezzettamento sarebbe la previsione di scorporo del settore dell’handling, unico settore che anche nel corso delle gestioni da essi criticate produceva ricavi interessanti e che in conseguenza di ciò potrebbe ora essere venduto a parte, confermando le preoccupazioni di come la vendita possa diventare la spartizione delle spoglie di Alitalia a tutto vantaggio di competitori che potrebbero strappare alla nazione parti importanti di un mercato ricco come quello del trasporto aereo italiano.
Pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, viene contestato che “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”.
Francesco Staccioli, Segretario Nazionale del Sindacato di base USB Trasporto Aereo, a proposito dello spacchettamento aziendale dichiara: “Per USB è inaccettabile persino l’ipotesi dello scorporo dell’Handling. Continuiamo a chiedere il blocco della svendita di Alitalia e pretendere che il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia. Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Al di là di altre possibili considerazioni, è ormai di dominio pubblico che la vicenda Alitalia nascondeva grandi limiti nella gestione della compagnia e che il problema non era il suo costo di gestione, in linea e talvolta inferiore a quello del mercato e dei concorrenti, ma, semmai risiedeva nell’ottimizzazione dell’organizzazione ed nella necessità di una strategia di miglioramento dei ricavi fino ad ora assente, quindi la scelta di vendere, o svendere, a pezzi la compagnia, tradizionalmente di bandiera e fiore all’occhiello dell’immagine italiana nel mondo, si fa davvero incomprensibile se non si pensi a realizzare a tutti i costi il realizzabile, senza tener conto del mercato del lavoro e del possibile impatto futuro sull’economia nazionale.
La pratica degli ultimi decenni ha evidenziato come ad ogni ristrutturazione, cessione, vendita, siano seguiti problemi occupazionali: il nuovo acquirente sistematicamente taglia i costi del personale ed ottimizza le spese anche comprimendone i diritti, producendo un amento della disoccupazione e vessando i lavoratori.
È questo il destino previsto per Alitalia?
Hanno sbagliato i dipendenti che a maggioranza assoluta hanno rifiutato ieri 2000 esuberi su 12000 dipendenti per doverne affrontare forse un numero maggiore in altre compagnie per effetto della vendita all’asta?
Inoltre, che tipo di reale danno sociale può provocare questa operazione?
L’emersione del reale stato di salute economica di Alitalia ha evidenziato come la compagnia fosse sana, come il personale non avesse alcuna colpa del suo dissesto economico e come le sue potenzialità fossero da sempre elevate, sarebbe ora sufficiente continuare a considerarla un “patrimonio nazionale” da difendere per poterla in breve tempo far ripartire.
In altri stati si operano scelte diverse a tutela del mercato interno del lavoro, in Francia, il leader considerato più liberista dell’Unione, pensa a statalizzare dei cantieri navali perché patrimonio indiscusso dello stato e scalzando persino il governo italiano che vuole investire in essi; in Germania è legge l’obbligatorietà della “cogestione” persino nelle aziende private, che realizza una partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili migliorandone la competitività e l’efficienza; in Italia, invece, abbiamo ceduto, e continuiamo a farlo, grandi parti di aziende strategiche nazionali che, in qualche caso producevano, ed ancora producono, risultati importanti, come ENAV che realizza ogni anno oltre 70 milioni di euro netti di utile consolidato, vicini al 10% del suo fatturato e che sono persi per sempre.
Forse dovremmo cominciare a ripensare al mercato interno del lavoro come un bene da tutelare e non come un valore da svendere, forse dovremmo cominciare ad attuare la nostra Costituzione repubblicana, prima di pensare a smantellarla, forse dovremmo riflettere sul valore delle ultime tre parole della prima frase della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

STAVOLTA HAI TOPPATO ALLA GRANDE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Enrico Mentana carissimo, di solito mi piaci molto, però stavolta hai toppato alla grande.
Da giornalista ti sarebbe bastato leggere la prima ANSA del mattino per capire che dei lavoratori in procinto di essere licenziati, con la complicità di una legge che impedisce loro di scioperare persino quando perdono il posto, erano così disperati, arrabbiati e stressati da mesi di appelli caduti nel vuoto e nel silenzio stampa, che non hanno trovato di meglio che fare la “guerra tra poveri”, vale a dire impedire in modo estemporaneo a chi era stato assunto con meno diritti e meno stipendio di loro, all’unico scopo di “rubare” il loro posto di lavoro, di sostituirli.
Era il primo agosto?
Che ci vuoi fare, l’azienda ha scelto bene la data per metterli sul lastrico: quando quelli come te devono andare in vacanza e se ne fregano dei portabagagli, troppo umili e lontano dai ricchi vacanzieri…
Qualcuno è partito in ritardo per le vacanze e qualcuno, per quello che ha fatto, verrà sanzionato duramente, perderà il posto di lavoro e si troverà una multa salata per aver cercato di difenderlo.
Caro Enrico Mentana, se sei davvero sensibile ai problemi della gente, se davvero tieni alla repubblica fondata sul lavoro, rettifica, chiedi scusa e licenzia chi ti ha consigliato male, fossi anche tu stesso.
Chi è conosciuto e famoso come te provoca grandi benefici, ma può fare anche gravi danni, a te non costa nulla, anzi, ammettere i propri errori ti rende più grande e forti di tutti quegli stupidi che non sanno farlo.
Io sto con chi difende il proprio posto di lavoro, io sto con chi, per farlo, infrange le “regole” volute da chi non vuole essere disturbato mentre schiaccia i diritti degli altri e rovina le loro vite.
Fallo anche tu, stai con noi.
http://www.rds.it/podcast/100-secondi-con-mentana-01-08-2017-1057-01-08-20171057/

 

SCANDALOSO. LICENZIANO PER RIASSUMERE CON SALARI PIÙ BASSI. SCIOPERO A MALPENSA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal nostro inviato a Malpensa

É in corso dalle 5 di questa mattina uno sciopero spontaneo dei lavoratori del trasporto bagagli di Linate e Malpensa dopo le ultime inutili proteste dei lavoratori contro il sistema di subappalti che si vorrebbe diffondere negli scali italiani, licenziando personale dalla aziende concessionarie per poi riassumerlo decimato e con salari insufficienti dai vincitori degli appalti, secondo i sindacati solo un modo per vessare e sfruttare i lavoratori senza una reale necessità di risparmio.

Nei giorni scorsi le proteste dei sindacati avevano avuto voce quasi unanime, FILT FIF UILT FLAI USB CUB ADL avevano diramato un comunicato contro questo sistema dannoso per il lavoro e per la dignità dei lavoratori senza essere stati ascoltati e, complice la franchigia imposta dalle autorità dello stato in materia di scioperi, le aziende stavano procedendo alla sostituzione del personale con le nuove imprese appaltanti contando sulla “pace sociale” da questa ingenerata a loro favore.

I lavoratori, invece, hanno deciso di infrangere questa assurda regola che permette alle aziende di vessare il personale ed ai lavoratori di protestare riunendosi in assemblea proprio nei luoghi di lavoro e bloccando così le operazioni di carico e scarico dei bagagli nel primo giorno di lavoro delle nuove cooperative.

I viaggiatori hanno da subito riportato sul web «Migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate».

Secondo i sindacati l’agitazione sarebbe la mancata risposta da parte delle istituzioni dopo l’incontro svoltosi ieri in prefettura a Varese per l’ingresso della cooperativa Alpina che dovrebbe iniziare a operare in subappalto per contri di Ags.

I viaggiatori sono scatenati sui social, fin dalle prime ore del mattino scrivono su Twitter «1 agosto, sciopero a Linate e Malpensa. Ma che bel vivere», «Linate, agitazione spontanea del personale aeroportuale. Bravi, proprio bravi», «A Linate ore di attesa, migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate per “sciopero spontaneo” addetti ai bagagli».

Luca Pistoia, Rappresentante Sindacale USB che si trova sul posto dichiara che si è trattato di un “Grande risultato dei lavoratori degli handlers di Malpensa e Linate contro l’entrata delle cooperative, a fronte della mobilitazione di tutti i lavoratori che hanno di fatto bloccato gli aeroporti è stato emanato un provvedimento da ENAC che sospende in modo temporale il loro accesso”

Ora, ottenuto il primo provvedimento, il braccio di ferro continuerà nelle sedi istituzionali per difendere il lavoro di tutti, non si tratta di una “guerra tra poveri”, lavoratori contro e passeggeri in ostaggio, si tratta di una lotta per la dignità del lavoro oggi troppo spesso osteggiata da regole contro lo sciopero e contro i diritti che stanno minando i fondamento della nostra repubblica “fondata sul lavoro”.

Intorno alle 8,30 Milan Airports ha scritto che «Causa agitazione sindacale spontanea del personale di terra si stanno verificando disservizi e ritardi su Malpensa. Seguiranno aggiornamenti», i sindacati, per ora dichiarano che la protesta, che va avanti dal mese di Maggio, proseguirà unitaria fino a che l’azienda non recederà dalle sue intenzioni, per la salvaguardia della dignità e delle tutele dei lavoratori di Linate e Malpensa, a tal proposito Luca Pistoia di USB dichiara: “L’ingresso delle cooperative nell’unico servizio in cui sono ancora assenti, quello di Handling, significherà, come ben sanno i lavoratori, l’abbassamento delle condizioni di lavoro e la frantumazione dei diritti, per questo la protesta unitaria di tutti i sindacati del comparto proseguirà fino a che non verranno accolte per intero le richieste dei lavoratori: fuori le cooperative dal Comparto Handling”.

PUTIN LICENZIA &quot;TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE&quot; TRUMP

DI IMMACOLATA LEONE
 
E’ ormai fuori dubbio, le qualità diplomatiche in politica estera, per il presidente Donald Trump ed il suo staff, sono un optional.
Grave pensare di sanzionare Putin e credere che “l’orso” se ne sia rimasto all’angolo dove aveano provato ad isolarlo.
Putin ha una strategia, una politica estera ed una notevole capacità di comunicazione, solo che stavolta si è un tantino irrritato, dopo le misure restrittive nei confronti della Russia, approvate dal Congresso americano.
 
Vladimir Putin ha annunciato il che entro il primo settembre ben 755 membri dello staff diplomatico americano dovranno lasciare il paese. Ne rimarrebbero 455, lo stesso numero di diplomatici russi negli Usa.
Pari e patta insomma.
 
Putin in una intervista glaciale, ha dichiarato quanto segue : “Abbiamo aspettato per un po’ un cambiamento e un miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, ma giudicando da tutto, se qualcosa cambierà non sarà a breve, è venuto il momento di mostrare agli Stati Uniti che non lasceremo le loro azioni senza risposta. Washington ha assunto posizioni che peggiorano i nostri rapporti bilaterali e possiamo mettere in campo anche altre misure per rispondere”.
 
Anche se le sanzioni non sono ancora in vigore ,il vice presidente Mike Pence dichiara che avranno l’avallo del presidente Trump, che pur di non mettersi contro il Congresso avrebbe deciso invece di mettersi contro il suo ex “amico” Putin.
 
Su queste basi un Trump pasticcione, assolutamente digiuno di politica estera, circondato da consiglieri confezionati su misura, ha pochissime possibilità di spuntarla con lo Zar Bianco, al secolo Vladimir Putin, uomo, che pur con le sue mille contraddizioni, positive o negative, secondo i punti di vista, è uomo tosto con un passato militare, anche discutibile, e di una forma di diplomazia rozza ma efficace.

De plus faire attention, certains pays délivrent des médicaments sans ordonnances alors qu’une prescription peut être obligatoire dans d’autres, donc faire vraiment attention au médicaments qui ne rentrent pas dans les médicaments “courants” et en cas de doute ne pas hésiter à se renseigner. Mais cela ne s’applique pas qu’à Dubaï, c’est une précaution de sécurité en voyage en général pour les médicaments réglementés. Ca m’est arrivé de voyager en étant sous antibiotiques et le médecin m’avait conseillé de prendre l’ordonnance avec moi et ce n’était pas un voyage à Dubaï. casino canada C’est donc une précaution générale.

IN ARRIVO ALTRI TAGLI ALLE PENSIONI

I PIERLUIGI PENNATI
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Nell’assoluto ed ormai sistematico silenzio mediatico è iniziata da qualche settimana, nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, l’iter di due proposte di legge per modificare il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione, una a firma del suo presidente, Andrea Mazziotti, e l’altra del piddino Ernesto Preziosi, membro della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
L’articolo in oggetto, dopo aver sancito i diritti dei cittadini con le frasi “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” prevede: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.”
Le due proposte in discussione sono molto simili tra loro, la proposta Mazziotti, sottoscritta da oggi 35 parlamentari tra Civici Innovatori, PD, FI e AP e dai quali si sono sfilati quelli di FdI dopo una prima adesione, chiede la sostituzione integrale del comma con le parole « Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni », di fatto aggiungendo però solo la parte “secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni”.
Nella proposta Preziosi, invece, dopo il secondo comma dovrebbe esserne inserito uno disponente che “il sistema previdenziale debba essere improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni, nonché la sostenibilità finanziaria”.
Sebbene non citata direttamente da Mazziotti, Le ragioni di questo cambiamento risiederebbero proprio nella sua “sostenibilità finanziaria” infatti nel suo sito web afferma che “Il rapporto Pensions at Glance 2015, diffuso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) il 1° dicembre 2015, mette in luce in maniera molto netta alcune difficoltà del sistema previdenziale italiano.”
In particolare “Nel quinquennio 2010-2015 la spesa per le pensioni pubbliche ha in media assorbito il 15,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Si tratta del secondo valore più alto tra i Paesi dell’OCSE dopo la Grecia, una percentuale che sicuramente diminuirà all’aumentare del PIL italiano, ma che va comunque abbassata con una rimodulazione della spesa pensionistica nella direzione di una maggiore sostenibilità.”
e poiché “L’ISTAT ha poi reso noto che il 70 per cento della spesa pensionistica totale è assorbito da pensioni di vecchiaia.” e che “Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni.”, il pericolo sarebbe che “il nostro sistema pensionistico non è in grado di reggere il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26%, contro una media OCSE del 45%) e il fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati.”
Sono proprio queste ragioni, secondo i proponenti, che sarebbero alla base dell’avvertimento dell’OCSE che “i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.”
Insomma se vogliamo la pensione da vivi dovremmo abbassare immediatamente i costi della previdenza di oggi per permettere ai pensionati di domani di poter continuare a riceve, od almeno ricevere, una pensione.
“Se si va avanti così, – continua Mazziotti – le generazioni future avranno pensioni enormemente più basse di quelle di chi in pensione ci è già andato, se le avranno.” E poiché “qualsiasi intervento normativo non può ignorare le discriminazioni e le situazioni di privilegio, che già oggi sottraggono risorse alle pensioni più basse e che, soprattutto, si scaricheranno sulle spalle delle generazioni future. La presente proposta di legge costituzionale intende dunque introdurre nella Costituzione nuovi principi cardine ai quali devono conformarsi gli istituti previdenziali e assistenziali previsti dalla Carta.”
Quindi, il risultato sembra essere che per abbassare ancora le pensioni di oggi ci si appella nientemeno che alla costituzione stessa, affermando, “non si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza. Per questo, nella proposta si prevede che gli istituti, previsti dall’art. 38 e predisposti o integrati dallo Stato, devono essere informati ai principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni.”
La conseguenza è che dopo aver aumentato l’età pensionabile più volte, modificati i criteri di erogazione, tagliata sanità e welfare in nome del pareggio di bilancio, invece di rilanciare e difendere l’industria ed il lavoro, si cerca di raggranellare ancora qualche soldo facendo sempre leva sulle categorie più deboli, i pensionati, addirittura in nome di una ipotetica equità futura.
Ma se è già stupefacente che per difendere le banche si trovino miliardi e per il lavoro si spremono anche quelli che lo hanno più, quello che maggiormente incuriosisce è che ad una proposta del centro destra in tale direzione fa eco una proposta del PD che, se possibile, è ancora più dura e sprezzante nei suoi termini, infatti se a destra si parla solo di equità generazionale, nascondendosi dietro gli allarmi dell’OCSE, a sinistra, se il PD lo è ancora, per lo stesso scopo si vorrebbe introdurre addirittura nella Costituzione la “sostenibilità finanziaria“ dello stato, cioè che se per qualsiasi altra ragione, scelte sbagliate e sprechi compresi, la sostenibilità fosse dubbia, i già poveri pensionati sarebbero comunque in prima linea a farne le spese.
Vogliamo la pensione da vivi, ma anche che sia adeguata e dignitosa per chi la riceve e non solo sostenibile per il bilancio dello stato a favore di banche e finanzieri, il lavoro, la pensione, la salute, la libertà, il welfare state, sono valori irrinunciabili: si può vivere senza una cassaforte piena, non lo si può fare senza una società solidale.

A CHI DICE CHE E' COLPA NOSTRA SE SIAMO POVERI, DRITTO SUI DENTI

DI IMMACOLATA LEONE
Siamo ridotti alla fame, facciamo tre lavori per portare a casa l’equivalente di mezzo stipendio mezzo,
mangiamo male perché costa mangiare discretamente,
non ci curiamo più perché sono finiti i soldi, bisogna solo sperare che un male incurabile non ti venga a trovare,
ci vestiamo al mercatino dell’usato, che se prima era divertente ora é l’unica alternativa, e quando pensi di essere riuscito a pagare l’ultima bolletta e sorridi stanco ,
e pensi che anche stavolta sei riuscito a pagarla, ecco che, ne arriva unaltra e strabuzzi gli occhi, se ti si buca un dente attaccati, gli occhiali li hai incollati.
E il mutuo? E la benzina? vabbe vai a piedi finche col caldo non ti coglie un infarto.
E i libri di scuola? Li avevi dimenticati, stupida, e allora cominci a correre, a correre prima che ti raggiunga la depressione altrimenti é la fine.
Ecco a chi dice che stiamo cosi perché lo abbiamo voluto noi,
dritto sui denti.

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LIBERISMO: SI, MA SENZA AUTOLESIONISMO

DI PIERLUIGI PENNATI
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La nazionalizzazione dei cantieri STX non passa inosservata, non solo per la mossa decisamente controcorrente rispetto ai tempi, nei quali “il mercato” sembra essere la soluzione migliore per i più “autorevoli” economisti ed influenti politici, ma soprattutto perche nel farla si scopre che un liberista dichiarato come Macron pensa che esistano ancora beni nazionali da difendere e non solo da vendere.
Nel farlo dà uno schiaffo all’industria italiana, scalzando Fincantieri, ed alla politica nazionale, facendo risvegliare il politico più presente nei media dei giorni nostri, Matteo Renzi, da un sonno liberista nel quale Macron doveva essere un conpagno di merende ed invece si fa i fatti suoi.
Il sindacato USB, impegnato nella campagna per la nazionalizzazione di Alitalia ed Ilva, non perde tempo e titola “Nella Ue nazionalizzare si può. La Francia lo fa per STX, l’Italia deve farlo per Alitalia e Ilva”.
Stefano Fassina non è da meno e scrive sulla sua bacheca Facebook “Il Governo Macron ha deciso di nazionalizzare i cantieri Stx di Saint-Nazaire cancellando brutalmente la soluzione già contrattata per il passaggio del 67% della proprietà del cantiere navale a Fincantieri. Il Governo italiano rimane a guardare.”
Se la critica al governo è chiara, è altrettanto chiaro che la mossa scoperchia un problema assai più grande: vale sempre la pena di privatizzare?
Vendere o svendere beni dello stato è una tendenza diffusa sempre più, non solo in Italia, ma in Italia ha raggiunto negli ultimi decenni livelli davvero da record, sono state privatizzate sia aziende sane che aziende in crisi per colpa non del mercato e della richiesta, ma dei manager incapaci, premiati per andarsene e regalando ad altri incapaci che poi hanno continuato la rovina.
È il caso di moltissime aziende, “Intanto, Vivendi ha conquistato TIM. Ma è soltanto l’ultima acquisizione di preziosi e strategici asset italiani da parte di altri paesi dell’Ue, in un quadro di conclamata assenza di reciprocità.”, continua Fassina, “L’intervento dello Stato in imprese di primaria rilevanza per lo sviluppo del Paese rimane un tabù? È grave e irresponsabile la passività del Governo.”
Abbiamo assistito inermi a privatizzazioni inutili e dannose, persino aziende ultrasane, produttive e strategiche per la sicurezza nazionale, come ENAV, l’Ente Nazionale di Assistenza al Volo, che produce da sempre utili record, dagli oltre 50 milioni nel momento della sua privatizzazione ai ben 76 dell.anno scorso, ceduta al 49% per circa 400 milioni, valore recuperabile in meno di 8 anni e perduto per sempre.
In Francia Macron sostiene di voler proteggere l’industria nazionale, in Italia Padoan replica che serve proteggere le banche, il capitale innanzitutto, nel frattempo da noi si disperdono centinaia di migliaia di posti di lavoro a costi sociali superiori ai costi per la loro protezione nazionalizzando, quindi una riflessione seria dovrebbe forse essere fatta prima che sia troppo tardi e si sia troppo poveri e senza lavoro per poter reagire senza una rivoluzione armata, perché si sa, il popolo affamato non ha mai risposto a nessuna legge, democratica o meno.
Troppe aziende sono state privatizzate per proteggere il capitale, sarebbe ora di cominciare pensare di proteggere il lavoro, in fondo, e fino a quando qualche scellerato non riuscirà a cambiarla, è scritto anche nell’articolo 1 della nostra costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”

TAGLIO OBAMACARE. CON TRUMP, VITA ANCORA PIU' DIFFICILE PER I POVERI

DI IMMACOLATA LEONE
Una volta si diceva “per un pugno di dollari”, oggi “per un voto in più”, continua lo scontro fratricida all’interno del Senato per la riapertura dell’Obamacare, infatti grazie a 51 voti su 50, si riaprirà nuovamente il dibattito.
L’Obamacare è sempre stato il cruccio di Trump, ed in uno dei suoi logorroici tweet ha dichiarato che “sta torturando gli americani. I democratici hanno preso in giro la gente abbastanza. Respingetela o Respingetela e Sostituitela! Ho già la penna in mano”.
L’abolizione dell’Obamacare comporterà:
– la fine dell’obbligo di procurarsi una copertura sanitaria;
– la sostituzione dei sussidi federali con detrazioni sulle tasse per un massimo di circa 4.000 dollari a persona all’anno, assegnate anche in base all’età , con Obamacare si teneva in considerazione solo il reddito; e limitazione del Medicaid, il programma di copertura sanitaria per i più poveri.
Quindi modifiche per agevolare i giovani e i ricchi.
Secondo i calcoli, di qualche mese fa, dell’ organo indipendente alla Ragioneria di Stato, il Congressional Budget Office, da oggi fino al 2024 circa 32 milioni di persone perderebbero la copertura sanitaria.
Il New York Times ha calcolato che in base a questa proposta
nei prossimi dieci anni il governo federale avrebbe speso più di quello previsto all’origine.
Cioè una variazione che portava al vuoto siderale.
Che dire, vita sempre più difficile per i poveri.

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UNA PETIZIONE PER IL DIRITTO DI SCIOPERO

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
La parola diritto deriva dal tardo latino dirictum e seppur in alcuni casi usata secondo la destinazione originale, procedere diritto, o anche il significato opposto di rovescio o verso, come un colpo diritto del tennis od il diritto della medaglia, il suo significato più intenso è quello assunto a partire dal medio evo, intendendo ciò che è giusto, equo secondo la legge e che è possibile pretendere.
Il diritto di qualcuno è anche il dovere di altri di concederlo, quindi diritti e doveri spesso si uniscono, ma qualche volta si contrappongono e l’esercizio da parte di qualcuno di un diritto può entrare in conflitto con l’esercizio di un altro diritto da parte di altri, rendendo necessaria una mediazione.
È questo il caso del diritto di sciopero, sancito come “costituzionale” dai padri fondatori è stato esercitato senza regole fino al 1990, quando, complice qualche concentrazione di scioperi nei trasporti che avevano creato disagi considerati “sproporzionati” nella cittadinanza, il legislatore ha pensato di regolamentare il settore così come, per altro, precisato nel testo costituzionale all’articolo 39: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolamentano” e che fino ad allora non erano state emesse.
In particolare la relazione che si era voluta assumere era il conflitto tra il diritto di sciopero e gli altri diritti costituzionalmente tutelati, così una prima stesura della legge aveva cominciato a porre difficoltà agli scioperanti affinchè i cittadini fossero avvertiti in tempo della eventualità e potessero comunque fruire di un minimo di servizi.
Da allora la legge di strada ne ha fatta tanta, dato che una seconda stesura, nel 2000, inaspriva le sanzioni per i lavoratori e dava maggiori poteri ad una commissione ad och creata a “garanzia” dell’osservanza della legge che delibera interpretativa su delibera interpretativa ha piano piano svuotato di potere il diritto di sciopero a favore delle aziende fino ad arrivare ai giorni nostri nei quali le difficoltà e le regole per poter esercitare il diritto sono così tante e tali da renderlo totalmente inefficace, con gioia dei datori di lavoro.
Per scioperare nei trasporti, per esempio, un sindacato deve dichiarare alla controparte aziendale il proprio dissenso. Fatto ciò l’azienda entro 5 giorni deve incontrare il sindacato per il “raffreddamento” del conflitto. L’incontro è obbligatorio, ma può essere disertato o presenziato senza accordo, cosa che capita regolarmente. Fatto ciò e non ottenuto nulla, il sindacato deve chiedere al prefetto od al ministero del lavoro la convocazione di un secondo incontro per lo stesso motivo, “raffreddare” il conflitto in essere. L’autorità interpellata chiama le parti entro altri dieci giorni e sia che la riunione vada ancora deserta o che non vi sia accordo solo successivamente può essere proclamato uno sciopero con almeno 12 giorni di preavviso.
Dalla tempistica sono sempre esclusi i giorni di invio documentale e degli incontri, così, se tutto va bene, dall’inizio ufficiale del conflitto, che di solito segue già di almeno qualche giorno l’inizio della protesta,  prima di poter “legittimamente” proclamare uno sciopero passano almeno 20 giorni ed almeno un mese prima di poterlo effettuare.
A questo punto sarebbe bello se fosse finita qui, invece è proprio ora che cominciano i disagi, gli scioperi devono rispettare una miriade di regolette introdotte dalla Commissione di Garanzia istituita dalla legge sullo sciopero che, a tutela degli altri diritti, limita modalità durate e concentrazioni di scioperi, al punto che spesso i sindacati avviano le agitazioni senza grossi motivi al solo scopo di “prenotare” le date utili a poter scioperare.
Basta dare un’occhiata in qualsiasi momento al calendario degli scioperi pubblicato nel sito della Commissione per capire già dalla prima occhiata che si tratta di una situazione insostenibile: http://www.cgsse.it/web/guest/elenco-scioperi
A questo vanno aggiunte le franchigie, date e periodi nei quali non si può scioperare, estati, ponti festivi, etc, cui si sommano le fasce protette giornaliere e, dulcis in fundo, le “comandate aziendali”, vale a dire i contingentamenti di personale che in ogni caso non può scioperare.
Questo è un altro punto decisamente dolente, dato che se in una località è prevista una sola persona in servizio nel tempo dello sciopero e la legge recita “le esigenze fondamentali di cui all’articolo 1; salvo casi particolari, devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero” è decisamente difficile dividere in un terzo la persona e frazionare una prestazione se questa non è articolata.
Ma se tutto finisse qui sarebbe ancora un paradiso, il vero problema, dopo tutte queste regole, diventa anche la mediazione, chiamata dalla legge “contemperazione” dei diritti, dato che i diritti sono tanti e spesso non chiaramente correlati.
Nella legge, la 146/90 modificata dalla 83/00, in particolare, si specificano sia i destinatari delle limitazioni, citando “Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporti di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.”, che i beneficiari: “tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico: la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali; b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole; c) per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario; d) per quanto riguarda l’istruzione: l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione; e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva pubblica.
Ora, ci sono ancora moltissime cose da dire, ma di fronte ad una tale mole di difficoltà, di diritti da contemperare e “scuse” adottate dalle controparti sembra evidente che il diritto di sciopero non è più esigibile veramente e come tale non è nemmeno più un diritto.
Mediamente un lavoratore spende 80 euro al giorno per scioperare, non si diverte e non va in vacanza, e le proteste, specie ultimamente, sono unicamente per licenziamenti, vessazioni, soprusi e cattiverie di ogni genere, che, in questa situazione, non possono più essere difese, svuotando completamente il senso non solo del diritto, ma della partecipazione sociale e riducendo tutti in schiavitù.
La punta dell’iceberg è stata forse raggiunta il 23 giugno scorso, quando il ministro dei trasporti Delrio è intervenuto in extremis con un decreto a bloccare gli scioperi previsti per due giorni dopo perché era previsto facesse “troppo caldo per autorizzare uno sciopero nel settore del trasporto pubblico locale”.
Troppo caldo per scioperare, ma non troppo per lavorare e certamente troppa autorità per assumere provvedimenti con tali motivazioni.
La reazione è stata quasi subito importante e condivisa da costituzionalisti, giuristi, docenti, avvocati e personaggi del mondo politico e della vita sociale del paese, inducendo il sindacato USB ad indire una petizione popolare per chiedere il ripristino del diritto di sciopero oggi negato.
A pochi giorni dal suo inizio, nel silenzio della “grande” comunicazione e nonostante le ferie estive, più di 3.000 persone hanno già firmato la petizione sulla piattaforma change.org.
Secondo il sindacato “La difesa della Costituzione e del diritto di sciopero dovrebbe rappresentare una via obbligata per tutti coloro che si definiscono democratici”, lamentando che “Purtroppo invece oggi gran parte delle forze politiche e dei mezzi di informazione sembra fare a gara per chi si dimostra più contrario all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito”.
I diritti dei lavoratori, la legge 300 o “statuto dei lavoratori”, e tutte le conquiste nel mondo del lavoro sono state possibili attraverso questo strumento che oggi sembra essere in pericolo di estinzione, l’invito dell’organizzazione sindacale USB è quindi di “firmare e a far firmare l’Appello in difesa del lavoro, della Costituzione e del diritto di sciopero”.
https://www.change.org/p/presidente-camera-deputati-e-presidente-del-senato-appello-in-difesa-del-diritto-di-sciopero

MOLISE. VASTO INCENDIO A TERMOLI, EVACUATO LO STABILIMENTO FIAT

DI IMMACOLATA LEONE
Oggi pomeriggio, intorno alle 14.00, un piccolo incendio ,iniziato tra le sterpaglie circostanti lo stabilimento Fiat di Termoli, è divampato in maniera violenta, fino ad arrivare in un deposito vicino ai locali mensa di “Termoli III”.
Panico per gli operai, alle ore 15,00 sono stati fatti uscire tutti.
Sono intervenuti sul posto alcune squadre di pompieri per le fiamme, alte diversi metri, sono intervenuti due canadair.
Chiusi i tratti di autostrada in entrambe le direzioni di 20 chilometri tra Vasto Sud, Chieti e Poggio Imperiale, Foggia.
Trenitalia ha sospeso la tratta Termoli-Foggia.
Alle 18,00 era già tutto sotto controllo, le fiamme non hanno raggiunto né gli impianti produttivi né materiali pericolosi.

It varies. buy viagra online Border Force officials know that on the back of that, there will likely be an increase in attempts to import drugs in the mail.

ATTENTI AL ROAMING, LE TRAPPOLE DELLA (DIS)UNIONE EUROPEA

DI PIERLUIGI PENNATI
https://alganews.wordpress.com/
pierluigi-pennati
Ad un mese dall’introduzione del roaming Europeo vale la pena di fare un primo bilancio ed una piccola guida di istruzioni per l’uso per non incappare in grandi problemi quando si è all’estero.
C’è ormai una generazione di quindicenni che non ha mai visto la lira e che non ha la minima idea di come poteva essere l’Europa prima degli accordi di Schengen, passaporti per espatriare e cambi di valuta ad ogni frontiera, oltre, ovviamente, ai problemi legati alle comunicazioni che sono rimasti fino al 15 giugno di quest’anno quando, per effetto di una legge comunitaria, è stato abolito il costo del roaming telefonico per gli apparati mobili in tutti i paesi dell’Unione Europea.
Per molti di noi questo è stato un grande traguardo, perché chi va frequentemente all’estero in effetti ne aveva grande disagio, dato che, curiosamente, per chiamare lo Sri Lanka dall’Italia i costi possono variare da 1 a 3 centesimi al minuto, mentre per Germania e Francia si va dai 50 centesimi in su, a meno di non sopportare un comunque costoso contratto a forfait.
Ecco che l’abolizione del roaming risolve finalmente il problema introducendo un curioso paradosso, chiamare in tutta Europa dall’estero diventa persino più conveniente che dal proprio paese, infatti quando si viaggia la tariffa resta identica verso tutti gli stati e, per esempio, se avete 200 minuti per chiamare in Italia trovandovi in Francia potrete usarli verso tutti i paesi dell’unione senza ulteriori addebiti, Francia su Francia, Francia su Italia, etc.
La ratio della cosa è semplice e scritta nella legge: favorire gli spostamenti per scopi turistici e lasciare inalterato tutto il resto, quindi varrà la prevalenza su un periodo di quattro mesi, nei quali la maggior parte del tempo e del traffico dovrà essere trascorso e generato nel proprio paese di provenienza, nel nostro caso l’Italia.
Tutto risolto?
Certo che no, l’Europa è un’associazione strana, ci sono 28 paesi aderenti dei quali solo 18 adottano l’euro ed altri paesi non aderenti che pur adottando l’euro non sono assoggettati alle leggi comunitarie, parliamo di Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia e per ultimo c’è uno stato, la Svizzera, che pur essendo in posizione centrale rispetto all’unione adotta gli accordi di Schengen solo per le persone e non le merci, senza aderire all’unione e senza adottare l’euro.
Uno strano agglomerato le cui insidie sono dietro l’angolo, infatti se avete deciso di attraversare l’unione Europea per le vostre vacanze dovrete stare molto attenti a come impostate il vostro telefonino, dato che questo non conosce le leggi europee e per lui il roaming è roaming, vale a diche che agganciandosi ad un altro operatore estero non farà differenza se questo risiede in uno stato aderente all’UE o meno.
Quindi, uscendo dall’Italia, per navigare in rete, si dovrà abilitare il roaming internazionale e disabilitare, per non avere interruzioni, i limiti dei dati in roaming durante la permanenza all’estero, dati limitati per legge ad una sessantina di euro di costi, proprio per prevenire possibili abusi prima dell’abolizione dei costi.
Ora si sarà completamente in balia del roaming automatico e si dovrà prestare attenzione a dove ci si trova, se in Svizzera od in prossimità di uno degli stati sopra citati, vale a dire Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia, perché in questi posti il roaming può costare ancora davvero caro.
Ecco che se trovate ad Andorra un paio di megabyte di traffico Internet, corrispondenti ad una o due fotografie visualizzate in FaceBook, vi costeranno già una trentina di euro e se non avete una prepagata… beh, meglio aprire un mutuo.
Uno dei problemi è che, eccezion fatta per la Svizzera dove la dogana è ancora presente e visibile, gli altri stati spesso non ne sono più dotati od al massimo si passa attraverso una frontiera presidiata ma non attenta e non sempre la propria compagnia telefonica avverte correttamente o in tempo dell’uscita dai confini UE, così la prima connessione regalerà denaro, e non poco, alla locale compagnia telefonica rovinandovi un po’ le vacanze.
Una soluzione alternativa, almeno temporanea, per prevenire costi troppo alti potrebbe essere la sottoscrizione di un contratto limitato per il roaming internazionale odi pacchetti dati e minuti da usare all’estero, questo non vi salverà dallo spendere alcuni euro extra, ma almeno non vi prosciugherà il credito, dato che a seconda della compagnia questi pacchetti costano al massimo da 4 a 20 euro.
In ogni caso, l’attenzione deve sempre essere alta, l’Unione Europea non è un vero stato, non ha un solo prefisso telefonico e non ha regole comuni se non codificate nei limiti delle attribuzioni del parlamento comunitario, quindi prima di spostarsi, in Europa e non, si deve sempre vigilare e controllare le regole locali.
Per il resto, buone vacanze a chi ci va.

USA. A OGNUNO IL SUO DISPETTO, IL PORTAVOCE SPICER SI DIMETTE

DI IMMACOLATA LEONE
 
L’irrequieto presidente americano Donald Trump, da mesi ormai impegnato a mettere una pezza alle azioni dei suoi piu fidi collaboratori soprattutto nelle inchiesta del Russiagate, oggi alle dimissioni del suo portavoce Sean Spicer, ha subito nominato Sarah Huckabee Sanders come sua sostituta.
 
Spicer, già da mesi caduto in disgrazia, nonostante il difficile ruolo di mediatore dei pensieri illuminanti del suo presidente e quindi spesso non in linea con le sue idee, si sarebbe indispettito per la nomina di Anthony Scaramucci a capo dello staff della comunicazione della Casa Bianca, che ha subito accettato.
 
L’ormai gia ex portavoce si è reso disponibile per tutte le operazioni di transazione del nuovo direttore.
Come dire, a ognuno il suo dispetto.

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